IV
di Peggioramento, che si delineano rispetto alle aspettative e ai desideri individuali. Dopo di 
esse, si deve affrontare il discorso dei Ruoli attanziali, che si presentano come le persone o gli 
oggetti investiti attivamente o passivamente dall’azione indicata dal verbo, i personaggi o le 
cose che risultino coinvolti dall’azione principale espressa nella vicenda. Non sarebbe 
sufficiente tale lettura dell’universo umano espresso dai testi, se alla categoria precedente non 
sia associasse lo studio delle Tipologie dei personaggi, ovvero, delle persone intese come 
individualità caratterizzate da elementi psico-comportamentali ricorrenti nella narrazione. 
L’analisi dell’intreccio porta a rilevare ulteriori categorie grazie all’apporto delle quali è possibile 
fornire un’immagine complessa degli scritti, alla base del nostro studio. Poiché l’intreccio non 
è altro che la successione dei nuclei d’azione nell’ordine, in cui l’autrice li ha organizzati del 
testo, primo aspetto da affrontare è il rapporto tra Tempo della narrazione e tempo della storia, 
nell’intento di riscontrare il grado di deformazione impressa sull’ipotetica successione logico-
causale degli eventi. Nostro interesse è porre l’accento sulle anacronie e le modifiche del ritmo 
del racconto, operate attraverso accelerazioni e rallentamenti della velocità narrativa, così da 
riuscire a sottolineare il valore assunto dagli informanti all’interno dei testi. Secondo aspetto da 
affrontare è il Punto di vista, il grado di focalizzazione che pertiene l’emittente del racconto, il 
quale può disporre di una comprensione variabile delle vicende e può essere o meno 
individualizzato, a seconda che ci si riferisca ad una narrazione in prima o in terza persona. 
Inoltre, all’interno di questo ambito, bisogna rilevare il rapporto tra il grado di agentività del 
narratore- in che misura egli può intervenire nella vicenda – e di narratività dei personaggi – 
quale capacità essi hanno di farsi portatori di racconti secondari rispetto al principale. Dopo di 
esso, è necessario rivolgersi all’analisi degli Enigmi, del sistema di aspettative che l’autrice 
sviluppa all’interno delle narrazioni, al fine sia di sostenere l’attenzione nel corso della lettura 
sia di suscitare interrogativi riguardo il significato e il messaggio, che intende esprimere. Da 
ultimo si è studiata l’organizzazione degli spazi nei testi, poiché essi svolgono una duplice 
funzione, da un lato delineano il contesto di riferimento teatro delle vicende, così da sostenere 
il particolare realismo morantiano, dall’altro assumono una valenza significante, poiché i 
personaggi hanno la capacità di modellare gli aspetti del reale in relazione ai propri desideri e 
alle proprie passioni.  L’analisi delle tipologie dei luoghi prelude alla trattazione delle Tematiche 
ricorrenti e della Weltanschauung, all’affrontare l’aspetto in cui più chiaramente trova espressione 
l’elaborazione del significato e dell’ideologia dell’autrice.  
Al di là del riassunto delle categorie, che si è scelto di applicare, necessario è chiarire quali 
motivazioni ci abbiano spinto ad affrontare lo studio dell’autrice e un tale metodo di analisi 
per le sue opere. Elsa Morante diede alle stampe Menzogna e Sortilegio nel 1948, in un’Italia 
disastrata dalla Seconda Guerra Mondiale ma che già covava il desiderio di rivalsa ed 
                                                                 V
affermazione in tutti coloro, che si sentivano figli del movimento partigiano di liberazione 
dalla barbarie nazifascista. Gli intellettuali del tempo s’interrogavano sul senso della cultura 
prebellica e primo novecentesca, che si era rivelata incapace di impedire ai cannoni di 
bombardare i civili e che era rimasta inerme di fronte allo scempio dei principi di umanità, e 
progettavano una letteratura dell’impegno, che fosse in grado di dare espressione e mettere a 
frutto le forze rivelatesi dopo il 1943. Di fronte ai loro manifesti, alle riviste e alle dichiarazioni 
d’intenti la pubblicazione del primo romanzo dell’autrice fu letta come un frutto fuori 
stagione, poiché sostenevano il testo soffrisse dei retaggi di una società tramontata, di cui 
adottava ancora il linguaggio aulico e ridondante. Solo pochi critici – Emilio Cecchi e Italo 
Calvino tra tutti – cercarono di confrontarsi con l’eccezionalità della narrazione, i più 
giudicarono negativamente la mole del romanzo fiume, indicando per esso antecedenti 
improbabili nella produzione inglese tra settecento ed ottocento o stroncandolo senza prove 
d’appello. Il romanzo sarà destinato a trovare un posto di preminenza nella letteratura del 
secolo scorso solo molti anni dopo la sua uscita, a seguito dei continui successi editoriali, di cui 
l’autrice si mostrava capace ad ogni nuova opera, e grazie ai giudizi illuminati di alcuni critici, 
come Lukàcs, che riconobbero la grandezza e la centralità del romanzo. Negli ultimi anni gli 
studi sull’autrice hanno visto un forte incremento, essi si sono concentrati sull’analisi 
