superficialità, l’omogeneità, la riproducibilità e l’assenza di originalità. La 
cultura di massa, oggetto della critica della scuola di Francoforte, alla fine del 
Novecento è un’espressione che si riferisce all’intrattenimento offerto dai film 
di Hollywood e dalla televisione. 
Il senso del termine cultura come lo usiamo oggi, dipende dal significato 
che ad esso diedero gli antropologi sociali come Bronislaw Malinowski, Franz 
Boas, Margaret Mead
4
. Essi lo usarono per indicare l’insieme delle pratiche di 
costruzione del significato in vigore all’interno di un sistema sociale. Questa 
nuova accezione supera l’opposizione tra Kultur e Civilization, mantenendo 
però l’identificazione della cultura con l’identità di un popolo. 
Nella letteratura antropologica all’inizio la cultura era soprattutto 
qualcosa che interessava i popoli primitivi e le società “altre”, ma non chi li 
studiava e li governava. In seguito tale termine venne applicato anche alle 
società occidentali, ma conservando la credenza che il mondo occidentale sia 
più avanzato, non solo sul piano tecnologico ma anche su quello morale, 
cognitivo, politico rispetto agli altri. 
La psicologia culturale
5
, sviluppatasi a partire dalla seconda metà del 
Novecento, si è orientata alla comprensione della cultura e ha posto 
l’attenzione su di essa come dispositivo di mediazione. Con l'interesse per la 
mediazione, la psicologia culturale si stacca dal filone “universalista” della 
psicologia cross culturale. Quest’ultima sotto il profilo teorico, invece di render 
conto delle differenze culturali, si propone di farle scomparire presentandole 
come semplici varianti all'interno di un quadro unitario presentato dalla 
psicologia universale. La psicologia cross-culturale propende a stabilire in modo 
implicito una sorta di dualismo antitetico fra natura umana e cultura: la prima 
è intesa come geneticamente ereditata, universale; mentre la seconda come 
                                                 
4
 Per ulteriori approfondimenti v. MANTOVANI G., Intercultura. È possibile evitare le guerre 
culturali?, Bologna, Il Mulino, 2004, pag.30.  
5
 La psicologia diventa culturale perché va ad occuparsi della mente nella cultura. In particolar 
modo Jerome Bruner, psicologo americano, analizza i processi ermeneutici, conversazionali e 
di negoziazione, attraverso i quali gli uomini vogliono dar senso al mondo e alla loro vita, cioè 
costruiscono il significato. Quest’ultimo non viene dato, ma ciascun individuo lo scopre e lo 
costruisce interagendo con gli altri uomini nella comunità culturale in cui è inserito secondo la 
dimensione narrativa. Non c’è interazione che non sia culturalmente mediata. Per un 
approfondimento della tematica v. ANOLLI L., Psicologia della cultura, Bologna, Il Mulino, 
2004, pag. 31.                                                              
una realtà autonoma, indipendente dall’azione dei soggetti, la quale 
produrrebbe soltanto variazioni secondarie e superficiali. Inoltre, dal punto di 
vista delle metodologie della ricerca, si propone di collocare su un continuum e 
di misurare con strumenti standardizzati, come il questionario, le differenze 
rilevate fra società diverse. 
La psicologia culturale è molto interessata agli artefatti, perché pensa 
che la conoscenza non sia confinata nella mente individuale, ma sia distribuita 
tra persone, e tra esse e alcuni tipi di elementi che stanno nell’ambiente. 
Nell’intero corso della loro vita, dalle comunicazioni madre-bambino 
all’acquisizione del linguaggio, dall’apprendimento scolastico all’acquisizione di 
competenze specifiche, le persone dipendono le une dalle altre e dagli 
strumenti che usano per interagire nell’ambiente. Il linguaggio, ad esempio, è 
un sistema di mediazione culturale delle funzioni cognitive, perché consente ai 
soggetti di agire in modo culturalmente appropriato ed efficace. La concezione 
di una conoscenza distribuita tra persone, e tra persone e artefatti, è una 
caratteristica distintiva della prospettiva culturale, che vede le persone non 
come individui isolati ma come membri attivi e consapevoli di società umane. 
La psicologia culturale guarda al contesto, sociale e fisico, e all'interno di esso 
colloca l'individuo, non viceversa. 
 
