essere messo in discussione non è quindi la loro correttezza teorica e tecnica: il problema è che il 
mondo produttivo ha oggi altre esigenze, altri ritmi, e richiede allo psicologo altri tipi di indagini ed 
altre modalità di azione. Un medico che oggi si volesse specializzare nella diagnosi e cura della 
peste non farebbe niente di scientificamente scorretto: farebbe solo qualcosa di inutile perché 
anacronistico rispetto alle attuali esigenze della popolazione. Lo stesso vale per chi vuole ripro-
porre un'analisi delle mansioni effettuata con quella specificità con cui veniva eseguita pochi nni 
or sono. Se pensiamo al fatto che i più famosi programmi per computer, utilizzati dalla maggior 
parte degli operatori meno di dieci anni fa, sono oggi irreperibili ci rendiamo conto di quanto sia 
indispensabile, nell'attività di selezion  del personale, spostare la propria attenzione dalle 
conoscenze ed abilità specifiche possedute da un candidato alle sue cono cenze di base e alla sua 
capacità di apprendere. 
Non possiamo che concludere che alla psicologia è oggi chiesto di indagare e di agire su quelle 
caratteristiche individuali più generali, che sono riconducibili ai tratti di personalità e a quelle che 
alcuni chiamano capacità trasversali, che non forniscono risposte certe a situazioni prevedibili, ma 
indicazioni di direzione per situazioni complesse e in continuo cambiamento. Citiamo, ad esempio, 
la flessibilità, l'autocontrollo, la capacità di apprendere, la capacità di socializzare, il senso di 
responsabilità. 
Lo stesso discorso può essere fatto nel campo della motivazione, laddove la conoscenza di 
atteggiamenti verso specifici oggetti deve essere integrata con indicatori di valenza più generali: i 
valori. Non è pensabile che a un impiegato sia chiesto di fare il venditore se il suo atteggiamento 
nei confronti della vendita è negativo, ma neanche se non considera un valore quello di avere 
interazioni con altre persone durante il suo lavoro. Ecco perché il tema dei valori è oggi 
maggiormente al centro di indagini in psicologia del lavoro, ed ecco perché ha senso realizzare una 
tesi che tenti di gettare un po' di luce su questo campo a tutt'oggi poco indagato. 
Il seguente lavoro nasce infatti dall'esigenza di indagare quella variabile psicologica chiamata 
"valore" che, a livello intuitivo, pare essere in grado di fornire utili indicazioni a chi lavora nel 
campo dell'analisi organizzativa e dell'orientamento professionale. È infatti molto probabile che tra 
le cause dell'insoddisfazione verso la propria attività di lavoro vi sia un qualche grado di non 
corrispondenza tra i propri valori e quelli che sono condivisi e ricercati nel proprio ambiente di 
lavoro, o che il contenuto stesso del proprio lavoro non permetta di ottenere risposte adeguate alle 
proprie esigenze valoriali. 
1.2 OBIETTIVI 
Con il seguente lavoro cercherò di raggiungere diversi obiettivi. Uno di questi consiste nel fare il 
punto della situazione sul tema dei valori e su quello più specific  dei valori nel lavoro. Si tratterà 
di evidenziare i punti saldi sui quali si basa la psicologia dei valori, di conoscere i suoi punti deboli, 
di evidenziare le differenti prospettive proprie delle molteplici teorie psicologiche e gli strumenti 
usati per misurarli. 
Altri quattro obiettivi sono invece di tipo sperimentale o esplorativo. Il primo di questi consiste nel 
fornire indicazioni psicometriche che permettano di conoscere meglio uno strumento di ricerca, la 
Scala Valori (VS) del W.I.S., con la quale si possono misurare ventun valori nel lavoro e cinque 
orientamenti valoriali. Il tentativo è quello di verificare l'ipotesi che i soggetti, nel rispondere agli 
item della Scala Valori del W.I.S., forniscano risposte che risentono della specifica situazione am-
bientale nella quale lavorano: a questo proposito verrà costruita una scala apposita i cui giudizi 
sull'ambiente serviranno a verificare l'ipotesi qui descritta. 
