4
la pratica e il contatto diretto, le caratteristiche appartenenti ai cani, 
a quella particolare razza e, più in generale, agli animali. 
È da quest’ultimo assunto, che è nata l’idea del mio progetto “Io e 
il cane”, realizzato durante il tirocinio del quarto anno di 
Università presso la scuola elementare “Albergati” di Zola 
Predosa. 
I suoi scopi sono stati principalmente due: conoscere il cane e le 
sue abitudini di vita per imparare a rispettarlo e l’integrazione di 
una bambina disabile all’interno della classe. 
Per attuarlo ho utilizzato la modalità laboratoriale dove ogni 
bambino ha un ruolo importante per i compagni e per il percorso 
stesso, al fine di giungere ad un risultato condiviso. 
La risorsa fondamentale sono stati proprio i bambini, il loro lavoro 
attivo, ma anche le loro conoscenze, grazie alle quali è stato 
possibile avviare uno scambio reciproco di informazioni, che ha 
portato ad un apprendimento significativo. 
Questo dialogo collettivo possiede un’importanza fondamentale, 
perché porta ad una crescita oltre che culturale, anche e soprattutto 
relazionale, che deriva dall’incontro con l’altro.  
L’insegnante ha partecipato all’esperienza insieme ai bambini, non 
ha trasmesso loro dei concetti astratti, che spesso vengono 
semplicemente memorizzati e dimenticati dopo poco tempo. 
Ha svolto il ruolo di regia educativa predisponendo il contesto, si è 
posta anche lei in ascolto degli altri e ha aiutato i bambini nelle 
attività senza sostituirsi a loro. 
Ha rispettato i loro bisogni e i tempi di ascolto, attenzione e 
apprendimento di ciascuno, osservando l’intera situazione e 
tenendo sempre presente le diversità appartenenti a ognuno. 
L’uso di questa modalità all’interno della scuola può dare grandi 
risultati, perché ogni bambino non è un soggetto passivo che 
incamera nuove nozioni solo ascoltandole o scrivendole, ma vive 
un’esperienza importante insieme ai suoi compagni e collabora con 
loro in un percorso dove ciascuno possiede un ruolo fondamentale 
per l’altro e per la riuscita del percorso stesso. 
 5
Nella mia tesi ho cercato di evidenziare l’importanza del valore 
aggiunto nella relazione fra educatore, bambino disabile e cane nei 
percorsi di riabilitazione e di educazione, per questo nel primo 
capitolo ho trattato le analogie e le differenze tra i modi di 
comunicare di questi soggetti; nel secondo capitolo ho parlato della 
Pet- Therapy, facendo alcuni esempi di percorsi realizzati con 
bambini disabili a Vigheffio presso il Soccorso Cinofilo Parmense 
(cinoterapia), a Zola Predosa nella scuola elementare “Albergati” e 
nella scuola dell’infanzia “Theodoli” e a Riale nella scuola 
dell’infanzia (Education through pet); nel terzo capitolo ho 
sviluppato il progetto “Io e il cane” partendo dal presupposto, che 
la Pet- Therapy è un’attività trasversale, che può essere integrata 
all’interno del contesto scolastico. Infine ho concluso sottolineando 
i risultati in ambito affettivo, emotivo, comunicativo e relazionale, 
che possono essere raggiunti dalla Pet- Therapy e dall’Education 
through pet se queste poggiano su basi di tipo pedagogico- 
scientifico.  
 6
 
 
CAPITOLO 1 
 
LA COMUNICAZIONE, LE 
COMUNICAZIONI: L’UOMO, IL CANE E IL 
BAMBINO DISABILE. 
 
