2 
 - garantisce meglio, rispetto ad uno stato centralizzato, la ripartizione ed il 
controllo del potere statale;  
 - preserva le tradizioni e le caratteristiche storiche di un paese;  
 - intensifica il contatto diretto con i cittadini. 
 Il principio di sussidiarietà trova le sue origini addirittura nelle opere di 
grandi filosofi del passati come Aristotele e San Tommaso d'Aquino per poi 
sfociare in alcune encicliche papali. Una concreta applicazione di tale concetto la 
si trova nella Costituzione tedesca. Infatti è il principio di sussidiarietà che regola 
il sistema federale tedesco e stabilisce i rapporti tra lo Stato e i Länder (regioni).  
 A livello europeo la sussidiarietà fa la sua comparsa nel "progetto Spinelli" 
di Unione europea adottato nel 1982. 
 Il principio di sussidiarietà non si applica a quelle materie che sono di 
competenza esclusiva della Comunità come per esempio la disciplina del Mercato 
Unico o la Politica agricola comunitaria. Il campo di applicazione di tale 
principio riguarda tutte quelle nuove competenze comunitarie non esclusive, 
previste dal Trattato, per le quali la Comunità ha il compito di incoraggiare la 
cooperazione tra stati membri e se necessario di intervenire per completarne 
l'operato. A tale proposito vengono usati nel Trattato i termini di "appoggio" e di 
"azione complementare" i quali sottolineano il carattere suppletivo dell'intervento 
comunitario in diversi campi come: l'istruzione, la formazione professionale, la 
cultura, la sanità pubblica, la protezione dei consumatori, le reti transeuropee e 
l'industria. In tutti questi settori le competenze sono distribuite tra la Comunità e 
gli stati membri; la Comunità no può sostituirsi agli stati membri nella disciplina 
di tali materie, ma deve collaborare con loro cercando di instaurare un rapporto 
abbastanza stretto come accade in Germania tra Stato federale e i Länder. Proprio 
in questo contesto opera il principio di sussidiarietà il quale funziona 
semplicemente da ripartitore delle competenze tra Comunità e stati membri; esso 
stabilisce che la competenza in una certa materia passa alla Comunità qualora "gli 
obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli 
stati membri e passano dunque a motivo delle dimensioni o degli effetti 
dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario" 
(2)
. Una 
volta che la competenza è passata alla Comunità viene anche precisato che la sua 
azione non deve andare "al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli 
obiettivi del presente trattato" 
(3)
. 
 Questo è in linea generale quanto stabilito dal principio di sussidiarietà nel 
Trattato sull'Unione europea; con l'entrata in vigore del Trattato di Maastricht  
questo principio sarà inserito espressamente, per la prima volta, come principio 
strutturale dell'ordinamento giuridico dell'Unione europea e quindi sarà messo 
nella futura costituzione europea. 
                                                           
(2)
 Trattato sull'Unione europea, art. 3b. 
(3)
 Trattato sull'Unione europea, art. 3b. 
 CAPITOLO   I 
 
 
L'EVOLUZIONE DELLA NOZIONE DI 
SUSSIDIARIETÀ NELLA STORIA E NELLA 
COMUNITÀ EUROPEA. 
 
 
1 LE ORIGINI DELLA SUSSIDIARIETÀ. 
 
Il termine italiano "sussidiarietà" deriva dal latino subsidium e significa 
aiuto, soccorso. Questa origine è forse ancora più evidente nei relativi vocaboli 
inglese e francese nei quali a differenza dell'italiano non è andata persa la "b": 
subsidiarity e subsidiarité. 
 
1.1 Radici filosofiche. 
 
 Secondo diversi studi e ricerche effettuate in Germania, nel principio di 
sussidiarietà (inteso come principio giuridico) convergono i valori e gli ideali del 
liberismo tedesco e della dottrina sociale cattolica, anche se si riconosce che le 
radici filosofiche di questo principio possono essere ritrovate addirittura in 
Aristotele, Altusio e S.Tommaso d'Aquino 
(1)
. 
 La sussidiarietà nel suo stampo filosofico viene intesa come elemento di 
demarcazione tra la sfera del cittadino e quella della politica. 
 
1.2 Idealismo e liberalismo costituzionale tedesco. 
 
 L'idealismo tedesco è un'importante corrente di pensiero sviluppatasi in 
Germania verso la fine del 1700. Trascinatori di tale movimento sono filosofi del 
calibro di Wilhelm Von Humboldt e Immanuel Kant 
(2)
. L'idealismo tedesco si 
proponeva di realizzare un ideale supremo di" bene comune", inteso come 
sviluppo libero dell'individuo, restringendo i fini ed i compiti dello Stato alla sola 
sicurezza individuale e collettiva, con esclusione di quel "benessere" richiamato 
dalla Costituzione americana. 
 Anche se questa  concezione di uno stato limitato nei fini e nei compiti va 
considerata abbandonata, la sua idea di base (Leitmotiv), cioè la tutela della 
                                                           