contenutistica dei grandi romanzi, tranne poche eccezioni – si vedano il saggio di Bardini sulle 
gerarchie spaziali e l’analisi linguistica effettuata da Mengaldo - le trattazioni si sono per lo più 
appuntate sull’ideologia espressa nelle opere e su alcuni concetti chiave in esse elaborati, quale 
quelli di menzogna, di storia e di fantastico. A nostro avviso, però, due aspetti fondamentali 
sono rimasti in ombra, tanto che si è cercato di porli al centro della presente tesi. Innanzi 
tutto, la grandezza del primo romanzo della Morante s’esprime non solo nel messaggio 
lanciato ai lettori, ma anche nell’alto grado di strutturazione dell’opera, dotata di un’ingente 
estensione, ma organizzata in modo tale da non cadere mai nella monotonia né da sviare il 
lettore. L’analisi delle categorie precedentemente illustrate dà modo di rilevare la varietà e la 
gestione degli strumenti narrativi, la cui comprensione è inevitabilmente sacrificata in uno 
studio, che abbia quale punto focale il significato e non le sue modalità di resa. Dalla 
trattazione dei singoli aspetti pertinenti la fabula e l’intreccio, da associare all’esame delle 
tematiche ricorrenti, emerge la sviluppata perizia tecnica dell’autrice, la quale mette in atto le 
più diverse strategie espressive senza cadere per questo in un vuoto tecnicismo. Grazie 
all’organizzazione delle strutture e delle dinamiche del racconto la Morante ottiene sia il 
raggiungimento di linee guida di lettura, per chi affronta il testo, sia un arco di canali per la 
comunicazione del significato assolutamente inaspettato. Errato sarebbe allora ridurre la 
struttura narrativa di Menzogna e Sortilegio ad un vuoto epigono dei grandi romanzi 
                                                                 VI
dell’ottocento, poiché l’autrice rivela – nei limiti di uno scritto che intende seguire le orme di 
una tradizione, che fa della misura e dell’armonia i propri cardini –  una capacità di 
sperimentare tale da non piegare il racconto ai propri bisogni ma da valorizzarlo nelle sue 
peculiarità. Un altro aspetto è stato a nostro avviso gravemente trascurato dalla critica, del 
passato come del presente, tanto da dare la possibilità a chi lo intenda affrontare di riferirsi ad 
un unico testo – si tratta de Analisi strutturale dei racconti di Elsa Morante di Perpetua – ovvero, lo 
studio del legame che intercorre tra la preistoria morantiana e il primo romanzo. All’epoca 
della pubblicazione di Menzogna e Sortilegio non fu posto in alcun modo l’accento sulla 
produzione dell’autrice precedente il 1948, tanto che, leggendo i giudizi critici di quegli anni, ci 
si accorge che il solo Alberto Savinio sembra avervi fatto attenzione. Negli studi più recenti 
tuttalpiù è stata condotta un’analisi di carattere monografico sulle raccolte Il gioco segreto e Lo 
scialle Andaluso, rispettivamente del 1941 e del 1963, collazioni operate dall’autrice, che lasciano 
in ombra la maggior parte del corpus nato dalla collaborazione alle riviste d’anteguerra. A 
merito dei recenti studi morantiani è la pubblicazione presso la casa editrice Einaudi dei 
Racconti perduti (2002) a cura di Irene Babboni e Carlo Cecchi, grazie ai quali almeno un gruppo 
dei testi brevi mai raccolti è stato salvato dall’oblio dei periodici. Fino a questo momento non 
è stata sottolineata la continuità tra la totalità di quei testi e il romanzo della rivelazione, tratto 
necessariamente da analizzare con attenzione, qualora si vogliano comprendere le radici della 
grandezza morantiana. Non s’intende qui asserire che uno scritto quale Menzogna e Sortilegio 
possa essere paragonato a racconti brevi, soggetti dall’ambito di pubblicazione a limitazioni di 
estensione ed argomento, ma è impossibile non cogliere nel periodo delle saltuarie 
collaborazioni ad “Oggi” e a “I Diritti della scuola” una palestra, in cui la giovane autrice 
affina e mette alla prova mezzi espressivi, situazioni e tematiche destinate ad avere quale 
scenario deputato il romanzo. Nella varietà delle narrazioni brevi, edite prima del 1948, non è 
quindi solo possibile rintracciare tipologie di personaggi e vicende destinate ad avere spazio in 
seguito, ma anche strutture di gestione del ritmo narrativo, della materia e dell’emissione del 
racconto, che rimarrebbero altrimenti incomprensibili, se si considerasse il romanzo come 
un’opera prima in senso assoluto. Proprio al fine di cogliere continuità e divergenze tra i 
racconti e il romanzo, si è deciso svolgere un’analisi di carattere narratologico e strutturalista, 
poiché a nostro avviso si rivela la più adatta e completa, qualora l’intento proposto sia la 
comprensione profonda delle dinamiche e degli strumenti, che l’autrice adotta per modellare la 
propria materia. Naturalmente, vista la vastità dell’argomento, si è stati costretti a limitare gli 
ambiti d’analisi, non si vuole però sostenere l’esaurimento del tema, che meriterebbe una  
trattazione ben più ampia di quella condotta 
                                                                 1
 
