5
alla difesa il pieno diritto di accedere ai mezzi di prova in condizione 
di parità con la pubblica accusa. 
La suddetta riforma segnò, così, una svolta in chiave 
accusatoria del sistema processuale penale assai più decisa di 
quanto non fosse stato originariamente fatto, attraverso la 
compilazione del nuovo codice del 1989.  
La l. 397/2000 - non a caso definita da taluni “legge Perry 
Mason”, tanto per sottolineare come il nuovo ruolo del difensore nel 
processo penale italiano tenda sempre più ad assomigliare a quello 
che il proprio omologo d’Oltreoceano riveste nel sistema processuale 
“adversary”, nel quale i principi del sistema accusatorio trovano 
attuazione forse più che in qualsiasi altro ordinamento - segna la 
volontà del legislatore di dare concreta attuazione al rinnovato 
principio della “parità d’armi” tra le parti del processo. 
Una volontà che si è tradotta nella redazione di un articolato il 
quale non solo attribuisce al difensore molteplici poteri investigativi 
‘tipici’, fino ad allora attribuiti esclusivamente alla competenza della 
pubblica accusa, ma che, oltretutto, impone delle chiare e rigorose 
regole di documentazione delle attività difensive svolte, al fine di 
garantire un grado di affidabilità in ordine alle produzioni della 
difesa, pari a quello che viene riconnesso alle risultanze 
investigative addotte dalla pubblica accusa. 
Se, però, da un lato, i progressi per dare effettività al 
“principio di difendersi provando” non possono non essere 
considerati, sotto diversi aspetti, significativi ed opportuni, sono 
molti i problemi interpretativi che emergono dal dato normativo: 
anzitutto, qual è il ruolo del difensore che emerge dalla nuova 
legge? Può egli essere ancora definito un “esercente un servizio di 
 6
pubblica necessità” o deve ora considerarsi un “pubblico ufficiale” 
alla stregua della sua controparte pubblica? E ancora: l’aver 
tipizzato alcuni poteri investigativi, determina l’impossibilità per la 
difesa di procedere ad attività di indagine “atipiche”? 
Ma soprattutto: si può dire, ora, che sussista effettivamente 
una parità processuale tra accusa e difesa? Il nuovo processo penale 
può effettivamente definirsi “giusto”?  
In questo quadro si inserisce l’attribuzione al difensore del 
potere di accedere ai luoghi del delitto: la sua espressa previsione e 
la sua puntuale regolamentazione rappresentano una delle più 
importanti innovazioni che la l. 397/2000 ha prodotto nella sfera 
giuridica della difesa.  
La ragione per la quale si è scelto di porlo al centro 
dell’attenzione della presente trattazione è da ricercarsi nel forte 
valore emblematico che tale istituto – come pochi altri tra quelli 
riferibili alle indagini difensive – acquista sia in ordine a ciò che di 
positivo la nuova legge ha introdotto nel sistema processuale, sia 
alle problematiche che essa ha lasciato irrisolte o a cui ha dato vita. 
L’istituto in esame, però, si caratterizza anche per una serie di 
profili problematici, dal punto di vista esegetico, che risultano essere 
ad esso peculiari, i quali derivano, fondamentalmente, da una 
normativa di riferimento che si configura in diversi punti oscura, se 
non addirittura lacunosa. 
 Sono tante, tuttavia, le domande alle quali tenteremo di dare 
una risposta: cosa accade, ad esempio, se il luogo in cui si intende 
accedere risulta essere sottoposto a sequestro giudiziario? E se esso 