(1)
 V.H.J. Blanke, Das Subsidiaritätsprinzip als Schranke des Europäischen Gemeinschaftsrechts ?, 
Zeitschrift für Gesetzgebung 2 (1991), p. 134. 
(2)
 Per una presentazione degli scritti di Wilhelm Von Humboldt (Ideen zu einem Versuch, die Grenzen 
der Wirksamkeit des Staates zu bestimmen [1792] ) e di Immanuel Kant (Über den Gemeinsprunch [1793] 
), V. J.Isensee, Gemeinwohl und Staatsaufgaben im Verfassungsstaat, p. 48 et seq. 
4 
libertà individuale attraverso la determinazione di precisi limiti alle attività dello 
stato, viene ripresa verso la fine del 1800 sempre in Germania nella nuova 
corrente del Liberalismo costituzionale tedesco 
(3)
. Tale movimento si sviluppo` 
grazie agli scritti di Robert Von Mohl 
(4)
 e Georg Jellinek 
(5)
. Secondo questi 
scrittori non vanno limitati i compiti e gli scopi dello Stato in sé, ma la loro 
realizzazione da parte dello Stato. Per Jellinek lo Stato può e deve agire "nella 
misura in cui l'azione individuale o cooperativa non può realizzare il fine da 
raggiungere" e "nella misura in cui lo Stato, con i suoi mezzi, può realizzare nella 
maniera migliore l'interesse che si vuole raggiungere". In queste poche righe 
l'autore tedesco aveva già enunciato il principio di sussidiarietà praticamente un 
secolo fa gettando le basi concettuali per la costruzione di una Germania federale. 
 
1.3 La dottrina sociale cattolica. 
 
 La concezione liberale del principio di sussidiarietà converge nel XX secolo 
con la dottrina sociale cattolica che ha dato al principio di sussidiarietà la sua 
formulazione classica nell'Enciclica "Quadrigesimo anno" del papa Pio XI, 
pubblicata il 15 maggio 1931: 
 "Fixum tamen immotumque manet in philosophia sociali gravissimus illud 
principium quod neque mutari potest: sicut quae a singularibus hominibus 
proprio marte e propria industria possunt perfici, nefast est eisdem eripere et 
communitati demandare, ita quae a minoribus et inferioribus communitatibus 
effici praestarique possunt, ea ad maiorem et altiorem societatem avocare iniuria 
est simulque grave damnum ac recti ordinis perturbatio" 
(6)
. 
 In questa Enciclica il principio di sussidiarietà viene visto come criterio di 
valorizzazione delle capacità della persona e delle formazioni sociali intermedie 
contro lo statalismo. Infatti Pio XI dice che è al pari di un sacrilegio il fatto di 
togliere delle competenze a dei singoli uomini che potrebbero ben eseguirle e 
darle alla comunanza, al limite tali competenze potrebbero essere affidate a 
comunità inferiori comunque più vicine ai singoli cittadini. 
 Si legge ancora in questa Enciclica che dare le competenze alla comunità è 
un'offesa per qualsiasi tipo di società e reca un grave danno in quanto sconvolge 
il giusto ordine. In sostanza Pio XI afferma che i poteri di un determinato livello 
                                                           
(3)
 V. Isensee (op. cit.), p. 58 et seq. 
(4)
 V. R. Von Mohl, Encyclopädie der Staatswissenschaften, (2° Ed.) 1872, p. 3 et seq.; e Id., Die 
Polizey-Wissenscaft nach den Grundsätzen des Rechtsstaates, (3° Ed.) 1866, p. 19 et seq. 
(5)
 G. Jellinek, Allgemeine Staatslehre, (3° Ed.) 1913, p. 230 et seq. 
(6)
 "Tuttavia rimane fisso e stabile nella filosofia sociale codesto fondamentale principio che non può 
essere né rimosso, né cambiato: come è sacrilegio togliere ai medesimi e affidare alla comunanza quelle 
cose che possono essere eseguite dai singoli uomini, cosi queste cose possono essere fatte e conservate da 
comunanze più piccole e inferiori, è un'offesa per la più importante e grande società e nello stesso tempo 
un grave danno e uno sconvolgimento del giusto ordine". 
5 
devono occuparsi soltanto delle materie che non potrebbero essere trattate in 
maniera soddisfacente al livello inferiore. 
 Il principio di sussidiarietà è stato poi riaffermato in altre Encicliche sociali 
dei pontefici succeduti a Pio XI. Ricordiamo quella di Giovanni XXIII intitolata 
"Pacem in terris" nella quale l'obbiettivo fissato dal pontefice è quello di stabilire 
i rapporti che si devono instaurare tra autorità suprema (il monarca o un'autorità 
universale: quest'ultima è una figura voluta dai cristiani federalisti), collettività 
intermedie, famiglie e cittadini: l'autorità pubblica superiore deve risolvere i 
problemi che riguardano la realizzazione di un bene comune in ambito politico, 
economico, sociale e culturale; le collettività intermedie hanno il compito di agire 
nella loro sfera di competenze e l'autorità superiore non può occuparsi degli affari 
di queste collettività, ma deve lasciare loro esercitare liberamente i rispettivi 
diritti, i doveri e le funzioni specifiche. 
 L'ultima Enciclica in ordine cronologico che fa riferimento al principio di 
sussidiarietà è la "centesimus annus" scritta dall'attuale papa Giovanni Paolo II e 
pubblicata il 1 maggio 1991. In quest'ultima il pontefice polacco ribadisce che 
una data competenza deve essere attribuita ai poteri pubblici o al livello superiore 
di governo solo e in quanto, rispettivamente, la iniziativa sociale o il livello di 
governo inferiore, per i connotati intrinseci dell'azione da svolgere, non sia in 
grado di compierla efficacemente. 
 
