III
surrealismo rimane imbrigliato. La filosofia del surrealismo, come ha dimostrato Alquié, non è 
un sistema compatto di verità, è una filosofia condotta sulla storia dell’uomo e “ridotta” alle sue 
drammatiche proporzioni. Una filosofia che cerca di stabilire, nel temenos dell’uomo, rapporti 
meno ambigui con il mondo e che incessantemente sperimenta altre tecniche e altri strumenti 
linguistici
2
. 
Non stupisce quindi che Breton abbia da subito cercato di sottrarre il surrealismo all’ambito 
ristretto e limitante del movimento letterario, considerandolo piuttosto come un globale 
orizzonte di vita, in cui dare corpo all’utopia rivoluzionaria che colloca il desiderio al centro 
della sua geografia. Il desiderio è il principio attivo  che conduce all’assoluto surrealista, dove 
l’uomo si libera da ogni vincolo e costrizione, tanto sul piano culturale che su quello 
esistenziale. 
Grande peso avranno nello sviluppo del surrealismo le teorie di Freud e di Marx, in quanto 
riferibili le une all’individuo, le altre alla società, e rappresentanti le due facce del problema che 
il movimento cercherà di comporre fra non poche contraddizioni, adottando soluzioni o 
puramente letterarie o puramente politiche. Quando il poeta Lautréamont afferma: “La poesia 
deve avere per scopo la verità pratica”, sintetizza mirabilmente ciò che il surrealismo vuole 
attuare, ossia colmare lo scarto tra lo spirito romantico e quello della rivoluzione sociale su cui 
si sono arrovellati espressionisti e dadaisti, collegare l’arte alla storia e realizzare le condizioni 
per la libertà spirituale e materiale dell’uomo, con atteggiamento vivo, moderno, attuale. 
Dalla definizione di “surrealismo” enunciata da André Breton nel primo Manifeste del 1924, 
deriva una poetica dell’automatismo che, più facilmente applicabile alla parola scritta, viene poi 
estesa ad ogni fatto artistico, nel quale si mettono in atto procedimenti in grado di sottrarre alle 
facoltà coscienti dell’artista l’elaborazione della sua opera. Partendo dalle teorie freudiane sui 
sogni e sulla loro interpretazione, i surrealisti si chiedono quale possa essere il loro significato e 
la loro importanza, dal momento che rappresentano una porzione consistente dell’umana attività 
                                                 
2
 Trimarco, A., Ragioni di una rilettura, in Alquié, F., Philosophie du Surréalisme, Flammarion éditeur, Paris 
1956, p. 21 (tr. it. di A. Trimarco, Filosofia del Surrealismo, Rumma editore, Salerno 1970). 
 IV
di pensiero. La risposta è fornita dal concetto di “inconscio”, il quale si esprime nelle 
esperienze oniriche attraverso forme di libera associazione, lasciando cioè che un’idea segua 
l’altra senza la consequenzialità logica del ragionamento consueto, ma automaticamente, sulla 
base appunto di un “automatismo psichico” libero da qualunque controllo di tipo etico, sociale 
o culturale; il sogno è dunque il luogo privilegiato in cui attingere alla “surrealtà”, che 
rappresenta il “punto supremo” nel quale tutte le contraddizioni si ricompongono e trovano 
soluzione. L’arte diventa allora il mezzo per esternare immagini oniriche e deliri dell’inconscio, 
paure e angosce. Soprattutto in aderenza alle teorie marxiste, negando il principio troppo 
edonistico di un’arte per l’arte, i surrealisti le attribuiscono il compito di rivelare il 
funzionamento reale del pensiero, stabilendo un rapporto immediato tra inconscio e gesto 
poetico prodotto dall’automatismo psichico, dando l’avvio ad un processo critico che metta in 
discussione il concetto di realtà, intesa anche come realtà sociale. 
L’arte, “modello puramente interiore”, deve essere, come si è detto, il risultato dell’immediata 
corrispondenza tra inconscio e gesto artistico, svincolata  dal controllo morale o razionale della 
coscienza  e dei canoni estetici prestabiliti, deve tradurre in termini letterari o plastici l’attività 
non consapevole del soggetto, con linguaggi liberi, nuovi, anomali, che ammettano ogni 
sperimentazione ed ogni stile
3
. 
L’immagine, poetica o pittorica, che il surrealismo propone, eliminando il principio di identità, 
non si basa più sul concetto di similitudine, bensì su quello di dissimilitudine, un’immagine al 
di fuori di ogni regola naturale o sociale, del buon senso e della logica, che accosta elementi 
inconciliabili e, per il senso comune dissimili, in modo traumatico e sconvolgente per lo 
spettatore, che potrà recepirli solo attraverso l’immaginazione, la fantasia, il sogno, 
l’allucinazione. Tuttavia questo è pur sempre un modo figurativo di rappresentare la realtà, o 
meglio, è un azzardo oggettivo che crea un mondo di oggetti definiti, arbitrariamente associati 
                                                 