Il secondo obiettivo sarà quello di definire se lo studio dei valori può essere uno strmento utile in 
fase di orientamento. In questo studio ci si limiterà a verificare la capacità discriminante di cui gode 
lo strumento: alla base di questa analisi c'è l'ipotesi, non verificata sperimentalmente, che nello 
svolgere attività lavorative specifiche v  sarà maggiore soddisfazione per il lavoratore se questo 
condivide uno specifico sistema di valori. 
Il terzo obiettivo consiste nel confrontare le strutture di valori e i giudizi sul proprio ambiente 
lavorativo propri di alcune categorie di lavoratori. Più specificatamente, si tratterà di verificare 
l'esistenza di differenze significative tra lavoratori più o meno soddisfatti. Questo tipo di indagine è 
anche il tentativo di fornire qualche indicazione operativa a chi, all'interno di un'organizzazione 
produttiva, lavora nel campo della gestione delle risorse umane. 
Infine, con il quarto obiettivo si cercherà di descrivere le specificità della struttura valoriale che 
contraddistingue uomini e donne, così come lavoratori che giudicano pos tivamente o 
negativamente la formazione professionale e il lavoro autonomo. 
1.3 METODOLOGIA 
Per raggiungere il primo obiettivo farò appello a materiale bibliografico, di origine internazionale, 
reperito da riviste di carattere psicologico. 
I rimanenti quattro obiettivi cercherò di raggiungerli utilizzando una ricerca di tipo oggettivo che 
farà appello a un questionario composto dalla Scala Valori del W.I.S., dalla Scala Ambiente, da me 
definita, che è una scala di giudizio sul grado di risposta del proprio ambiente lavor tivo alle 
esigenze valoriali degli individui, e da una scheda anagrafica all'interno della quale vengono anche 
rilevati gli atteggiamenti nei confronti della mobilità interna, esterna, della formazione e del lavoro 
autonomo. Con l'analisi dei dati evidenzierò l'eventuale esistenza di relazioni particolari tra i valori 
e le risposte dell'ambiente lavorativo ad essi e le differenze tra gruppi di soggetti accomunati da una 
qualche loro caratteristica anagrafica o da loro diversi atteggiamenti. 
2. PSICOLOGIA E VALORI  
2.1 INTRODUZIONE 
Molto è stato scritto, da autori di differenti teorie psicologiche, su concetti che in qualche modo 
confinano con quello di valore. Tra questi ricordiamo bisogno, interesse, motivazione, atteggia-
mento, opinione, credenza, etica. Nello stesso tempo, il dibattito sui valori è stato demandato ad 
altre discipline quali la sociologia, che ha studiato i valori sociali, l'antropologia, o la filosofia, che 
ha spesso affrontato la question  etica o assiologica. 
Le motivazioni addotte a giustificazione di tale disinteresse si riferiscono, per quelle disci line 
psicologiche che più si rifanno al metodo scientifico, al fatto che i valori non erano consid r ti 
indagabili attraverso strumenti oggettivi. Inoltre, per una scienza che si era posta come obiettivo 
quello di prevedere il comportamento umano, i valori erano considerati solo indirettamente 
relazionati al comportamento manifesto, cosa che rendeva lo studio dei valori poco predittivo e 
quindi poco utile. Sostiene, ad esempio, McClelland che un forte valore per il raggiungimento è 
meno probabile che venga tradotto in comportamento che un forte bisogno di ciò. 
Mentre, per le discipline psicodinamiche, tale disinteresse può essere compreso a partire dal 
postulato secondo il quale i valori sono un semplice ostacolo, un element  di disturbo per lo 
studioso e per la psicoterapia. 
