2
È comune il pensiero che vede i gemelli legati da un amore, un 
rapporto "particolare", forte, che li vede inevitabilmente uguali 
e indissolubilmente uniti.  
Cosa allora rende così forte il conflitto al punto da sfociare 
spesso nel patologico, tra due esseri che condividono lo stesso 
ambiente e soprattutto lo stesso patrimonio genetico? 
Potrà sembrare strano, e di sicuro impopolare, ma sono proprio 
quelle “tacite” differenze che contraddistinguono ciascun 
membro della coppia gemellare, e che faticano ad emergere 
proprio a causa della loro "naturale unione" (concepiti insieme, 
nati insieme, vissuti insieme,...), della loro indivisibile 
convivenza, e non da meno dalla costante visione di 
uguaglianza che il mondo esterno rimanda loro, a rendere più 
difficile il loro rapporto.  
Ma in che modo l'individuo gemello si percepisce e organizza 
nel suo comportamento l’insieme delle percezioni che ha di se 
stesso? 
Il mio obiettivo è proprio quello di operare un graduale 
passaggio della gemellarità dalla sfera biologica, caratterizzata 
da una schiacciante somiglianza fisica, a quella psicologica, 
conscia e inconscia, passaggio di cui non sempre si è tenuto 
conto e che considero importante precisare, dato che in esso il 
significato della gemellarità subisce un profondo mutamento 
nei confronti dell'individuo. 
Si affronterà il tema del doppio, per certi versi complementare a 
quello della coppia, che aiuta innanzitutto a comprendere le 
  
 
3
dinamiche che entrano in gioco sia nel percepire e 
concettualizzare i gemelli identici che nell’ interagire con loro. 
Consente inoltre di impostare correttamente il problema della 
differenziazione (o individuazione) all'interno della coppia 
gemellare, con la possibilità di chiarire un processo che risulta 
complicato anche nei nati singoli. 
Mi è sembrato opportuno affrontare l'argomento classificando 
le esperienze in questione come reali, fantasmatiche o virtuali, 
cioè riguardanti veri gemelli monozigoti, sosia, ed eventuali 
episodi di sdoppiamento vissuti in prima o in seconda persona, 
nonché riguardanti il comune riconoscere la propria immagine 
riflessa in uno specchio. 
Ho soffermato, inoltre, la mia attenzione sul ruolo della 
percezione della propria immagine nei confronti della coscienza 
di sé per poter mettere in luce la particolarità che la situazione 
gemellare introduce in questo rapporto e le conseguenze che 
questo può recare al processo di identificazione personale. 
Sulla base di tale rapporto analizzerò gli altri due ambiti di 
proiezione della gemellarità: quello ambientale e quello sociale, 
che vengono anch'essi a caratterizzare il processo di costruzione 
del Sè. Come precisa Zazzo (1992), l'intelligenza dei gemelli 
non è significativamente colpita dalla situazione gemellare, a 
differenza della vita affettiva che sembra invece, segnata molto 
profondamente dalla loro situazione eccezionale e in maniera 
tale che forse solo pochi di loro, riescono a porvi rimedio. 
  
 
4
Ai fini di un sostegno empirico di ciò che andrò a trattare, 
riporterò alcuni studi che indagano su alcuni dei vari aspetti 
peculiari del legame gemellare; a questi si aggiungeranno anche 
diverse testimonianze di diversi gemelli monozigoti grazie ai 
quali sarà interessante scrutare quali siano i vissuti psicologici 
di chi è immerso direttamente in questa difficile ma 
straordinaria condizione e cercare di comprendere come si 
possa arrivare a sviluppare quella "propria" identità a cui i 
gemelli generalmente aspirano, vedendo perse o annullate, 
anche se si conoscono, le diversità che caratterizzano le due 
distinte persone. 
 
Come può trasparire da queste righe introduttive, nel presente 
lavoro, cercherò, pur riconoscendo il mio assoluto limite, di 
fare un’approfondita e interessante panoramica su quelli che 
sono gli sviluppi maturativi dei membri di una coppia gemellare 
monozigote, da un punto di vista psicodinamico in modo da 
capire come e perché le loro “identità” vengono messe in 
discussione, e riconoscere invece che essi rappresentano il 
prodotto di una stessa gravidanza e non il clone della 
personalità dell’altro. 
  
