M.Giovanna Vivoli 
 6 
scenario competitivo è profondamente cambiato e i nuovi competitor, che si sono 
affacciati sulla scena mondiale, non sono aggravati dai costi di produzione e di 
organizzazione che penalizzano, al contrario, il comprensorio apuo-versiliese, essendo 
dovuti al peculiare sviluppo storico della filiera locale (ad esempio, la mancata 
concentrazione delle imprese lapidee in un’area industriale specificatamente attrezzata). 
 
Il lavoro si articola in quattro capitoli: i primi tre sono analitici mentre il quarto contiene 
le proposte di marketing territoriale a favore del Distretto lapideo di Carrara. Il primo 
capitolo, Background teorico del progetto, descrive gli strumenti metodologici e 
l’ambito di ricerca dell’elaborato: innanzitutto, si definisce il marketing territoriale 
come l’insieme delle tecniche finalizzate all’individuazione dell’identità di un territorio 
e alla promozione della sua immagine presso gli stakeholder interni, per ottenerne il 
consenso, e presso quelli esterni, per attirarli nell’area in modo da contribuire allo 
sviluppo, endogeno e sostenibile, del territorio; quindi, il modello del distretto 
industriale è descritto come un sistema cognitivo e relazionale che organizza e media il 
sapere e l’operare di un sistema di imprese concentrate localmente e settorialmente; 
infine si fornisce un’interpretazione del territorio come una realtà geografica dotata di 
un’identità collettiva in cui tutti gli attori territoriali si riconoscono e che essi stessi 
contribuiscono a creare, e si enuncia la tesi –poi dimostrata nei capitoli seguenti- 
secondo la quale il Distretto lapideo di Carrara è un territorio caratterizzato da 
un’identità collettiva univoca e originale incentrata sulla pietra. Lo studio è condotto 
secondo la lezione disciplinare delle teorie della comunicazione perché -si è tentato di 
argomentare- le attività di marketing territoriale sono assimilabili in larga parte alle 
teorie e tecniche di promozione dell’immagine dell’organizzazione (sia essa 
un’impresa, una marca, un’istituzione o un territorio), inoltre la natura relazionale del 
modello distrettuale autorizza a enfatizzarne gli aspetti comunicativi come elementi 
costitutivi e tipici del modello stesso. Il secondo capitolo, Approfondimento sulla 
letteratura alla base del progetto, passa in rassegna alcuni contributi al dibattito 
economico e sociologico sul concetto di distretto industriale, per giungere a delineare, e 
fare propria, una definizione di distretto industriale: il distretto industriale, distinto dalla 
rete e dal cluster, è qui inteso come un sistema di imprese che sviluppano economie 
esterne di agglomerazione e di azione congiunta oltre a condividere un patrimonio di 
valori (cioè significati intersoggettivamente definiti e accettati), di legami sociali e di 
eredità storica; le imprese distrettuali strutturano con il loro operato un’identità 
Il Distretto lapideo di Carrara: una proposta di marketing territoriale 
 7 
collettiva e un linguaggio locale. Il comprensorio apuo-versiliese è quindi riconosciuto, 
attraverso un metodo qualitativo, come un tipico distretto industriale. Il terzo capitolo, 
Metodologia di lavoro, contiene l’analisi del territorio del Distretto, condotta secondo i 
punti di riflessione canonici di un piano di marketing e seguendo una metodologia 
composta da due fasi desk e due fasi field (interviste semistrutturate a interlocutori 
qualificati): vengono delineati, nell’ordine, le componenti e le risorse del territorio, il 
sistema di valori della comunità locale, l’identità attuale del comprensorio, la domanda 
del territorio, l’immagine percepita dalla domanda interna ed esterna, il quadro 
competitivo in cui l’area si colloca, le iniziative di promozione attuate dagli attori 
territoriali, i punti di forza e le debolezze del distretto insieme alle opportunità e alle 
minacce, le possibili linee strategiche da intraprendere per la promozione del 
comprensorio. Il quarto capitolo, Proposta di intervento, descrive la strategia, 
composita e articolata in quattro direttrici, che il marketer territoriale suggerisce per il 
Distretto lapideo di Carrara, come suo contributo alle politiche di sviluppo locale. Le 
quattro linee strategiche mirano a conseguire gli obiettivi di ricomposizione del capitale 
sociale locale e di integrazione delle risorse territoriali attraverso la definizione di sotto-
obiettivi relativi a varie tematiche: l’individuazione di un soggetto coordinatore della 
realtà distrettuale; la gestione del capitale di conoscenza accumulato nell’area; i rapporti 
tra la filiera lapidea e la comunità dei residenti; la valorizzazione in chiave turistica dei 
luoghi dell’industria lapidea. Nell’ambito di quest’ultima linea strategica viene 
approfondito il caso del Museo Civico del Marmo della città di Carrara, scelto perché si 
tratta di un elemento di primo piano nell’offerta turistica del distretto e di un simbolo 
della cultura e della storia lapidea del comprensorio; viene, quindi, delineata una 
proposta di riqualificazione e promozione del museo, nella forma di un piano di 
marketing, con gli obiettivi di trasformare la visita al museo in un’esperienza autentica e 
originale del territorio e di integrare il polo espositivo negli itinerari turistici del 
distretto dedicati alla cultura della pietra. Il lavoro si chiude con alcune riflessioni sui 
vantaggi e sui costi delle azioni di marketing suggerite e sui ruoli attribuiti ai vari attori 
locali dalla strategia proposta. 
 
