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1.  Introduzione 
 
 
 
Lo scopo di questa tesi è stato di studiare l’evoluzione delle 
strategie d’impresa dagli anni ’50 fino ai giorni nostri, per poi 
capire come la gestione dei costi si sia adattata ai cambiamenti nei 
modelli di organizzazione della produzione. L’interesse centrale di 
questa tesi è di analizzare e descrivere differenti modelli di gestione 
dei costi nel Supply Chain Management valutandone punti di forza 
e debolezza nel contesto attuale del mercato.  
Il secondo capitolo ha come scopo quello di illustrare come la 
domanda di mercato sia cambiata e come i sistemi produttivi si 
siano dovuti adattare ai nuovi contesti costituitesi. Fino ai primi 
anni ’60 la domanda era pressoché stabile ed omogenea e capace di 
assorbire tutta la produzione. Il modello produttivo che rispondeva 
meglio a queste esigenze era quello standardizzato di produzione di 
massa o anche chiamato taylorfordista. Le aziende erano 
sostanzialmente basate sulla produzione di un unico prodotto 
standardizzato fabbricato in grande scala. Il sistema taylorfordista 
monoproduttivo è entrato in crisi e ha subito il definitivo tracollo a 
metà anni ’60 a causa dei forti mutamenti della domanda di 
mercato. E’ emersa una domanda più diversificata e ampia con la 
richiesta di nuove prestazioni come la tempestività, l’assicurazione 
della qualità, le prestazioni post vendita. La domanda da stabile è 
diventata variabile, da omogenea è diventata eterogenea, e ha 
obbligato le organizzazioni produttive a profonde innovazioni. Sono 
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nate nuove funzioni aziendali come il marketing e la logistica, 
espressioni di aree aziendali fino a quel momento mai considerate. 
Differenti sono state le risposte delle organizzazioni produttive; nel 
capitolo vengono presentati il modello di produzione giapponese, la 
diffusione della total quality e il fenomeno dell’esternalizzazione. 
Negli anni ’80 il coinvolgimento sempre più forte di soggetti esterni 
nelle attività aziendali con la cessione della responsabilità di 
produrre parti di prodotto o la cessione di intere aree funzionali ha 
reso le aziende sempre più integrate e operanti in network di 
imprese connesse per il raggiungimento del prodotto finito. Ci si è 
accorti della necessità di una gestione globale della catena che, a 
partire dalle materie prime, attraverso numerosi attori, porta alla 
fabbricazione del prodotto finito e alla vendita al cliente ultimo. Il 
supply chain management è il frutto di questa necessità: si è passati 
dalla logica di pianificazione e controllo della sola catena del valore 
interno all’azienda, a quella che si occupa di tutti i fornitori che 
stanno a monte, e dei clienti a valle. Si è cosi resa necessaria 
l’integrazione dei processi fra tutte le imprese coinvolte al fine di 
creare e mantenere il vantaggio competitivo della catena.  