costituisca una privata dimora? Che rapporto intercorre tra il 
difensore e gli organi inquirenti nella conduzione delle rispettive 
 7
indagini sul luogo? E soprattutto, che ruolo ha il giudice, quali sono i 
poteri e le valutazioni che questi è chiamato a compiere ogni qual 
volta le legge richiede il suo intervento? 
La questione interpretativa che ci è apparsa più controversa e 
delicata - tanto da dedicare ad essa l’intero capitolo V – è, però, 
costituita dalle attività investigative a carattere reale che, sulla base 
del dato normativo, la difesa è ammessa a esercitare sul luogo; 
l’aspetto che, in particolar modo, suscita le maggiori perplessità in 
dottrina, è quello della possibilità o meno che il difensore abbia di 
alterare lo status quo ante del luogo in cui è acceduto, in quanto 
non si è mancato di rilevare come l’evenienza di una tale prospettiva 
ponga in essere addirittura dei profili di incostituzionalità, per 
violazione, tra l’altro, delle norme poste a tutela del “diritto di 
difendersi provando” e ricercando che viene attribuito a tutte le parti 
private del processo. 
 Questioni sostanzialmente analoghe derivano anche dal fatto 
che non sia stata coniata, da parte del legislatore, alcuna norma 
riguardante le modalità e le cautele che il difensore sarebbe tenuto 
ad adottare nella conduzione delle proprie indagini sul luogo; questa 
mancanza, infatti, determinerebbe un alto rischio che egli cagioni 
un’alterazione accidentale della scena del crimine, distruggendo o 
modificando degli elementi reali che avrebbero potuto costituire una 
fonte di prova favorevole alla posizione processuale o dell’accusa o 
di una qualsiasi altra parte privata. 
Particolari profili di interesse emergono, infine, a nostro 
giudizio, da due questioni apparentemente marginali, ma che 
potrebbero venire frequentemente alla luce nella realtà effettuale: il 
regime normativo al quale sottoporre l’ipotesi di un accesso 
 8
difensivo in un luogo appartenente alla pubblica amministrazione e 
quello della possibilità o meno che un difensore abbia di richiedere 
ad un soggetto privato documenti rientranti nella propria 
disponibilità. In entrambi i casi l’apporto disciplinare offerto dal 
legislatore è del tutto carente, per cui lo sforzo esegetico risulta 
essere quanto mai decisivo al fine di ricostruire una loro esauriente 
regolamentazione.  
Nell’analisi del quadro normativo inerente all’accesso ai luoghi 
del delitto si cercherà, quindi, non solo di porne in luce gli aspetti 
innovativi più rilevanti e le difficoltà interpretative ed applicative che 
esso presenta, ma anche di dare ad esse una soluzione 
sistematicamente plausibile, tenendo ovviamente conto delle 
opinioni espresse dalla dottrina più autorevole e delle posizioni 
assunte dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, nonché 
dell’importante contributo apportato, in taluni casi,  dalla stessa 
classe forense sotto forma di norme deontologiche imposte ai propri 
consociati. 
Lo sforzo esegetico che ci apprestiamo a compiere verrà 
condotto mantenendo un costante riferimento ai nuovi, suggestivi 
ed incerti confini del diritto della difesa di cercare ed assumere gli 
elementi di prova per concorrere all’elaborazione del convincimento 
giudiziale, nell’ambito dei quali il nuovo istituto dell’accesso ai luoghi 
fortemente si inquadra. 
 9
Capitolo I 
 