2. Caratteri della cultura 
 
2.1. Cultura come apprendimento 
 
Cristoforo Colombo, navigando verso nuove terre, possedeva alle spalle 
una tradizione che lo “attrezzava” all’esplorazione, dotandolo di adeguate 
mappe sia mentali che fisiche. Nel viaggio in territori inesplorati, i suoi occhi e 
la sua mente, formati sulle mappe ricevute, non potevano fare a meno di 
registrare, in qualche faticoso modo, le novità. 
Nella realtà, siamo continuamente costretti ad usare la rete di senso che 
la nostra cultura ci ha dato e nello stesso tempo a trascenderla, 
reinterpretarla, adattarla alla realtà che ci sta davanti. Il peggior torto che si 
possa fare alla tradizione è quello di conservarla sotto una campana di vetro 
come una cosa morta. 
La cultura è la trasmissione da parte degli anziani delle regole di vita e 
degli ideali della propria comunità alle nuove generazioni. Non si tratta di un 
insieme di norme astratte, ma un corpus organico di principi incarnati nelle 
pratiche. La cultura ci orienta sulle cose da fare e ci fornisce le indicazioni su 
come farle: ad esempio ci dice che cosa sia il matrimonio, perché e come 
celebrarlo, e persino come preparare il pranzo delle nozze. Essa forma il 
repertorio che alimenta l’immaginario delle persone, suggerendo loro desideri e 
aspirazioni che da un lato sono comuni ai membri del gruppo, dall’altro sono 
esclusivi, intimi a ciascuno di essi. 
Il padre trasmette al figlio la capacità di distinguere ciò che è appropriato e ciò 
che non lo è. Non tramanda al figlio una serie di comandi, ma una cornice 
simbolica che costui avrà come punto di riferimento e che potrà modificare con 
le sue esperienze di vita. È un punto di partenza, poiché quando nasciamo 
entriamo a far parte di qualcosa di preesistente, come se dovessimo inserirci in 
una discussione già iniziata. 
Gli anziani sono un bene prezioso in quanto possono trasmettere una 
mappa per orientarsi nella vita, un posto nella comunità, la memoria della 
storia che essi hanno vissuto, degli spazi che hanno attraversato con la 
speranza, forse vana, che i successori non ripetano gli stessi errori. Nel nostro 
mondo la storia come riflessione e re-interpretazione degli eventi è largamente 
rimossa. 
Oggi la società non ha sufficiente memoria rispetto alle responsabilità 
che su di lei incombono. Il compito degli anziani è quello di contrastare la 
disattenzione, di salvare dall’indifferenza e dall’oblio le esperienze che sono 
state fatte. Per fare questo occorre non solo l’età ma anche il coraggio, 
l’energia e l’iniziativa. 
Purtroppo gli anziani, oggi, stanno perdendo il loro ruolo di protagonisti 
della trasmissione culturale e sono sempre più considerati come un peso dalle 
nuove generazioni, come se essi non abbiano più nulla da dire. In questo modo 
si rischia la crisi della comunità, in cui finisce per predominare il 
disorientamento, la rabbia e l’ostilità. 
 
2.2. Cultura come processo interno ed esterno 
 
La cultura è emersa in modo graduale nel corso dell’evoluzione della 
specie umana e si sviluppa in modo progressivo nella storia individuale di un 
soggetto, per cui spesso appare come una realtà naturale e scontata. Essa è 
un ambiente invisibile in cui ciascuno di noi è totalmente immerso, senza 
rendersene conto. Infatti spesso guardiamo il mondo e gli accadimenti 
attraverso di essa e li riteniamo oggettivi nella loro consistenza e 
configurazione mentre in realtà adottiamo una prospettiva specifica che è 
differente dagli altri osservatori. 
In passato la cultura era considerata come una cornice esterna 
all’individuo, dentro la quale collocare le azioni e le interazioni umane. 
Attualmente, invece, essa è concepita anche come una dimensione interna ai 
soggetti, in quanto parte integrante del loro sé e base costitutiva della loro 
condotta. 
Questo è un tema molto importante ai nostri giorni per comprendere 
fenomeni rilevanti della nostra società, in particolar modo per la presenza 
diffusa di flussi migratori sempre più consistenti, da sud a nord e da est a 
ovest. Tale presenza comporta la determinazione di contesti multiculturali, nei 
quali si trovano ad interagire contemporaneamente soggetti appartenenti a 
culture differenti fra loro. 
Il luogo in cui si situa è ambiguo, non può essere identificato né come 
luogo esterno né come luogo interno. La cultura è dentro e fuori le menti nello 
stesso tempo: essa è ovunque non solo in termini geografici ma soprattutto in 
termini psicologici
6
. Essa ha una doppia natura poiché la troviamo all’interno 
del soggetto, dando forma ai suoi pensieri, credenze, emozioni, aspettative, 
valori e si colloca anche all’esterno, nelle diverse espressioni istituzionali e 
sociali. Questa prospettiva trova una valida spiegazione nella comunicazione. 
                                                 