Oggi l’uomo occidentale si trova in una società urbanizzata dove la 
parola è la forma di comunicazione più utilizzata per scambiarsi 
informazioni e contenuti, ma assieme a questa esiste anche un’altra 
modalità di espressione: il linguaggio non verbale che, anche se 
legato a quello verbale, spesso non viene impiegato in maniera 
consapevole. 
Il linguaggio verbale è una forma di comunicazione convenzionale 
non sempre condivisa dai soggetti, che abitano altre dimensioni 
come  l’animale e il disabile. 
L’animale comunica esclusivamente con il linguaggio non verbale, 
mentre il disabile, a seconda del deficit da cui è affetto, è in grado 
più o meno di utilizzare la parola, ma a differenza dell’animale, si 
serve anche di altre forme di comunicazione e di relazione. 
Di conseguenza l’uomo, per comunicare con il disabile e il cane, 
deve imparare leggere e ad esprimersi consapevolmente attraverso 
un linguaggio comune, che Argyle (1992) chiama “linguaggio del 
corpo”, il quale utilizza segnali relativi agli atteggiamenti 
interpersonali più potenti ed efficaci di quelli verbali, perché 
immediati e semplici da interpretare. 
 
 
 7
1.1.  La comunicazione tra l’uomo e il cane. 
 
La relazione con un cane comporta l’uscita da un mondo colmo di 
parole, per “leggere messaggi nuovi, ascoltare voci all’apparenza 
incomprensibili e imparare a parlare una lingua meno razionale, 
più istintiva e legata alle sensazioni semplici, ma altrettanto 
significativa ed efficace”
1
. 
Il cane è un animale estremamente socievole, che ha consolidato in 
migliaia di anni un sistema sociale fondato sulla gerarchia e il 
comando, perciò necessita di trovare un posto all’interno del 
contesto familiare e un capobranco dal quale dipendere, che gli 
insegni l’educazione. 
“Solo una relazione di interscambio può favorire il dialogo 
interspecifico; infatti l’interscambio presuppone sempre 
un’attenzione al partner animale. Per questo, al di là del ruolo 
gerarchico, si deve sottolineare l’importanza dell’attenzione, del 
doppio flusso di informazioni tra partner umano e animale”
2
. 
L’uomo deve imparare ad osservare il corpo del cane per capire ciò 
che comunica. Patricia B. McConnell, esperta di comportamenti 
canini, parla di una “gerarchia tra le parti”: “La prima volta che 
incontro un cane, la mia attenzione è concentrata soprattutto sul 
centro di gravità e sul respiro. Il cane è proteso verso di me, si 
allontana, oppure è saldamente piantato su tutt’e quattro le 
zampe? Il cane è immobile, respira normalmente, o al contrario ha 
un respiro affannoso e superficiale? Nello stesso tempo, tengo 
d’occhio la bocca e gli occhi del cane, che racchiudono un mondo 
intero di informazioni, ma faccio bene attenzione a non fissarlo 
direttamente. Anche la coda è importante, ma non quanto il 
muso”
3
. 
Per quanto riguarda la mimica del cane, una regola generale, che si 
accompagna all’espressione di dominanza sociale, all’aggressività, 
                                                 