Introduzione all’accesso ai luoghi da parte 
della difesa 
 
1- Il quadro normativo di riferimento; 2- Definizioni dei termini chiave della normativa. 
 
 
1- Il quadro normativo di riferimento. 
 
Lo snodo centrale della disciplina dell’accesso difensivo ai 
luoghi del delitto appare costituito, prima facie, dagli artt.391 sexies 
e 391 septies. 
Come ha rilevato un’autorevole dottrina, le due norme si 
pongono tra loro in un rapporto di genus a species:
1
 mentre, infatti, 
l’art. 391 sexies pone in essere una disciplina generalmente riferibile 
a qualsiasi ipotesi di accesso ai luoghi condotto dalla difesa, l’ambito 
applicativo dell’art.391 septies risulta circoscritto al solo caso in cui 
l’oggetto dell’attività di investigazione difensiva sia costituito da un 
luogo “privato o non aperto al pubblico”. 
Attraverso un procedimento logico a contrario, si può, quindi, 
agevolmente desumere che l’art.391 sexies esaurisca l’ambito 
disciplinare del solo accesso ai luoghi pubblici o aperti al pubblico, 
mentre, per l’ipotesi in cui si tratti di luoghi privati o non aperti al 
pubblico, le disposizioni normative da esso emergenti trovano 
                                                 
1
 Bricchetti/Randazzo, Le indagini della difesa dopo la l.397/2000, Giuffrè. Milano 
2001, p.121. 
 10
comunque applicazione, data la loro già rilevata portata generale, 
ma debbono essere integrate dalla regolamentazione di cui 
all’art.391 septies. 
Quest’ultima norma rappresenta lo strumento attraverso il 
quale il legislatore ha inteso ponderare la necessità del difensore di 
svolgere attività investigative in favore del proprio assistito con il 
diritto, costituzionalmente garantito, del titolare del luogo di godere 
della massima libertà in ordine al godimento del proprio domicilio: in 
quest’ottica, quindi, si è inteso sottoporre l’evenienza di un accesso 
da parte della difesa a tutta una serie di vincoli e condizioni, tra le 
quali la più rilevante risulta essere, senz’altro, la necessità che ne 
sia data espressa autorizzazione da parte del titolare del luogo 
oppure, ove questa manchi, dell’autorità giudiziaria. 
La necessità di tutelare la privacy e il libero godimento del 
domicilio di coloro che hanno il luogo dell’accesso nella propria 
disponibilità, ha spinto il legislatore a prevedere un regime 
normativo particolarmente rigoroso per ciò che concerne i luoghi in 
cui i diritti in esame raggiungono la loro massima espressione, i 
quali si rinvengono nelle abitazioni e nelle loro relative pertinenze. 
Il legislatore ha, così, inteso vietare l’accesso difensivo a tali 
luoghi, prevedendo, tuttavia, una possibile deroga a tale divieto nel 
caso in cui risulti necessario svolgervi attività di indagine per 
rinvenire “tracce ed altri elementi materiali del reato”. 
Con una scelta che ha riscosso decisamente pochi favori in 
dottrina, il legislatore ha poi esteso il quadro della disciplina 
dell’accesso ai luoghi, facendo ad esso riferimento al successivo art. 
391 decies; l’oggetto della regolamentazione di tale norma non è 
l’accesso difensivo in sé, bensì l’aspetto dell’utilizzazione 
 11
processuale degli atti difensivi, in particolar modo dei verbali di due 
categorie di attività investigative che il difensore è ammesso a 
condurre sul luogo del delitto: gli accertamenti tecnici irripetibili e gli 
atti irripetibili. 
Se il punto centrale della disciplina in esame si è detto essere 
costituito dagli artt.391 sexies e 391 septies, l’art. 391 decies e il 
riferimento da esso operato alle attività investigative a carattere 
reale di cui si è fatta menzione, ne rappresenta certamente l’aspetto 
normativo di maggior difficoltà esegetica; soprattutto la scelta del 
legislatore di attribuire al difensore, nell’ottica della parificazione 
delle armi processuali tra accusa e difesa, la possibilità di compiere 
un atto investigativo tanto importante quanto carente sotto il profilo 
della tutela del principio del contraddittorio nella formazione della 
prova penale, qual è, appunto, l’accertamento tecnico non ripetibile, 
è stata oggetto di numerosi rilievi critici da parte degli interpreti, i 
quali hanno sollevato, riferendosi ad essa, addirittura delle questioni 
di legittimità costituzionale. 
Gli artt.391 sexies, 391 septies e 391 decies rappresentano, 
quindi, i tre vertici del trilatero che delimita la normativa 
disciplinante l’accesso ai luoghi da parte del difensore, al cui interno 
è possibile collocare qualsiasi ipotesi di concreta realizzazione 
dell’attività investigativa in esame, ad eccezione di una: esula, 
infatti, da questo ambito applicativo, il caso in cui l’oggetto 
dell’accesso sia costituito da un luogo sottoposto al vincolo del 
sequestro giudiziario. 
In una tale ipotesi troverebbero applicazione le norme che 
disciplinano, in via generale, la possibilità di esaminare le cose 
sequestrate, che viene riconosciuta dal legislatore sia al difensore 
 12
personalmente, che al consulente tecnico da lui eventualmente 
nominato, ai sensi, rispettivamente, dei rinnovati artt. 366 comma 1 
e 233 commi 1 bis e 1 ter. 
Anche in questo caso non sono mancati importanti rilievi critici 
da parte di una dottrina non molto propensa ad accettare, in 
particolar modo, il fatto che il legislatore abbia inteso riconoscere al 
difensore un’ampia libertà di accesso alle cose sequestrate, 
prevedendo, invece, per lo svolgimento delle medesime attività da 
parte del consulente tecnico, dei vincoli alquanto stringenti. 
Si completa così il quadro normativo di riferimento che 
concerne l’accesso ai luoghi da parte del difensore.   
E’ inutile ricordare, infine, come trovino applicazione, anche in 
quest’ambito, le disposizioni che si occupano di disciplinare alcuni 
aspetti generalmente riferibili all’intera materia delle indagini 
difensive, come ad es. l’art. 391 nonies sull’ipotesi di 
un’investigazione preventiva, l’art. 391 octies circa la formazione del 
fascicolo del difensore o l’art. 391 ter in materia di documentazione 
degli atti investigativi compiuti. Di queste e di altre norme verrà 
dato conto, in via incidentale, nel corso della trattazione.  
 13
2- Definizioni dei termini chiave della normativa. 
 