Il terzo e il quarto capitolo illustrano come i modelli di gestione dei 
costi diventavano inattendibili e si siano adattati alle configurazioni 
produttive che assumevano le aziende nella loro evoluzione. Il 
secondo capitolo in particolare descrive la contabilità dei costi 
secondo il modello tradizionale senza centri di addebitamento delle 
risorse, secondo il modello dei Centri di Costo e, in ultimo, 
l’Activity Based Costing. Di ogni modello vengono presentati i 
difetti e i pregi e il campo di applicabilità. Il primo dei tre modelli è 
abbastanza attendibile nei sistemi di monoproduzione (tipici quelli 
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fordisti), mentre si rivela fortemente lacunoso per quanto riguarda 
l’addebito causale dei costi indiretti. Il criterio dei Centri di Costo, 
invece, ha una logica più meticolosa secondo la quale sono i centri 
a consumare le risorse necessarie alla fabbricazione del prodotto. Il 
fulcro di tale metodologia è il principio causale che permette di 
relazionare i costi indiretti, ovvero quelli non connessi direttamente 
con la produzione, con i centri che li consumano, per poi attribuirli 
ai prodotti. Si evita quindi di spalmare indistintamente i costi 
indiretti ai prodotti, principale inconveniente della contabilità senza 
centri. Tuttavia anche questa metodologia si rivela in adeguata ai 
cambiamenti delle condizioni produttive della seconda metà del 
secolo. In particolare la differenziazione, il decentramento della 
produzione, l’evoluzione tecnologica, l’avvento del Just in Time 
hanno mostrato tutti i limiti di tale procedura contabile. La 
contabilità per Centri di Costo non valuta adeguatamente i costi 
prodotti dalla complessità gestionale che deriva dall’adozione di 
queste nuove strategie. La ripartizione dei costi indiretti, infatti, è 
troppo grossolana e senza tenere conto che tali costi hanno 
determinati differenti tra loro. La metodologia dell’Activity Based 
Costing è stata sviluppata al fine di eliminare queste distorsioni: 
essa ha come fulcro le attività necessarie per la fabbricazione dei 
prodotti. La determinazione dei costi avviene tramite i cost driver, 
cioè le cause che determinano i costi delle attività. Facendo un 
parallelo tra attività e centri si può evidenziare come quasi sempre 
le attività risultino essere scomposizioni dei centri che quindi sono 
insiemi di esse. Quindi essendo le attività più numerose dei centri 
deriva che le basi di attribuzione sono maggiori e con esse 
maggiore sarà l’attendibilità del calcolo finale. 
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Dopo aver descritto i modelli di misurazione e gestione dei costi 
delle catene del valore interne questo lavoro esplora, nel quarto 
capitolo, come l’avvento del supply chain management abbia reso 
necessari nuovi approcci di valutazione, e l’ausilio di innovativi 
strumenti e modelli di misurazione. La tematica della gestione dei 
costi in un’ottica di supply chain management è di grande interesse 
per il mondo dell’impresa e per i ricercatori principalmente per due 
motivi. In primo luogo il tema è ancora in una fase primordiale e 
presenta una generale carenza di concetti, e non esiste un singolo 
modello condiviso. Vi sono alcuni criteri sviluppati o modelli 
tradizionali adattati al supply chain management che consentono 
l’analisi e il controllo dei costi, ma la loro validità non è ancora 
sufficientemente provata e condivisa. Per questo motivo sia le 
imprese che gli studiosi sono interessati a sviluppare e mettere in 
pratica nuovi concetti valutandone efficacia e fattibilità in un’ottica 
costi benefici. Molti modelli, sebbene siano sulla carta convincenti, 
quando vengono applicati richiedono un tale consumo di risorse che 
ne vanifica i benefici da essi portati.  
La gestione e misurazione dei costi nella supply chain resta di 
fondamentale importanza per un altro motivo. I costi che le singole 
aziende sostengono per le loro attività sono per circa la metà 
riconducibili a relazioni con le altre aziende del network. In un 
mercato sempre più competitivo in cui i margini di profitto sono 
sempre più piccoli diventa determinante ridurre anche questi costi. 
Ma questa operazione di riduzione non deve essere fatta in 
opposizione alle altre aziende, bensì in collaborazione con esse al 
fine di mantenere o aumentare il vantaggio competitivo della catena 
di fornitura. 
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Il lavoro prosegue con l’identificazione delle figure di costo di una 
supply chain che sono i costi diretti, indiretti e, delle transazioni. 
Mentre i primi due sono costi interni dell’azienda, la grande novità 
sono i costi delle transazioni: essi sono le risorse consumate dalle 
interazioni dell’azienda con clienti e fornitori. La gestione e 
l’ottimizzazione di queste relazioni è il vero mezzo per ridurre i 
costi in una supply chain. 
Dopo aver illustrato i costi delle transazioni studiando i fattori che 
ne favoriscono aumenti o diminuzioni, esaminandone criteri per 
valutarne empiricamente l’entità, il lavoro è proseguito con la 
discussione di alcuni strumenti per misurare e ridurre i costi nella 
supply chain. Essi sono l’Activity Based Supply Chain Costing, il 
Supply Chain Target Costing e il Total Cost of Ownership. 