1.4 Prima applicazione pratica del principio di sussidiarietà : la 
 costituzione tedesca. 
 
 Lasciando il campo prettamente dottrinale, il principio di sussidiarietà trova 
applicazione per la prima volta in Germania nella Legge fondamentale cioè la 
costituzione tedesca. 
 In verità la dottrina e soprattutto la giurisprudenza in Germania non hanno 
accettato il principio di sussidiarietà come principio generale del diritto 
costituzionale tedesco; tanto è vero che il testo della costituzione tedesca, il 
Grundgesetz, non utilizzava il termine di sussidiarietà. Inoltre il tribunale 
supremo in materia di diritto amministrativo, il Bundesverwaltungsgericht a 
Berlino, ha espressamente rifiutato di riconoscere tale principio. E comunque 
vero che il diritto costituzionale tedesco contiene diversi elementi che possono 
essere considerati come una espressione del concetto di sussidiarietà. 
 Esaminando più attentamente il diritto costituzionale tedesco, si trovano 
differenti principi che sono molto vicini al principio di sussidiarietà e in 
particolare al federalismo. La costituzione tedesca garantisce una ripartizione dei 
poteri e delle competenze tra potere centrale (il Bund), i Länder (autorità 
regionali) e le autorità comunali; soprattutto i comuni sono dotati di grandi poteri 
decisionali riguardanti gli affari locali.  
6 
 Federalismo e autonomia comunale sono quindi i due principi di base del 
diritto costituzionale tedesco e rappresentano in un certo senso il regime 
decentralizzato della Repubblica federale della Germania. 
 Un dovuto approfondimento dell'applicazione del principio di sussidiarietà 
in Germania verrà fatto nel capitolo V in quanto l'esperienza tedesca rappresenta 
per l'unione europea un insieme di insegnamenti importanti che non possono 
essere ignorati al fine di una buona applicazione della sussidiarietà anche a livello 
Comunitario.  
 
2 IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ NELLA COMUNITÀ 
 EUROPEA. 
 
2.1 Nascita ed evoluzione del principio di sussidiarietà nel diritto 
 comunitario. 
 
 Sebbene la sussidiarietà sia entrata in modo esplicito nel diritto comunitario 
soltanto dal 1992 grazie all'art. 3b del trattato di Maastricht, essa trova le sue 
origini nel contesto europeo addirittura negli anni '50. Bisogna infatti risalire al 
1951 quando nacque la prima comunità europea : la CECA (Comunità 
Economica del Carbone e dell'Acciaio). Nel suo trattato istitutivo (firmato a 
Parigi il 18 aprile 1951) si trova un primo riferimento al principio di sussidiarietà 
nell'art. 5 il quale dice che la Comunità può intervenire per disciplinare la 
produzione solamente quando le circostanze lo esigano.  
 Proseguendo nella ricerca dei riferimenti al principio di sussidiarietà nel 
diritto comunitario, bisogna ricordare il Rapporto Spierenburg del 1 maggio 
1975, il Rapporto della Commissione sull'Unione europea del 26 giugno 1975 
(ispirato da A. Spinelli) e il Rapporto Mac Dougall sul federalismo finanziario 
del 1977 
(7)
. 
 La prima enunciazione ufficiale del principio di sussidiarietà a livello 
comunitario si e avuta ad opera del Parlamento europeo nei dibattiti relativi alla 
riforma della Comunità e ha trovato espressa formulazione nel progetto di 
Trattato sull'Unione europea 
(8)
. La sussidiarietà vi è espressa nel preambolo e 
negll' articolo 12.2: "L'Union n'agit que pour mener les tâches qui peuvent être 
entreprises en commun de manière plus efficace que par les Etats membres 
oeuvrant séparement". Il principio di sussidiarietà nel progetto Spinelli vi figura 
come principio cardine per regolare l'ampliamento dell'azione comunitaria nei 
settori di competenza concorrente e subordina tale ampliamento, oltre che al 
rispetto del principio, all'adozione della legge organica, che prevede l'intervento 
                                                           