 
5
-  I PARTE  - 
METODO E CONOSCENZA 
 
 
    1.  Sviluppo storico 
“ Si dice spesso che i gemelli -quelli veri, s'intende- sono lo 
stesso individuo fatto in due copie.”.. 
È così che iniziò la conversazione nell'ottobre del 1974 tra il 
romanziere francese Georges e sua moglie Laurence Pernoud, e 
lo psicologo Renè Zazzo, il quale tenne a precisare: "è una 
verità al punto di partenza. Nel momento in cui l'uovo 
fecondato si divide in due, vi è in effetti una duplicazione. Le 
due uova così prodotte sono identiche all'uovo iniziale, sono 
dunque identiche fra loro: possiedono esattamente lo stesso 
patrimonio ereditario
1
. Ma nel momento stesso in cui l'uovo si 
divide, si avranno, da un punto di vista psicologico, due esseri 
completamente differenti.” 
Ad onor del vero è da tempo che è stato modificato anche il 
concetto di questa identità assoluta tra  Monozigoti (MZ), 
essendo emerse differenze fisiche, anche se irrilevanti, in 
                                                 
1
  Si parla in questo caso di gemelli Omozigoti (MZ) che derivano cioè da un unico ovulo 
fecondato, che poco dopo lo sviluppo si scinde a  metà per dare origine a due individui 
sempre dello stesso sesso (due maschi o due femmine), veri e propri duplicati umani. La 
maggior parte di essi presenta una placenta unica (monocoriale), con amnios separato 
(biamniotica), e solo raramente monoamniotica. 
Si parla invece di gemelli Dizigoti (DZ) quando provengono da due ovuli fecondati da 
due spermatozoi, e possono essere due maschi, due femmine, o un maschio e una 
femmina. In genere i gemelli fraterni (detti anche coriali) si sviluppano in due placente e 
in due sacchi amniotici separati.  
  
 
6
soggetti normali
2
, così come già A. Gesell, il celebre psicologo, 
nel 1934 aveva evidenziato. Egli sosteneva che il fisiologico 
processo di maturazione che porta alla costruzione della 
personalità procede attraverso percorsi unici, sempre 
individualizzanti, ecco perchè alla base delle differenze tra 
gemelli MZ vi è un concetto dinamico di “maturazione” e di 
“apprendimento”. Parliamo del “metodo del gemello testimone” 
(TWIN CONTROL) , che dava buoni risultati nella valutazione 
dell'incidenza dell'addestramento nei processi di sviluppo. 
Gesell si differenziava dal “metodo classico dei gemelli”  o 
“metodo per gruppi contrastanti” di Galton (1875), che 
consisteva, invece, nel confrontare gemelli Monozigoti con 
gemelli Dizigoti (DZ). Secondo l’antropologo, le differenze 
rilevate nei gemelli MZ venivano imputate all'ambiente, data 
l'uguaglianza del patrimonio genetico, mentre le differenze tra 
DZ sono imputate ad interazioni di ereditarietà, che risulta 
diversa, ed ambiente, che è invece uguale, una contrapposizione 
cioè tra i fattori “nature” e “nurture” (ereditarietà ed ambiente); 
in altre parole per Galton ciò che influisce in misura 
predominante è il fattore ereditario, relegando in tal modo in 
secondo piano l’influenza dell’ambiente nel quale si vive. 
Considerazioni affascinanti, nonché veritiere, ma  per lui, come 
per Gesell, i gemelli restano due individui paralleli, non sono 
                                                 
2
 La principale differenza che si riscontra da subito nei gemelli è quella legata al peso già 
al momento della nascita. Successivamente quello che si riscontra è una sorta di 
specularità, cioè caratteristiche fisiche, a partire dalla lateralità manuale (destrismo o 
mancinismo), presenti in un soggetto a destra, nell'altro a sinistra, come il tipo di 
dentatura, il verso dei capelli, la presenza di nei, lo strabismo, ecc.. 
  
