3
Questa propensione giovanile non mi ha mai abbandonato, nonostante le mie 
conoscenze, nell’arco del cammino universitario, si siano ampliate e 
consolidate, tanto che a diversi anni di distanza ho scelto Gian Lorenzo Bernini 
come attore principale della mia tesi di laurea. L’entusiasmo e l’ammirazione 
che provo nei suoi confronti è uguale all’emozione che provai anni fa la prima 
volta che ebbi modo di vedere i suoi lavori,la voglia di conoscere i segreti della 
sua bravura è viva come allora, solo che adesso posso dedicarmi al suo studio 
in modo più consapevole. 
Data la vastità dei campi d’azione di Gian Lorenzo Bernini, pittore, scultore, 
architetto, drammaturgo, dalla lunga e multiforme carriera, ho scelto di 
occuparmi dell’attività scultorea tra le tante discipline da lui praticate, e più 
precisamente delle sculture angeliche, da lui innalzate al grado di monumenti 
singoli, autonomi e in sé compiuti. 
“L’angelo è un essere alato dall’identità sessuale indistinta. Viene rappresentato 
nell’atto di punire i reprobi e di scacciare i demoni o come presenza protettiva e 
consolatrice”.
1 
Nell’arco della storia dell’arte ne sono state rappresentate varie 
tipologie: angeli adoranti, angeli armati, angeli musicanti, angeli ribelli, angeli 
custodi, angeli annuncianti, corrispondenti alle numerose descrizioni che di essi 
ne fa la Bibbia. 
Bernini con l’immensa maestria che lo contraddistingue, ha utilizzato più volte 
questo soggetto nelle sue composizioni,come ad esempio la decorazione del 
Ponte S. Angelo del 1667, la Cattedra di S. Pietro del 1657-66, la Cappella del 
Sacramento in S.Pietro del 1673-75 , L’estasi di S.Teresa nella chiesa di 
S.Maria della Vittoria del 1647-52. 
                                                 
1
 M.Battistini, Simboli e allegorie, Milano, 2002, p. 150. 
 4
Il mio intento è quello di descrivere, con la massima chiarezza, l’excursus della 
raffigurazione angelica nell’arte, fino ad arrivare all’età barocca in cui questo  
modello iconografico ha avuto uno straordinario successo e rappresentare 
l’attività berniniana nel narrare questo soggetto. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 5
                                 Introduzione 
 
                            Roma nel sec. XVII 
 
Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, lo sviluppo economico degli 
Stati italiani subì un grave arresto. Nella seconda metà del Cinquecento la 
Penisola era ancora un paese relativamente ricco, nonostante il dominio 
spagnolo, ma nel Seicento tutte le sue attività economiche entrarono 
rapidamente in decadenza e divenne un paese povero.
2
 Per comprendere 
meglio questo mutamento, occorre tener presente la situazione economica 
generale di tutta Europa. Il Seicento fu un’epoca piena di contrasti: alcuni paesi 
divennero molto ricchi (Olanda, Francia, Inghilterra) , altri rimasero stazionari, 
altri ancora divennero molto poveri. Tra questi ultimi, vi erano principalmente la 
Spagna e l’Italia
3
. Uno dei motivi di decadenza della Spagna era stato l’esaurirsi 
dell’oro americano, sperperato in guerre e prodotti di lusso, anziché essere 
investito nell’agricoltura e nell’artigianato.
4
 
La decadenza dell’Italia era invece iniziata, lenta ma inesorabile, con la 
scoperta dell’America, in seguito alla quale la nostra penisola aveva cessato di 
essere il centro del commercio con l’Oriente e con i Paesi del Mediterraneo. 
Ormai il grande traffico internazionale si svolgeva sull’Atlantico, e le navi 
italiane, arretrate anche tecnicamente, non potevano neppure entrare in 
competizione.
5
 Nel Seicento, un’altra fonte di ricchezza italiana venne meno i 
                                                 