(7)
 Relazione del gruppo di studio sul ruolo della finanza pubblica nell'integrazione europea, Vol. I, 
Relazione generale, Bruxelles - Lussemburgo, 1977, pp. 51 ss. 
(8)
 "Progetto Spinelli" adottato dal Parlamento europeo il 14 febbraio 1984. 
7 
congiunto del Parlamento e del Consiglio. Una volta che l'Unione abbia deciso di 
esercitare le sue competenze, gli Stati membri perdono il loro potere di legiferare. 
In questo contesto il principio riveste una funzione positiva di rafforzamento 
dell'azione comunitaria, sia pure nel rispetto di determinate condizioni 
procedurali e sostanziali al fine di rendere effettive ed esclusive determinate 
competenze potenziali della Comunità.  
 Una seconda enunciazione ufficiale del principio di sussidiarietà la si trova 
nell'art. 130 R, n.4 aggiunto al trattato CEE dall'AUE (Atto Unico Europeo) 
firmato a Lussemburgo il 27 febbraio 1986 e all'Aia il 28 febbraio 1986. Questo 
articolo applica la sussidiarietà nell'ambito della politica ambientale : 
 "La Comunità agisce in materia ambientale nella misura in cui gli obbiettivi 
di cui al paragrafo 1 possono essere meglio realizzati a livello comunitario 
piuttosto che a livello dei singoli Stati membri. Fatte salve alcune misure di 
carattere comunitario, gli stati membri assicurano il finanziamento e l'esecuzione 
delle altre misure". 
 Anche in questo caso, il principio assume una funzione essenzialmente 
positiva, tesa a giustificare intervento comunitario senza per altro che la 
disposizione in parola fornisca criteri più precisi al fine di valutare quando 
l'azione comunitaria risulti effettivamente necessaria. Quindi la legittimità di un 
intervento comunitario è conseguente alla rilevazione di un intervento più 
efficace rispetto a quello degli Stati membri. L'individuazione di una tale 
possibilità potrà essere fatta solamente in concreto, in relazione a ciascuna 
ipotesi, ed è inevitabile che giochi in proposito un ampio potere discrezionale 
degli organi della Comunità. 
 Continuando in ordine cronologico si trovano altre affermazioni del 
principio di sussidiarietà nel preambolo (punto 15) della carta comunitaria dei 
diritti fondamentali dei lavoratori adottata a Strasburgo il 9 dicembre 1989 dai 
capi di Stato e di governo degli Stati membri (eccetto il Regno Unito) e nella 
motivazione della decisione del Consiglio il 12 marzo 1990 (n. 90/141), relativa 
alla realizzazione di una convergenza progressiva delle politiche e dei risultati 
economici durante la prima fase dell'U.E.M 
(9)
. 
 Un importante passo in avanti nella concezione della sussidiarietà venne 
fatto dal Parlamento europeo nella risoluzione sul principio di sussidiarietà del 12 
luglio 1990 
(10)
 la quale sottolinea l'importanza del principio (di cui auspica la 
"consacrazione" nel futuro trattato sull'Unione europea) come "guida politica" per 
stabilire l'ambito delle competenze comunitarie nei settori oggetto di competenze 
concorrenti e legittimare il trasferimento di competenze legislative dagli Stati 
membri alla Comunità, sotto il controllo del Parlamento stesso. In questo 
documento appare già più netta l'esigenza di attribuire al principio di sussidiarietà 
                                                           
(9)
 In G-U.C.E. 1990, L78, p. 23. 
(10)
 In G.U.C.E. C 231/167 del 17 settembre 1990. 
8 
una funzione prevalente di mantenere nella sfera degli Stati membri il maggior 
numero di competenze e di garantire le specificità degli enti territoriali autonomi 
nell'ottica del maggiore decentramento possibile. 
 Questa nuova tendenza si trova ancora più accentuata nella successiva 
risoluzione del 21 novembre 1990 
(11)
, nella quale si sottolinea che l'intervento 
della Comunità, nei settori di competenza non esclusiva, può avvenire solo nella 
misura in cui la realizzazione di certi obbiettivi rende necessario l'intervento 
comunitario, e questo in base a dei criteri alternativi : o perché le dimensioni o gli 
effetti degli obbiettivi oltrepassano le frontiere degli Stati membri, oppure perché 
la Comunità può conseguire le finalità stesse più efficacemente che non gli Stati 
membri operanti singolarmente.  
 Infine il principio di sussidiarietà diventa principio fondamentale del diritto 
comunitario grazie all'articolo 3b del trattato di Maastricht. 
 
2.2 La sussidiarietà nel trattato di Maastricht e la sua introduzione. 
 
 Diverse furono le tappe che portarono alla formulazione dell'articolo 3b, e 
in generale dell'inserimento della sussidiarietà, nel trattato di Maastricht.  
 Innanzi tutto l'introduzione del principio di sussidiarietà nell'ordinamento 
giuridico della futura unione europea era stata proposta nel progetto di trattato 
sull'unione europea elaborato dal Parlamento europeo nel 1984 (v. l'art. 12.2 del 
"progetto Spinelli") 
(12)
. 
 Un ulteriore passo in avanti in questa direzione venne fatto con la 
dichiarazione del presidente della Commissione europea, Jaques Delors, in 
occasione del suo incontro con i Primi ministri dei Länder tedeschi il 19 maggio 
1988 a Bonn. Delors affermò in quella occasione di essere egli stesso un 
sostenitore del principio di sussidiarietà, inteso non esattamente nel significato 
che gli è stato attribuito nel diritto costituzionale tedesco, ma nel senso che sul 
piano europeo si sarebbero dovute regolare solo quelle materie che potevano 
essere regolate meglio a tale livello 
(13)
. 
 Con questa dichiarazione si ritenne che il passo decisivo per l'adozione del 
principio di sussidiarietà fosse stato fatto. Ispirandosi al progetto di trattato del 
1984, la Commissione Istituzionale del Parlamento europeo ha proposto, nel suo 
rapporto dedicato proprio al principio di sussidiarietà, di introdurre una 
definizione del principio nel trattato CEE. Nel rapporto si suggeriva che, dal 
punto di vista giuridico, la realizzazione del principio di sussidiarietà doveva 
essere garantita mediante l'attribuzione alla Corte di Giustizia della competenza a 
                                                           