 
7
visti come una coppia, né tanto meno si tiene conto 
dell'influenza che tale coppia esercita su ciascuna singolarità. 
E’ stato Von Bracken (1939) il primo ad interessarsi ai gemelli 
come coppia, e a intuire, partendo dalle loro differenze 
psicologiche, l'esistenza di ruoli distinti e complementari che 
egli traduce in     "ministro degli interni" (Innenminister), con il 
compito di prendere decisioni all'interno della coppia stessa, e 
"ministro degli esteri" (Aussenminister) con il compito di 
rappresentare la coppia all'esterno mantenendo così i rapporti 
con gli altri. Ruoli che possono presentarsi in maniera stabile in 
ciascuno dei gemelli o in modo alterno nel corso dello sviluppo. 
È grazie a queste intuizioni che il genetista Gedda fonda una 
vera e propria "scienza gemellare" definita "gemellologia” 
(1952) con la quale si vuole sottolineare la cospicua e intrinseca 
cooperazione tra i gemelli, che hanno portato il loro contributo 
alla patologia medica per la soluzione di alcuni problemi, e alla 
scienza di cui gli stessi gemelli devono essere beneficiari per 
una maggiore e migliore comprensione della loro situazione, 
lanciando il motto: i gemelli per la scienza, la scienza per i 
gemelli. 
È comunque grazie al metodo del gemello di controllo, nato per 
indagare il rapporto fra maturazione e apprendimento (Gesell, 
1941), che si è andata concretizzando la possibilità di indagare 
il processo di individuazione all'interno della coppia gemellare 
in un’ottica psicodinamica. A tale proposito particolare 
importanza deve essere attribuita gli studi iniziati da Zazzo nel 
  
 
8
1972, allorché l'autore si propose di studiare il comportamento 
dei gemelli in due situazioni particolari: la situazione-vetro in 
cui il bambino guardava attraverso un vetro il co-gemello 
identico, e la situazione-specchio in cui invece guardava la 
propria immagine riflessa. Quello che emerge è che i fattori che 
determinano le caratteristiche psicologiche dei gemelli identici 
non sono soltanto l’ereditarietà e l'ambiente, come si riteneva 
all'inizio. Entra in gioco come terzo fattore anche la vita di 
coppia, che non può essere sottovalutata (Zazzo, 1984). Questa 
puntualizzazione costituisce la presa di distanza decisiva della 
psicologia gemellare dal suo substrato biologico, costituito da 
un patrimonio genetico identico, e al tempo stesso viene a 
delinearsi in tutta la sua peculiarità il sé gemellare (C. Del 
Miglio, 1995). 
In questo modo il substrato biologico costituito da un identico 
patrimonio genetico riacquista, sul piano scientifico, la sua 
importanza, ma ciò avviene in modo indiretto e comunque 
diverso dal tempo in cui i ricercatori consideravano 
astrattamente l’ereditarietà e l'ambiente gli unici fattori 
determinanti le caratteristiche psicologiche dei monozigoti, 
mentre non attribuivano alcuna importanza alla vita di coppia e 
all'influenza degli altri. 
Lo stesso Zazzo, inoltre, rifiuta anche la  nozione di “eredità 
psicologica”, sostenendo che essa rappresenta una nozione 
"falsa e ingannevole”, in quanto reputa illusorio pensare che un 
fatto psichico possa essere espressione immediata e diretta di 
  
 
9
un fatto ereditario. “(...) In breve, organico (o somatico) non è 
sinonimo di ereditario, e la base fisica dello psichismo non è la 
cellula con i suoi cromosomi, ma il corpo. Il corpo quale è stato 
definito dalle azioni congiunte dell’eredità e dell'ambiente" 
(Zazzo, 1973, pp.78-79). D'altra parte, continua Zazzo, le 
diversità biologiche assumono il loro significato psicologico 
attraverso "l'amplificazione e la valorizzazione sociale di cui 
sono l'oggetto". Così la mediazione sociale diventa per l'autore 
"La regola generale nel rapporto tra il biologico e lo psichico" 
(ibidem, p. 105). 
 
  
 
10
-  II PARTE  -  
VISSUTO PSICOLOGICO 
DEI GENITORI DI COPPIE GEMELLARI 
E RELAZIONE “TRIADICA” 
 
 
1. Diagnosi di gemellarità 
Diventare genitori è da sempre un’esperienza unica, qualcosa 
che cambia radicalmente la visione del mondo, della vita e di se 
stessi. Ci si trova immediatamente e irrimediabilmente coinvolti 
nel vortice di quei sentimenti che fino a quel momento erano 
caratteristici solo dei propri genitori: le paure, le ansie, il senso 
di responsabilità, per un ruolo che forse inizialmente non è 
sentito come proprio, ma è altresì un evento che stravolge in 
positivo la vita di ciascuno soprattutto quando si prende 
coscienza che una parte di sé ritorna a nascere; gioia, 
soddisfazione, aspettative, speranze, sono l’altra faccia della 
stessa medaglia.  
In particolare l'istinto materno (H. Deutsch, 1946; Winnicott, 
1947; E. Badinter, 1981) è stato considerato una qualità innata e 
naturalmente positiva della sessualità femminile adulta, 
concetto che F. Ferraro e A. Nunziante Cesaro, (1982) hanno 
preferito sostituire con la definizione più generale di sentimento 
materno proprio per l’ intrinseca ambivalenza dei sentimenti 
umani, che essa comporta. 
  