Inoltre, la loro modificazione nel tempo è stata nel passato molto lenta, soprattutto se confrontata 
con l'evoluzione (o a detta di alcuni crisi) dei nostri giorni. È risaputo che i processi automatici 
sorgono al livello della coscienza solo nel momento in cui il "trucco" viene scoperto attraverso 
l'interruzione del processo: è questo escamotage che rende evidente il meccanismo fino a quel 
momento messo in atto in modo automatico. Per i valori deve essere stata la stessa cosa: fino a 
quando hanno svolto in modo adeguato il loro compito non si è sentito il bisogno di studiarne la 
conformazione e la dinamica. Nel momento in cui la società ha iniziato a cambiare a una velocità 
tale da risultare critica, ampliando nel contempo i suoi limiti a quello che oggi è definito come il 
"villaggio globale" costruito dai meia, non è bastato più "comunicarsi i valori" ma è divenuto
indispensabile "comunicare sulla comunicazione dei valori". I valori sono cioè diventati troppi, 
troppo mutevoli e per questo troppo poco integrabili in sistemi di valori coerenti e funzionali. 
Questo spiega perché negli ultimi anni il problema dei valori è salito alla ribalta nel c mpo della 
psicologia anche se, come scrisse Smith (1969), "Il crescente uso dei concetti espliciti di valore tra 
gli psicologi (...) sfortunatamente non è stato accompagnato da un guadagno corrispondente in 
chiarezza e consenso concettuale. Parliamo insieme a riguardo di molte cose probabilmente 
differenti sotto una sola rubrica". Il primo difficile ma indispensabile passo da fare sarà quindi 
quello di definire un costrutto che, per quanto sia in relazione con altri, a detta di D. Super (1995) è 
"...chiaramente identificabile". 
Nella prima parte del seguente capitolo si cercherà, più che di esporre i contributi di varie teorie a 
riguardo del tema, di puntualizzare quali siano le questioni sulle quali è necessario fare chiarezza. 
Nella seconda si vedrà come, nel campo della psicoterapia e del counseling, il valore sia 
considerato, con alterne fortune, contenuto su cui agire o elemento di disturbo dal quale il 
counselor si deve difendere. 
Infine, nella terza parte, tramite un approccio sistemi o si farà riferimento ad un tentativo di utilizzo 
della teoria umana dei valori insieme alla teoria gerarchica per comprendere parte di quel "caos 
organizzativo" che normalmente risulta inspiegabile a chi ha la necessità di spiegare e prevedere il 
comportamento delle e nelle organizzazioni. 
2.2 I VALORI NELLA PSICOLOGIA  
2.2.1 Valore come simbolo sociale 
Una prima questione ci viene posta dalla sociologa Heller che rimprovera ai pensatori occidentali di 
porre il valore come categoria dell'essere e non com categoria primaria della prassi sociale. A suo 
dire l'origine del valore sarebbe insita nella storia e non nell'uomo. Per La Heller quella del valore è 
una categoria socio-ontologica universale, non preesistente né posteriore all'interazione umana, ma 
in essa connaturata. La corrispettiva categoria dell’individuo sarebbe invece il bisogno.  
Sebbene il carattere sociale del valore, o quanto meno la presenza al suo interno di attributi 
culturali, sia un elemento acquisito in psicologia, non penso che quest’ultima possa esimersi dal 
considerare il ruolo che il bisogno ha nella formazione dei valori. La formazione dei valori è 
probabilmente la risultante di diverse forze che agiscono a vari livelli: la psicologia ha il compito di 
considerare quali possono essere le motivazioni più profonde che giustificano la formazione di tali 
costrutti, così come di considerare quelle dinamiche più specificatamente relazion li e culturali che 
danno a essi forme e funzioni ben precise in contesti diversi. 
Come psicologi non possiamo quindi concordare pienamente con la Heller quando afferma che 
“Quale categoria socio-ontologica, i valori non possono essere derivati dai bisogni (categorie 
dell'individuo), né possono essere misurati su di essi."