2
 J. P. Cooper, La Decadenza della Spagna e la Guerra dei Trent’anni, Milano, 1971, p. 70. 
3
 J. P. Cooper, cit. Milano, 1971, pp. 104-105. 
4
 A: Desideri, M. Themelly, Storia e Storiografia- dalla formazione delle monarchie nazionali alla 
rivoluzione inglese, Firenze, 1997, p. 471, 472, 473. 
5
 R. B. Wernham, La Controriforma e la rivoluzione dei prezzi, Milano, 1968, pp. 33-34. 
 6
prodotti dell’artigianato, primi fra tutti i tessuti che un tempo gli Italiani 
esportavano in ogni parte d’Europa e che adesso non riuscivano più a trovare 
acquirenti perché costavano troppo rispetto a quelli prodotti altrove 
(specialmente in Olanda), dove la manodopera veniva pagata meno ed erano 
impiegate tecniche di produzione più moderne. Per questo motivo ben presto le 
attività artigianali e industriali scomparvero da molte regioni d’Italia, e con esse 
anche le banche. 
Come se non bastasse, alla miseria si aggiunse la peste: una gravissima 
epidemia colpì nel 1630-31 l’Italia settentrionale e un’altra, nel 1656-57, si 
abbatté sul Meridione. In seguito a queste epidemie la popolazione italiana 
durante il Seicento ebbe un forte decremento . La dominazione spagnola 
peggiorò ulteriormente la situazione imponendo tasse pesantissime che 
depredavano i ceti popolari. Milano, che aveva un’agricoltura più ricca, 
resistette, Il Regno di Napoli invece fu completamente rovinato. 
Alcune regioni del Nord, come le Repubbliche di Genova e di Venezia, il Ducato 
di Savoia e il Granducato di Toscana, pur colpite pesantemente dalla crisi 
economica, sfuggendo al dominio spagnolo riuscirono a evitare almeno la 
corruzione politica. 
Questo, il quadro economico dell’intera Europa alle soglie del 1600; il quadro 
politico dell’Europa vide gli Stati italiani troppo deboli per sopraffarsi l’un l’altro, 
né abbastanza concordi per costituire una federazione capace di opporsi con 
successo alle minacce esterne. L’Italia costituiva un “vuoto politico” sul quale si 
appuntavano le mire dei potenti Stati d’Oltralpe, attratti dalla prosperità di molte 
contrade e dallo splendore delle corti.
6
 
                                                 
6
 A. Desideri, M. Themelly, cit., Firenze, 1997, p.506. 
 7
Le lotte di predominio tra Francia e Spagna in Italia si inseriscono, dopo il 1515, 
nel più vasto conflitto franco-asburgico, che coinvolse tutta l’Europa e si 
risolsero nel 1559 con la Pace di Cateau - Cambrésis. 
Nel 1519 accadde infatti un evento decisivo per le sorti d’Europa: l’elezione di 
Carlo d’Asburgo a imperatore del Sacro Romano Impero germanico.
7
 
Erede per parte di madre di Ferdinando d’Aragona e di Isabella di Castiglia, 
Carlo aveva già raccolto nelle sue mani, fin dal 1516, insieme alla Spagna, i 
possessi spagnoli d’Italia (Napoli, Sicilia, Sardegna ) e le terre  d’America. Tre 
anni più tardi, alla morte del nonno paterno, Massimiliano d’Austria, egli 
ricevette l’eredità dei domini asburgici, che vennero a sommarsi con quelli 
borgognoni (Franca Contea e Paesi Bassi) lasciatigli dalla nonna paterna, Maria 
di Borgogna, sposa di Massimiliano. Un’eredità sterminata, che si estendeva 
dal Mare del Nord al Mediterraneo, dall’Europa all’America, per cui Carlo poteva 
vantarsi che nei suoi regni non tramontasse mai il sole.
8
 Non si trattava però di 
uno Stato moderno, soggetto ad una legislazione unitaria, ma di un organismo 
ancora medioevale, diviso in due parti eterogenee, sottoposte a leggi e 
ordinamenti diversi. Ormai mancava solo il titolo imperiale (non ereditario ma 
elettivo), che nel giugno del 1519 fu attribuito a Carlo non senza contrasti. 
Francesco I di Francia aveva anch’esso proposto la propria candidatura presso 
la dieta dei principi tedeschi, che tuttavia gli preferirono Carlo, comprati dall’oro 
delle banche tedesco-fiamminghe dei Fugger e dei Welser, solidali con 
l’Asburgo.
9
 