(11)
 In G.U.C.E. C 324/167 del 24 dicembre 1990. Si veda anche la Risoluzione del 12 dicembre 1990, 
in G.U.C.E. C 19/65 del 28 gennaio 1991. 
(12)
 J. O. CEE 1984 C77/33; V. Costantinesco, Subsidiarität: Magisches Wort oder Handeungsprinzip 
del Europäischen Union ?, Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht 2 (1991), p. 169 et seq. 
(13)
 V. H.J. Blanke (op. cit.), p. 137. 
9 
svolgere il suo sindacato anche in questo ambito, nonché mediante il 
riconoscimento agli organi comunitari e agli Stati membri di un apposito diritto di 
azione dinanzi alla stessa Corte di Giustizia.  
 Anche i Länder tedeschi si sono battuti perché il principio di sussidiarietà 
fosse introdotto nel trattato dell'unione politica, considerandolo come un mezzo 
di salvaguardia delle loro competenze nel processo di integrazione europea 
(14)
. 
L'apporto della Germania fu decisamente importante in quanto un gruppo di 
lavoro dei governi dei Länder aveva elaborato una proposta in ordine alla 
possibile definizione del principio di sussidiarietà 
(15)
 (accettata anche dal 
Bundesrat 
(16)
) secondo la quale gli interventi degli organi comunitari sarebbero 
stati subordinati ad una effettiva necessità per la realizzazione degli scopi 
comunitari, oltre che alla insufficienza delle misure nazionali (federali o 
regionali) . Questi elementi si trovano anche nel compromesso finale tra Governo 
federale e Länder 
(17)
. 
 Gli elementi comuni di tutte queste proposte erano, in primo luogo, la 
giustiziabilità del principio di sussidiarietà e, in secondo luogo, la fissazione di 
condizioni all'attività comunitaria. Va sottolineato inoltre che i Länder non hanno 
preteso un impegno formale del governo federale a richiedere, a livello 
comunitario, che al nuovo "Comitato delle Regioni" fosse riconosciuto un diritto 
di azione autonomo davanti alla Corte di Giustizia in caso di violazione del 
principio di sussidiarietà.  
 Benché la decisione di introdurre espressamente il principio di sussidiarietà 
come principio generale dell'ordinamento giuridico della futura Unione europea 
fosse stata presa in precedenza, la formulazione precisa di tale principio nel 
nuovo articolo 3b è stata discussa fino all'ultimo momento.  
 Nel progetto della presidenza olandese si proponeva di riconoscere alla 
Comunità la competenza ad intervenire con propri atti semplicemente se il fine 
comunitario potesse essere "meglio" realizzato a livello comunitario piuttosto che 
a livello degli Stati membri. La formulazione finale dell'articolo 3b, invece, 
dispone che la Comunità può agire solamente  se il fine non può essere realizzato 
in maniera adeguata dagli Stati membri e, per questa ragione, può essere meglio 
realizzato sul piano comunitario. Questo è in sintesi quanto viene espresso 
dall'art. 3b del trattato sull'Unione Europea e un suo dovuto approfondimento sarà 
                                                           
(14)
 V. K.Hailbronner, Die deutschen Bundesländer in der EG, Juristenzeitung 45 (1990), p. 152 et seq.; 
F.L. Knemeyer, Subsidiarität, Föderalismus, Dezentralisierung. Initiativen zu einen Europa der 
Regionen, Deutsches Verwaltungsblatt 105 (1990), p. 449 et seq.; A. Schink, Die europäische 
Regionalisierung, Die öffenteiche Verwaltung 45 (1992), p. 385 et seq.; e W. Vitzthum, Der 
Föderalismus in der europäischen und internationalen Einbindung, Archiv des öffentlichen Rechts 115 
(1990), p. 281 et seq.  
(15)
 V. H.J.Blanke (op. cit.), p. 140. 
(16)
 V. Bundesrat - Drucksache 550/90 del 24 agosto 1990. 
(17)
 V. H.J.Blanke (op. cit.), p. 141. 
10 
affrontato nel capitolo II; ad ogni modo il principio di sussidiarietà nel trattato di 
Maastricht è accennato anche nel : 
 - preambolo: " ... Decisi a portare avanti il processo di creazione di 
un'unione sempre più stretta fra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano 
prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio di 
sussidiarietà ... " 
 - art. B del titolo I delle disposizioni comuni (secondo comma): " ... Gli 
obbiettivi dell'Unione saranno perseguiti conformemente alle disposizione del 
presente trattato, alle condizioni e secondo il ritmo ivi fissati, nel rispetto del 
principio di sussidiarietà definito dall'art. 3b del trattato che istituisce la 
Comunità europea."  
 