Prima di procedere alla puntuale analisi degli aspetti 
disciplinari principali e delle problematiche interpretative che 
emergono dal riconoscimento alla difesa del potere di accedere ai 
luoghi, ci pare opportuno fissare con chiarezza alcuni dei termini e 
dei concetti chiave che emergono dal quadro normativo sin qui 
delineato. 
Un primo ordine di necessari chiarimenti emerge già con 
riguardo al concetto stesso di “luogo”: in particolar modo, la dottrina 
si è posta il problema se tale termine si riferisca unicamente ai 
luoghi in cui il reato sia stato concretamente compiuto, ovvero se la 
facoltà di accesso possa riguardare anche dei luoghi diversi.  
Una parte della dottrina
2
 pare ritenere preferibile interpretare 
il dato normativo in modo da considerare l’oggetto del potere di 
accesso circoscritto ai soli luoghi in cui si è consumato il delitto, 
probabilmente convinta, in tal senso, da un’espressione utilizzata da 
uno dei promotori della l. 397/2000 in sede di lavori preliminari, che 
individua il finalismo dell’accesso difensivo nel consentire al 
difensore la presa di coscienza “dello scenario in cui si è svolta 
l’azione”.
3
  
Di contro, è stato osservato come tale inciso non possa 
costituire un parametro interpretativo idoneo a fondare la 
concezione di un accesso limitato ai soli luoghi del delitto, in quanto 
                                                 
2
 Cfr. Bernardi, Le attività di indagine, in Dir. e proc. Pen. 2/2001, p.221. 
3
 Cfr. Sen. Follieri, Relazione alla l. 397/2000. in appendice a 
Bricchetti/Randazzo,op.cit. p.266. Considerazioni analoghe si trovano in Ruggiero, 
Compendio delle investigazioni difensive, Giuffrè. Milano 2003, p.290. 
 14
il riferimento al suddetto “scenario in cui si è svolta l’azione” 
sarebbe stato operato “in senso del tutto acritico”. 
Su questa base, l’opinione che in dottrina appare prevalente è 
quella che vede riconosciuta alla difesa una possibilità di accesso 
avente un ambito oggettivo esteso ben oltre il solo locus commissi 
delicti, pur se quest’ultimo appare “statisticamente il più ricorrente”: 
il potere di accesso, cioè, sarebbe da riferirsi a qualsiasi luogo che il 
difensore ritenga avere una qualche rilevanza per le proprie 
strategie processuali.
 4
 