I “grandi” della Germania speravano in un imperatore capace di realizzare, con 
una riforma religiosa, il distacco da Roma papale; questo avrebbe significato 
l’eliminazione dei principati ecclesiastici e consentito il riordinamento dello Stato 
                                                 
7
 A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, Manuale di Storia-L’età moderna, Bari, 1992,p. 107. 
8
 G. R. Elton,, La Riforma (1520-1559), Milano 1967, pp. 388 - 389. 
9
 A. Desideri, M. Themelly, cit. Firenze,1997, p. 512. 
 8
tedesco in senso nazionale. Le speranze dei principi erano destinate ad essere 
deluse, perché il pensiero dominante di Carlo V era quello di mantenere ed 
accrescere la gloria della sua casa e d’instaurare la monarchia universale. 
Questo progetto, che gli imponeva l’accordo con la Chiesa cattolica e la 
collaborazione col Papato, era destinato a scontrarsi con le spinte profonde 
della società germanica in cui, alla radicata ostilità dei principi al cattolicesimo 
romano, si sommavano le prime lacerazioni della protesta luterana.
10
 
L’elezione imperiale di Carlo segnò, comunque, per decenni, il destino 
d’Europa, giacché la Francia, minacciata di soffocamento perché circondata 
d’ogni parte dai possessi asburgici, dovette impegnarsi in una guerra 
lunghissima e difficile per garantirsi la sopravvivenza. 
Anche per Carlo la guerra si poneva come un’esigenza vitale: solo l’egemonia 
sul continente, realizzata a spese della Francia, poteva garantire alla sua casa il 
mantenimento di aree così disarticolate quali erano i possessi asburgici (nucleo 
germanico - fiammingo-italiano e nucleo spagnolo). 
Il conflitto, che si protrasse quasi ininterrottamente dal 1521 al 1559, ebbe 
come protagonisti Carlo d’Asburgo e Francesco I di Valois - Angouleme, ma 
continuò coi loro figli, Filippo II di Spagna ed Enrico II di Francia.
11
 
Accanto alla guerra d’Italia Carlo dovette affrontare la rivolta dei principi luterani 
in Germania, sostenere lo scontro armato con la Francia sul fronte renano, 
resistere all’offensiva turca nei Balcani, mantenere il controllo navale del 
Mediterraneo con una serie di spedizioni contro i sultani islamici e, 
contemporaneamente, porre le premesse dell’organizzazione dell’impero 
spagnolo al di là dell’Atlantico. 
                                                 
10
 A. Giardina, G. Sabatucci, V. Vidotto, cit. Bari, 1992, p. 111. 
11
 G. R. Elton, cit. Milano, 1967, pp. 436-437. 
 9
Francesco I, per difendersi contro il potere militare e politico del suo avversario, 
che, con la battaglia di Pavia del 1525 lo aveva estromesso da Milano, riuscì a 
dar vita nel 1526 ad una lega antiasburgica (Lega di Cognac) trascinando dalla 
sua parte , insieme a Firenze e a Venezia, il papa Clemente VII della famiglia 
dei Medici, preoccupato della preponderanza imperiale sull’Italia.
12
 Ma questo 
schieramento del papa alla lega antiasburgica produsse un evento spaventoso, 
che riempì di orrore tutta la cristianità. 
Una massa di 14000 mercenari (tedeschi, spagnoli, italiani), al servizio di Carlo 
V, partì nel 1527 alla volta di Roma, col proposito di rifarsi a spese del papa del 
mancato pagamento del soldo. Si trattava di soldati per lo più tedeschi di 
religione luterana , “i lanzichenecchi”, nemici giurati del Papato e della Chiesa 
cattolica. 
Arrivati a Roma, 6 Maggio 1527, la saccheggiarono senza rispetto dei luoghi 
sacri, dei beni e delle vite dei romani (ecclesiastici e laici). Clemente VII si 
rinchiuse in Castel Sant’Angelo e assisté impotente alla distruzione della città, 
finché i soldati non lasciarono Roma. Solo allora il papa poté riallacciare i 
rapporti con Carlo V, riconciliarsi con lui e accettare di incoronarlo a Bologna re 
d’Italia e imperatore , secondo l’antico uso medioevale, ottenendo in cambio la 
promessa che i Medici, cacciati da Firenze alla notizia del “sacco”, sarebbero 
stati restaurati in città con la forza.
13
 