6
 SHORE B., Culture in mind: Cognition, culture and the problem of meaning, (citato da 
ANOLLI L., Psicologia della Cultura, cit., pag. 28). 
Anch’essa si sviluppa da un lato dall’intenzione comunicativa del soggetto, 
dall’altro dalla manifestazione pubblica di tale intenzione in modo estensivo ad 
altre persone. 
Dunque non esiste una concezione assoluta e oggettiva sia della natura 
umana sia della cultura. I soggetti comprendono ed interpretano la realtà con 
cui entrano in contatto, facendo riferimento alle categorie mentali fornite da 
una certa cultura. 
È importante conciliare gli aspetti di comunanza fra le culture, con la 
singolarità di ognuna di esse attraverso la regolarità.  Infatti lo studio di una 
specifica cultura consente di cogliere in essa delle regolarità che rimandano al 
confronto con le regolarità di altre culture. La singolarità pura nella sua 
irripetibilità è irrilevante per la comprensione dei fenomeni culturali. La 
regolarità riguarda sia i processi culturali dentro le menti, quali i sistemi di 
credenze, sia quelli fuori le menti, come i rituali religiosi. Si tratta delle 
condizioni standard di una certa cultura, a ciò che è lecito attendersi all’interno 
di una data situazione. Le regolarità costituiscono un fatto storico e come il 
passato non possono determinare il presente ma possono influenzarlo. Esse 
non sono delle fissità astratte e atemporali, ma prevedono delle variazioni 
contingenti, eccezioni momentanee, dunque non coincidono con l’uniformità 
ma convivono con la variabilità culturale. 
Inoltre si può comprendere il particolare e l’universale, entro le 
espressioni di una certa cultura rispetto a se stessa e le altre. Questa 
prospettiva implica una condizione sistematica di confronto e negoziazione. Sia 
le macroculture che le microculture consistono in una varietà indefinita di punti 
di vista. Tale situazione richiede la capacità di stabilire ponti semantici di 
condivisione e di negoziare le categorie interpretative per favorire la 
comprensione dei fenomeni culturali. 
La cultura non è un patrimonio fisso, statico di conoscenze, di pratiche e 
di valori da tramandare di generazione in generazione. Non è un pacchetto di 
norme e significati da consegnare in modo meccanico da esperti a novizi. 
Benhabib Seyla sostiene elegantemente che dal di dentro, la cultura non 
appare come un tutto compatto ma è piuttosto un orizzonte che si allontana 
ogni volta che ci si avvicina ad esso. 
Si configura così come un processo continuo che prosegue nel tempo, in 
modo inarrestabile, il suo cammino. Scompare l’idea meccanicistica della 
cultura come progresso costante e lineare che sarebbe avvenuto lungo un 
percorso irreversibile di accumulazione grazie al carattere omogeneo degli 
artefatti culturali. In realtà ognuna segue il proprio percorso di sviluppo, in 
parte intrecciandosi con le altre culture attraverso un’azione continua di 
influenza reciproca, in parte seguendo un itinerario specifico. 
In quanto processo che si svolge nel tempo, essa è in costante 
cambiamento, in grado di assumere di volta in volta forme diverse, non 
necessariamente migliori, a cui tutti i soggetti partecipano in vario modo, 
attivo e passivo, ognuno con il proprio contributo. In tale evoluzione, la cultura 
mantiene condizioni di stabilità e prevedibilità. 
Si ha dunque una situazione paradossale in cui la cultura continua ad 
essere se stessa, anche se va incontro a forme incessanti di modificazione e di 
innovazione. Regolarità e variazioni sono due aspetti fondamentali, che si 
implicano a vicenda, dato che senza la regolarità non si può avere la 
consapevolezza della variazione e viceversa. 
Solitamente il cambiamento dei modelli culturali non segue un 
andamento costante e regolare. Le fasi di stabilità sono caratterizzate da 
dispositivi ripetitivi e da rigidità stereotipata, spesso questa staticità può 
condurre a condizioni di vuoto morale e di perdita dei significati. Questa 
situazione costituisce la premessa per il successivo cambiamento culturale. 
Di norma il cambiamento avviene sia dall’esterno che dall’interno. Nel 
primo caso le pressioni vengono dal di fuori, solitamente da altre culture, al 
fine di avere un adeguamento e allineamento di modelli culturali. Nell’altro 
caso, in cui il cambiamento ha origine da istanze interne, esso di solito è 
prodotto da minoranze culturali che vanno a modificare in profondità i modelli 
culturali in essere. Le innovazioni culturali spesso sono forme antitetiche di 
condotta e di pensiero rispetto alle forme precedenti, assunte come modelli da 
smantellare. Gli innovatori appaiono normalmente non convenzionali, poiché si 
contrappongono a convenzioni ben conosciute. Non sempre le innovazioni, poi, 
si affermano e si consolidano nel tempo. 
Dunque, da una parte la cultura è una base sicura e un percorso definito 
che ci offre identità, certezze e le coordinate cognitive ed emotive per 
orientarci nel mondo, dall’altra però essa può essere fonte di smarrimento e 
confusione in vista dei cambiamenti culturali piuttosto rapidi e quando 
espressioni culturali diverse entrano in conflitto fra loro. In questo caso è 
importante trovare nuove soluzioni, frutto di negoziazioni e reinterpretazioni 
delle proprie categorie mentali in funzione della situazione presente, tenendo 
conto delle forme culturali passate che nel lungo processo evolutivo e di 
cambiamento rimangono comunque dei punti di riferimento. 
 
