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A causa della presenza sempre più massiccia di prodotti alimentari di vario genere e 
natura, si assiste ad una dieta povera di nutrienti e ricca di grassi. La promozione degli 
stessi, in relazione soprattutto ai bambini, comporta la maggior parte delle volte un 
instaurarsi di abitudini alimentari malsane che possono inficiare la condizione fisica e 
l’educazione alimentare del bambino.  
In questo elaborato verranno esaminate nella prima parte lo studio dei meccanismi 
cognitivi attivati dall’ascolto della pubblicità: attenzione, comprensione e 
memorizzazione; i meccanismi di valutazione della stessa pubblicità e gli effetti 
indesiderati riconducibili ad una più generale fruizione televisiva da parte dei minori. 
Quest’ultimo argomento farà da premessa alla seconda sezione dell’ elaborato che tratta 
in particolare il legame tra pubblicità e obesità infantile attraverso una rassegna della 
letteratura più recente.  
Argomento centrale della seconda parte sarà la pubblicità riguardante i prodotti 
alimentari. Verranno infatti analizzati i contenuti di determinati spot alimentari per 
comprenderne le caratteristiche e le strategie adottate al fine di persuadere nel miglior 
modo il piccolo telespettatore. Per prevenire questa patologia facendo riferimento 
soprattutto ai minori, nella terza parte di questo lavoro verranno presentate le relative 
norme di regolamentazione pubblicitaria in Italia, e le campagne di prevenzione e 
sensibilizzazione per una corretta alimentazione e stili di vita promosse dal Moige 
(Movimento italiano genitori). Nella realizzazione delle campagne che verranno 
descritte di seguito sono stata impegnata personalmente, durante il periodo di tirocinio 
svolto presso il Moige; l’esperienza fatta mi ha portato a considerare l’estrema 
importanza della prevenzione soprattutto in rapporto ai disturbi del comportamento 
alimentare. 
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Capitolo 1 
L’esposizione alla Pubblicità 
L’analisi dell’esposizione alla pubblicità da parte dei minori  ha costituito da sempre 
una tematica di profondo interesse soprattutto in relazione ai possibili effetti che questa 
può provocare.  
Il rapporto televisione-bambini è stato e continua ad essere una questione centrale per 
chi opera nel settore delle scienze sociali e non, cosicché negli ultimi decenni si è 
incentrato l’interesse in particolare sulla relazione tra pubblicità e minori sulla scia di 
una generale revisione del potere di influenza dei media.  
Le prime ricerche di carattere scientifico riguardanti il comportamento dei minori come 
consumatori risalgono agli anni cinquanta, un ulteriore riconoscimento dell’infanzia 
come mercato dei consumi si è avuto nel corso degli anni sessanta e settanta. Dagli anni 
80’ a oggi, la pubblicità è stata considerata da alcuni autori la “fonte di informazione più 
voluminosa nell’educazione della gioventù” (Postman, 1982, p. 54). 
Le visioni su questo rapporto però sono contrastanti: c’è chi tende maggiormente ad 
associare il bambino ad un’immagine passiva di una “spugna” che assorbe gli stimoli 
televisivi indiscriminatamente, e chi invece, secondo una diversa prospettiva che vede il 
bambino maggiormente attivo interagire con la televisione in maniera selettiva a livello 
di attenzione, di comprensione e di risposta. Fabris sostiene che sono comprensibili e 
forse condivisibili i timori che vengano espressi circa l’esposizione  alla pubblicità da 
parte dei bambini, affermando però che <<In realtà, le evidenze di cui si dispone non 
avvalorano affatto timori così catastrofici>> (Fabris, 1992, p. 73). 
Nella valutazione degli effetti della pubblicità sui più piccoli, oltre ad essere valutato 
l’impatto che la pubblicità che può esercitare su questi, in termini di possibili 
comportamenti e atteggiamenti, è utile considerare anche i meccanismi di 
comprensione, di attenzione e di memorizzazione dei messaggi pubblicitari. 
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1.1. Che cosa capiscono i bambini della pubblicità 
La premessa che bisogna subito fare è che non è vero che guardare la televisione sia un 
processo che implichi passività e mancanza di interazione nello spettatore, anzi è 
richiesto un notevole impegno per interpretare le immagini e poterle capire, e questo 
vale sicuramente in maniera particolare per i bambini. 
