6 
 
Codice civile, i limiti dogmatici circa l’identificazione del contratto con 
l’accordo, proprio per la presupposta funzione unificante del consenso (a cui 
un recente contributo ha peraltro attribuito un carattere mitico
2
), nonché al 
diffondersi di una sempre più ridotta sfera di applicazione dell’autonomia 
contrattuale, determinata dalla sussunzione nell’ordinamento di tipi negoziali 
in cui appare con evidenza la compressione del puro consenso delle parti, nella 
limitazione alla libertà di contrarre sul ‘se’ e sul ‘come’ dei reciproci rapporti
3
. 
Ciò che interessa considerare, quanto alla rilevanza dell’elemento del 
consensus nel pensiero giuridico romano, assieme ai problemi legati alla 
identificazione della figura del contractus come attestata nelle fonti, è il 
momento storico e le condizioni a partire dalle quali viene posto in rilievo dai 
giuristi l’accordo delle parti – o conventio – come essenziale per l’integrazione 
del contractus, attraverso gli sviluppi del pensiero giurisprudenziale romano 
intorno alla sua nozione. 
Tale problematica sorge, infatti, in relazione alla possibilità di cogliere 
non una contrapposizione, ma bensì una continuità di atteggiamenti dalla 
giurisprudenza classica fino a quella postclassica, e giustinianea, circa i 
rapporti tra conventio e contractus – in base ad una supposta intrinsecità del 
consensus al contrahere delle fonti –, i quali hanno infine portato al prevalere 
del principio del consensualismo nella definizione moderna di contratto. E ciò, 
peraltro, senza tralasciare, quale addentellato storico di tale concezione, il 
particolare riferimento alla rilevanza data nell’edictum de pactis, pur 
all’interno di un sistema contrattuale tipico quale era quello romano, al mero 
                                                          
2
  Lo scritto è di R. MARTINI, Il mito del consenso nella dottrina del contratto, in 
Iura, XLII, 1991, 97 in cui l’Autore, in un breve cenno in prospettiva moderna, si 
richiama ai contributi di F. Gallo e G. Gilmore, per poi esporre la propria critica alla 
concezione consensualistica del contratto, in relazione, per la maggior parte, al diritto 
antico. 
3
  In specie, i contratti per adesione, per i quali cfr. A. TRABUCCHI, Istituzioni di 
diritto civile, Padova, 2001, 685 s. 
  
 
 
 
7 
 
accordo delle parti già a partire almeno dall’inizio del I secolo a.C., tramite 
strumenti pretori e senza apparenti limiti di contenuto
4
; nonché alla tutela delle 
convenzioni atipiche, in quanto produttive di effetti obbligatori pur non 
integrando uno dei tipi edittali previsti, e a cui la giurisprudenza era venuta a 
riconoscere una coercibilità sostanzialmente corrispondente a quella delle 
fattispecie già protette dall’ordinamento. 
Dall’analisi dei passi, nel Corpus Iuris Civilis, in cui ricorre il termine 
conventio, non risulta peraltro potersi trarre in modo esplicito, in rapporto alla 
figura del contractus inteso come categoria generale, l’affermazione della sua 
coincidenza con l’accordo; è opinione comune che essa sia emersa in età 
giustinianea, tradotta in definizione da Teofilo
5
 nel noto passo della sua 
Parafrasi alle Istituzioni di Giustiniano. 
Né sembra potersi ammettere che questo fosse l’effettivo svolgimento 
del pensiero giuridico romano, soprattutto nel caso in cui con il termine 
contractus ci si limitava a designare, in un significato generale, tutti i negozi 
produttivi di obbligazioni, considerando come rilevanti nella serie di quegli 
atti, frutto di un processo storico di formazione differenziato, i singoli fatti – 
res, verba, litterae e consensus –, determinanti gli effetti obbligatori, 
indipendentemente dal riconoscimento dell’accordo quale elemento comune 
sottostante a ciascuno dei quattuor genera obligationum. Atteggiamento, 
questo, che portava a recuperare il valore più spiccatamente classificatorio 
della quadripartizione delle fonti di obbligazioni, basato sulle modalità di 
perfezionamento del contratto, più che sull’elemento particolare da cui 
                                                          