L’A.B.C. in Supply Chain funziona esattamente come l’A.B.C. 
applicato alle aziende tradizionali. La grande differenza sta nel fatto 
che i costi indiretti non sono più solo quelli interni all’impresa, ma 
sono soprattutto quelli delle transazioni tra aziende del network. 
Quindi si devono considerare oltre alle spese legate alla 
fabbricazione del prodotto anche le attività relative ai fornitori e ai 
clienti. Un’attenta visione di queste attività permette di valutare 
molto meglio la redditività dei clienti e l’onerosità dei fornitori.  
Il Supply Chain Target Costing invece, piuttosto che essere uno 
strumento contabile, è uno strumento di riduzione dei costi durante 
la fase di progettazione di nuovi prodotti. La pressione del costo 
target, imposto dal target price atteso dal cliente, viene trasferita 
internamente all’azienda a valle della catena, ma soprattutto essa 
viene trasferita sui componenti del prodotto e quindi sui fornitori 
con un meccanismo a catena che la fa arrivare fino alle aziende a 
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monte, fornitrici di materie prime. Fondamentale è la 
collaborazione tra aziende per un’ottimale gestione e distribuzione 
degli sforzi atti ad ottenere il target price finale.  
Viene esaminato l’utilizzo delle due metodologie, A.B.C. e Target 
Costing, insieme, rilevando come il buon funzionamento del 
sistema avvenga in presenza di un’intensa collaborazione tra i 
partner e incentivi per avvantaggiarli reciprocamente. Tramite 
quest’ultimi, ad esempio, cooperando congiuntamente, essi 
identificano, definiscono e classificano i cost drivers delle loro 
transazioni.  
Il lavoro prosegue con un altro criterio molto utilizzato per gestire i 
costi nelle supply chains: il Total Cost of Ownership (T.C.O.). 
Questa metodologia permette di valutare e gestire i veri costi che 
occorrono nelle relazioni di negoziazione e acquisto far un’azienda 
e un suo particolare fornitore. Obbiettivo del criterio T.C.O. è la 
valutazione del costo globale di una fornitura non limitandosi 
quindi a considerare il solo prezzo di vendita. Esso, inoltre, 
permette al management di avere maggiore consapevolezza, quando 
effettua decisioni strategiche e operative. Il. T.C.O. si serve 
dell’A.B.C., che mette a in luce i costi delle differenti attività che 
riguardano una transazione, e partendo da questi risultati valuta 
l’entità della macro-attività di fornitura.  
Inoltre, in una logica di supply chain, il T.C.O. permette di valutare 
come, e in che entità le due aziende coinvolte nella transazione sono 
influenzate, e come influenzano i costi delle altre parti della catena 
di fornitura. Questa tecnica analitica è molto avanzata e i suoi 
benefici sono numerosi, tuttavia la sua attuazione è complessa a 
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causa della necessità di coinvolgere i rappresentanti di molte attività 
della catena e richiede una forte dose di cooperazione e fiducia. 
Per questo lavoro di tesi si sono consultati diversi testi e molti 
articoli in lingua inglese. In particolare, per quanto riguarda il 
quarto capitolo, un apporto importante è stato dato dal testo di 
Stefan Seuring e Maria Goldbach dell’Università di Oldenburg 
(Germania) “Cost Management in Supply Chains”, edito da 
Physica-Verlag. Questo testo è una raccolta di articoli con 
l’obbiettivo comune di presentare differenti tematiche concernenti 
la gestione dei costi nella supply chain. Inoltre diversi articoli di 
molti alti autori sono stati consultati: Lisa Ellram e J.L. Cavinato 
per il Total Cost of Ownership, Grover e Malhotra per i costi delle 
transazioni, e molti altri. La bibliografia, a fine di questa tesi, 
elenca, suddividendoli per capitoli, i lavori consultati.