M.Giovanna Vivoli 
 8 
Il Distretto lapideo di Carrara: una proposta di marketing territoriale 
 9 
CAPITOLO 1 
 
BACKGROUND TEORICO DEL PROGETTO 
 
 
Il progetto è una proposta di intervento strategico di marketing territoriale a favore 
dell’area e degli attori del Distretto lapideo di Carrara; il panorama di teorie e letterature 
a cui si è fatto riferimento nell’analisi del territorio e nella definizione di suggerimenti 
strategici è quello delle discipline della comunicazione, utilizzate per interpretare, da un 
lato, gli strumenti metodologici del marketing territoriale e, dall’altro, il modello 
organizzativo del distretto industriale. Il background comunicativo qui applicato è stato 
costituito attraverso letture e contributi interdisciplinari, che spaziano dalla sociologia 
della comunicazione, al marketing e alla semiotica greimasiana; il nodo centrale di 
questo orizzonte teorico è il concetto di comunicazione come transazione tra due 
soggetti i quali si scambiano dei testi, ovvero delle porzioni di significato autonome e 
interdefinite (insiemi di informazioni, se si vuole), che contengono anche le indicazioni 
cognitive e pragmatiche per la strutturazione della relazione intersoggettiva dal testo 
stesso mediata. La comunicazione è sempre bidirezionale, perciò ogni output comporta 
necessariamente un feeedback che è destinato a modificare l’output successivo; in 
questo senso, la relazione comunicativa prolungata nel tempo tra due interlocutori (i 
quali si alternano nel ruolo di fonte e di ricevente) articola un circuito comunicativo1 
fatto di discorsi (cioè testi attualizzati, i quali comprendono sia le emissioni verbali sia 
le manifestazioni non verbali della conversazione e pure gli atteggiamenti e i 
comportamenti dei parlanti). Fanno, dunque, parte del circuito comunicativo sia i 
contenuti trasmessi, verbalmente e non, sia i comportamenti assunti e gli oggetti 
scambiati dagli interlocutori, perché sono tutti assimilabili a dei testi, cioè a porzioni 
concrete di significato; tutte le transazioni, anche quelle di compravendita tipiche del 
mercato, sono relazioni comunicative, perché mettono in gioco dei testi, e possono, 
                                                        