3
 Tra gli svariati metodi utilizzati dai surrealisti nella creazione delle loro opere, si possono ricordare il collage, il 
frottage, la decalcomania, la pittura automatica, i quadri di sabbia, il fumage e molti altri.  
 V
fino ad essere destituiti di ogni fondamento di realtà
4
. 
In definitiva, il surrealismo non propone nessun rigido programma o dogma  cui i suoi aderenti  
debbano conformarsi, ma si pone come un atteggiamento generale verso la vita, inteso a 
salvaguardare la libertà dell’uomo e dell’artista nell’esprimere, in qualsiasi forma, senza limiti 
né preclusioni, la sua verità. 
La pittura e la scultura, che restano comunque le due forme espressive più importanti accanto a 
quella poetica e letteraria, rimangono, come si è accennato, sostanzialmente figurative, anche se 
di un figurativismo trasfigurato rispetto alla realtà, con la quale il dialogo non si interrompe 
mai, e si indirizzano o verso la ricerca di accostamenti inconsueti dei soggetti rappresentati 
oppure verso la proposta di deformazioni irreali. Entrambi i procedimenti hanno un unico fine, 
vale a dire lo spostamento del senso, la trasformazione delle cose che l’uomo è abituato a 
vedere in base al senso comune, in immagini che trasmettono un diverso ordine di realtà. 
Questi due orientamenti convivono in un artista che sotto molti aspetti non appartiene 
all’ortodossia surrealista, il pittore belga René Magritte. Se al pari dei suoi colleghi 
dell’entourage parigino, rinuncia alla pittura come finalità e non lavora per ricercare una 
“modifica” relativa alla specificità strutturale del linguaggio, egli non abbandona tuttavia il 
luogo deputato all’attività del pittore: profondamente europeo, rivendica alla pittura la 
prerogativa della visione e a questa  il primato sulla realtà. Da un lato Magritte rappresenta un 
ramo autonomo rispetto alla linea “freudiana” del surrealismo storico, ad esempio negando 
l’importanza del sogno e dell’interiorità nella produzione di opere, ma dall’altro ne costituisce 
la polarità più lucida e precisa, quella che più ne sottolinea i capisaldi e i modelli che ne 
formano la poetica. Nessuno infatti è stato in grado, come Magritte, di sorprendersi prima 
ancora di sorprendere, di stupirsi “candidamente” prima ancora di stupire, di tradurre in 
immagini la naturalità della magia, del mistero, dello svaporare del mondo. 
                                                 