In psicologia sembra essere abbastanza condiviso il ruolo dei valori quali mediat ri tra le esigenze 
di sopravvivenza dell'individuo e il suo incontro con un ambiente che gli si rivela in modo del tutto 
particolare, se confrontato con quello degli altri anim li. Per questi ultimi il soddisfacimento dei 
bisogni primari avviene in modo automatico grazie alla presenza di set comportamentali innati che 
li rende presto idonei alla lotta per la sopravvivenza propria e della specie. Per l'uomo la situazione 
è diversa. Come afferma il padre della Teoria dei Sistemi Von Bertalanffy, la scarsezza di 
meccanismi di comportamento inna i, la posticipazione della pubertà che allunga il periodo di 
apprendimento, e la mancanza di difese comportamentali che lo rende dipendente dalle cure materne 
per lunghi anni, fanno sì che "l'uomo non possa sentirsi al sicuro, come gli animali, in un ambito 
ridotto al suo apparato sensoriale ed alle sue reazioni innate. Egli deve costruirsi la propria cultura 
specif ca e, per svilupparla, l'uomo deve essere un animale sociale. La comunicazione divie e 
pertanto una necessità biologica per l'uomo." Ecco perché ciò che differenzia il genere umano è 
l'evoluzione del simbolismo. 
L’uomo, in quanto “animale sociale”, affianca alla propria evoluzione filogenet ca un’evoluzione 
"filo-simbolica", all’interno della quale gioca un ruolo determinant  l’evoluzione dei valori2. Il 
simbolo, dal greco sim-bállo, è mettere insieme, unire. Il valore, in quanto simbolo, ha la funzione 
di permettere il collegamento, la comunicazione tra possessori di questa semantica comune: cioè tra 
uomini. 
O tra alcuni uomini. Gruppi diversi di uomini possono “parlare” linguaggi valoriali diversi e fare 
della diversità valoriale uno strumento di coesione interna, di identificazione. La comunicazione 
può così diventare estremamente facile, e forse anche estremamente povera, con i membri del 
proprio gruppo, e contemporaneame te difficile o impossibile con i membri di altri gruppi. 
2.2.2 Valore come "valenza" dell'oggetto 
Non tutti però concordano con questo punto di vista. Per alcuni teorici il valore assumerebbe 
esclusivamente la funzione di "valenza", sarebbe cioè un semplice attributo dell  cose che può 
essere intrinseco alla cosa stessa o derivare da un suo utilizzo in un dato contesto. Nel primo caso 
rientrano quegli studi di problem-solving nei quali si cerca di evidenziare quali debbano ess re le 
dinamiche che permettono di attribuire il giusto valore a ogni oggetto della situazione, il valore, 
cioè, che permette di risolvere il problema. In questi casi la situazione è ben strutturata, il problema 
ben definito e la soluzione è preesistente e solo da scoprire. Come afferma A. Blanchet (1986), 
descrivendo le modalità in cui i bambini risolvevano il problema del lupo, la capra e il cavolo, 
"L'attribuzione dei valori corretti agli elementi  al loro spostamento facilita il lavoro di 
                                                            
2 A tale proposito ricordiamo il testo “Il secondo sangue”, di F. Cacciaguerra, titolo che 
richiama direttamente, accanto alla trasmissione genetica, la trasmissione parentale dei valori.
pianificazione e di gestione. (...) In questa esperienza il suggerimento dei valori buoni facilita 
l'organizzazione teleologica della soluzione (organizzazione mezzo-fine)." 
Il secondo caso è invece difeso soprattutto dai comportamentisti (Skinner, 1971) che vedono nelle 
semplici dinamiche di rinforzo il processo che porta ad attribuire un valore maggiore a un oggetto, 
piuttosto che a un altro, perché rivelatosi in più occasioni utile ai bisogni dell'individuo. Per il cane 
di Pavlov lo sperimentaore era un valore, così come lo è diventato, in seguito a processi di 
generalizzaione, l'uomo in quanto categoria di oggetti che soddisfano il bisogno di cibo.