1. PRESUPPOSTI TEORICI 
 
1.1. Criteri di riferimento per uno studio narratologico 
 
Preliminarmente all’inizio dell’analisi testuale si darà illustrazione ai criteri scelti per uno studio 
di carattere narratologico, al fine di giustificare non solo la particolare prospettiva dello stesso, 
ma anche per distinguerlo da una critica interpretativa della produzione dell’autrice. Infatti la 
narratologia si rapporta alle opere letterarie con intenti e problematiche diverse rispetto alla 
critica, in quanto consta dei metodi e delle tecniche, aventi per oggetto l’analisi dell’insieme 
delle forme narrative, nell’ottica di una descrizione sistematica dei moduli e delle dinamiche, 
che informano e governano le strutture del racconto. Condurre un’analisi narratologica 
significherà per lo studioso soffermarsi in prima istanza sui meccanismi che regolano la 
narrazione, quasi si trovasse di fronte ad una serie di ingranaggi, dei quali deve essere messo in 
chiaro o in rilievo il funzionamento.  Tale prospettiva risulterebbe però oltremodo sterile, se 
ad essa non si associasse, in un secondo momento, una lettura dei motivi e delle tematiche, 
come a dire, condurre anche un’analisi dello scopo e delle finalità della macchina, oltre a quella 
del suo funzionamento. 
Per chiarire i criteri scelti bisognerà fare riferimento agli studi di alcuni letterati, che o hanno 
legato il loro nome ad una o più delle nostre categorie o hanno contribuito in modo 
determinante all’elaborazione delle stesse. 
Innanzitutto si partirà dalla distinzione tra fabula e intreccio, la codificazione di tali termini si 
deve alla scuola dei formalisti russi, i quali, per primi operarono una distinzione tra il 
complesso degli avvenimenti legati da processi logico-temporali e gli avvenimenti stessi “nella 
successione e nel rapporto in cui sono presentati nell’opera”
1
. Ciò vuol dire essenzialmente 
rilevare la divergenza tra la successione degli eventi e lo specifico modo in cui il narratore li 
dispone sulla pagina, ammettendo un racconto che non rispecchi l’ipotetico svolgimento 
lineare e sequenziale della vicenda. La fabula deriva da un processo di astrazione dei lettori, i 
quali desumono dal racconto i punti salienti e li dispongono in ordine cronologico e causale, 
mentre l’intreccio nasce dalla “deformazione”, che l’autore opera su di essa, anticipando o 
posticipando eventi, soffermandosi su particolari non determinanti, offrendo la stessa scena da 
più punti di vista. Tomasevskij sostiene infatti che “per la fabula hanno importanza solo i 
motivi legati; nell’intreccio, invece, sono a volte proprio i motivi liberi a svolgere una funzione 
                                      