4
 Questa poetica era stata anticipata nelle opere di Giorgio De Chirico, inventore della pittura metafisica, al quale 
lo stesso Breton riconosce un ruolo di precursore. 
 VI
Le opere stesse di Magritte rifiutano ogni “cedimento” pittorico, tese a sviluppare in immagine 
la fragranza dell’idea, protagonista assoluta dei suoi lavori. Il suo è un dipingere freddo, 
levigato, meticoloso ma senza palpiti di pennello, senza sorprese di tocchi, di gesti, d’inebrianti 
incidenti di percorso. Tuttavia, e paradossalmente, la sua prassi si colloca nel cuore della 
pittura, vale a dire nella centralità dialettica dello sguardo, del vedere, in sintesi della visione. 
Il mistero che è al centro dell’opera di Magritte è l’indecidibilità dell’alternativa tra il non-senso 
della realtà e lo sconvolgimento della sua logica da parte degli apparati riceventi e conoscitivi 
dell’uomo (i sensi, la ragione, la fantasia, ecc.). E questo mistero si fa tanto più assillante 
quanto più la sua pittura si affina realisticamente, tanto più, si direbbe, si rivolge con meticolosa 
cura a ritrarre il vero. 
La realtà, la surrealtà, il senso e il non-senso non appartengono per Magritte né al mondo né 
alla coscienza, né alla ragione né all’irrazionalità: la coincidenza di questi poli opposti affonda 
per lui le proprie radici soprattutto nella struttura della visione. L’enigmaticità del reale ha una 
sua giustificazione proprio nella consistenza della visione, la quale non è data solo dalle 
immagini che l’occhio percepisce, ma anche da ciò che si pensa, dall’emozione dello sguardo e 
della mente.  
Dunque l’occhio non solo vede ma anche pensa, è consapevole, oltre di ciò che ha visto, di 
quello che si nasconde dietro l’apparenza o che si potrebbe vedere. A volte in Magritte la 
visione si produce per metonimia, altre per metafora, ma è comunque il risultato di un processo 
retorico che si esplica e si concretizza attraverso modelli che dispiegano l’illogicità del mondo. 
La scoperta del sogno, del subconscio, delle pulsioni medianiche della psiche e di quelle 
profonde dell’io, permetteva al surrealismo di “materializzare” in forma di realtà quanto di 
oscuro e di misterioso poteva nascondersi entro la “caverna” dell’animo moderno. Tuttavia, 
esso agiva generalmente per inversione, assegnando valore di verità a ciò che fino ad allora era 
 VII
tenuto in conto di fantasma, e rovesciando completamente l’idea del mondo
5
. In questo modo 
però non si è in grado di uscire dalla “trappola” degli opposti, delle strutture e sovrastrutture, 
della spartizione orizzontale del cosmo. L’irrazionale dei surrealisti è “buono”, invece la 
ragione è cattiva; la logica è banale, al contrario l’illogicità e il non-senso sono poetici e 
inebrianti. 
La pittura di Magritte e le sue favole, a volte crudeli, altre incantevoli, spezzano una simile 
spirale e in qualche modo salvaguardano il surrealismo dalla genericità, prima, e dalla gratuità, 
poi. Ciò avviene perché l’artista di Bruxelles non identifica nel sogno la vera realtà, ma ritiene 
piuttosto che il mondo si offra come un sogno
6
. Il non-senso delle cose abita il tempo e lo 
spazio del giorno e della veglia, e risulta dallo sforzo di “vedere meglio”, di “vedere di più”. Il 
“deviazionismo” di Magritte induce dunque  ad una revisione della poetica bretoniana alla luce 
di una coscienza  del linguaggio e delle strutture della visione più profonda di quanto non lo 
siano le facili espansioni di surrealtà che ne minarono, fin dall’inizio, il percorso. 
La prospettiva totalizzante del surrealismo investe anche la settima arte, il cinema, che sebbene 
sia nato solo da pochi decenni, suscita un vivo interesse presso i seguaci del movimento, 
soprattutto per la sua capacità di “estraniare” lo spettatore dal mondo circostante e per lo spirito 
dissacratorio che promana dalle pellicole più in voga del momento (serial, film comici, 
d’avventura o di mistero). Tale interesse quindi non è rivolto principalmente alla concreta 
produzione di film, quanto piuttosto alla naturale identificazione tra cinema e surrealtà: il 
cinema per i surrealisti, prima ancora di essere una forma di espressione artistica, come la 
poesia e la pittura, è un materiale onirico da utilizzare ed affiancare all’esperienza reale della 
vita quotidiana, al fine di mettere in comunicazione esperienza diurna e vita interiore.  
                                                 