1
 Il circuito comunicativo è «lo scambio, al contempo, di beni, di discorsi e di valori» e costituisce il 
fondamento dell’approccio di marketing comunicazionale qui adottato, secondo il quale «vi è equivalenza 
tra marketing e comunicazione perché la comunicazione non è più uno degli elementi del marketing mix 
ma coincide con il funzionamento dell’intero mix»; la prima citazione è tratta da G. Ceriani; Marketing 
moving: l’approccio semiotico; Franco Angeli; Milano; 2002; pag. 37,mentre la seconda citazione è tratta 
dagli appunti del corso di Teorie e tecniche della comunicazione pubblicitaria tenuto dalla prof. Ceriani 
all’Università di Siena nei mesi di marzo, aprile e maggio 2003 (appunti 13/3/2003) 
M.Giovanna Vivoli 
 10 
quindi, essere analizzate con gli strumenti metodologici delle discipline della 
comunicazione. Anche l’insieme delle transazioni ripetute nel tempo tra due soggetti, se 
considerato diacronicamente, può essere interpretato come un unico ampio testo. In 
quest’ottica, sia le relazioni che intercorrono tra il territorio (assimilabile 
all’organizzazione, cioè a un soggetto comunicante, secondo il marketing territoriale) e i 
suoi stakeholder, sia le relazioni tra gli stakeholder sono tutte relazioni comunicative. In 
realtà, il marketing territoriale non si può identificare completamente con le discipline 
della comunicazione che ne costituiscono una delle chiavi di lettura metodologica2, 
perché le relazioni tra gli attori territoriali non sono sempre rette da una logica 
transattiva e il marketer territoriale è, in quei casi, costretto a ricorrere ai contributi di 
altre discipline, come la scienza politica e la psicologia sociale. 
                                                        
2
 Altrove il marketing territoriale è definito e interpretato in analogia con il marketing dei beni industriali, 
per la complessità delle relazioni tra gli attori territoriali e dei loro modelli decisionali, oppure con il 
marketing del non-profit, con il marketing sociale e con il marketing relazionale Si veda ad esempio M. 
G. Caroli; Il marketing territoriale; Franco Angeli; Milano; 2000; pagg. 43 e 44 
Il Distretto lapideo di Carrara: una proposta di marketing territoriale 
 11 
1.1 IL CONCETTO E L’AMBITO DI RICERCA DEL MARKETING 
TERRITORIALE 
 
Il marketing territoriale viene qui inteso come l’insieme degli strumenti concettuali e 
operativi che servono alla definizione dell’identità di un territorio e alla gestione della 
sua immagine presso tutti gli stakeholder3. Alla base di questa concezione risiedono le 
riflessioni sul significato e sull’applicabilità della funzione di marketing elaborate da 
Kotler4 e da Bagozzi5. Il primo dei due studiosi è responsabile del cosiddetto 
allargamento del concetto di marketing: egli ha adottato per primo un concetto di 
marketing generico (generic concept of marketing), secondo il quale il marketing è la 
scienza che si occupa di come le transazioni sono create, stimolate e gestite6; quindi la 
transazione, cioè lo scambio di valori tra due partecipanti alla relazione, è il focus 
disciplinare del marketing. Pertanto le tecniche di marketing possono essere 
giustificatamente utilizzate per la regolazione di ogni tipo di scambio, qualsiasi sia la 
natura degli oggetti (cioè i “prodotti”) scambiati e dei vettori usati7. Bagozzi 
approfondisce lo studio delle transazioni, classificandole in base al grado di complessità 
assunto e al numero dei soggetti coinvolti8. Per l’autore il mondo contemporaneo è 
caratterizzato dalla prevalenza di scambi complessi (ovvero biunivoci tra una pluralità 
di attori) e misti (dove le componenti simbolica e utilitaristica sono difficilmente 
separabili sebbene individuabili), i quali coinvolgono oggetti e vettori tangibili e 
intangibili; inoltre gli scambi moderni sono spesso condotti in condizione di razionalità 
                                                        