2.3 Applicazione indiretta del principio di sussidiarietà a livello 
 comunitario. 
 
 E stato sostenuto da più parti che il principio di sussidiarietà, anche se non 
espressamente menzionato come principio di distribuzione delle competenze tra 
le Comunità e gli Stati membri, tuttavia avrebbe già trovato spazio e applicazione 
di fatto nell'esperienza comunitaria.  
 Risulta molto interessante esaminare, a questo proposito, ciò che è 
contenuto nell'articolo 5 del trattato CEE :  
 "Gli Stati membri adottano tutte le misure di carattere generale o particolare 
atte ad assicurare l'esecuzione degli obbiettivi derivanti dal presente Trattato 
ovvero determinanti dagli atti delle istituzioni della Comunità. Essi facilitano 
quest'ultima nell'adempimento dei propri compiti." e l'art. 100 sempre del trattato 
CEE :  
 "Il Consiglio deliberando all'unanimità su proposta della Commissione, 
stabilisce direttive volte al riavvicinamento delle disposizioni legislative, 
regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un'incidenza 
diretta sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato comune. L'Assemblea 
e il Comitato economico e sociale sono consultati sulle direttive la cui esecuzione 
importerebbe, in uno o più Stati membri, una modificazione nelle disposizioni 
legislative." 
 Questi articoli esprimono il dovere di cooperazione e di assistenza che deve 
esserci tra organi comunitari e statali il quale conferisce agli Stati membri 
determinati poteri che vengono espressi nelle direttive. Possiamo affermare che il 
principio di sussidiarietà trova implicitamente applicazione ogni volta che le 
istituzioni agiscono tramite lo strumento delle direttive, dal momento che queste 
presuppongono e richiedono l'esercizio di competenze interne per la loro 
attuazione, lasciando agli Stati ampi margini di manovra, nel rispetto dunque 
delle loro esigenze specifiche e della loro situazione interna (competenze di 
11 
attuazione che a loro volta potranno essere esercitate dagli enti territoriali dotati 
di propria autonomia) . 
 Certamente si verifica in tal caso un concorso di competenze comunitarie e 
statali: ma ciò rientra nell'assetto "normale" che caratterizza l'ordinamento 
comunitario, per il quale gli Stati costituiscono l'apparato esecutivo del diritto 
comunitario.  
 Inoltre margini discrezionali di attuazione per gli organi statali possono 
aversi anche nell'ambito di materie attribuite alla competenza esclusiva della 
Comunità, in settori dove cioè di solito non vi è spazio per l'applicazione del 
principio di sussidiarietà: a dimostrazione che esso non può ridursi a criterio di 
attribuzione di semplici competenze attuative. Ciò non esclude ovviamente che 
nella definizione di tali spazi di manovra possa influire anche la valutazione circa 
una maggiore idoneità dell'azione statale a disciplinare certi aspetti. Ma il 
principio di sussidiarietà ha una valenza ed un'incidenza diverse e ben più 
pregnanti : esso infatti è chiamato ad operare in un momento antecedente a quello 
dell'attuazione, ossia quello della determinazione, in caso di competenze 
concorrenti, delle ipotesi in cui la Comunità possa intervenire in settori lasciati in 
principio all'azione degli Stati membri: non, o solo marginalmente, come criterio 
per l'attribuzione di competenze di attuazione in quel settore. Il principio ha 
dunque per effetto di rendere effettiva una competenza potenziale della 
Comunità, precisandone i limiti e il contenuto. 
 Tutto questo ragionamento serve a concludere che nell'applicazione delle 
direttive da parte degli Stati membri non può essere vista un'applicazione 
indiretta del principio di sussidiarietà. 
 Anche l'art. 235 del trattato CEE è ritenuto da molti una enunciazione 
implicita del principio di sussidiarietà, in quanto la decisione circa la necessità di 
affidare alla Comunità poteri di azione non previsti e necessari per raggiungere 
uno degli scopi della Comunità, comporta o dovrebbe comportare anche una 
valutazione sulla corrispondente inadeguatezza o minore efficacia dell'azione 
svolta dai singoli Stati membri in quel settore. 
 In verità l'art. 235 opera, o ha operato fin ora, in modo indipendente dal 
principio di sussidiarietà (anche se non necessariamente senza tenerne conto), 
anzi talora il suo uso può essere considerato come una deviazione da quello. Il 
funzionamento dell'art. 235 infatti può prescindere dal concetto di sussidiarietà, 
in quanto l'unica condizione prevista affinché la competenza sia data alla 
Comunità è che ci sia un legame funzionale tra la nuova azione comunitaria ed il 
proseguimento di un obbiettivo del trattato, indipendentemente dall'accertamento 
se essa possa essere svolta dagli Stati membri in modo altrettanto efficace. Se mai 
tale articolo potrebbe indurre ad una ulteriore valutazione di altri parametri per 
concludere sulla necessità dell'azione e ritenere quindi che essa non è necessaria 
se l'obbiettivo può essere raggiunto anche a livello nazionale. Ma si tratta solo di 
12 
uno dei possibili criteri utilizzabili, non il principale ed esclusivo. Per questi 
motivi anche l'art. 235 non è espressione implicita del principio di sussidiarietà.  
 C'è infine l'art. 130 R n.4 del trattato CEE (modificato dall'AUE) il quale è 
ritenuto, da un'opinione molto diffusa nella dottrina tedesca, una 
concretizzazione, nel diritto comunitario, del principio di sussidiarietà.  
 Secondo un'altra opinione invece, in questa disposizione potrebbe essere 
ritrovato soltanto il principio generico sull'orientamento di massima che la 
Comunità deve osservare nell'esercizio delle sue competenze. 
 La formulazione letterale della disposizione citata ed in particolare 
l'espressione "la Comunità agisce in materia ambientale nella misura in cui gli 
obbiettivi  ...  possono essere meglio realizzati a livello comunitario piuttosto che 
a livello dei singoli Stati membri" risulta molto indeterminata. Così gli studiosi 
ritengono che si debba attribuire agli organi comunitari competenti un potere 
discrezionale sindacabile solo in parte dalla Corte di Giustizia. Tuttavia, dato che 
la Corte di Giustizia non ha ancora enunciato i criteri in base ai quali valutare 
quando i fini della politica ambientale possono essere meglio realizzati sul piano 
comunitario, gli stessi studiosi che vedono in tale articolo una concretizzazione 
del principio di sussidiarietà dubitano che, con questa disposizione, gli interessi 
degli Stati membri possano essere tutelati in maniera effettiva nei confronti della 
Comunità. Per questa ragione essi hanno proposto che il principio di sussidiarietà 
fosse introdotto in forma scritta nell'ordinamento giuridico comunitario come 
principio strutturale generale, in una formulazione che fosse la più chiara 
possibile e che consentisse effettivamente un sindacato della Corte di Giustizia. 
Questa richiesta fu realizzata, almeno formalmente, con l'articolo 3b del trattato 
CEE introdotto dal trattato sull'Unione Europea di Maastricht. 
 Ad ogni modo ritengo che l'art. 130 R n.4 sia l'unico a livello concettuale ad 
aver espresso il principio di sussidiarietà ed è per questo motivo che viene 
considerato come predecessore dell'art. 3b. 
CAPITOLO   II 
 