5
 Nel suo attacco alle convenzioni, Breton mette a fuoco una provocazione globale: assegna alla notte le funzioni 
del giorno, valorizza l’irrazionale nei confronti del razionale, spiazza la logica a vantaggio dell’illogicità, e così 
via. 
6
 Al riguardo, precisa Magritte: “Dire: ‘il mondo si offre come un sogno’ non significa che ci siano due mondi: 
quello del sogno e quello della realtà. Il pensiero non ‘sogna’ di più nel sonno che durante la veglia: esso può 
essere lucido ed eccezionalmente vigile nel sonno, scoprendo esattamente le stesse cose di grande valore che 
scopre nella veglia […]. Il pensiero può essere ispirato in un momento qualsiasi, e dicendo che lo è nella veglia o 
nel sonno non si aggiunge assolutamente niente.” (Magritte, R., “Penso a nuove ricerche…”, in Ecrits complets, 
Flammarion, Paris 1979, p. 281, tr. it. a cura di A. Blavier, Tutti gli scritti, Feltrinelli editore, Milano 1979). 
 VIII
Da questo punto di vista il cinema è considerato uno spazio immaginativo e corporeo legato ad 
uno stato percettivo inconsueto da raggiungere, nella fruizione, mediante le immagini proiettate 
sullo schermo. 
Le ricerche portate avanti negli anni Dieci e Venti in direzione di un nuovo concetto di 
immagine filmica condussero a sperimentazioni più o meno ardite anche nel campo 
dell’animazione, che ha finito per assumere la fisionomia di un cinema parallelo, svincolato da 
quello “maggiore” e articolato in una storia quasi del tutto autonoma. La stessa definizione di 
“animazione” dichiarata nello statuto oggi vigente dell’ASIFA (Association internationale du 
film d’animation) sottolinea la sua peculiarità di dar vita ad un mondo puramente fittizio, che 
non riprende semplicemente le azioni della vita reale, ma le inventa ex novo; tale definizione 
afferma che deve essere inteso per animazione tutto ciò che non è semplice ripresa della vita 
reale a ventiquattro fotogrammi al secondo
7
. 
Un artista eclettico, che è stato legato ai movimenti d’avanguardia francesi d’inizio secolo ed ha 
partecipato, sia pur marginalmente, alle battaglie artistiche contemporanee, è Alexandre 
Alexeieff, che troverà nell’animazione l’ambito più consono all’espressione della sua vicenda 
umana ed interiore. L’interesse per il movimento, già presente in nuce nella sua attività di 
illustratore, lo condusse all’ideazione di un nuovo strumento in grado di far conquistare la 
quarta dimensione alle sue incisioni: si tratta dell’écran d’épingles, pannello bianco trafitto da 
migliaia di spilli retrattili che, grazie alle ombre proiettate dagli spilli stessi, consentiva di 
creare immagini attraverso tutte le gradazioni del grigio.  
Le opere di Alexeieff, popolate da immagini di straordinaria bellezza dinamica, correlate le une 
alle altre solo da pulsioni subconscie, si situano nell’atmosfera surrealista per il loro potere 
evocativo, per la loro capacità di dar vita ad un mondo “altro”, al confine tra sogno e veglia, che 
traspone sullo schermo i moti interiori del suo creatore, ma che nel contempo anela ad un 
passato non più attingibile, ad una realtà ormai cancellata dai condizionamenti borghesi.  
                                                 