3
 Gli stakeholder sono i soggetti con cui l’organizzazione entra, direttamente o indirettamente, in 
relazione e da cui è influenzata nel suo operato. Una definizione più completa di stakeholder verrà fornita 
in seguito, nel sottoparagrafo 3.1.4 Audit dei soggetti del Distretto: l’immagine del Distretto percepita 
dalla domanda interna del presente lavoro 
4
 P. Kotler e S.J. Levy; Broadening the concept of marketing; in Journal of marketing; n. 33; 1969 e P. 
Kotler; A generic concept of marketing; in Journal of marketing; n. 36; 1972 
5
 R. P. Bagozzi; Marketing as exchange; in Journal of marketing; n. 36; 1975 
6
 Kotler (1972), op. cit.; pag. 49 
7
 Bagozzi definisce così i vettori delle transazioni: «the media of exchange are the vehicles with which 
people communicate to, and influence, others in the satisfaction of their needs. These vehicles include 
money, persuasion, punishment, power (authority), inducement, and activation of normative or ethical 
commitments»; Bagozzi (1975), op. cit.; pag. 35 
8
 Le transazioni si dividono in tre tipologie: ristrette, quando la relazione è diadica e si ha un reciproco 
dare e un reciproco avere; generalizzata, quando la relazione è univoca e unidirezionale tra almeno tre 
attori; complessa, quando si ha un sistema di relazioni biunivoche tra almeno tre attori. Bagozzi (81975, 
op. cit. 
M.Giovanna Vivoli 
 12 
parziale e di insufficienza informativa. Si ritiene che la relazione che lega il prodotto-
territorio9 ai suoi pubblici –transazione studiata e gestita dal marketing territoriale- 
esemplifichi il tipo di transazioni complesse, miste e multimediali delineate da Bagozzi; 
la teorizzazione di Kotler, poi, autorizza lo studioso a scegliere gli strumenti del 
marketing per rendere intellegibili queste relazioni, pur nella consapevolezza che i 
rapporti tra i vari attori territoriali non sono sempre retti da logiche transattive e spesso 
richiedono il contributo esplicativo di altre discipline vicine alla scienza politica e alla 
psicologia sociale.  
 
Il presente lavoro aspira a rileggere il marketing territoriale alla luce delle teorie sulla 
comunicazione perché –si ritiene- ogni transazione è un atto di comunicazione 
(nell’accezione letterale del termine cioè condivisione) che si concretizza nello scambio 
di significati, incarnati o meno in beni tangibili (corrispondenti questi ultimi ai 
“prodotti” e alla “moneta” nella concezione classica dello scambio di mercato). Se le 
relazioni transattive sono relazioni comunicative e se gli oggetti e i vettori delle 
transazioni sono valori10, cioè porzioni di significato, allora l’organizzazione (sia essa 
un’impresa, una marca, un’istituzione o un territorio) è chiamata a gestire, con efficacia 
e con efficienza11, un alto numero di relazioni comunicative differenti che la legano ai 
suoi vari stakeholder; anzi, l’organizzazione è essa stessa immersa in un universo 
reticolare di azioni comunicative bidirezionali e reciprocamente influenti: 
l’organizzazione comunica con gli stakeholder e da questi riceve un feedback che 
                                                        
9
 Un territorio è «un insieme di elementi tangibili e intangibili che si caratterizza attraverso le relazioni 
esistenti tra gli elementi. (…) Esso può essere considerato (e valutato) da due punti di vista diversi:da un 
lato, nel suo insieme, come luogo con determinate caratteristiche che derivano da una certa 
configurazione delle componenti tangibili e intangibili e che lo distinguono dagli altri luoghi; dall’altro, 
come sede di specifici servizi, strutture, “funzioni d’uso” che possono essere fruiti attraverso una 
presenza più o meno stabile in quel territorio. (…) È allora possibile distinguere il prodotto territorio su 
due piani: il primo è costituito dagli elementi “contributivi”, rappresentati da specifici servizi offerti nel 
territorio o da sue singole componenti strutturali considerate in maniera separata; il secondo piano è 
costituito dal “nucleo” del prodotto che è costituito dal territorio come entità complessa, derivante 
dall’aggregazione delle sue n componenti»; Caroli (2000),op. cit.; pag. 176 
10
 Si fa qui riferimento alla definizione linguistica di valore come effetto di senso differenziale, ovvero 
porzione di significato individuabile e distinguibile dalle altre. Di seguito, il concetto di valore assumerà 
una caratterizzazione più completa e sfaccetta e verrà quindi inteso secondo una definizione che associa e 
integra tra loro tre definizioni del concetto di valore: quella linguistica (che vede nel valore un effetto di 
senso differenziale), quella economica ( per la quale è un elemento che definisce il carattere desiderabile, 
negoziabile o disputabile di un oggetto o di un bene) e quella assiologica (che considera il valore 
elemento costitutivo di un orientamento etico, di norme morali o di un sistema etico) 
Il Distretto lapideo di Carrara: una proposta di marketing territoriale 
 13 
necessariamente induce un cambiamento della sua proposta relazionale, ma allo stesso 
tempo gli stakeholder dialogano tra loro e questo influenza poi il loro atteggiamento 
verso l’organizzazione. Compito delle tecniche di marketing management è gestire con 
successo tutte queste relazioni, assicurandone la coerenza, perché essa accresce la 
credibilità dell’organizzazione presso gli stakeholder; nel caso di un territorio, il 
marketing si propone di garantire la coerenza tra le azioni comunicative intraprese dai 
vari attori territoriali a due livelli, vale a dire, tra le azioni di una pluralità di soggetti 
finalizzate a promuovere il territorio presso un particolare pubblico (coerenza verticale) 
e tra le azioni di un unico soggetto che si rivolga a tutti gli stakeholder (coerenza 
orizzontale)12. L’obiettivo del marketing territoriale può riassumersi 
nell’armonizzazione dell’immagine del territorio percepita all’interno dell’area con 
quella percepita all’esterno13; per conseguire il risultato, il gestore delle azioni di 
marketing territoriale deve allineare le tre componenti dell’immagine del territorio: il 
territorio propriamente inteso, cioè la caratterizzazione fisica della zona, gestita dagli 
enti locali (ne è un esempio la dotazione infrastrutturale); la marca del territorio 
(paragonabile all’immagine comunicata), che risulta dall’operato del network di attori 
territoriali e dalla strutturazione delle loro reti di comunicazione sul territorio (basti 
pensare alla qualità dei contatti e della collaborazione tra tour operator e albergatori in 
                                                                                                                                                                  