 
IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ NEL DIRITTO 
COMUNITARIO E NELL'ART. 3B DEL TRATTATO 
DI MAASTRICHT. 
 
 
1 L'ARTICOLO 3B. 
 
 Come abbiamo visto nel capitolo precedente (2.2), il principio di 
sussidiarietà è stato inserito nel trattato di Maastricht in tre punti: nel preambolo, 
nell'articolo B del Titolo I delle disposizioni comuni e nell'art. 3b del Titolo II. 
 Nel preambolo si dice in maniera generale che il progetto di unione europea 
viene condotto conformemente al principio di sussidiarietà. L'articolo B del 
Titolo I, nell'enunciare gli obbiettivi della Comunità, dice che questi dovranno 
essere perseguiti nel rispetto del principio di sussidiarietà; tale articolo deve 
essere interpretato nel senso che il principio è destinato a guidare le azioni 
condotte ai sensi dei trattati CECA ed EURATOM (nei quali una norma del tipo 
dell'art. 3b non era stata introdotta). 
 È l'articolo 3b del Titolo II del TUE che contiene la definizione del 
principio di sussidiarietà e le sue condizioni di applicazione. Tale principio non 
ha comunque valenza super costituzionale, non è il principio dei principi in 
quanto la realizzazione degli obbiettivi rimane prioritaria. 
 
1.1 Struttura. 
 
 Il principio di sussidiarietà ha trovato nel 1992 formale consacrazione nel 
trattato sull'Unione europea nell'art. 3b il quale recita come segue: 
 "La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e 
degli obbiettivi che le sono assegnati dal presente trattato. 
 Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità 
interviene, secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui 
gli obbiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati 
dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti 
dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. 
 L'azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il 
raggiungimento degli obbiettivi del presente trattato." 
 Come appare evidente la norma si struttura in tre commi.  
14 
 Il primo comma contiene due principi che pongono degli obbiettivi 
all'azione della Comunità: il principio di attribuzione e quello di funzionalità. Dal 
principio di attribuzione prende corpo la problematica relativa alla demarcazione 
delle competenze esclusive e concorrenti; essa è abbastanza complessa e non 
sufficientemente disciplinata nel contesto del diritto comunitario e per tali motivi 
un suo esame più attento verrà fatto più avanti assieme ai principi sopra 
menzionati. 
 Il secondo comma dell'art. 3b consacra il principio di sussidiarietà come 
principio costituzionale dell'ordinamento comunitario e detta le condizioni 
fondamentali per l'applicazione del medesimo. 
 Infine il terzo comma, introdotto su insistenza del Regno Unito, dispone che 
l'azione della Comunità non possa andare al di là di quanto necessario per il 
raggiungimento degli obbiettivi che ad essa sono assegnati. Questo è il principio 
di necessità, o principio di proporzionalità, inteso come limite all'azione della 
Comunità; esso già figurava nell'art. 235 del trattato CEE e venne ripreso dal 
Consiglio Europeo a Edimburgo (11-12 dicembre 1992) il quale ha fissato alcuni 
orientamenti applicativi che saranno visti più avanti (cap. III). 
 