Con l’incoronazione di Carlo V a Bologna nel 1530, e con il congresso che 
tenne ai principi italiani, inizia in effetti la decadenza e la servitù dell’Italia nella 
sfera politica spagnola e controriformatrice; infatti i principi degli Stati Italiani, 
Medici, Sforza, Savoia, Gonzaga e i Doria, erano tutti legati a Carlo da stretti 
vincoli di dipendenza politica.  
                                                 
12
 A. Desideri, M. Themelly, cit. Firenze, 1997, p. 513. 
13
 G. R. Elton, cit. Milano, 1967, p. 395. 
 10
In questi stessi anni, fuori dall’Italia si sviluppavano eventi importantissimi che 
dovevano arrestare l’avanzata degli Asburgo : da un lato la minacciosa 
presenza dei Turchi ai confini dell’Austria, dall’altro la vittoriosa diffusione del 
Luteranesimo in Germania. L’ultima fase del conflitto franco-asburgico (1530-
1559 ) vide perciò spostarsi il teatro delle operazioni dall’Italia all’Europa. Nel 
1547 Francesco I morì, ma la guerra continuò con suo figlio Enrico II di Valois 
(1547-1559) , che intensificò la politica di alleanze avviata dal padre, tessendo 
più stretti rapporti con i Turchi e con i principi protestanti. Nel 1556, ci fu una 
svolta verso la fine del conflitto, quando Carlo, stanco da tanti anni di lotte 
politiche e di religione, decise di abdicare e di ritirarsi in un convento, dopo aver 
spartito i suoi territori tra il figlio Filippo e il fratello Ferdinando. Filippo acquisì la 
Spagna, i Paesi Bassi, i possessi d’Italia e d’America, al fratello Ferdinando 
diede i domini ereditari della casa d’Austria, con le corone di Boemia e di 
Ungheria e il titolo imperiale.
14
  
La guerra tuttavia continuò ancora per qualche anno, finché Enrico II, battuto 
dagli Spagnoli a San Quintino (1557)
15
 si rassegnò alla perdita dei possessi 
italiani, ottenendo in compenso, col trattato di Caveau - Cambrésis 1559, i 
vescovadi di Metz, Toul e Verdun, un grosso passo avanti verso il Reno, che 
rappresentava l’aspirazione principale della monarchia francese. Il trattato di 
pace riconobbe alla Francia il solo possesso del marchesato di Saluzzo, in terra 
piemontese, lasciando gli Spagnoli padroni del Ducato di Milano, del Regno di 
Napoli, della Sicilia e della Sardegna, oltreché del cosiddetto Stato dei Presidi 
(Telamone, Orbetello, Porto Ecole, Porto Santo Stefano, Monte Argentario, 
sulle coste della Maremma toscana).  
                                                 