11
 Nel marketing, per efficacia si intende «la capacità di trasformare gli obiettivi in risultati concreti», 
mentre l’efficienza è definita come «la capacità di trasformare le risorse in opportunità operative»; M. 
Lombardi; Il nuovo manuale di tecniche pubblicitarie; Franco Angeli; Milano; 2002; pag. 305 
12
 Appunti del corso di Comunicazione sociale e marketing del territorio tenuto dal prof. F. M. Pini 
all’Università di Siena nei mesi di dicembre 2003 e gennaio 2004 
13
 Qui si fa riferimento alla distinzione tra identità, immagine reale, immagine riflessa proposta da 
Morelli per le organizzazioni imprenditoriali in M. Morelli; L’immagine dell’impresa; Franco Angeli; 
Milano; 2002, integrandola con il concetto di posizionamento significato (o immagine comunicata) 
avanzata da Ceriani in Ceriani (2002) e nel corso di Teorie e tecniche della comunicazione pubblicitaria 
tenuto all’Università di Siena nei mesi di marzo, aprile e maggio 2003. Entrambi i 
concetti,originariamente elaborati con riferimento, rispettivamente all’impresa e alla marca, vengono qui 
riferiti all’organizzazione territoriale. Per Morelli «l’identità dell’impresa (corporate identity) è il come 
l’impresa è realmente. L’identità coincide, in pratica, con il sistema i valori, di principi, di scelte che essa 
compie nell’ambito della realizzazione delle proprie attività istituzionali e che, naturalmente, sarà 
influenzato dal suo porsi in relazione con il contesto nel quale l’impresa vive e opera (…). Dell’identità 
fanno anche parte, in un certo senso, tutte quelle espressioni con le quali l’impresa manifesta al suo 
esterno, cioè in pratica al pubblico di riferimento, l’insieme delle sue caratteristiche specifiche, come 
quelle veicolate, per esempio, dal design dei suoi prodotti, dagli elementi distintivi di una o più marche 
possedute, ecc.» (pag. 30). L’immagine reale dell’impresa è «l’immagine che di un’impresa i pubblici di 
riferimento percepiscono» (pag. 30). L’immagine riflessa dell’impresa è «l’immagine che ciascuna 
impresa percepisce di sé stessa» (pag. 29). Per Ceriani il posizionamento è «al contempo determinazione 
di una posizione all’interno del mondo di riferimento della marca e affermazione tramite il prodotto di 
un’identità e di un punto di vista sui propri concorrenti» (pag. 48); mentre, il posizionamento significato 
(o immagine comunicata) è «la posizione relativa comunicata al mercato e elaborato in ambito strategico 
dopo aver analizzato il mercato stesso dai gestori della marca» (appunti 13/73/2003) 
M.Giovanna Vivoli 
 14 
una località turistica); il prodotto/servizio del territorio, ovvero ognuna delle singole 
risorse e componenti dell’offerta territoriale (ad esempio, la natura soddisfacente o 
meno del servizio offerto da una struttura ricettiva)14. La promessa fatta dal territorio, 
cioè il valore offerto dai gestori delle relazioni comunicative nelle interazioni con gli 
stakeholder, deve essere mantenuta a tutti i livelli a cui la transazione si struttura, 
altrimenti l’immagine del territorio ne risulterà gravemente danneggiata. Perché questo 
obiettivo possa venir raggiunto, l’immagine comunicata presso i vari pubblici deve 
essere non solo internamente coerente, ma anche aderente all’identità del territorio; 
l’identità del territorio può essere individuata con successo se tutti gli attori territoriali 
partecipano alla sua definizione e accettano di farla propria nelle loro proposte 
relazionali con gli altri stakeholder. La difficoltà intrinseca alla programmazione e alla 
realizzazione delle attività di marketing territoriale risiede proprio nel fatto che, a 
differenza di quanto accade negli altri tipi di organizzazione, non esiste per il territorio 
un unico soggetto (paragonabile ai dipartimenti di marketing di un’impresa o di 
un’istituzione pubblica) responsabile delle relazioni con gli stakeholder, o che 
comunque svolga una funzione di indirizzo e controllo su di esse; il gruppo di soggetti -
spesso gli Enti Locali di concerto con le rappresentanze delle associazioni di categoria 
della zona- i quali inaugurano piani di marketing territoriale per il comprensorio di 
interesse assumono il ruolo di promotori della concertazione tra gli attori territoriali e di 
coordinatori delle loro azioni individuali, ma non hanno a disposizione alcuno 
strumento di controllo sull’operato degli attori, che, in ultima istanza, restano i soli 
responsabili delle relazioni singolarmente intrattenute con gli stakeholder. Da qui deriva 
l’importanza fondamentale del momento di definizione collettiva dell’identità del 
territorio e delle strategie di promozione che si vogliono intraprendere, perché, solo se si 
sentiranno coinvolti in un progetto comune, gli attori territoriali contribuiranno con 
profitto e coerenza all’implementazione di quel progetto. Quindi, una corretta gestione 
dell’immagine del territorio consente agli operatori di marketing territoriale di ottenere 
il consenso dei pubblici interni e di attrarre i pubblici esterni, scongiurando pericoli di 
oscuramento e di stereotipizzazione della percezione del territorio. 
 