A questo proposito, e alla luce di quanto detto precedentemente, mi preme sottolineare che questo 
discorso può essere valido per il cane di Pavlov, e solo nella misura in cui parliamo di “valenza 
contingente” e non di valore. Per Pavlov il discorso è diverso: in quanto uomo può pensare al 
genere umano in modo simbolico, e quindi andare al di là della sua valenza specifica legata alla 
soddisfazione di bisogni contingenti. 
2.2.3 Valore e bisogno 
Riprendiamo quindi la questione del rapporto tra valori e bisogni ricordando quanto detto 
precedentemente, e cioè che la formazione dei valori è stata il frutto di un processo simbolico che si 
è reso necessario dalla incapacità dell'uomo di soddisfare i bisogni biologici all'esterno di un 
sistema sociale. 
Un approccio teorico che vede nelle esigenze di sopravvivenza la formazione dei valori è la 
psicoanalisi. Greenbaum Henry (1980) definisce la loro origine come segue: "I valori hanno le loro 
radici nell'impulso dell'uomo di sopravvivenza e di miglioramento della vita. Oggetti e situazioni 
che generano piacere, soddisfazione e sicurezza diventano di valore. I valori sono cristallizzazioni o 
precipitati cognitivi ed affettivi derivati dall'interazione dell'individuo con il suo ambiente."
La genesi dei valori sembra quindi da ricondursi nella valorizzazione attribuita a quegli oggetti in 
grado di soddisfare le richieste di piacere dell'Es, così come per la E. Jacobson (1964) che afferma 
che "La prima nozione infantile di ciò che è di valore o senza valore nasce con la distinzione fatta 
tra esperienze orali piacevoli e spiacevoli." La genesi dei valori è quindi simile a quella proposta da 
Skinner. 
Ma ciò che differenzia la concezione psicodinamica da quella comportamentista è il fatto che, con 
la crescita dell'indiviuo, non solo oggetti, ma anche attributi psichici po sono diventare dei valori: 
nel processo di sviluppo psichico, le nuove struttur  che affiancano l'Es (Io e Super-Io) diventano 
sedi di nuovi valori più astratti, più confacenti alla nuova capacità acquisita di posticipare la 
gratificazione del piacere. 
I valori, fino ad allora attribuiti solo a oggetti, divengono più "assoluti" (nel senso di absoluti, cioè 
sciolti dal legame con l'oggetto) ma, paradossalmente, più condivisi. Si "slegano" dagli oggetti per 
legarsi, e legare, gli individui3. Come afferma Erikson (1959) "Sebbene vi sia una predisposizione 
innata a sviluppare valori, non vi sono valori innati. I valori sono acquisiti attraverso un lungo 
processo di conoscenza attraverso identificazioni con i genitori, gli insegnanti, i capi religiosi e gli 
eroi ideologici. Il processo di acquisizione dei valori è un processo di incorporazi ne. I valori 
appartengono alla famiglia o alla più ampia cultura, e precedono l'individuo che li incorpora." È nel 
momento in cui entra in crisi il meccanismo innato di soddisfazione materna dei bisogni biologici 
che il bambino viene spinto a nuovi modelli di adattamento più consoni a quello della comunità di 
cui fa parte. Questo processo di acquisizione, anche per il contenuto dei valori, fa appello ai ben 
noti processi di identificazione ed introiezione. 