7
 Bendazzi, G., Introduzione, in Cartoons-Cento anni di cinema d’animazione, Marsilio editori, Venezia 1992, p. 
IX. 
 IX
Tutto ciò è in stretta connessione con la musica, che nell’artista di Kazan gioca un ruolo di 
primo piano: il suo è un vero e proprio tentativo di tradurre la musica, specialmente quella delle 
tradizioni a cui è profondamente legato, in immagini, figurative ma non sottomesse a 
prestabiliti canoni estetici o stilistici. La dimensione temporale della musica e del cinema  
collaborano alla messa in scena di un universo a-spaziale e a-temporale, in cui si intrecciano 
ricordi, passioni, sogni, emozioni dell’artista. 
La frequentazione degli ambienti surrealisti ha dunque lasciato in eredità ad Alexeieff la 
concezione secondo cui esiste un ordine superiore di realtà, una dimensione più vera della vita 
stessa, che è possibile sondare attraverso mezzi differenti, fra i quali è il soggetto a dover 
operare una scelta in favore dei più idonei. 
Pur nel rispetto delle leggi intrinseche di due arti differenti, sia le opere di Magritte che quelle 
di Alexeieff manifestano la tensione verso uno spazio totale, globale: un luogo dove la parola 
perde i suoi privilegi e i suoi connotati ontologici. Essi donano nuova linfa ai rispettivi campi di 
competenza attingendo unicamente al repertorio del pensiero e delle idee umane.  
Il mezzo cinematografico, in particolare, coniugando il linguaggio delle immagini a quello dei 
suoni, si serve delle loro corrispondenze in rapporto a tutti gli organi e su tutti i piani: il corpo 
acquista allora un rilievo sconosciuto e insieme ad esso i movimenti, i gesti, i segni che 
costituiscono il “nuovo linguaggio fisico”, capace di avvicinarsi al nucleo fragile e irrequieto 
della vita. 
Partendo dall’ambito della letteratura e procedendo per allargamenti progressivi, il surrealismo 
si è dunque infiltrato in tutti i settori dell’attività artistica, tentando di infondere uno spirito 
nuovo nella globalità dell’esistenza.  
L’esperienza surrealista conobbe anche l’usura dell’omologazione, visto che molte delle sue 
formule e dei suoi procedimenti sono entrati a far parte della cultura comune, ad esempio 
attraverso la pubblicità e la comunicazione di massa, banalizzandosi e perdendo l’originale 
 X
carica eversiva. Ma questo è il destino di tutte le avanguardie, che prima o poi cessano di 
esserlo, finendo nel mercato o nel museo
8
. 
                                                 
8
 Gambaro, F., Surrealismo, Editrice Bibliografica, Milano 1996, p. 80. 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                  CAPITOLO  I 
                 CHE COS’È IL SURREALISMO? 
 
 2
    1_IL CONCETTO DI SURREALTÀ 
 
Il termine “surrealtà” è relativamente recente: è stato adottato in omaggio al poeta Guillaume 
Apollinaire
1
 nel secondo decennio del XX secolo dallo scrittore francese André Breton 
(Tinchebray, Orne 1896-Parigi 1966), fondatore del movimento che da esso trae origine, il 
Surrealismo
2
. 
Nel primo Manifeste du Surréalisme, datato 1924, Breton ne dà la seguente definizione: 
  SURREALISMO, n.m. Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia     
verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato del 
pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica 
o morale. 
 
  ENCICL. Filos. Il surrealismo si fonda sull’idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme 
d’associazione finora trascurate, sull’onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende  a  
liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei 
principali problemi della vita [….].
3
 
 
 
Come dichiara Breton, la “surrealtà” è una realtà superiore, più intensa, frutto dell’integrazione 
tra mondo fisico e mondo onirico, l’esigenza della quale è avvertita a causa di una situazione di 
grave crisi storica e culturale. Di fronte a tale crisi, il surrealismo cerca di dare risposte 
costruttive al problema della scissione tra libertà individuale e norme sociali, tra forze inconsce 
e realtà, là dove il dadaismo, movimento artistico di poco precedente, aveva reagito ostentando 
una violenta volontà dissacratoria con l’obiettivo di scandalizzare la morale costituita. La critica 
radicale ai valori sociali e morali codificati, il rifiuto di qualunque convenzione formale o 
stilistica, la teorizzazione della libertà intesa come forma suprema della vita e della  poesia sono 
tutti principi ripresi dal surrealismo ma, ispirandosi a Marx e Freud
4
, esso intende trasformare 
                                                 