Il marketing territoriale si differenzia dalla politiche di sviluppo locale perché queste 
ultime individuano contenuti più ampi e obiettivi diversificati, inoltre prevedono il 
                                                        
14
 Appunti del corso di Comunicazione sociale e marketing del territorio tenuto dal prof. F. M. Pini 
Il Distretto lapideo di Carrara: una proposta di marketing territoriale 
 15 
ricorso a una gamma più articolata di strumenti di intervento: «l’obiettivo di fondo delle 
politiche di sviluppo locale è il miglioramento di tutti gli aspetti che caratterizzano 
l’area cui esse sono riferite. E l’attuazione di tali politiche richiede l’utilizzazione di 
strumenti di natura diversa non riconducibili solo al marketing. (…) Gli interventi di 
marketing territoriale sono una componente dello sviluppo locale, poiché migliorano la 
ricchezza immateriale del territorio; in particolare accrescono la risorsa di “fiducia” di 
cui esso gode presso i diversi soggetti esterni»15. Invece, l’investment promotion , 
spesso integrata nelle politiche di sviluppo locale, ha finalità più puntuali rispetto a 
quelle del marketing territoriale, e di fatto coincide con larga parte delle attività di 
marketing territoriale rivolte ai pubblici esterni. Il tipo di investimenti che il marketing 
territoriale si propone di attrarre nel territorio sono investimenti che consentano all’area 
di inserirsi nell’economia globale attraverso l’innalzamento del livello economico-
tecnologico locale, e non tanto investimenti che si limitino a ridurre gli squilibri e le 
disuguaglianze esistenti all’interno del territorio: qui risiede la distinzione tra attrattività 
e attrazione, secondo la quale l’attrattività convoglia verso le aree di eccellenza del 
territorio investimenti del primo tipo, mentre l’attrazione è la politica di reclutamento di 
investimenti del secondo tipo descritto a favore di aree depresse del territorio. Dunque, 
per quanto riguarda la sollecitazione degli investimenti, la finalità del marketing 
territoriale è l’attrattività, però il marketing territoriale si preoccupa di progettare e 
implementare anche i presupposti tangibili e intangibili degli investimenti16. Infine, i 
programmi di marketing territoriale delineano interventi e obiettivi più complessi di 
quelli adottati da agenzie di marketing operanti a favore delle imprese di un’area, o di 
gruppi di esse; il marketing territoriale, infatti, coinvolge tutti gli attori del territorio 
(imprese, associazioni, istituzioni, enti pubblici e residenti) e pone obiettivi di 
valorizzazione delle risorse locali di cui beneficeranno tutte le componenti della 
domanda del territorio. 
 