1
 Lanna P., Piga L., Cani in famiglia, Tielleci Editrice, Parma, 2003, pag. 147. 
2
 Marchesini R., Lineamenti di zooantropologia, edagricole, Bologna, 2000, pag. 100. 
3
 B. McConnel P., All’altro capo del guinzaglio, TEA S. p. A. Milano, 2003, pag. 39. 
 8
alla paura e alla sottomissione è quella che, più il cane è dominante 
e aggressivo, più farà in modo di apparire grande e grosso, più è 
remissivo o impaurito e più cercherà di sembrare piccolo.  
Infatti, ad esempio, se il cane ha le zampe rigide e la postura eretta, 
vuole esprimere dominanza e sfida, mentre se è accucciato o 
semplicemente ha il corpo abbassato, manifesta sottomissione. 
La bocca del cane è il mezzo di espressione più importante che 
possiede, in quanto fornisce informazioni su dominanza, rabbia, 
aggressività, paura, attenzione, interesse o rilassatezza. È 
importante osservare se la mascella si irrigidisce o se mostra i 
denti, ma soprattutto come muove gli angoli che, spostandosi 
avanti e indietro, forniscono informazioni sulla natura 
dell’emozione da lui segnalata. 
“Lo spostamento in avanti viene attribuito a cani in cerca di 
affermazione. Se invece si spostano all’indietro, si tratta di un 
sorriso difensivo, anche se il cane ringhia e cerca di mordere; 
l’animale vuole difendersi e teme di perdere il cibo, oppure ha 
paura di ciò che sta per accadere. Il cane può mordere in entrambi 
i casi, ma l’importante è capire il più possibile il suo stato d’animo 
prima di intervenire”
4
. 
Lo sguardo diretto, fisso, a occhi spalancati, esprime una minaccia 
da parte del cane dominante che è pronto ad attaccare, mentre lo 
sguardo che evita il contatto diretto è segno di sottomissione e 
forse anche di paura. 
Quando si incontra un cane sconosciuto, non bisogna fissarlo negli 
occhi, perché se è dominante potrebbe considerarlo un gesto 
intimidatorio, mentre se è timoroso, potrebbe aumentargli la paura 
e provocare un attacco di panico. 
Con il proprio cane lo sguardo fisso è invece molto utile per averne 
il controllo, in quanto molti cani reagiscono con un atto di 
sottomissione e pacificazione per riacquistare la benevolenza del 
padrone. 
                                                 
4
 B. McConnel P., All’altro capo del guinzaglio, TEA S. p. A. Milano, 2003, pag. 67. 
 9
“La posizione della coda è un importante indicatore dello stato 
sociale e psichico del cane”
5
. La coda alta si è evoluta come 
segnale di dominanza e quella bassa di sottomissione e insicurezza. 
Non tutti gli scodinzolii del cane hanno lo stesso significato. “Lo 
scodinzolio è un gesto prettamente sociale. In un certo senso ha la 
stessa funzione del sorriso umano. Gli esseri umani, pare, 
sfoggiano la maggior parte dei loro  sorrisi quando c’è qualcuno 
che li guarda o quando pensano a qualcosa o qualcuno di 
speciale.  Lo scodinzolio dei cani sembra avere le stesse 
proprietà”
 6
. 
Conoscere e leggere il linguaggio non verbale del cane è 
importante per sapere quale emozione segnala e come di 
conseguenza si deve intervenire. 
Nella relazione uomo- cane, spesso si verificano delle 
incomprensioni dovute ai diversi modi di comunicare. Gli esseri 
umani, infatti, si esprimono soprattutto attraverso il linguaggio 
verbale e spesso dimenticano il potere del linguaggio non verbale, 
che invece viene utilizzato dal cane.  
Per una rispettosa e serena convivenza e per non cadere in 
spiacevoli errori di interpretazione, l’uomo deve quindi 
accompagnare un uso corretto della parola alla mimica, diventando 
consapevole dei movimenti del proprio corpo e del loro significato, 
perché il cane è in grado di cogliere il contenuto della nostra 
comunicazione dai segnali non verbali, quali i movimenti, 
l’espressione del viso, il tono della voce e altre manifestazioni, per 
noi inconsce, delle nostre emozioni. 
L’uomo deve inoltre tener presente che un segnale da lui inviato 
volontariamente, potrebbe non avere lo stesso significato nei 
principi appartenenti alla società canina, perché il cane non è un 
uomo e non deve essere trattato come tale. 
                                                 
5
 Stanley C., L’intelligenza dei cani, Mondadori, Milano, 2003, pag. 110. 
6
 Stanley C., L’intelligenza dei cani, Mondadori, Milano, 2003, pag. 112. 
 10
Dalle incomprensioni tra cane e uomo, sorgono diversi equivoci di 
mal interpretazione sia a livello di comunicazione non verbale, che 
verbale. 
 