Per ciò che concerne l’accezione nella quale il termine stesso 
di “accesso” deve essere inteso, la dottrina ha negato che questo 
possa essere considerato in termini generici; la relativa nozione si 
dovrebbe, invece, esclusivamente incentrare sull’idea di un effettivo 
“contatto fisico” tra il soggetto e la cosa materiale.
5
 
                                                 
4
 Cfr. Ruggiero, op.cit., p.290. In senso analogo, cfr. Dean, La richiesta di 
documentazione alla pubblica amministrazione e l’accesso ai luoghi, in 
Dalia/Ferraioli (a cura di), Il nuovo ruolo del difensore nel processo penale, 
Giuffrè, Milano 2002, p.209, secondo il quale può costituire oggetto di accesso da 
parte del difensore “qualsiasi luogo, pubblico o privato che sia, il quale offra 
concrete possibilità di reperire elementi probatori a discarico”.; Campanella 
L’attività difensiva di ricerca e di individuazione degli elementi probatori: l’accesso 
ai luoghi, in Filippi (a cura di), Processo penale: il nuovo ruolo del difensore; 
investigazioni private, difesa d’ufficio, patrocinio dei non abbienti, CEDAM, Padova 
2001, p.273, che, nel definire l’oggetto dell’accesso difensivo, fa riferimento non 
allo specifico luogo in cui si è svolta l’azione, ma ad un più generico “luogo in 
rapporto con il reato”. 
5
 Ruggiero, op.cit. p.290, secondo il quale il concetto di accesso si debba 
“incentrare sull’idea del contatto fisico e sensibile con determinate cose” nonché 
della immissione in luoghi (…)” 
 15
Ben più articolato e, in alcuni casi, problematico risulta essere 
il tentativo di dare una definizione delle singole, diverse, tipologie 
nelle quali può essere suddiviso il concetto giuridico di ‘luogo’. Dare 
loro una certa e puntuale chiarificazione risulta essere, però, 
un’esigenza di primaria importanza, in quanto la legge, dalla natura 
giuridica stessa del luogo presso il quale si intende accedere, fa 
dipendere un diverso regime giuridico circa le modalità con le quali 
questo deve essere compiuto: come già accennato al paragrafo 
precedente, infatti,  la legge distingue e regolamenta diversamente 
l’accesso difensivo a seconda che esso venga perpetrato in un luogo 
privato, pubblico, aperto o non aperto al pubblico o anche in 
un’abitazione o relativa pertinenza.   
Il primo nodo da sciogliere è quello di definire, nelle loro 
peculiarità, i luoghi ‘pubblici’ rispetto a quelli ‘privati’.
6
 
Per ciò che concerne i luoghi pubblici, si segnala come 
un’esauriente elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in ordine 
alla loro definizione, tuttora riconosciuta come valida ed applicabile, 
fosse stata approntata già intorno alla metà del secolo scorso; di 
uguale elevato spessore sono tuttora considerati anche i profili 
definitori elaborati con riferimento al concetto di luogo “aperto” ed 
“esposto al pubblico”.
7
 