 
 
                                                                                                                                                                  
all’Università di Siena nei mesi di dicembre 2003 e gennaio 2004 
15
 Caroli (2000), op. cit.; pagg. 58 e 59 
16
 Intervento del Dott. Laurent Sansoucy al convegno Invest in Tuscany, organizzato da Toscana 
Promozione e tenutosi a Firenze il 4/10/2005 
M.Giovanna Vivoli 
 16 
1.2 IL DIBATTITO SUL CONCETTO DI DISTRETTO INDUSTRIALE 
 
Il distretto industriale è una rete di imprese, localizzate in una stessa area geografica e 
attive principalmente in un’unica filiera produttiva, le quali strutturano rapporti 
economici e legami sociali tali da farle operare come un sistema. Sulle caratteristiche 
del distretto industriale si dirà più avanti; qui basti ricordare come e perché il distretto 
costituisca un «sistema cognitivo e relazionale appoggiato all’identità distrettuale e 
dunque alla pratica della comunicazione e della cooperazione quotidianamente 
rinnovata tra le imprese che lo compongono; il distretto è cioè un medium di 
conoscenza e di relazione che permette la comunicazione e il coordinamento operativo 
tra i soggetti situati nel medesimo contesto di esperienza locale»17. Il distretto 
industriale, infatti, non è un organismo che materialmente include le imprese 
distrettuali, ma è un sistema di relazioni che prende corpo dalle pratiche operative e 
dalla scelte strategiche messe in atto dalle imprese localizzate nell’area; dal punto di 
vista dell’impresa, il distretto rappresenta un riferimento intersoggettivo alla definizione 
del quale contribuisce con la sua azione: «gli eventi che accadono nello spazio 
semantico e pratico di un distretto hanno dunque un doppio riferimento e un doppio 
significato: essi sono eventi per il sistema, e come tali vengono interpretati e vissuti 
dagli agenti individuali che utilizzano a questo scopo il medium relazionale dell’identità 
collettiva; ma sono, allo stesso tempo, anche eventi per ciascun singolo agente, e come 
tali assumono significati differenti, specifici da caso a caso»18. Le imprese concentrate 
localmente e settorialmente sviluppano un distretto industriale solo quando, oltre al 
raggiungimento di economie di agglomerazione e di economie da azione congiunta19, 
«sintonizzano i loro processi cognitivi e decisionali, mettendosi a sistema attraverso la 
formazione di un’identità collettiva e la costruzione di circuiti di autoreferenza che la 
riproducono nello spazio e nel tempo»20. L’identità collettiva21, in cui gli attori 
                                                        