 
 ξ  Equivoci di comunicazione non verbale. 
Quando una persona vede un cane, si avvicina, si china verso il suo 
muso guardandolo negli occhi e tende la mano per accarezzarlo, 
per noi è un atteggiamento amichevole, perché siamo abituati a 
salutare un conoscente proprio andandogli incontro, guardandolo 
negli occhi, facendogli un sorriso e toccandolo dandogli la mano 
oppure baciandolo. Per i cani, invece, il contatto degli sguardi è 
segno di minaccia, il faccia a faccia li innervosisce, la mano sulla 
testa li spaventa e il sorridere è un atteggiamento aggressivo, 
perché si mostrano i denti, che sono la loro arma. Due cani che 
vogliono esprimere cortesia e tranquillità, quando si incontrano, 
non si fronteggiano mai, si avvicinano di lato. 
Un altro comportamento, come l’abbracciarsi, viene inteso in modi 
diversi: dall’uomo come segno d’affetto, mentre dal cane come 
segno di forza. 
In genere il padrone, per richiamare il cane, si gira verso di lui, lo 
chiama per nome e gli va in contro. Questo è un atteggiamento 
ambiguo che può solamente bloccare il cane, perché le parole 
esprimono il contrario di quello che comunicano i gesti. La voce, 
infatti, suggerisce all’animale di spostarsi, mentre con il corpo dice 
di stare fermo, perciò il cane, che presta più attenzione al 
linguaggio non verbale, rimarrà immobile, perché non riesce 
comprendere come muoversi.  
Il padrone deve correggere il suo comportamento e imparare la 
maniera giusta per richiamare il cane, che consiste nel voltargli le 
spalle, inclinarsi in avanti, battere le mani e muoversi nella 
direzione opposta, perché “i cani vogliono andare nella direzione 
in cui andate voi, che per un cane è quella indicata dal vostro viso 
 11
e dai vostri piedi, mentre noi primati vogliamo stare di fronte al 
cane e parlarne”
7
. 
Altri problemi si possono verificare quando il cane cerca di capire 
la struttura sociale del branco familiare dove è inserito. In genere il 
capobranco nei canidi è colui che detiene la gestione delle risorse 
critiche, che viene rispettato da tutti i membri del branco e che 
garantisce la sicurezza, quindi è colui che ad esempio ha la priorità 
nell’accesso al cibo e nei saluti, controlla gli accessi e le presenze 
in caso di allarme e decide la direzione da seguire. Questo, nella 
relazione tra cane e uomo, significa: chi mangia per primo?, chi 
dorme nei luoghi alti e comodi?, chi decide quando iniziare e 
terminare i cerimoniali di saluto e i giochi?, chi controlla i passaggi 
critici come le porte e chi le attraversa per primo?, chi decide che 
qualcosa è pericoloso per il branco?,... 
Se quindi al cane, ad esempio, viene permesso di muoversi 
liberamente per la casa occupando le stanze, capisce che può 
andare in tutte le camere, che non gli è stato vietato nessun accesso 
e che non gli è stato assegnato nessun posto. 
Un'altra azione sbagliata si realizza quando i padroni mangiano 
dopo che il cane ha concluso il suo pasto oppure quando il cane 
mangia a tavola con loro. A questo punto il cane pensa di avere la 
priorità nell’accesso al cibo, che gli altri aspettano che lui abbia 
terminato il pasto e che può disturbare gli uomini mentre 
mangiano. 
Quando il cane non riconosce nella gerarchia del branco una 
persona che si comporta come un leader, si sente costretto ad 
assumerla lui e ciò, oltre a comportare un grande stress per 
l’animale, può portare ad una situazione pericolosa all’interno 
della casa.  
 ξ  Equivoci di comunicazione verbale. 
Il modo attraverso il quale comunica l’uomo con il suo fedele 
amico, spesso risulta confuso: usa le stesse parole per qualsiasi 
                                                 