1
 Tomasevskij, Teoria della letteratura (1925),  Milano, p. 178 
                                                                 2
dominante, che determina la struttura dell’opera”
2
, intendendo con i primi quelli non passibili 
in alcun modo di eliminazione, se non a discapito della comprensione, e con i secondi quelli la 
cui mancanza non implicherebbe lacune di senso. 
Proprio in relazione alla duplice lettura, cui ogni narrazione è soggetta, sarà possibile 
individuare due gruppi di categorie parallele, a seconda che il racconto sia analizzato come 
successione di eventi o come particolare presentazione degli stessi. 
Per l’analisi della fabula sanno presi in considerazione i seguenti aspetti: il rapporto tra l’inizio e 
la fine della vicenda, le sequenze funzionali, i ruoli attanziali e le tipologie di personaggi.  
A concentrarsi sul confronto tra la situazione di apertura e quella di chiusura furono Ouellet e 
Buorneuf ne L’universo del romanzo, che sostengono che l’inizio di un romanzo possa riassumere 
l’intera opera che introduce, mentre la fine dia la chiave d’interpretazione del suo universo. Il 
raffronto tra i due consentirebbe di mettere in luce la visione del mondo dell’autore. Ad essi 
s’affianca Barthes il quale suggerisce di stabilire due insiemi (es. “situazione iniziale” e 
“situazione finale”) e di studiare secondo quali trasformazioni il secondo si ricongiunga o si 
differenzi dal primo. L’ottica a cui noi sentiamo di associarsi è quella dello studioso francese, 
infatti dal confronto tra i due insiemi giungeremo alla distinzione tra racconti statici – le 
narrazioni nelle quali nulla risulta essere la differenza- e racconti dinamici – le narrazioni in cui 
si assiste ad uno sviluppo da un insieme di elementi A in un insieme B non sovrapponibile al 
primo. Ricollegandoci nuovamente agli studi dei formalisti russi, si potrebbe anche affermare 
come le opere, nelle quali la situazione iniziale e la finale coincidono, siano narrazioni senza 
fabula, poiché quasi unicamente descrittive (anche qualora si tratti di una trance de vite); mentre 
gli scritti in cui ciò non avviene saranno chiamati narrazioni con fabula. 
A elaborare i concetti di sequenze funzionali ed enigmi fu Barthes, studioso francese, il quale 
applicò in S/Z le teorizzazioni di opere precedenti, al racconto di Balzac Sarrasine, fornendo 
così non solo un’interessante chiarificazione ai suoi studi, ma anche una vera e propria griglia 
d’analisi testuale, sempre attuale e valida.  
L’impostazione che egli sposa è tipicamente funzionale, come illustra ne L’introduzione all’analisi 
strutturale dei racconti
3
, dove afferma che ogni testo letterario sia leggibile come una 
stratificazione di tre livelli, quello delle funzioni, quello delle azioni e quello della narrazione. 
Per ciò che ci riguarda, sarà necessario tenere in considerazione la sua teoria sulle unità 
narrative e sulle loro specifiche attribuzioni, che vengono a delinearsi non in relazione 
all’intreccio ma al contenuto che esprimono. Con funzioni Barthes intende le unità narrative 
inserite in una correlazione, distinguendo poi le funzioni propriamente dette dagli indizi: le 
                                      
2
 Ibid., p.186 
3
 AA.VV., L’analisi del racconto, Milano, 1969, p.7 sgg- 
                                                                 3
prime hanno carattere distribuzionale e rinviano ad un atto complementare, i secondi hanno 
carattere integrativo, poiché un gruppo di essi rimanda ad un medesimo significato, che per 
essere compreso richiede il riferimento ad un livello superiore. Egli sostiene che gli indizi 
rinviino ad un significato, alla funzionalità dell’essere, mentre le funzioni ad un’operazione, alla 
funzionalità del fare. 
Nell’ambito delle funzioni differenzia i nuclei dalle catalisi, i primi sono detti anche cardinali e 
sono le azioni che aprono un’alternativa conseguente all’interno della storia, le altre invece 
sono collegate ad un nucleo, aventi utilità solo cronologica. Rispetto agli indizi attua un’analoga 
classificazione, tra indizi propriamente detti e informazioni, il primo gruppo “ rinvia ad un 
carattere, ad un sentimento, ad un’atmosfera, ad una filosofia”
4
, al contrario il secondo 
riguarda “dati puri immediatamente significanti”.
5
 Al fine dell’analisi che intendiamo condurre, 
bisognerà rivolgersi non solo alla definizione delle unità narrative, ma soprattutto al modo in 
cui esse si collegano al livello del racconto. Una serie logica di funzioni cardinali legate da une 
relazione di necessità (presenza di A implica l’accadere di B o il suo non accadere per una serie 
di cause opposte) verrà chiamata sequenza, che “si apre quando uno dei suoi termini non ha 
antecedenti solidali e si chiude quando un altro dei suoi termini non ha più susseguenti”.
6
 Le 
sequenze funzionali strutturano il testo in base ad una serie di legami, che possono essere 
ravvicinati quanto distanti. È possibile poi che una serie di nuclei non sia altro che una micro- 
macrosequenza rispetto al livello superiore od inferiore. Barthes nel suo studio sul primo 
episodio di Goldfinger ne dà un esempi 
 
Ricerca 
 
 
 
                                                   Incontro             Sollecitazione      Contatto 
 
 
 