3. Le funzioni della cultura 
 
3.1. Funzione di mediazione 
 
La mente di ciascun individuo opera all’interno di un contesto storico-
culturale determinato, caratterizzato da un mondo di oggetti e di persone, di 
relazioni tra persone e istituzioni sociali che è in continuo mutamento. 
In tali situazioni, la mente modifica il suo meccanismo in relazione allo 
specifico medium in cui si trova ad interagire. Inoltre una volta inserita nella 
rete già costruita di oggetti, relazioni e istituzioni sociali, la mente ne modifica 
la struttura e il funzionamento, assumendo un ruolo attivo nel contesto sociale 
in cui si trova ad interagire. 
La scuola storico-culturale sovietica, guidata da Vygotskij, ha sottolineato 
l’importanza degli artefatti e delle attività in generale per lo sviluppo del 
pensiero e delle abilità umane. Da un lato l’attività umana si serve degli 
artefatti come mezzi per realizzare i propri scopi, dall’altro però è vincolata agli 
stessi medesimi, come strumenti per raggiungere questi obiettivi. 
Il cieco esplora la strada con il suo bastone tap tap tap, il quale funziona 
da canale lungo il quale corrono le informazioni di cui egli ha bisogno per 
camminare in strada.
7
 Tutti noi, in un certo senso, siamo ciechi ed esploriamo 
la realtà con l’aiuto di strumenti, artefatti attraverso cui conosciamo le cose ed 
agiamo nel mondo. 
L’incorporazione degli artefatti nell’attività umana crea una nuova 
relazione fra l’organismo e l’ambiente, nella quale il culturale e il naturale 
operano in modo sinergico. Il rapporto tra il soggetto e l’ambiente può essere 
non solo diretto, ma anche mediato attraverso uno o più artefatti. Questo è il 
motivo per cui si è giunti a parlare di un’ intelligenza che abita anche al di fuori 
della mente individuale. 
È importante sottolineare la natura duale dell’oggetto, in quanto realtà 
materiale da un lato e socialmente costruita dall’altro. Dunque l’oggetto 
naturale Objekt
8
 va distinto dall’oggetto, in quanto artefatto inserito 
nell’attività umana gegenstand. In quest’ultima accezione l’oggetto si presenta 
come un’entità costruita in modo collettivo, sotto forma materiale o ideale, 
mediante il quale è soddisfatto uno specifico bisogno umano. 
Gli artefatti che guidano l’attività cognitiva nel suo adattamento 
all’ambiente sono molteplici. Il più importante è il linguaggio inteso come 
conversazione, discorso, narrazione. 
Vi è poi la categorizzazione, che interviene nella mediazione dell’attività 
cognitiva. Quest’ultima procede attribuendo gli oggetti e le esperienze a 
particolari categorie che hanno un significato non solo linguistico ma anche 
sociale. Dunque la categorizzazione ordina la realtà e permette di distinguere 
tra cibi puri e cibi impuri, tra matrimoni permessi e quelli vietati e così via, 
organizzando gli spazi, i tempi, le persone e le loro azioni. Gli agenti 
percorrono questi sistemi di categoria usandoli e all’occorrenza forzandoli, in 
ogni caso riformulandoli per applicarli ai contesti che si trovano di fronte. 
Un terzo strumento che media l’attività cognitiva è la metafora. Essa 
attribuisce a qualcosa di cui si sta parlando, che è detto “bersaglio” della 
metafora, una proprietà detta “origine”, che appartiene ad un diverso dominio 
                                                 