                                                 
6
 Si rileva come entrambi questi concetti, come d’altra parte tutti gli altri che 
verranno di seguito trattati, appartengono più propriamente alla “nomenclatura 
civilistica”; tuttavia, la loro validità anche in questo diverso ambito processual-
penalistico, è da considerarsi pacifica. Cfr., in tal senso, Ruggiero, op.cit. p.290. 
7
 Cfr. Mazzanti, Luogo pubblico, aperto al pubblico, esposto al pubblico, in NSD 
IX, pp.1110-1111. 
 16
Sembra corretto, quindi, affermare che la dottrina sia 
pressoché unanime nel definire come “pubblico” quel luogo 
“continuatamene libero, di fatto o di diritto, ad un numero 
indeterminato di persone, nel senso che tutti possano accedervi 
senza limitazioni di sorta”.
8
 Vengono così considerati “luoghi 
pubblici”, a titolo esemplificativo, la pubblica via, i giardini pubblici, 
la campagna, i boschi.
9
  
Viceversa, sarebbero da considerarsi “luoghi privati”, a parere 
della dottrina,
10
 sia i cosiddetti luoghi di “privata dimora”, sia quelle 
“abitazioni e loro pertinenze” per l’accesso alle quali, come si è già 
accennato,
11
 il legislatore ha imposto al difensore, ex art. 391 
                                                 
8
 Mazzanti, op.cit. p.1111. In senso analogo, solo per mera esemplificazione dato 
che si è detto come sul punto la dottrina sia da considerarsi unanimemente 
concorde, Mazzini, Trattato di diritto penale italiano, Vol.IV, UTET, Torino 1950, 
p.314; Pannanin, Delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, UTET, 
Torino 1953, p.111; Antolisei, Manuale di diritto penale, P.S. vol.I, Giuffrè. Milano 
1960, p.231. Più di recente, cfr. Triggiani, Le investigazioni difensive, Giuffrè, 
Milano 2003, p.358 nota 259; Bricchetti/Randazzo, Le indagini della difesa dopo la 
l.397/2000, Giuffrè. Milano 2001, p.122 nota 57; Siracusano, Commento all’art.11 
[artt.391 sexies-septies], in Chiavario/Marzaduri (a cura di), La difesa penale, 
UTET, Torino 2003, p.185 nota 4; Ventura, Le indagini difensive, Giuffrè, Milano 
2005, p.109 nota 1. 
9
 L’elenco stilato nel testo non è casuale, ma è stato concepito sulla base 
dell’opera giurisprudenziale della Corte di cassazione, la quale si è premurata di 
definire, in diverse sentenze, i luoghi citati come aventi natura ‘pubblica’. In tal 
senso, si vedano Cass. sez. III pen., 24 febbraio 1950, Meniconi, in Giust. Pen. 
2/1959, p.384; Cass. sez. III pen., 13 novembre 1985, Salvo, in Cass. pen. 1987, 
p.1324; Cass. Sez II pen., 12 ottobre 1953, Pietronave, in Giust., pen. 2/1954, 
p.117;Cass. sez. III pen., 3 agosto 1968, Moschini, in CED 108931. 
10
 Cfr. Bricchetti/Randazzo, op.cit. p.124 nota 58 
11
 Supra § 1. 
 17
septies comma 3, una disciplina particolare ed improntata ad un 
maggior rigore. 
Il concetto di luoghi “di privata dimora” merita un ulteriore 
approfondimento. 
In giurisprudenza, si definisce, in tal modo, “ogni luogo che 
viene adoperato, anche in modo transitorio e contingente, per lo 
svolgimento di attività privata come quella di studio, commercio, 
lavoro o tempo libero”.
12
  
Secondo la dottrina, inoltre, il concetto di dimora 
implicherebbe necessariamente l’effettiva, fisica presenza di una 
persona in un dato luogo, la quale si caratterizzi per l’avere un certo 
grado di stabilità, “senza peraltro che ciò assuma i caratteri di quella 
‘consuetudine di vita’ che costituisce, altresì, parte integrante della 
nozione di residenza”.
13
 A titolo esemplificativo, il semplice 
pernottamento in una camera d’albergo non sarebbe inquadrabile 
                                                 