 
11
Una prima forma di ambivalenza la si riscontra praticamente 
nel momento stesso che una donna scopre di essere incinta; fino 
ad allora la sola idea di un figlio è ciò che la rende più felice, 
sogna di avere tra le braccia la propria creatura, di allevarlo nel 
rispetto dell’amore, sa di poter essere una buona madre, ma 
quando ciò accade scatta immediatamente in lei il vissuto di una 
condizione di non-ritorno, un evento che travalica la portata del 
proprio desiderio, ciò che Winnicott (1947) spiega, attraverso 
una sua enigmatica espressione, come un concepimento mentale 
(quello del bambino) che non le (alla madre) appartiene, è cioè 
incontrollabile, non coincide puntualmente con la 
programmazione cosciente. Esso si presenta come un evento 
irreversibile: una volta che si diventa madre lo si è per tutta la 
vita.  
Ed ecco le prime forme di angoscia o ciò che Winnicott chiama 
“preoccupazione materna primaria” (primary maternal 
preoccupation), una preoccupazione che emerge soprattutto 
verso la fine della gravidanza e per qualche settimana dopo il 
parto, dove la madre è dedita alle cure del neonato, che 
dapprima sente come parte di lei stessa, e con il quale si 
identifica talmente bene che sa benissimo  cosa lui sente. Per 
descrivere questo stadio, si è soliti parlare di “assoluta 
dipendenza” in riferimento allo stato del neonato. In questo 
modo vengono date in natura le provvidenze naturali adeguati 
ai bisogni dell'infante ossia un alto livello di adattamento 
importanti per lo sviluppo dell’Io del lattante (Winnicott, 1970). 
  
 
12
 Un altro aspetto che può essere vissuto come una minaccia per 
la propria individualità è la modifica della propria immagine 
che comporta la perdita del primo sé corporeo. Le 
trasformazioni corporee della gravidanza pongono la donna di 
fronte ai temi dell'individuazione-separazione facendole 
risperimentare l'unità primaria, simbiotica con la propria madre 
e allo stesso tempo l'esperienza di differenziazione dal corpo 
materno. Le modificazioni del corpo coinvolgono i processi 
dell'identità femminile, perché gli organi della sessualità 
diventano anche gli organi della maternità, con le difficoltà di 
conciliare la coesistenza del codice femminile e di quello 
materno (Fornari, 1981). È quindi necessaria una certa quota di 
lavoro per tale significativa trasformazione, affinché la donna 
possa rallegrarsi invece del nuovo stato. 
 
Vissuti ambivalenti, quindi, sono caratteristici di ogni 
gravidanza, ma sicuramente risultano essere  più prorompenti, 
evidenti e forse più difficilmente rielaborabili in un contesto di 
gravidanza multipla.  
Quando una donna apprende che ha in grembo dei gemelli è 
frequente una reazione di choc accompagnata e seguita da 
sentimenti fortemente contrastanti e ambivalenti: accanto alla 
felicità e all'orgoglio per la singolarità dell'evento emerge 
paura, preoccupazione, confusione, senso di smarrimento, 
difficoltà di accettazione e disperazione, legati soprattutto al 
  
 
13
senso di inadeguatezza rispetto alle proprie capacità fisiche e 
alle difficoltà di accudire due bambini contemporaneamente.
3
 
F. Ferraro e A. Nunziante Cesaro (1985) fanno però notare che 
la gravidanza costituisce un’esperienza psicofisica del tutto 
particolare; sembra quasi rispondere ad un bisogno primario di 
procreazione, quel bisogno umano, cioè, di sconfiggere la 
morte attraverso un’illusione di continuità di propri tratti 
irripetibili, che nei figli prendono corpo; è per questo che una 
madre, programmata per avere un solo figlio per volta, 
considera comunque il prodotto del parto come qualcosa di 
unico, ed è forte in lei l’istinto a interagire con i due figli, anche 
se non contemporaneamente.  
Alla luce di quanto detto, possono essere compresi i complessi 
di colpa che frequentemente nascono nella madre mentre si 
occupa di un piccolo, vivendo l’impressione di trascurare 
l’altro. 
Come già accennato, naturalmente ogni donna in procinto di 
diventare madre, idealizza il proprio bambino, fantastica sul 
loro rapporto, ma soprattutto, come ci spiegano Ferraro e 
Nunziante Cesaro (1985), vede nel nascituro la creazione di un 
doppio. Il bambino come sosia della madre, suddivisione del 
proprio Io, la ripetizione di stessi tratti del volto, di caratteri 
identici, quel figlio che contiene la possibilità di sconfiggere la 
propria morte, che rappresenta la propria continuità e 
                                                 