4
  Cfr. M. TALAMANCA, voce Contratto e patto nel diritto romano, in Digesto 
delle discipline privatistiche, Sezione civile, IV, Torino, 1989, 72 ss. 
5
  Cfr. Theoph. 3.13.2, dove la definizione che viene data, del contratto, 
specificandone il contenuto obbligatorio, ricalca la nozione ulpianea del pactum, in 
D. 2.14.1.2 (Ulp. 4 ad ed.), come duorum pluriumve in idem placitum et consensus 
(συνάλλαγμα  δέ  ἐστι  δύο  ἢ  καὶ  πλειόνων  εἰς  τὸ  αὐτὸ  σύνοδός  τε  καὶ 
συναίνεσις). 
  
 
 
 
8 
 
dipendeva l’asservimento ad esso. 
Ma si deve, al tempo stesso, riconoscere che la dottrina romanistica si è 
sviluppata lungo due vie diverse nell’affrontare la nozione di contratto, l’una, 
per così dire, oggettivistica, l’altra consensualistica, di cui questa caratterizzata 
appunto, sulla scorta di fonti giuridiche ma anche letterarie, dalla tendenza a 
riportare già al diritto classico la concezione del contratto come accordo, pur 
essendo, per i più, riconosciuta una creazione tutta moderna
6
. 
L’orientamento diffuso prende le mosse dal noto passo, riportato in 
D. 2.14.1.3, dove Ulpiano richiama la celebre affermazione di Pedio
7
, in cui il 
giurista sosteneva non esservi contractus od obligatio che non avesse in sé una 
conventio, la cui essenza, tramite un’immagine del convenire pregnante di 
fisicità, ben evidenziava l’idea dell’accordo. 
Come anche in Gaio
8
 (3.136) è apparsa decisiva la precisazione sulla 
mera sufficienza del consenso per far nascere le obbligazioni contratte 
consensu per sostenere che, secondo quel giurista, il consenso, esplicantesi 
nell’accordo delle parti, fosse il principio ispiratore di un concetto di 
contractus atto a sovrapporsi, in modo unitario, alla quadripartizione delle 
categorie di obligationes ed inteso in senso consensualistico. 
E nella stessa prospettiva si collocano i richiami, presenti nei contributi 
di molti studiosi, alla prima delle definizioni di contractus che si rinviene nelle 
fonti romane, quella labeoniana (in D. 50.16.19)
9
, fondata sull’ultro citroque 
                                                          
6
  R. MARTINI, Il mito, cit., 101. 
7
  D. 2.14.1.3 (Ulp. 4 ad ed.): … adeo autem conventionis nomen generale est, 
ut eleganter dicat Pedius nullum esse contractum, nullam obligationem, quae non 
habeat in se conventionem, sive re sive verbis fiat: nam et stipulatio, quae verbis fit, 
nisi habeat consensum, nulla est. 
8
  Gai 3.136: Ideo autem istis modis consensu dicimus obligationes contrahi, 
quod  neque verborum neque scripturae ulla proprietas desideratur, sed sufficit eos, 
qui negotium gerunt, consensisse … 
9
  D. 50.16.19 (Ulp. 11 ad ed.): Labeo libro primo praetoris urbani definit … 
  
 
 