     
1
 Il termine “surrealismo” era stato lanciato da Apollinaire negli ultimi anni della sua vita ed era poi stato accolto 
      presso i gruppi del “cubismo” letterario o che si ispiravano ai principi apollinairiani dell’“Esprit nouveau”. 
2
 Breton afferma di voler designare col nome di  SURREALISMO il nuovo modo di espressione pura di cui si 
trovò a disporre; l’omaggio ad Apollinaire, morto da poco, era dovuto al fatto che il poeta francese gli era parso 
obbedire ad un impulso del genere, senza tuttavia sacrificarvi alcune mediocri risorse letterarie. 
Breton afferma anche che avrebbe potuto impadronirsi della parola SUPERNATURALISMO usata da Gérard de 
Nerval nella dedica delle Filles du feu, poiché vi ravvisava quello spirito a cui intendeva riferirsi lui stesso. 
3
 Breton, A., Manifestes du Surréalisme, Pauvert, Paris, p. 30 (tr. it. di L. Magrini, Manifesti del surrealismo, 
Einaudi Editore, Torino 1987).  
4
 Sul tema dell’influenza delle teorie freudiane sul surrealismo, si veda oltre, CAP. I, paragr. 4.2 e 4.3. 
 3
in meglio la società, anziché limitarsi ad abbatterla, e mira a liberare le energie inconsce 
dell’individuo. 
Le pulsioni profonde e le strutture dell’inconscio trovano lo spazio adatto per esprimersi nella 
surrealtà, dimensione in cui le comuni regole della logica sono sospese. Infatti, il surrealismo 
dichiara senza mezzi termini i “limiti” che caratterizzano sia il pensiero che i mezzi 
d’espressione degli scrittori e degli artisti realisti
5
 e si propone il dovere fondamentale di 
esprimere visivamente la percezione interna
6
.  
Così, fin dalle sue origini, il surrealismo ha perseguito lo sforzo di moltiplicare le vie di 
penetrazione degli strati più profondi del campo mentale
7
. A questo scopo, il mezzo più efficace 
è l’automatismo psichico sotto tutte le sue forme, la principale delle quali è la scrittura 
automatica, che consiste nello scrivere seguendo il primo immediato impulso, lasciando 
emergere le impressioni dell’inconscio in totale passività: ogni tentativo di chiarezza è 
negativo, poiché introduce esigenze letterarie, cioè false. 
Altre tecniche non convenzionali, utilizzate in ambito specificamente artistico, sono basate su 
liberi accostamenti di materiali diversi: il collage, il frottage
8
 (tecnica di sfregamento), il 
grattage (raschiamento), il fumage (affumicatura), la decalcomania, il dripping 
(sgocciolamento), il rayogramma (esposizione della lastra fotografica alla luce). Alcuni di 
questi procedimenti erano già stati utilizzati prima dell’avvento del surrealismo, ma sotto il suo 
impulso vengono resi sistematici e modificati, permettendo di “fissare su carta o tela la 
fotografia stupefacente dei pensieri e dei desideri”
9
. Si arriva così alla definizione di oggetto 
surrealista, proposta dal pittore spagnolo Salvador Dalì: “oggetto che si presta a un minimo di 
                                                 