3
 Dati tratti dall’attività di ricerca dl Progetto Gemelli, utilizzando questionari 
somministrati ai genitori afferenti al Centro di Consultazione e agli incontri di 
formazione-informazione.  
  
 
14
immortalità, e se da un lato questo è un aspetto che in positivo 
si moltiplica in caso di figli gemelli, dall’altro si verifica il 
moltiplicarsi anche di quei sentimenti “ostili” nei confronti 
degli stessi, che comunque, dal concepimento e 
nell’allevamento sembrano essere una costante di ogni 
maternità. 
Addirittura Winnicott (1947) che tanto ha parlato della teoria 
della “madre sufficientemente buona”, ha altresì descritto 
accuratamente il sentimento di odio che la madre prova per il 
suo piccolo fin dall'inizio. Oltre al fatto che "il concepimento 
mentale del bambino non le appartiene", Winnicott elenca molti 
altri motivi: il bambino è  un pericolo per il suo corpo durante 
la gravidanza e alla nascita; il bambino rappresenta 
un'interferenza nella sua vita privata; il bambino è spietato 
perché la tratta come la serva non pagata,...! Immaginiamo 
dunque, il peso che tali pensieri rivestono su una futura madre 
di gemelli: è una continua riorganizzazione degli spazi, sia da 
un punto di vista pratico che, soprattutto, da un punto di vista 
mentale. 
 
Sembrerebbe dunque che soprattutto la gravidanza gemellare 
esprima il massimo di sentimenti antagonisti; infatti, se fino ad 
ora abbiamo evidenziato prevalentemente una sorta di 
opposizione al desiderio di questa forma di maternità, dall’altro 
diventare madre di gemelli contribuisce ad esperire in modo 
privilegiato la fusione originaria con la madre, una modalità di 
  
 
15
esorcizzare cioè la nostalgia della relazione primaria, di 
ricongiungimento al corpo materno.  
Nell’accezione di Renata Gaddini (1978), la gravidanza si 
configura come dato fattuale, riempimento di qualcosa che si è 
svuotato alla nascita, completamento della “lacerata continuità 
prenatale”
4
, e con i gemelli (anche se non ci sono ancora dati 
certi in merito) sembra  si arrivi all’espressione più alta di tale 
continuità, che si traduce in senso di fierezza, di soddisfazione 
per un evento così straordinario. La fusione quindi si 
risperimenta, così come si risperimenta la relazione primaria in 
tutta la sua onnipotente indistinzione, in tutto il suo carattere 
“illusivo”. Alla nostalgia e al suo carattere di tensione che 
manifesta un vuoto, è possibile allora sostituire il dato fattuale e 
concreto della simbiosi, del “tutto pieno”, che ha vita nel corpo 
femminile.  
Sta di fatto che essere genitori di gemelli è un compito 
sicuramente molto complesso, non solo perché i bambini 
richiedono molte cure e attenzioni simultanee, ma soprattutto 
perché chi li accudisce deve sforzarsi di considerarli due 
individui separati e resistere alla tentazione di trattarli come una 
coppia. 
                                                 
4
 La Gaddini esprime il bisogno di completarsi, di ritrovare "la preziosa ripienezza" che 
può avvenire attraverso la gravidanza, vista simbolicamente come azione alla ricerca di 
integrazione, di legame con l'oggetto. In questo senso coincide  "l’Io ho", avere un 
bambino nel senso di essere piena, con "l’Io faccio", io mi attivo a ripristinare il legame, 
attivamente "faccio" un bambino. 
Anche S. M. Hunziker (1983) sostiene che il vissuto della gestante “è quello di un 
contenitore pieno”, un “oggetto contenente” il cui significato positivo, è strettamente 
connesso con il livello di integrazione raggiunto dall’Io nelle primissime fasi dello 
sviluppo all’interno della relazione primaria con la madre.