La diversità tra i valori dell'individuo e quelli parentali e culturali, come sostiene H. Greenbaum, 
dipende dal fatto che  "Non c'è sempre una linea retta tra i vlori dei genitori e quelli dei figli. Le 
vicissitudini dell'identificazione sono complesse e tortuose. Un bambino può spesso acquisire la 
controparte inconscia dei valori apertamente professati dai genitori" (H. Greenbaum, 1980). Allo 
stesso modo è ragionevole sostenere che i valori e i sistemi di valori non sono accettati ciecamente, 
ma sono giudicati dall'individuo in relazione al miglioramento della propria vita. Per poter fun-
zionare, ogni individuo deve evolvere il proprio sistema gerarchico di valori , e sviluppare un 
proprio standard di giudizio di valore, così come, per rispondere a cambiamenti del proprio 
ambiente, individui e società devono evolvere nu i valori. Senza nuovi valori, l'evoluzione e 
l'adattamento non avviene. 
Possiamo così definire i valori come un luogo di incontro tra le richieste dell'Es, del Super-Io e 
della Realtà: il luogo psichico dei valori pare essere quindi l'Io. 
Un altro contributo sul rapporto tra bisogni, valori, ed interessi ci giunge da D. Super (1995): "I 
bisogni sono mancanze, manifestazioni di condizioni fisiologiche come la fame, e hanno a che fare 
con la sopravvivenza. Sono il risultato dell'interazione tra la persona e l'ambiente, e si manifesta 
così nella ricerca di aiuto dagli altri e, in una forma più raffinata, nel bisogno di aiutare gli altri. I 
valori sono il risultato di un ulteriore raffinamento attraverso l'interazione con l'ambiente sia 
naturale che umano. Il risultato della socializzazione è lo stabilir  tipi di oggetti che le person  
cercano al fine di soddisfare i loro bisogni. Il bisogno di aiuto così diventa amore, e il bisogno di 
aiutare diventa altruismo. Gli interessi ono le attività con le quali le persone si aspettano di 
                                                            
3 Ricordo il già citato significato etimologico di "simbolo" come "sim-bállo= mettere insieme". 
ottenere i loro valori e così soddisfare i loro bisogni. (...) Secondo questa formulazione teorica, gli 
interessi sono più vicini al comportamento attuale dei bisogni e valori. Il bisogno, la mancanza di 
qualcosa porta a dare valore a qualcosa che sembra adatto a soddisfare quel bisogno." Sebbene 
quest'ultima frase sembra ricondurre la concezione di valore all'interno di quella di "valenza", il 
pensiero di Super vi differisce in modo netto perché, secondo l'autore, il valore nasce ne mom nto 
in cui l'uomo interagisce con un altro ambiente, diverso da quello naturale, che è l'ambiente umano. 
Ed è questo tipo di interazione che, non potendo prescindere dalla comunicazione, richiede la 
capacità di utilizzare un linguaggio simbolico, quello che Super chiama "un'ulteriore raffinamento". 
Per la psicologia sociale, la principale mediazione che viene svolta dai valori è quindi quella tra i 
bisogni individuali e la realtà sociale: ecco perché è alta la componente ulturale nel contenuto dei 
valori. Sistemi di valori costruiti individualmente, a partire dai soli bisogni individuali, non 
sarebbero più sistemi di valori ma eventualm te sistemi di bisogni. 
2.2.4 Valori: variabili dipendenti 
Questo ci spiega anche perché i valori non possono essere considerati solamente delle variabili 
indipendenti. Sicuramente certe tendenze comportamentali, ad esempio l'autoritarismo o le scelte 
religiose e politiche, possono essere comprese considerando i valori come loro cause. Ma è 
altrettanto vero che i valori sono fatti propri dagli individui per mezzo di un processo di 
introiezione sul quale agiscono diversi fattori tra cui il sesso del soggetto, la sua età, l'ordine di 
genitura, l'educazione, determinanti genetiche, solo per citarne alcune di quelle che hanno avuto 
conferme sperimentali. 
Se consideriamo i valori come delle strutture intermedie, con la funzione di mediare il rapporto 
bisogno-realtà, non possiamo limitarci allo studio di come un determinato setting valoriale possa 
influire sul comportamento sociale di un individuo, ma dobbiamo anche considerare il processo di 
formazione e di modificazione dei valori, e quindi considerare questi ultimi come dipendenti, cioè 
successivi rispetto ai loro determinanti. 