 
9 
 
obligatio, per trarne un’allusione non espressa allo scambio di volontà, 
oppure, più in generale, all’edictum de pactis – quale fulcro del 
consensualismo giuridico –, nel quale emergerebbe, come è stato sostenuto, la 
«qualificazione del consenso in quanto tale come atto produttivo di effetti 
giuridici e della tutela diretta del consenso in quanto accordo di volontà»
10
. 
Ciò ritenuto, se pare evidente la consapevolezza, sul piano della struttura 
delle varie fattispecie contrattuali, della rilevanza dell’accordo delle parti ad 
opera della giurisprudenza, anche classica, in opposizione a questo 
orientamento dottrinale resta il fatto che la nozione romana di contratto si 
presenta in una pluralità di aspetti, coessenziali e tra loro interferenti, nonché 
refrattari agli sforzi di introdurvi concetti univoci e reciprocamente non 
permeabili. Nello sviluppo empirico della giurisprudenza romana essa «resta 
un’idea con molte anime»
11
, indice di un certo atteggiamento per cui, in un 
sistema improntato alla tipicità, il problema di risolvere il contrahere delle 
parti sul piano del solo consenso resta spesso sullo sfondo, mentre più 
direttamente percepibile appare l’emergere della consensualità a partire dai tipi 
negoziali riconosciuti, come il tentativo di elaborare attorno a quelle figure di 
confine, basate sullo scambio consensuale di prestazioni e realizzabili nella 
prassi negoziale, e di ricondurle entro gli schemi del sistema edittale, 
ricercandone adeguate forme di tutela. 
Il trascurare le diverse componenti essenziali del fenomeno contrattuale, 
impoverendone il processo storico sul terreno della formazione di una nozione 
generale di contratto fondata sul consenso già dalla sua origine, non rende 
conto, peraltro, dell’attenzione dei giuristi romani alla molteplicità degli 
aspetti della negozialità e alla loro applicazione, seguendo un metodo 
casistico, nella realtà concreta, senza perseguire finalità dogmatizzanti, ma in 
                                                                                                                                                                    
contractum autem ultro citroque obligationem, quod Graeci συνάλλαγμα vocant, 
veluti emptionem venditionem, locationem conductionem, societatem … 
10
  A. SCHIAVONE, Studi sulle logiche dei giuristi romani, Napoli, 1971, 35. 
11
  M. SARGENTI, Svolgimento, cit., 72. 
  
 
 
 
10 
 
aderenza al vincolo, permanente in tutto il corso della giurisprudenza del 
principato, della tipicità contrattuale
12
. 
 
 
 
2. ‘Contractus’ e ‘conventio’: posizioni della dottrina. 
  
Seguendo le considerazioni avanzate in dottrina circa la ricostruzione 
della nozione di contractus, si possono passare in rassegna le principali 
posizioni della storiografia romanistica che si sono susseguite dalla fine 
dell’Ottocento e lungo il corso del secolo XX, oscillanti tra il riconoscimento 
dell’essenza obbligante del vincolo e la rilevanza del profilo dell’accordo. 
Uno dei primi orientamenti di rilievo fu quello che andò affermandosi 
come reazione al cd. «dogma della volontà», che aveva trovato ampio 
riconoscimento nell’ideologia liberale dell’Ottocento; la descrizione del 
contratto come negozio rivolto alla costituzione del rapporto obbligatorio, pur 
essendone un suo requisito la conventio, venne a mettere in evidenza la non 
biunivocità della relazione contractus – conventio: se, infatti, ogni contratto 
aveva in sé una conventio, sulla scia dell’affermazione di Pedio, 
reciprocamente non ogni convenzione poteva definirsi, di per sé, un contratto. 
 La tesi fu sviluppata, nella dottrina italiana, in particolare da Bonfante e 
Perozzi, nei cui studi il primo riportava il termine contractus al vincolo più 
che al consenso, il secondo concludeva che l’accordo fosse elemento 
essenziale del contratto soltanto nell’elaborazione giustinianea, mentre 
contractus corrispondesse, in epoca classica, alla terminologia 
giurisprudenziale più generica di negotium
13
. 
                                                          
12
  Cfr. A. SCHIAVONE, voce Negozio giuridico (dir. rom.), in Enciclopedia del 
diritto, XXVII, Milano, 1977, 921. 
13
  C. CASCIONE, ‘Consensus’. Problemi di origine, tutela processuale, 
prospettive sistematiche, Napoli, 2003, 194 ss.