 
                  Accostamento                  Richiesta                            Saluto         Sistemazione 
 
 
 
                                                           Dare la mano                   Stringerla              Lasciarla 
 
 
                                      
4
 Barthes, op. cit., p.21 
5
 Ibid., p.21 
6
 Ibid., p. 25-26 
                                                                 4
Sarebbe però non sincero da parte nostra, se non chiarissimo di aver fatto riferimento per la 
definizione, da noi assunta, per questa categoria anche agli studi di Bremond, esposti nella 
Logica del racconto, in cui egli riprende in senso critico gli schemi proppiani, cercando si 
smussarne l’eccessiva rigidità. Egli elabora un concetto diverso di sequenza rispetto a Barthes, 
ognuna di esse – nel suo schema di base – è costituita da un insieme ternario di funzioni così 
organizzate
7
 
- funzione che apre la possibilità del processo 
- funzione che realizza questa virtualità in evento od azione 
- funzione che chiude il processo con il risultato raggiunto o il fallimento del processo 
stesso. 
Nessuna delle funzioni facenti parte di una sequenza pone come necessaria la successiva, è 
nella possibilità discrezionale del narratore non attualizzare il passaggio dall’una all’altra, inoltre 
le sequenze elementari possono poi organizzarsi in sequenze complesse.  Interessante per il punto di 
vista da noi scelto non sarà tanto il modo in cui le sequenze elementari si articolano in complesse, 
quanto più osservare il ciclo narrativo, che esse vengono a fondare, in base al loro succedersi e 
collegarsi. Secondo Bremond “ogni racconto consiste in un discorso che integra una 
successione di eventi, d’interesse umano nell’unità di una stessa azione”, la mancanza 
d’interessi umani implica – a suo giudizio – l’impossibilità del racconto. A seconda che tali 
progetti vengano favoriti o avversati si avranno due generi di sequenze   
 
 
                                                                                       
                                                      Miglioramento 
                                                     Processo                                           ottenuto 
                                                    di miglioramento                         
Miglioramento                                                                                      Miglioramento   
da ottenere                                   Nessun processo                               non ottenuto                                  
                                                    di miglioramento                    
 
 
 
                                                                                                             Peggioramento  
                                                 Processo                                              prodotto 
Peggioramento                         di peggioramento 
Prevedibile                                                                                           Peggioramento 
                                                 Nessun processo                                 evitato       
                                                di peggioramento  
 
 
                                      
7
 Bremond, Logica del racconto (1973), Milano 1977, p30 sgg 
                                                                 5
tali da delineare, tra l’altro, non solo un’infinita possibilità dello schema di base, ma anche un 
inserimento del personaggio in un contesto funzionale, dal momento che la funzione di una 
qualsiasi azione non è definibile se non partendo dalla prospettiva del personaggio che la 
agisce o la subisce,  elemento che rimane in ombra negli studi di Barthes.  
Rispetto poi al processo di miglioramento elabora un ulteriore schema, applicabile a romanzi e 
racconti 
 
 
Miglioramento  
da ottenere 
 
 
 
                                           Ostacolo da eliminare                                   Mezzi possibili 
Processo                      
di miglioramento                                                                      
                                               Processo di eliminazione                     Utilizzazione dei mezzi    
 
Miglioramento                      Ostacolo eliminato                                     Successo dei mezzi 
ottenuto 
 
 
 
 
Superfluo sarà affermare che stesso sistema – solo oppositivo – potrà delinearsi per il processo 
di peggioramento. 
Ogni narrazione partirebbe – secondo Bremond – o da una situazione di mancanza, a cui si 
cerca di sopperire, o da una situazione di possesso minacciata, i due momenti possono 
susseguirsi o collegarsi logicamente, dando una prospettiva nuova alla definizione barthesiana 
di funzione fin qui assunta. Nella tesi che si vuole dimostrare, si terranno presenti entrambe le 
ipotesi, cercando da un lato di distinguere i nuclei della narrazione, il modo in cui si 
organizzano e la loro ricorrenza rispetto agli indizi, dall’altro di cogliere i processi di cui sono 
parte, valorizzando così una lettura funzionale nel senso più ampio del termine. Ultimo 
aspetto da mettere a fuoco nel contesto della fabula sono i personaggi, interpretati sia sotto la 
veste di ruoli sia sotto quella di persone, il che vorrà dire prendere in considerazione non solo la 
funzione che assumono rispetto all’azione, ma anche le caratteristiche, che li denotano come 
individualità 
Gli studi sugli attanti o ruoli attanziali sono stati condotti principalmente da Greimas, il quale 
parte dall’affermazione di base che, in ogni racconto complesso, s’incrocino almeno due storie, 
                                                                 6
l’una dell’eroe (soggetto) e l’altra dell’antagonista (antieroe), i quali si scontrano per un oggetto di 
valore, che dall’uno si trasferisce all’altro. Il racconto non sarebbe altro che una successione di 
queste transizioni, le quali possono esser favorite od avversate da altri soggetti all’interno della 
vicenda, secondo lo schema 
 