14
 G. R. Elton, cit. Milano, 1967, pp. 462-463. 
15
 A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, cit. Bari, 1992, pp. 120-121. 
 11
Gli altri Stati italiani, pur conservando la loro indipendenza formale, gravitarono 
di fatto nell’orbita della Spagna. Questo fenomeno fu comune alle piccole 
signorie, come quelle dei Gonzaga, degli Estensi, dei Farnese, ma anche ai più 
grandi Stati della penisola, quello della Chiesa, il ducato di Toscana, quello dei 
Savoia, la repubblica di Genova. Solo Venezia, forte dei suoi domini di 
terraferma, della superstite prosperità economica, della fedeltà dei propri 
sudditi, riuscì a mantenersi immune dal dominio spagnolo. 
La morte improvvisa di Enrico II di Valois nel 1559, l’anno stesso della 
stipulazione del trattato di Caveau - Cambrésis, lasciò la Francia in mano ai figli 
di Enrico: Francesco II (1559-1560), Carlo IX (1560-1574), Enrico III (1574-
1589). Il paese si avviò verso l’instabilità e le lotte civili che determinarono la 
rottura del precario equilibrio europeo raggiunto con il trattato.
16
 Dal punto di 
vista religioso la Francia aveva accolto la lezione dei protestanti, anche se la 
maggioranza della popolazione era rimasta fedele al Cattolicesimo; tra i ceti 
nobiliari si diffuse il Calvinismo, i cui rappresentanti si chiamavano 
ugonotti”confederati”. Tutte queste forme di religiosità differenti portarono a 
gravi disordini interni (la notte di San Bartolomeo 1572) e alla partecipazione 
internazionale del pontefice e di Enrico II di Spagna a favore della fazione 
cattolica, contro Elisabetta d’Inghilterra e i principi calvinisti del Palatinato 
renano che erano a favore degli ugonotti. La guerra si concluse con la 
concessione agli ugonotti dell’Editto di Nantes (1598) da parte del sovrano 
calvinista (ormai convertito al cattolicesimo) Enrico di Borbone, con cui si 
attribuivano libertà di culto e parità di diritti civili rispetto a tutti gli altri Francesi.  
Anche sul fronte spagnolo il nuovo sovrano Filippo II (1556-1598)
17
 nella sua 
politica mondiale, pur rimanendo legato ai problemi della penisola iberica e 
                                                 
16
 A. Desideri, M. Themelly, cit. Firenze, 1997, pp. 620-621. 
17
 R. B. Wernham, cit. Milano, 1968, pp. 303-304. 
 12
dell’Italia, utilizzò molte delle sue risorse nella lotta contro i protestanti in 
Francia, nei Paesi Bassi, in Inghilterra. Aveva nelle sue mani un formidabile 
strumento politico, economico e militare, grazie alle terre avute in eredità dal 
padre Carlo V, che pose al sevizio della Controriforma, con l’obiettivo di 
estirpare l’eresia all’interno e all’esterno dei propri domini. Filippo realizzò nei 
suoi possessi un rigoroso centralismo, riunendo nelle proprie mani le fila di una 
complessa amministrazione
18
. Perseguitò le minoranze ebraiche e musulmane 
dei territori iberici al fine di indurli ad abbandonare il paese, ma questa dura 
politica colpì i ceti più produttivi del paese, dediti all’agricoltura, alle industrie, ai 
commerci, proprio nel momento in cui si incominciavano a sentire gli effetti 
negativi della”rivoluzione dei prezzi”, conseguenza dell’afflusso dell’argento 
dalle miniere d’America.
19
 A tutto ciò si aggiunse la tendenza di molti Spagnoli 
ad abbandonare le attività agricole e artigianali per entrare nella burocrazia 
statale o per arruolarsi nell’esercito con la speranza di far fortuna nelle terre 
d’Italia o d’America. Incapace di bastare a se stessa, fu costretta a sottomettersi 
economicamente alle oligarchie finanziarie e mercantili straniere , che potevano 
assicurarle i rifornimenti dei prodotti agricoli e artigianali
20
 nel momento stesso 
della sua maggiore potenza economica, politica, militare, la Spagna si avviava 
alla decadenza.  
Nel tempo in cui gran parte dell’Europa era travolta dalle guerre di religione, 
l’Italia godette di un lungo periodo di pace, al quale corrispose però la 
decadenza economica, civile e culturale. L’età del dominio spagnolo in Italia 
(dalla pace di Caveau - Cambrésis alla pace di Utrecht, 1559-1713) fu giudicata 
dalla storiografia ottocentesca come la più oscura della storia della penisola.  
                                                 