7
 BATESON G., Verso un’ecologia della mente, (cit. da Mantovani G., Intercultura. È possibile 
evitare le guerre culturali?, Il Mulino, Bologna, 2004, pag. 74). 
8
 ANOLLI L., Psicologia…, cit, pag. 31. 
della realtà
9
. Nell’esempio “Barbara è una fata”, Barbara è il bersaglio, mentre 
il termine fata è l’origine. Le metafore servono ad inquadrare le situazioni 
problematiche che incontriamo. 
10
 
Un esempio è dato dalle metafore utilizzate negli Stati Uniti nel dibattito 
pubblico sugli slums durante gli anni Settanta. 
Gli slums, le aree centrali degradate di tante città americane di allora, 
vennero considerati scegliendo due metafore. La prima vedeva negli slums 
delle “malattie”, dei centri di infezione che minacciavano la salute dell’intera 
città. La scelta di questa metafora portava con sé l’idea che per restituire la 
salute alla città si dovesse ricorrere ad un intervento chirurgico: 
l’allontanamento degli abitanti, la demolizione dei quartieri fatiscenti e una 
nuova destinazione degli spazi. 
La seconda metafora vedeva invece gli slums come “comunità” valide ma 
in difficoltà perché povere, e proponeva iniziative di sostegno agli abitanti per 
metterli in grado di preservare la rete di relazioni che si erano creati nel tempo 
e per aiutarli a superare i problemi dovuti alla povertà. 
Le due soluzioni nascono da prospettive diverse incorporate nelle 
metafore: tali prospettive nascono nel momento stesso in cui vediamo un 
problema e non sono dunque il risultato di un’osservazione obiettiva all’inizio e 
in seguito di una valutazione, in cui entrano in gioco i nostri scopi, valori e 
preferenze. 
La metafora riflette un ordine culturale: come la partecipazione ad una 
data cultura professionale può rendere ovvia l’adozione di una data metafora, 
così la partecipazione ad una data cultura religiosa o politica o etnica può far 
preferire in modo automatico un certo modo di inquadrare i problemi rispetto 
ad un altro. 
La cultura è una mediazione che riguarda ogni aspetto della vita umana e 
che differisce in modo qualitativo da una comunità ad un'altra. Per questo 
motivo essa appare universale, in quanto investe tutti gli ambiti dell’esistenza 
umana (alimentari, medici, biologici ecc). Essa è come una lente incorporata in 
noi che distorce la percezione e la valutazione di qualsiasi fenomeno ed evento. 
                                                 
9
 MANTOVANI G., Intercultura, cit., pag. 90. 
10
Ivi, pp.90-91. 
Si tratta di una lente di cui non ci rendiamo conto, per cui i processi culturali 
assimilati fin dalla tenera età appaiono scontati, ovvi e automatici. Solo quando 
entriamo in contatto con altre espressioni culturali le differenze fanno 
emergere, a volte, la consapevolezza della propria appartenenza, il senso della 
propria identità, nonché la distanza da altre culture. 
 