 
 
Destinatore                                                                                                  Destinatario                   
 
 
 
 
Aiutante                                                                                                    Oppositore   
 
 
Gli attanti secondo una formulazione generale non sarebbero altro che persone o oggetti 
investiti attivamente o passivamente dall’azione indicata dal verbo, restringendo il campo alla 
narratologia, saranno i personaggi che risultino coinvolti dall’azione principale espressa dalla 
vicenda.  Greimas struttura un sistema attanziale a coppie, individuando così sei ruoli 
fondamentali
8
 
 
a) Soggetto/Oggetto: la coppia può presentarsi congiunta o disgiunta, nel caso in cui 
abbiano una relazione essa si realizza in un enunciato, il quale può riguardare valori 
oggettivi (categoria dell’avere) o soggettivi (categoria dell’essere). I primi s’incarnano in 
attori o personaggi autonomi, i secondi sia in soggetti sia in oggetti. 
b) Destinatore/Destinatario: L’Oggetto è legato al Soggetto tramite il “desiderio”, ma 
comunica contemporaneamente con la seconda coppia, il Destinatore è colui che pone 
l’Oggetto come tale rispetto ad un secondo ruolo detto Destinatario.  
c) Aiutante/oppositore: la coppia si colloca rispetto al Soggetto sul piano del Potere dal 
momento che può contribuire al raggiungimento o alla perdita dell’Oggetto del 
desiderio. 
 
Ad integrare le teorie di Gremas si è deciso di prendere anche come riferimento le riflessioni 
sui ruoli attanziali elaborate in un primo momento da Propp rispetto alle fiabe russe di magia, 
che hanno avuto uno sviluppo da parte di Bremond nello studio dei processi di Miglioramento 
e Peggioramento. Si darà qui di seguito non una descrizione puntuale delle ipotesi dei due 
                                      
8
 Greimas, Les Actants, les Acteurs et les Figures, in AA.VV., Semiotique narrative et textuelle, Parigi, 1973, 
p162 sgg. 
  Soggetto 
  Oggetto 
                                                                 7
studiosi, quanto un sistema sintetico, che comprenda gli elementi che, nati dalla mente 
dell’uno, siano poi stati sviluppati da quella dell’altro. 
 
a) Soggetto-eroe: è colui che è vittima o agente dei due processi, che porteranno 
all’acquisizione o alla perdita dell’oggetto desiderato o posseduto.  
b) Antagonista: è colui che avversa l’azione del Soggetto-eroe, è anch’egli un soggetto 
agente, i cui atti abbiano la funzione di porre un ostacolo o frustrare il raggiungimento 
dall’oggetto desiderato o il progetto di miglioramento dell’eroe  
c) L’aiutante: è colui che contribuisce alla realizzazione del progetto del Soggetto-eroe, 
proteggendolo dall’Antagonista, neutralizzando l’ostacolo e favorendo le sue iniziative. 
d) Beneficiario: è colui che, terzo Soggetto rispetto al Soggetto-eroe e all’Anagonista, 
gode del buon esito dell’azione intrapresa dal primo, esso si può delineare anche come 
un beneficiario in “negativo”, qualora sia vittima delle conseguenze del progetto 
dell’eroe.   
 
Oltre a tale tipo d’analisi, è poi nostro intento cercare di individuare all’interno della 
narrazione tipologie ricorrenti di personaggi, ovvero, partendo dalla distinzione dei ruoli 
attanziali, riconoscere situazioni ricorrenti, che pertengano a persone – intese come individualità 
caratterizzate da elementi psico-comportamentali - ricorrenti nella narrazione. Per chiarire 
quale sia la nostra idea rispetto a tale categoria d’analisi si potrà fare riferimento agli studi di 
Propp, il quale, tra i ruoli pose anche quello del re e della principessa, al di là delle specificità 
che di volta in volta differenziavano un personaggio dall’altro. L’ipotesi di base che assumiamo 
scegliendo d’inserire la categoria Tipologia dei personaggi all’interno dell’esame della fabula è che i 
narratori tendano a ripresentare personaggi e situazioni, modificandone le caratteristiche più 
strettamente personali. 
 