7
 B. McConnel P., All’altro capo del guinzaglio, TEA S. p. A. Milano, 2003, pag. 55. 
 12
cosa il cane stia facendo, costruisce lunghe frasi, che il cane non è 
in grado di comprendere e ignora i segnali visivi, che invia. 
È solito servirsi maggior numero di parole per indicare lo stesso 
comando utilizzando sinonimi oppure ripetizioni, così capita che il 
cane, infastidito da questo sovrapporsi di suoni, rimanga fermo, 
perché non riesce a comprendere quello che gli viene chiesto. 
Diversi studiosi hanno osservato, che in casi simili, l’essere umano 
alza il tono della voce ripetendo sempre le stesse parole, come se 
ciò stimoli l’animale a reagire.  
Tale comportamento, trasportato nel mondo canino, può 
sorprendere e magari attirare l’attenzione, ma non è detto che 
ottenga rispetto, perché i cani più abbaiano forte, più hanno paura. 
I cani, quindi sono attratti da persone che parlano poco e a bassa 
voce, perché percepiscono in loro l’autorità, che gli fornisce 
sicurezza. 
L’uomo deve cercare di contenere la sua emotività quando 
impartisce i comandi, perché dalle parole trapela il suo stato 
d’animo, che viene immediatamente colto dal cane, che a sua volta 
rischia di esserne condizionato. 
A seguito di tali considerazioni, l’uomo deve imparare a 
pronunciare dei comandi, che siano: essenziali, costanti e diretti. 
Prima di un ordine è necessario chiamare il cane per nome per 
attirare la sua attenzione, poi utilizzare poche, chiare e coerenti 
parole, per fargli capire che ad ognuna corrisponde un certo 
evento, che sarà sempre lo stesso (sia per il padrone che per gli 
altri membri della famiglia).  
Per far apprendere al cane come deve eseguire determinate azioni, 
si utilizza un meccanismo naturale costituito da: stimolo/ risposta/ 
rinforzo, dove lo stimolo è il comando (“al piede”, “seduto”, 
“terra”, “resta”, “salta”,...), la risposta è l’atto del cane e il rinforzo 
positivo è la crocchetta o la carezza che gli viene data. 
In questo modo il cane, che riceve una gratificazione, capisce di 
avere eseguito un comando in modo giusto e, attraverso un 
procedimento per prove ed errori, imparerà come comportarsi per 
 13
compiacere il padrone e ricevere il premio. Solo se il cane è 
motivato e interessato a ciò che fa, si crea una comunicazione 
proficua tra i due. 
 
 
 
1.1.1. Ogni cane è diverso dall’altro: l’individualità.  
 
Il cane è il risultato dell’unione di tre diverse memorie: 
- di specie 
- di razza 
- individuale. 
La memoria della specie riguarda la tipologia dell’animale: il cane. 
La memoria di razza si riferisce alle specifiche funzioni per le 
quali la razza stessa è stata selezionata, quindi alle attitudini 
naturali; l’agire sulla base di questa memoria porta il cane ad 
essere equilibrato e lo stimola nell’apprendimento. 
La memoria individuale appartiene solo a quell’unico esemplare e 
gli permette di ricordare diverse informazioni ed esperienze 
vissute. 
Cani della stessa razza, anche se appaiono uguali o perlomeno 
simili, osservandoli bene è possibile notare profonde differenze 
caratteriali, comportamentali, relazionali e comunicative. 
Ogni cane è diverso dall’altro, perché possiede una propria 
soggettività che è legata alla storia unica e irripetibile di 
quell’individuo, che deriva dall’interazione fra il patrimonio 
genetico e l’ambiente in cui vive.  “Tra le variabili genetiche 
troviamo le caratteristiche della specie, le caratteristiche 
parentali, le peculiarità dell’individuo e le vocazioni della razza; 
mentre a livello ambientale i fattori che intervengono sulla 
formazione del carattere sono: l’educazione, le prime esperienze,