18
 A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, cit. Bari, 1992, pp. 144-147. 
19
 A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, cit. Bari, 1992, pp. 184-185. 
20
 R. B. Wernham, cit. Milano, 1968, pp. 39-41. 
 13
Il malgoverno spagnolo e la Controriforma cattolica furono considerati 
responsabili di un periodo di servitù, d’ipocrisia, di decadenza, nel quale l’Italia 
rimase esclusa da tutti gli avvenimenti che si svolgevano contemporaneamente 
tra le potenze politiche internazionali. In una situazione generale di crisi e 
ristagno delle energie, la borghesia mercantile, la forza delle città italiane, subì 
profondi cambiamenti : alcuni gruppi riuscirono a trasformarsi in aristocrazia 
terriera su modello signorile, altri riuscirono ad accrescere il loro prestigio con 
l’esercizio delle professioni civili.  
Pur dovendo far distinzione tra regione e regione, in generale i territori italiani 
soggetti alla Spagna entrarono in una fase di grande ristagno economico. Nel 
regno di Napoli la crisi si aggravò, il territorio lasciato a pascolo o a “macchia” si 
inselvatichì, i traffici marittimi si diradarono.
21
 La Sicilia, pur applicando il 
latifondo, conservò invece notevole importanza economica grazie alla sua 
produzione cerealicola. La Lombardia, ricca di industrie e di traffici nell’età 
comunale e signorile, vide decadere la sua prosperità e ridursi la sua 
popolazione. In tutte queste regioni la vita culturale era soffocata 
dall’intolleranza religiosa e politica. Napoli, Sicilia, Sardegna furono governate 
ciascuna da un vicerè, Milano e il suo ducato da un governatore. In tutte le zone 
della penisola fu pesante il carico fiscale; i tributi non venivano usati per opere 
di pubblica utilità, ma erano destinati a Madrid per sostenere le esorbitanti 
spese delle guerre intraprese dalla corona spagnola. I tributi, in più, non 
gravavano in misura proporzionale su tutti i ceti sociali, la nobiltà e il clero 
godevano di ogni forma di esenzioni fiscali e privilegi, così gli Spagnoli si 
assicuravano la fedeltà delle classi agiate e la tranquillità delle province.  
                                                 
21
 A. Desideri, M. Themelly, cit. Firenze, 1997, pp. 629-630. 
 14
La nobiltà della penisola si modellava in tutto sull’esempio spagnolo, sia negli 
atteggiamenti esteriori che nel costume di vita, nell’ozio fastoso, nel disprezzo 
di ogni attività produttiva. Il popolo stremato dai potenti e dalle carestie reagiva 
con il brigantaggio o esplodeva con improvvise rivolte, come l’insurrezione di 
Napoli del 1647-1648, capeggiata da un giovane pescivendolo analfabeta, 
Tommaso Aniello, detto Masaniello, e scoppiata in seguito all’imposizione di 
una tassa sulla frutta (base dell’alimentazione popolare) .
22
 
Per quanto riguarda lo Stato pontificio, i papi della seconda metà del 
Cinquecento assecondarono, ovviamente, la politica controriformistica di Filippo 
II, per cui perseguitarono gli eretici e condannarono al rogo i ribelli. D’altra 
parte, nel corso del Seicento, la Chiesa intensificò la sua attività assistenziale 
creando numerose organizzazioni dedite alla beneficenza e alla carità. Queste 
opere, oltre che alleviare la miseria di larghi strati popolari, contribuirono ad 
accrescerne l’influenza sulle popolazioni. 
La Chiesa, movendo sulla linea del Concilio di Trento (1545-1563), favorì la 
diffusione di nuove devozioni popolari, incoraggiò il fasto delle cerimonie, 
moltiplicò le festività, i santuari, i pellegrinaggi, trasformò la vita religiosa 
popolare in forme spesso superstiziose ma prive  tuttavia di ogni possibile 
deviazione in senso ereticale.
23
 
Tutte queste attività portate avanti dalla Chiesa fanno capire ormai che la corte 
papale valeva quanto quella d’altri principi. Il trionfo del Vaticano, simboleggiato 
dal Baldacchino di San Pietro a Roma e portato a termine dal Bernini nel 1633, 
coincide col suo trionfo dottrinale su Galileo condannato dal Sant’Offizio in 
quello stesso anno.  
                                                 