3.2. La cultura come produzione di senso 
 
In passato si prediligevano alcune dimensioni come strutture portanti 
della società. Un esempio è dato dal forte determinismo economico, che 
influenzava lo sviluppo e la circolazione delle idee e che controllava le altre 
sfere della società. 
Oggi, anche se questa influenza economica si può ripresentare in 
determinate circostanze, essa non costituisce un potere forte e assoluto sulle 
altre dimensioni della realtà. 
Attualmente si comprende che molti processi della realtà dipendono dal 
contesto sociale in cui si verificano: molte persone cambiano atteggiamenti a 
seconda delle circostanze e degli ambienti. La realtà sociale diventa luogo di 
produzione di senso. 
Uno dei modi di sensemaking
11
 sono le analogie, con le quali le persone 
stabiliscono corrispondenze tra i domini diversi della realtà sul riconoscimento 
di una somiglianza. A volte, ma non sempre, può essere utile per capire cosa 
sta accadendo in un determinato dominio della realtà, partendo da ciò che 
sappiamo di un dominio che conosciamo meglio. Il più delle volte i due domini 
della realtà sono collegati da analogie di tipo strutturale e simbolico, più che 
fisico. 
La rete della cultura che unisce le persone in gruppi sociali è costituita da 
credenze e modi di sentire condivisi, dalla conoscenza di una storia comune, 
dal senso della propria collocazione nel mondo naturale e sociale. Dunque la 
cultura è fatta di nessi analogici. Questi legami formano le connessioni 
attraverso cui i membri di una società comunicano tra loro. Il mito, la magia, i 
                                                 
11
 MANTOVANI G., L’elefante invisibile, Firenze, Giunti, 1998,  pag. 130. 
riti e le cerimonie, la poesia e la conversazione sono parte di questa rete.  La 
cultura è fatta di storie simboliche e rituali in cui gli oggetti e gli eventi 
ricevono significati che in vario modo li trascendono. L’analogia gioca un ruolo 
importante nel costruire questi significati estesi e nel far funzionare la rete 
della cultura. 
Un altro aspetto essenziale nella produzione di senso è la conoscenza del 
proprio posto nell’ordine delle cose. Per gli aztechi la chiave di questo ordine 
era costituita dal tempo: il tempo mitico esercitava un’influenza determinante 
su quello umano. Solo i contatori del sole potevano influire sulle manifestazioni 
divine e orientare l’insieme delle attività umane. Essi agivano su forze che il 
non iniziato poteva credere appartenenti a domini separati del reale, ma che il 
contatore sapeva essere il reale, la tela cosmica di cui egli vedeva il disegno 
complessivo
12
. 
La rete di analogie che forma una cultura non è il risultato di opzioni 
individuali ma descrive uno stato delle cose divine e umane condiviso da intere 
comunità, anche di dimensioni molto vaste. 
Il senso delle cose sperimentato all’interno di una data comunità viene 
trasmesso per mezzo del suo linguaggio. Il linguaggio è il più potente 
strumento di mediazione: noi pensiamo, comunichiamo e agiamo secondo 
modalità definite dalle strutture linguistiche di cui disponiamo. 
Ad esempio Geertz ha sottolineato come nell’imparare la lingua, a Giava 
veniva data molta importanza dai suoi istruttori allo status sociale, mentre in 
Marocco l’attenzione era focalizzata sulle differenze di genere. 
Il linguaggio oltre a conferire griglie interpretative, delimita i confini stessi 
della realtà, a cui è in grado di conferire senso. Un esempio di ciò si ha 
nell’incontro della cultura spagnola cattolica e quella indios, durante il periodo 
di conquiste: gli Indios assistettero sbigottiti all’irrompere di una cultura che 
apparve ai loro occhi l’incarnazione dei mostri dell’Apocalisse, mentre dall’altra 
parte gli spagnoli consideravano le divinità indigene manifestazioni di Satana. 
Le distanze erano incolmabili, l’evangelizzazione era resa impossibile dalle 
differenze linguistiche poiché non vi era nelle lingue indigene equivalenti delle 
                                                 