17
 E. Rullani, Evoluzione dei distretti industriali: un percorso tra de-costruzione e internazionalizzazione; 
in L. Ferrucci, R. Varaldo, a cura di; Il distretto industriale tra logiche di impresa e logiche di sistema; 
Franco Angeli; Milano; 1997; pag. 67 
18
 Rullani in Ferrucci e Varaldo (1997), op. cit.; pag. 67 
19
 Sulla definizione di economie esterne di agglomerazione e di economie da azione congiunta e sul modo 
in cui le imprese le conseguono si dirà più avanti, nel paragrafo 2.1 Il concetto di distretto industriale 
20
 Rullani in Ferrucci e Varaldo (1997), op. cit.; pag. 65 
21
 L’identità collettiva consiste in «metri comuni di interpretazione e di significazione che servono –anche 
praticamente- per comunicare e agire»; Rullani in Ferrucci e Varaldo (1997), op. cit.; pag. 65 
Il Distretto lapideo di Carrara: una proposta di marketing territoriale 
 17 
territoriali del distretto si riconoscono, diventa il mezzo di comunicazione, vale a dire 
l’insieme di valori condivisi, della comunità distrettuale; essa deriva dalla comune 
esperienza storico-sociale e viene ogni giorno ridefinita dalle pratiche di convivenza e 
di relazione (economica, sociale e culturale) che gli attori instaurano tra di loro e con 
l’esterno. L’identità distrettuale è il collante del territorio e, allo stesso tempo, il mezzo 
della sua definizione; è compresa e rielaborata nelle specifiche identità individuali degli 
attori locali e ne rappresenta il presupposto per il reciproco riconoscimento; 
dall’identificazione nell’identità collettiva derivano il senso di appartenenza e il 
commitment22 verso il territorio e il sistema dei suoi agenti. L’autoriferimento23 è la 
conseguenza della condivisione di un contesto e di una esperienza socio-economica 
come quelli del distretto, perché consiste nella possibilità per gli attori distrettuali di 
organizzare un set di significati condivisi che consente loro la comunicazione: «quando, 
attraverso la pratica quotidiana della comunicazione e della cooperazione i significati 
cessano di riferirsi al mondo soggettivo del singolo attore (impresa o persona), [si ha] 
un linguaggio locale che è valido intersoggettivamente e che serve per esprimere un 
punto di vista sistemico e non meramente individuale»24.  
 
Allora il distretto industriale è «una costruzione estremamente complessa che organizza 
il sapere e il comportamento di molti soggetti, mediando tra interessi e competenze 
individuali che possono divergere anche notevolmente dalle esigenze distrettuali»25. 
Pertanto nel distretto la dimensione comunicativa e relazionale assume un’importanza 
ancor maggiore di quanto accada in altri modelli di organizzazione territoriale; si ritiene 
che questo autorizzi l’approccio al concetto di distretto industriale e alle sue 
manifestazioni empiriche utilizzando gli strumenti concettuali delle teorie della 
comunicazione, per integrare la feconda e ricca letteratura economica e sociologica 
                                                        
22
 Per commitment qui si intende un sentimento misto di senso di appartenenza, senso di responsabilità e 
impegno che caratterizza l’atteggiamento degli attori territoriali verso il territorio di cui condividono -e 
contribuiscono a creare- l’identità 
23
 Rullani, citando Habermas, spiega così cosa intende per autoriferimento: «la formazione di significati 
utilizzabili collettivamente nella comunicazione e nella cooperazione operativa è un processo molto più 
lungo e complesso della semplice condivisione di un contesto o di un’esperienza. Occorre un processo 
(l’autoriferimento) attraverso cui i significati vengono collaudati e stabilizzati intersoggttivamente dai 
diversi individui che compongono la comunità di esperienza insediata in un certo contesto»; Rullani in 
Ferrucci e Varaldo (1997), op. cit.; pag. 65 
24
 Rullani in Ferrucci e Varaldo (1997), op. cit.; pagg. 65 e 66 
25
 Rullani in Ferrucci e Varaldo (1997), op. cit.; pag. 68 
M.Giovanna Vivoli 
 18 
esistente. Tale metodologia è fatta propria dal presente lavoro, il quale si propone di 
analizzare l’identità collettiva e le interazioni tipiche del Distretto lapideo di Carrara; 
sulla base dell’identità del territorio e dopo lo studio dell’immagine dell’area percepita 
dagli stakeholder, si avanzeranno suggerimenti per la promozione dell’identità collettiva 
tra gli attori distrettuali e la sua efficace comunicazione all’esterno del comprensorio. Si 
ritiene che il distretto industriale possa così recuperare coesione interna e competitività 
nei confronti dei concorrenti.