1.2 Funzione e portata dell'art. 3b: principio di attribuzione, di 
 funzionalità e generale (comma 1). 
 
 Il primo comma dell'articolo 3b contiene i principi di attribuzione e di 
funzionalità. 
 Il principio di attribuzione implica che la Comunità possa agire solamente 
nei limiti delle competenze ad essa assegnate dal trattato. Questo obbligo 
ovviamente si impone alle istituzioni mediante le quali la Comunità agisce e, 
come tale, esso già figura nell'art. 4, par. 1 del trattato CEE modificato dal TUE: 
 "L'esecuzione dei compiti affidati alla Comunità è assicurata da: 
 - un PARLAMENTO EUROPEO; 
 - un CONSIGLIO; 
 - una COMMISSIONE; 
 - una CORTE DI GIUSTIZIA; 
 - una CORTE DEI CONTI. 
 Ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite 
dal presente trattato." 
 Il principio di funzionalità dice che la Comunità può agire soltanto al fine di 
realizzare gli obbiettivi fissati dal trattato. 
 Esiste inoltre un principio generale secondo il quale le competenze sono 
riservate primariamente agli Stati membri e la loro attribuzione alla Comunità 
costituisce l'eccezione (la Commissione, nella sua comunicazione al Consiglio e 
al Parlamento sul principio di sussidiarietà ha chiaramente fatto riferimento a tale 
15 
concetto 
(1)
). Ciò significa che il riconoscere e attribuire agli Stati membri 
l'esercizio delle competenze in certi campi non riservati in maniera esclusiva alla 
Comunità, non dipende dall'applicazione del principio di sussidiarietà, ma dal 
principio generale. Così nel settore delle competenze concorrenti, gli Stati 
membri conservano le loro proprie competenze fino a quando la Comunità riesce 
ad intervenire. Ora il problema è quello di definire quando la Comunità può e 
deve intervenire e se il suo intervento e legittimo in deroga al principio generale. 
 Nel quadro normativo del trattato di Roma, tale decisione era lasciata alla 
valutazione delle istituzioni comunitarie le quali consideravano necessario ed 
opportuno di intervenire per regolare una materia prevista dal trattato. In sostanza 
nessun criterio oggettivo regolava tale intervento, eccetto il principio di 
funzionalità. Non bisognava, ne giustificare la necessità dell'azione, ne che era 
stata eseguita in maniera soddisfacente; l'unica cosa da dimostrare era che essa 
perseguiva una finalità del trattato. Soltanto il rispetto del principio di 
proporzionalità (contenuto già nel trattato CEE) poteva costituire un limite 
all'intensità dell'intervento comunitario. 
 Con l'art. 3b del trattato di Maastricht le regole cambiano e interviene il 
principio di sussidiarietà che ha il compito di completare e "correggere" il 
principio di funzionalità. Ora l'intervento della Comunità non deve avere 
solamente come finalità la realizzazione di uno degli obbiettivi previsti dal 
trattato, ma devono essere soddisfatte anche le esigenze della sussidiarietà. Il 
principio di funzionalità non è più sufficiente per legittimare da solo l'intervento 
comunitario nell'ambito delle competenze concorrenti. L'esercizio di una 
competenza da parte della Comunità è ora regolamentato dal principio di 
sussidiarietà dell'art. 3b che rispetto al trattato CEE aggiunge il principio di 
attribuzione e la duplice condizione (1.5). Per quanto riguarda il principio di 
proporzionalità questo era già presente nel trattato di Roma, ma ora tutto è stato 
messo in un solo articolo. 
 Cosi formulata la sussidiarietà agisce sia come principio regolatore 
dell'esercizio delle varie competenze all'interno di quei campi dove un intervento 
della Comunità è previsto in deroga al principio generale che privilegia le 
competenze di livello inferiore, sia come principio di individuazione della 
titolarità per esercitare certe competenze 
(2)
. 
 Vista in questa sua funzione specifica il principio di sussidiarietà risponde 
sicuramente all'esigenza di partecipazione e di decentralizzazione. Comunque 
anche in tal caso esso non può essere considerato uno strumento ideato per 
realizzare la decentralizzazione dell'azione comunitaria verso i livelli inferiori. 
                                                           
(1)
 Comunicazione del 27 ottobre 1992, Bull. CE 1992, p.116 e s. 
(2) 
Costantinesco, La subsidiarité comme principe constitutionnel de l'intégration européenne, Aussen-
Wirtschaft, 1991, p.207 e s.