5
 Breton, A., Posizione politica del surrealismo, in Manifestes du Surréalisme, cit., p. 203. 
6
 Ivi. 
7
 Ivi. I surrealisti hanno cercato di scoprire i mezzi per mettere in atto le parole d’ordine di Rimbaud : “Dico che 
bisogna essere veggenti, farsi veggenti”. 
8
 Il racconto di Max Ernst sull’origine della tecnica del frottage è riportato da Breton in Manifestes du Surréalisme, 
cit., p. 208. Ernst dichiara l’influenza delle precisazioni concernenti il meccanismo dell’ispirazione che si trovano 
nel Manifeste du Surréalisme e sottolinea il fatto che questo metodo, che poggia “sull’intensificazione 
dell’irritabilità delle facoltà dello spirito”, gli consente di interrogare tutti i tipi di materia che possono trovarsi nel 
suo campo visivo. 
9
 Parole di Max Ernst  riportate in Breton, A., op. cit., p. 207. 
 4
funzionamento meccanico e che è fondato sui fantasmi e le rappresentazioni che possono essere 
provocati dalla realizzazione d’atti inconsci”, oggetti, come sostiene Breton nell’Introduction 
au discours sur le peu de realité, a cui ci si avvicina soltanto nel sogno e che sono “poco 
giustificabili sia dal punto di vista dell’utilità che da quello del piacere”
10
. 
Breton vuole sostituire l’arte d’imitazione con una nuova, che sia in grado di portare la 
rappresentazione mentale ad una precisione sempre più oggettiva, attraverso l’esercizio 
volontario dell’immaginazione e della memoria, anche se è ovvio che solo la percezione esterna 
permette l’acquisizione involontaria dei materiali di cui essa è chiamata a servirsi. La surrealtà 
è il luogo in cui, attraverso il tipo di operazioni suddette, percezione e rappresentazione, termini 
altamente contraddittori per l’uomo adulto, vengono conciliate dialetticamente
11
. 
Date queste premesse, risulta comprensibile il privilegio accordato alla poesia rispetto alle altre 
arti, dal momento che essa appare svincolata da qualsiasi contatto con la materia, libera 
espressione dello spirito puro; ma nello stesso tempo il cammino percorso dalla poesia 
nell’epoca moderna l’ha condotta  a ritagliarsi un campo sempre più vasto, ad insinuarsi in 
ambiti prima estranei, in particolare nella pittura: l’oggetto di entrambe le arti è nel surrealismo 
il medesimo, ovvero, in termini generali, la  rivelazione alla coscienza dei poteri della vita 
spirituale 
12
.  
Liberata dal vincolo della riproduzione fedele del mondo, la pittura si giova del solo elemento 
esterno ineliminabile in qualunque arte, cioè la rappresentazione interiore dell’immagine 
presente allo spirito. Confrontando questa rappresentazione interiore con quella delle forme 
concrete del mondo reale, la pittura cerca di cogliere l’oggetto nella sua generalità, di escluderlo 
momentaneamente come tale e di considerarlo unicamente nel suo rapporto con il mondo 
interiore della coscienza. Il surrealismo è riuscito così ad ottenere una sostanziale fusione tra le 
due arti; che esse, a discrezione dei singoli artisti, vengano considerate complementari oppure 
                                                 
10
 Ivi. 
11
 Ivi. Corsivo mio. 
12
 Su questi temi, cfr. Hegel, G.W.F., Äesthetik,  Aufbau-Verlag, Berlin 1955, pp. 1072-1085 (tr. it. di N. Merker e 
N. Vaccaro, Estetica, Feltrinelli editore, Milano 1963).                     
 5
sovrapponibili l’una all’altra, appaiono indissolubilmente legate e per molti di loro risulta 
indifferente esprimersi in forma poetica o in forma figurativa.
13
 
Dall’altro lato, la priorità attribuita all’espressione poetica ha comportato un’intensa riflessione 
su di essa, avente lo scopo di porre rimedio alle sue relative insufficienze nei confronti delle 
altre arti, per esempio rispetto alla pittura per l’incapacità di poter esprimere con precisione le 
forme della realtà sensibile oppure, rispetto alla musica, per una più difficoltosa comunicazione 
immediata del sentimento.  
Di fronte a questi limiti, i surrealisti ribadiscono con forza la virtù primordiale del linguaggio 
poetico, l’universalità: se la poesia deve essere fatta da tutti
14
, essa deve anche, in modo 
reciproco, essere intesa da tutti.  
La poesia non deve essere un linguaggio riservato ad una ristretta cerchia di eletti; al contrario, 
l’accesso all’universo poetico, alla surrealtà, deve essere consentito ad ogni uomo e di 
conseguenza l’attività dell’artista surrealista non deve rimanere chiusa in se stessa, ma deve 
agire direttamente sulla realtà materiale, proprio perché la surrealtà non è né puro sogno né pura 
realtà, bensì la fusione delle due dimensioni. 
È di fondamentale importanza definire con precisione l’ambito del “surreale” nei confronti di 
concetti ad esso affini, primo fra tutti quello di “assurdo”, poiché, se è  vero che tutto ciò che 
rientra nel surreale è assurdo, non vale la reciproca, ossia non tutto ciò che è definito assurdo si 
può catalogare come surreale. Il confine tra i due concetti è labile: è innegabile che un testo di 
scrittura automatica, un dipinto raffigurante esseri fantastici oppure oggetti accostati senza 
alcuna logica apparente lasciano interdetto lo spettatore comune, soggetto agli schemi 
interpretativi imposti dalla tradizione, e appaiono quindi “assurdi” se raffrontati con le 
                                                 