12
  Ivi., pag. 133. 
figure divine dell’aldilà e le approssimazioni ne tradivano la sostanza e la 
forma. Tutto creava malintesi. Inoltre ciascuna di queste culture non poneva 
gli stessi confini al reale, nel senso che gli oggetti e le esperienze che per gli 
uni erano reali per gli altri erano fantasie inconsistenti: la Chiesa escludeva di 
norma alcuni stati come i sogni, le sostanze allucinogene, mentre gli Indios 
attribuivano ad esse un significato decisivo. Dunque la rete di senso che le 
culture costruiscono sono mappe che privilegiano certi aspetti della realtà a 
danno di altri. Inoltre queste reti di senso vengono anche modificate e 
integrate in vista dei cambiamenti del presente. Conoscere ed essere 
consapevoli di queste mappe è molto importante nell’incontro con culture 
diverse, soprattutto nel contesto attuale dove le società occidentali diventano 
sempre più multiculturali. 
 
3.3. Cultura e valori 
 
La terza funzione della cultura è quella di motivare le persone, indicando gli 
obiettivi a cui tendere: si tratta non di prescrizioni, bensì di criteri e modelli 
morali che le persone possono usare per comprendere le situazioni che hanno 
davanti e per immaginare il proprio futuro. 
Ogni cultura fornisce ai propri membri modelli per valutazioni di questo 
tipo: ciascuna di esse dice che cosa sia la felicità, di cosa si debba essere fieri, 
dove sia la bellezza e così via. La cultura fornisce un repertorio non 
necessariamente coerente delle situazioni che si possono presentare e delle 
risposte adeguate che si possono dare. Le persone usano il repertorio per 
capire la situazione e fare le proprie scelte. Quando invece si trovano davanti a 
circostanze impreviste fanno appello alla propria capacità di improvvisare. Di 
fronte ad un mondo abbastanza mutevole e disordinato, vi sono anche casi in 
cui le persone programmano di improvvisare, di prendere le cose come 
vengono. 
La cultura fornisce alle persone dei modelli morali ed essi non sono inseriti 
necessariamente in un insieme ordinato e coerente. Anche i modelli morali più 
vincolanti sono messi in discussione al loro stesso interno da problemi di 
interpretazione, da casi che prospettano possibili conflitti fra norme e 
soprattutto dal fatto che i problemi da affrontare nelle situazioni di ogni giorno 
non sono sempre previste da tradizioni presenti in epoche precedenti. Ne 
consegue che la presa di posizione in campo morale è spesso problematica, 
innovativa e altamente conflittuale, perché cerca di inquadrare fenomeni nuovi 
in categorie in buona parte preesistenti. I modelli di condotta vengono 
costantemente rivisitati, riformulati e discussi. 
Mantovani pone l’accento sulla discussione che ferve in questo periodo nel 
mondo islamico circa la legittimità del martirio o suicidio messo in atto da 
kamikaze, o da terroristi, secondo gli oppositori di questa pratica. Sulla 
questione dei martiri esistono pareri giuridici differenti che rispecchiano le 
diverse posizioni religiose e politiche in conflitto su questo delicatissimo tema: 
si danno risposte diverse a seconda delle diverse tradizioni religiose, si 
valutano i precedenti casi antichi e moderni, si operano distinzioni in base al 
“genere” dei martiri (per alcuni osservanti le donne islamiche non dovrebbero 
essere accettate come “martiri” in attentati suicidi perché i resti dei loro corpi 
dilaniati potrebbero essere raccolti da mani estranee e con ciò contaminati), al 
tipo di attacchi (obiettivi militari, civili, contro adulti o contro donne e bambini), 
al luogo (all’interno o esterno dello stato di Istraele, in una città musulmana 
oppure in una città americana o europea). 
Su questioni controverse troveremo modelli di comportamento molteplici 
offerti dalle varie culture ai loro membri più o meno disorientati, determinati o 
riottosi.  Introducendo i modelli morali, però, gli agenti possono capire le 
situazioni e orientarsi nelle proprie scelte, usando il repertorio di valori che 
hanno a disposizione. Per tale motivo i processi educativi, della scuola in 
particolare, rivestono una certa importanza come luoghi in cui i repertori 
morali vengono elaborati, legittimati e proposti ai giovani.