Le categorie d’analisi adottate in relazione allo studio dell’intreccio saranno: il rapporto tra il 
tempo della storia e il tempo della narrazione, il punto di vista, gli enigmi e l’inventario dei 
luoghi . 
Già i formalisti russi posero il problema della differenza tra l’accadere ipotetico degli eventi e 
la loro narrazione, Todorov infatti sostiene,spiegando la loro posizione, che “Il problema della 
presentazione del tempo nel racconto si pone a causa di una diversità tra la temporalità della 
storia e quella del discorso. Il tempo del discorso è, in un certo senso, un tempo lineare, 
mentre il tempo della storia è pluridimensionale. Nella storia più avvenimenti possono 
svolgersi contemporaneamente; ma il discorso deve obbligatoriamente metterli l’uno di seguito 
all’altro; una figura complessa si trova proiettata su una linea diretta.  Di qui la necessità di 
                                                                 8
rompere la successione ‘naturale’ degli avvenimenti, anche nel caso in cui l’autore volesse 
seguirla il più fedelmente possibile.”
9
 Inoltre egli aggiunge come l’attenzione di questa scuola 
fosse rivolta esclusivamente alla narrazione come discorso (intreccio), ignorando ciò che 
riguarda la storia (fabula), in un periodo storico in cui grandissimo interesse riscuoteva il 
montaggio cinematografico. L’intuizione di base che ebbero questi studiosi è da integrare con i 
risultati cui giunse Gérard Genette in Figure III. Discorso del racconto, egli   concentrò il suo 
interesse non tanto sull’aspetto funzionale della narrazione, quanto sul suo articolarsi come 
discorso, che sia prodotto da un emittente e sia soggetto ad una determinata prospettiva, che 
abbia particolari relazioni tra l’accadere e il racconto, che di esso se ne dà. 
In un primo momento considerò l’ordine nella temporalità del racconto, associando alla 
linearità artificiale della fabula – frutto dell’astrazione dei lettori – l’idea di svolgimento naturale 
e, confrontando ad esso la disposizione “spontanea” dell’intreccio - poiché originata 
dall’invenzione dell’autore – sottolineò le anacronie a cui ogni narrazione è soggetta. Con il 
termine anacronia sarà da intendersi qualsiasi tipo di distorsione temporale, derivante dalla non 
sovrapponibilità di storia e racconto. Egli individua due tipi principali di anacronia, offrendo 
poi anche delle sottoclassificazioni interessanti 
 
 ξ  Analessi: evocazione di un evento che si colloca in un periodo precedente quello della 
narrazione principale. L’a. sarà esterna quando i fatti da essa narrati non raggiungano il 
momento del racconto principale, sarà interna quando la narrazione secondaria 
raggiunga la principale causando, tra l’altro, un’interferenza tra il racconto primo e il 
secondo. Saranno chiamate miste quelle che con la loro narrazione vadano oltre il 
punto d’inizio del racconto primo. Le a. interne si diranno omodiegetiche quando 
l’evocazione riguardi lo stesso tema del racconto primo, extradiegetiche quando il tema 
sarà diverso. In relazioni ai passi evocati si avranno a. completive – capaci di fornire 
informazioni carenti nel testo – e a. ripetitive  - evocano eventi già narrati. 
 ξ  Prolessi: anticipazione di eventi che avverranno in un momento successivo rispetto al 
tempo del racconto principale. Anche a loro riguardo è possibile parlare di dati 
completivi – qualora anticipino una mancanza successiva - e ripetitivi - quando ci siano 
cenni ad un evento che sarà narrato distesamente in seguito.  
 
Genette parla poi di ampiezza dell’anacronia ad indicare lo spazio che essa occupa nel testo e di 
portata, riguardo la distanza temporale che intercorre tra il racconto primo e l’evocazione o 
anticipazione.  Il suo interesse per il rapporto tra il tempo della storia e quello del racconto 
                                      
9
 Todorov, Il racconto letterario, in AA.VV L’analisi del racconto, 1966, p.251 
                                                                 9
non si esaurisce all’analisi dell’ordine della narrazione e alle possibili distorsioni temporali, ma 
si rivolge anche a ciò che egli definisce il ritmo del racconto, cioè, la possibilità di aumentare o 
diminuire la velocità della narrazione, dilatando o comprimendo le vicende. 
Egli schematizzò
10
matematicamente i movimenti narrativi cui un testo può essere soggetto da 
parte dell’autore 
 