13
 Sul progressivo avvicinamento della scultura e dell’architettura alla poesia, di estrema importanza sono le 
esperienze di Giacometti e Arp. Sulle loro opere più significative si veda La Monica, G., Il surrealismo, Fabbri 
Editore, Milano 1978, pp. 107 e 114. 
Pare che l’architettura sia stata la prima arte ad orientarsi in questo senso: agli inizi del XX secolo il modern style 
ha sconvolto l’idea abituale della costruzione umana nello spazio, cercando di esprimere il “desiderio delle cose 
ideali” che fino a quel momento pareva esulasse dal suo campo.  
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 Questo aforisma di Lautréamont è stato fatto proprio dai surrealisti, divenendo una sorta di leit-motiv della loro 
poetica. 
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situazioni del mondo abituale
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. È vero anche che le opere appartenenti al filone del cosiddetto 
“teatro dell’assurdo”, hanno le loro radici in un quadro politico e sociale di profonda crisi
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,  
simile a quello da cui trae le sue motivazioni originarie il surrealismo. L’intenzione degli autori 
che compongono opere di questo tipo è quella di mostrare l’angoscia e i problemi dell’uomo 
contemporaneo (solitudine, incertezza, depressione), denunciare la vacuità e la mancanza di 
senso dell’esistenza, il perenne anelito dell’individuo verso qualcosa di superiore che non riesce 
mai ad essere attinto
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.  
Mediante l’uso di un linguaggio surrealista e la messa in scena di una realtà triviale, fatta di 
azioni ripetitive e senza scopo, essi vogliono esprimere l’incapacità di comunicare con le altre 
persone ed il frustrante tentativo di affermare la propria identità personale
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 in un mondo in cui 
i principali valori sono ormai disintegrati; un’atmosfera di immobilità, di atemporalità, permea 
le situazioni e i personaggi che, calati in questa sorta di tempo congelato, si riducono a 
silhouettes senza spessore.  
Anche in questo caso, come si era già notato per il dadaismo, è assente qualunque tipo di 
volontà costruttiva, qualunque tentativo mirante a dare un significato a ciò che nel mondo 
moderno non lo possiede più, oppure a trovare un luogo “altro”  in cui ciò che ha valore non è 
ciò che è sottomesso ai canoni della ragione.  I surrealisti  non intendono limitarsi a criticare i 
valori codificati, l’arte accademica, le convenzioni sociali, la situazione politica in cui operano, 
bensì vogliono risolvere i problemi che questo stato di cose ha comportato.  
                                                 
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 È Breton stesso, nel Manifeste du Surréalisme del 1924 ad auspicare un “altissimo grado di assurdità immediata” 
il cui carattere specifico consiste nel “cedere il posto a quanto ci può essere di più ammissibile e legittimo al 
mondo: la divulgazione di un certo numero di fatti non meno oggettivi, in definitiva, degli altri”. 
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 Il teatro dell’assurdo raggiunge il suo apice durante il travagliato periodo della guerra fredda e 
dell’immobilismo. 
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 Cfr. Beckett, S., En attendant Godot (a cura di C. Fruttero, Aspettando Godot), Giulio Einaudi Editore, Torino 
1956. 
L’opera teatrale di Samuel Beckett Aspettando Godot è emblematica a questo riguardo: due vagabondi, Vladimir 
ed Estragon, attendono un terzo personaggio, Godot, che nonostante venga ripetutamente annunciato, non arriva 
mai. Le chiavi di lettura sono molteplici (Godot potrebbe essere il Tempo, il Futuro, Dio, la Felicità...) ma tutte 
ribadiscono il tema fondamentale di questo genere di opere, ossia la mancanza di senso dell’esistenza. 
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 Ivi. L’uomo di Beckett non solo non riesce a trovare se stesso, ma addirittura non si cerca più.