12
 Cass. Sez. V pen, 7 dicembre 1983, Logiudice, in Giur. It. 2/1984, p.461; si 
veda anche, in senso analogo, Cass. sez. III pen., 31 maggio 1979, Passalacqua, 
in Cass. pen. 1981, p.564 
13
 Cfr. Bricchetti/Randazzo, op.cit. p.124 nota 58. In senso analogo, cfr. 
Siracusano, op.cit. p.185 nota 5. Secondo Gazzoni, Manuale di diritto privato, 
Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1998, pp. 125-126 la definizione di dimora si 
ricaverebbe, seppur in via indiretta, dall’interpretazione dell’art.43 cc. Tale 
articolo, come noto,  si preoccupa di disciplinare, in via principale, il concetto di 
‘luogo di residenza’, il quale si rinviene in qualsiasi luogo in cui “la persona ha 
dimora abituale”; da ciò, adottando un percorso inverso dal punto di vista logico, 
si potrebbe giungere a definire la dimora come il luogo caratterizzato da una 
presenza non abituale del soggetto, o, per meglio dire, “il luogo ove una persona 
si trova, sia pure momentaneamente, purchè in via non passeggera”. In 
giurisprudenza, sul punto, si veda Cass. pen. 18 gennaio 1980, Nardelli, in Cass. 
pen. 1981, p.564. 
 18
come dimora, proprio perché non avrebbe quel carattere di stabilità 
sufficiente a considerarlo come tale, mentre potrebbe sicuramente 
definirsi, in tal senso, l’ufficio in cui un soggetto svolge abitualmente 
la sua attività lavorativa, culturale o politica.
14
 
 E’ bene sottolineare, tuttavia, come la locuzione “luoghi di 
privata dimora” non sia stata utilizzata dal legislatore nel testo 
definitivo dell’art. 391 septies, essendo stato, infatti, preferito il 
riferimento a luoghi individuati con la formula “privati o non aperti al 
pubblico”; di tale espressione, però, si trova traccia all’interno del 
testo originale dell’art. 2 comma 1 della proposta di legge promossa 
dall’Unione delle Camere Penali,
15
 la quale aveva, oltretutto, inteso 
negare, in maniera del tutto inderogabile, che l’accesso a tali luoghi 
potesse avvenire con finalità di indagine difensiva.
16
 
 
 
                                                 
14
 Cfr. Cass. sez. III pen. 14 gennaio 1985, Riga, in Riv. Pen. 1985, p.361; Cass. 
Sez. V pen. 5 febbraio 1997, Lo Cicero, in Cass.pen. 1998, p.121; Cass. Sez. V 
pen. 19 marzo 1985, Bassi, in Cass.pen. 1986 p.1561; Cass. sez. I pen, 5 luglio 
1972, Cerbone, in Cass. pen. 1974, p.540. Si definiscono luoghi di privata dimora, 
tra gli altri, anche i locali di una banca, (Cass. sez. II pen, Saraceno 1983, in Riv. 
Pen. 1984, p.558), i bar, i caffè e i ristoranti durante l’orario di chiusura o 
comunque in ogni caso in cui il titolare vi si trattenga per lo svolgimento di attività 
lavorative collaterali (Cass. sez. V pen. 8 giugno 1981, Giacomelli, in Riv. Pen. 
1982, p.110; Cass. sez. I pen, 20 dicembre 1991, Marsella, in Cass.pen. 1995, 
p.989); uno stabilimento industriale, la sede di un partito, la cabina di una nave 
(Cass. Sez. V pen. 19 marzo 1985, Bassi, cit.; Cass. sez. I pen. 24 settembre 
1976, Granzotto, in Giur. It. 2/1984, c.77).  
15
 Il testo della proposta di legge in questione è consultabile in Dif. Pen. 41/1993, 
pp.102 ss. 
16
 Sul punto, cfr. Campanella, op.cit. p.289; Ruggiero, op.cit. p.290.