 ξ  Pausa: all’avanzare del racconto non corrisponde un avanzamento della diegesi, spesso 
si ha in corrispondenza di una descrizione.   
           TR=n, TS=O 
 ξ  Scena: il tempo del racconto e quello della storia coincidono, si ha di norma in 
corrispondenza di un dialogo 
           TR=TS 
 ξ  Sommario: Il tempo della storia è più esteso di quello del racconto, si ha ad esempio 
quando in poche frasi si sintetizzino gli eventi di periodi di media o elevata lunghezza. 
           TR<TS 
 ξ  Ellissi: il tempo della storia non è rispecchiato nel tempo del racconto, poiché una 
parte di essa non trova spazio nella narrazione, neanche come enunciato breve, così 
come succede invece nel sommario. 
          TR=O, TS=n 
                      
Da rilevare sarà poi come a tali tipologie ne fu aggiunta da Chatman
11
un’altra ancora 
 
 ξ  Estensione -analisi: il tempo del racconto si dilata rispetto a quello della storia, offendo 
così in dettaglio ciò che nella realtà potrebbe occupare uno spazio temporale ridotto o 
minore. 
           TR>TS 
 
Parte della teoria di Genette in relazione al tempo è stata da noi volutamente tralasciata, dal 
momento che l’analisi che intendiamo condurre si concentrerà, rispetto a tale categoria- 
principalmente sul tipo di anacronie ricorrenti e, solo marginalmente, sul rapporto di 
ricorrenza tra i vari tipi di movimenti narrativi. Parte di tale sezione sarà anche uno studio sui 
tempi narrativi al fine di stabilire dei raggruppamenti tra racconti statici e racconti dinamici – 
tra racconti al tempo imperfettivo e perfettivo.  
                                      
10
 Genette, Figure III, Discorso del racconto (1972), Torino, 1977 in  L’officina del racconto, Marchese, 
Milano, 1983 
11
 Chatman, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e del film (1978), Parma, 1981, p.73 sgg 
                                                                 10
Utile ci è però ancora il riferimento a questo studioso per ciò che pertiene il problema del 
racconto come discorso prodotto da un emittente. Prima di chiarire i suoi contributi 
sull’argomento, sarà necessario rileggere alcuni passi di Todorov, il quale, concentratosi sugli 
aspetti del racconto, offre anche una casistica del rapporto tra narratore e personaggio. Egli 
riferendosi a J. Pouillon, ripropone la classificazione da lui elaborata 
 
“La percezione interna conosce tre tipi principali 
 ξ  Narratore > personaggio (visione “dal di dentro”). In tal caso, il narratore ne sa di più del suo 
personaggio. Egli non si preoccupa di spiegarci in che modo egli abbia acquisito tale 
conoscenza: vede attraverso i muri delle case allo stesso modo in cui legge nel pensiero 
del suo eroe. I suoi personaggi non hanno segreti per lui[…]. La superiorità del 
narratore può manifestarsi sia nella conoscenza dei desideri segreti di qualcuno, sia 
nella conoscenza simultanea dei pensieri di più personaggi, sia semplicemente nella 
narrazione degli avvenimenti che non sono percepiti da un unico personaggio[…]. 
 ξ  Narratore = personaggio (la visione “con”). In questo caso il narratore ne sa quanto i 
personaggi, non può fornirci una spiegazione degli avvenimenti prima che i personaggi 
stessi non l’abbiano trovata. Anche qui si possono stabilire più distinzioni. Da una 
parte, il racconto può essere svolto in prima persona o in terza persona, ma sempre 
secondo la visione che degli avvenimenti ha uno stesso personaggio[… ].  D’altra parte 
il narratore può seguire un personaggio solo o più personaggi […]. 
 ξ  Narratore < personaggio (la visione “dal di fuori”). In questo terzo caso, il narratore ne sa 
meno di qualunque personaggio. Può descriverci unicamente ciò ce vede, sente, ecc. 
ma non ha accesso alla coscienza di alcuno […]”.
12
  
 
Genette adotta un’altra terminologia, distinguendo inizialmente tra racconto focalizzato e 
racconto non focalizzato, cioè, tra le narrazioni dove si assista ad una restrizione del campo di 
visuale, secondo la prospettiva di uno o più personaggi, e quelle in cui ciò non si verifichi, 
poiché il punto di focalizzazione è un narratore onnisciente. Rilevante al fine della nostra analisi 
è anche la sua riflessione sul grado di agentività del narratore e di narratività del personaggio, 
ovvero, sulla possibilità che il narratore ha d’intervenire nella vicenda e su quella del 
personaggio di poterla raccontare.  
A partire da ciò si delineeranno narratori a scarso o nullo grado di agentività, i cosiddetti 
narratori extradiegetici (al di fuori della storia) o ad alto, gli intradiegetici (dentro la storia); 
                                      
12
 Todorov, Le categorie del racconto letterario, in AAVV., L’analisi del racconto, Milano, 1966, p.254 sgg.