A titolo esemplificativo, nella ricerca di Hogan e di Mookheryee (1981) sono state considerate le 
variabili indipendenti: 1) misura oggettiva d'intelligenza, 2) esperienza soggettiva d'intelligenza 
(auto-percezione) 3) età 4) sesso 5) numero dei fratelli 6) ordine di genitura 7) livello di 
educazione ottenuto dai genitori. 
La ricerca ha evidenziato diverse differenze valoriali tra i gruppi definiti in base alle variabili sopra 
elencate, a differenza dell'unica variabile tra di esse che non può fregiarsi dell'appellativo di 
indipendente: l'auto-percezione del livello d'intelligenza. Questa variabile, che in effetti è seguente 
alla creazione dei valori, può essere influ nzata da particolari strutture valoriali. 
Sul perché l'associazione tra i valori e l'auto-p rcezi ne di intelligenza sia così debole, mentre non 
lo è quella con la misurazione oggettiva dell'intelligenza, gli autori non avanzano ipotesi. Certo è 
che questo risultato dà maggiore forza ai dati ottenuti con le variabili realmente indipendenti: è 
infatti ipotizzabile che la relazione tra variabili indipendenti e i valori potrebbe essere più diretta di 
quella tra i valori e l'auto-percezione dell'intelligenza. La causa di ciò potrebbe risiedere nella 
presenza di qualche costrutto mediatore come, ad esempio, il livello di autostima. 
Per quanto riguarda i risultati ottenuti, gli uomini preferiscono una vita eccitante, un senso di 
realizzazione, libertà, ambizione, competenza, indipendenza, mentre le donne la salvezza e l'amore. 
Coloro che provengono da famiglie numerose considerano un valore essere servizievoli, educati, di 
buon umore, mentre chi è figlio unico preferisce ssere di larghe vedute. Coloro che hanno genitori 
con livello d'istruzione più alto scelgono l'uguaglianza, la sicurezza familiare, il riconoscim nto 
sociale, non essere di larghe vedute, l'amore e l'essere utili. I primogeniti valorizzano il 
raggiungimento di un'armonia interna, la vera amicizia, l'intellettualismo e 'immaginazione. I 
soggetti con Q.I. più alto considerano importante avere un'armonia interna, l'amore maturo, l'essere 
di larghe vedute, capace, immaginativo, logico; i soggetti con Q.I. più basso preferiscono una vita 
più eccitante, più confortevole, maggiore sicurezza familiare, obbedienza e educazione. Coloro che 
si auto-giudicavano di intelligenza superiore alla media consideravano importante l'autocontrollo e 
per niente importante l'essere di buon umore. 
2.2.5 Valore come "emozione informata" 
L'uso di simboli diventa indispensabile nel momento in cui l'uomo deve comunicare, e i valori 
sarebbero indispensabili nel momento in cui si vogliano trasmettere "...informazioni emozionali. 
Infatti, date le caratteristiche neghentropiche dell'informazione, di cui rileviamo in particolare le 
proprietà di forma, ordine, organizzazioe, complessità regolare, improbabilità, se ne deve dedurre 
necessariamente che il valore non è definibile né attraverso il solo termine di cognizione (ciò che si 
sa), né attraverso il solo termine di emozione (ciò che è desiderabile), bensì attraverso la cognizione 
dell'emozione, o emozione informata" (Von Bertalanffy). 
Sulla questione riguardante la presenza di componenti cognitive ed emotive all'interno dei valori si 
è soffermato anche Piaget il quale utilizza proprio il concetto di valor  per rispondere alle critiche 
di chi lo accusava di non dare lo spazio adeguato al vissuto affettivo delle persone. Piaget definiva 
il valore come "...legato a una specie di espansione della mia attività, alla conquista dell'universo.