22
 A.Giardina, G.Sabbatucci, V.Vidotto, cit. Bari, 1992, pp. 239-240. 
23
 R.B.Wernham, cit. Milano, 1968, pp. 54-58. 
 15
Inoltre la potenza e il prestigio ritrovati dal papato dopo la crisi protestante si 
situano in un contesto materiale e finanziario favorevole. I pontefici cercarono 
da un lato di combattere i briganti che infestavano le campagne laziali, dall’altro 
cercarono di ricostruire parzialmente Roma, per farla diventare agli occhi di tutti 
il simbolo magniloquente della cattolicità. 
In questo clima di “propaganda” e diffusione degli ideali della Controriforma in 
Europa, l’arte e l’operato degli artisti dell’epoca divennero lo strumento di cui la 
Chiesa di Roma  e i suoi vicari si servirono per divulgare alle masse i contenuti 
dell’ortodossia cattolica. Qualunque fosse la forma d’arte sacra realizzata, 
infatti, si poteva essere certi che fosse improntata ad un carattere di unità e di 
centralizzazione . Fu un’arte omogenea e cattolica, incentrata su una disciplina 
che non lasciò posto ad alcuna tendenza deviazionistica. La nuova immagine 
della Chiesa romana trionfante diventa, quindi, fastosa, eloquente, lussuosa, 
pronta a nascondere una realtà ben diversa, di profonda crisi e lacerazioni.
24
 Le 
committenze ecclesiastiche si moltiplicarono: tra il 1560 e il 1660, la maggior 
parte delle chiese  italiane fu restaurata, modificata e decorata. La tendenza 
alla spettacolarizzazione coinvolse ogni aspetto della realtà sociale, culturale e 
artistica del periodo. L’arte non rappresentò più, come in epoca rinascimentale, 
l’ordine della natura, ma l’artificio che consente di mettere in scena una 
seconda realtà. Si giunse così a una fusione delle tre arti: scultura, architettura, 
pittura. Le prime due, scultura e architettura, ricreavano effetti pittorici, mentre 
la pittura, attraverso effetti illusionistici riproduceva complessi architettonici. 
Il diffondersi in tutto il mondo dell’architettura “gesuitica”, ispirata al modello 
romano della “Chiesa del Gesù”(Giacomo della Porta, 1571-1584), fu uno dei 
principali veicoli di divulgazione internazionale della cultura barocca. L’ordine 
                                                 
24
 P. Portoghesi, Roma Barocca, Bari, 1978, pp. 13-14. 
 16
dei Gesuiti, ovvero la Compagnia di Gesù, fu fondato nel 1540 dallo spagnolo 
Ignazio di Loyola, che costituì una milizia dedita sia alla conversione degli 
infedeli, sia alla difesa della Chiesa e del Papato.
25
 
Il barocco romano ha inizio con la trasformazione urbanistica, economica e 
sociale della città di Roma, realizzata sotto il pontificato di Felice Peretti, papa 
Sisto V (1585-1590). I pellegrini che frequentavano la città santa incontravano 
grosse difficoltà, a causa delle strade dissestate, per raggiungere le chiese e le 
basiliche principali sparse fuori dal centro urbano. Per facilitare la circolazione 
dei pellegrini come anche quella dei rifornimenti e delle merci, il penultimo papa 
del XVI secolo aveva deciso di tracciare delle grandi strade sugli assi radiali che 
univano le chiese di Santa Maria Maggiore, Trinità dei Monti, San Paolo fuori le 
mura, Santa Croce di Gerusalemme con la basilica del Laterano. Questo 
sistema sistiniano formerà fino al 1870 l’ossatura fondamentale della rete viaria 
romana. 
L’età barocca propriamente detta, secondo gli storici dell’arte, si può collocare 
per convenzione tra il 1585-1676: inizio del pontificato di papa Sisto V e fine del 
pontificato di Clemente X. Tra questi due papi si succederanno al soglio 
pontificio sei diversi capi della Chiesa, ognuno dei quali si distinguerà per 
operato politico ma soprattutto per mecenatismo artistico. 
Sotto Camillo Borghese, papa Paolo V (1605-1621), fiorisce la gioventù del 
Barocco; Scipione Borghese nipote del papa, esperto conoscitore e acquirente 
di opere d’arte, fu mecenate verso talenti straordinari come Domenico Zampieri 
detto”Domenichino”(1581-1641), Pieter Paul Rubens (1577-1640), Guido Reni 
(1575-1642), Pietro Bernini (1562-1629) e suo figlio Gian Lorenzo (1598-
1680).
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 R. B. Werham, cit. Milano, 1968, p. 74. 
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 L. Pastor, Storia dei Papi XIV vol. XIV, Roma, 1932, pp. 18-28.