I bambini non sono quindi spettatori passivi che assorbono informazioni, sono anzi, 
spettatori estremamente attivi la cui analisi del materiale proposto dalla televisione 
migliora con il crescere dell’età (Van Evra, 1998). 
Si tratta di un e vero e proprio processo che parte dall’analisi delle informazioni 
trasmesse (attenzione), passando attraverso la loro interpretazione, determinata da un 
confronto con le proprie esperienze e conoscenze, fino ad arrivare alla comprensione, 
che anticipa una valutazione, da cui si struttura la memoria del bambino (Metastasio, 
2007). 
La teoria degli stadi di sviluppo elaborata da Piaget è alla base di molte ricerche sui 
processi di ricezione del messaggio televisivo da parte dei bambini; secondo questa 
teoria lo sviluppo è il risultato di quattro fattori: la maturazione di abilità psichiche, 
l’esperienza, la trasmissione sociale e i meccanismi di accomodamento e assimilazione 
nei confronti di nuovi eventi  attraverso ciò che l’autore definisce “equilibrio dinamico”. 
Quindi, a diverse età corrispondono differenti modalità di pensiero e di risoluzione dei 
problemi, che progrediscono seguendo una sequenza ben precisa nello sviluppo,  
dove i fattori ambientali possono unicamente modificare le velocità di crescita; questi 
stadi sono ordinati gerarchicamente e integrativi, vale a dire uno stadio superiore si 
fonde con il precedente dato che integra gli stadi inferiori nel livello superiore. 
Il primo di questi stadi è il periodo del pensiero senso-motorio, dalla nascita fino ai 2 
anni di età, in cui i bambini sono legati alla percezione di ciò che è presente in quel 
momento e il comportamento non è condizionato, ma agito sulla base di semplici 
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schemi di comportamento strutturati. A questa età i bambini non comprendono la natura 
rappresentativa delle immagini televisive.  
Il secondo stadio, tra i 2 e i 7 anni, è lo stadio del pensiero preoperatorio; il bambino 
inizia a usare il linguaggio come fosse un nuovo mezzo di conoscenza: all’inizio le 
parole sono simboli, ma poi acquisiscono significati convenzionali che danno al 
linguaggio il requisito di comunicabilità sociale. L’acquisizione di una forma di 
comunicazione condivisa ha una notevole importanza per lo sviluppo dell’attività 
rappresentativa, ma il conoscere del bambino è ancora legato alla percezione di ciò che 
lo circonda. Il bambino in questo stadio ha difficoltà nel capire gli intrecci delle storie e 
nel distinguere la fantasia dalla realtà. Il terzo stadio è del pensiero operazionale 
concreto, tra i 7 e i 12 anni; il bambino ha sviluppato determinate abilità concettuali che 
gli permettono di distinguere la fantasia dalla realtà e, in relazione alla televisione, di 
riconoscere la differenza tra programmi e pubblicità e di rilevare discrepanze nelle 
trame delle storie; in questo stadio il bambino riesce più facilmente a prendere in 
considerazione diverse informazioni nello stesso momento, provenienti da fonti 
differenti, e a stabilire relazioni tra esse. L’ultimo stadio è quello del pensiero 
operazionale formale, dopo i 12 anni di età, in cui il bambino sviluppa un tipo di 
pensiero astratto e ipotetico, non legato necessariamente a ciò che è presente 
nell’immediato campo percettivo. Solamente in questa fase, si sostiene che il ragazzo 
acquisisce consapevolezza dell’intento commerciale e persuasivo della pubblicità, e di 
conseguenza, può sviluppare un atteggiamento critico e diffidente nei suoi confronti. 
Oltre allo sviluppo cognitivo bisogna tenere in conto che ci sono altri fattori che 
incidono significativamente sulle modalità di ricezione del messaggio pubblicitario e 
televisivo. Tra questi, un processo denominato television literacy, che significa 
letteralmente “alfabetizzazione alla televisione”, e che comporta sulla base 
dell’esperienza, la progressiva acquisizione della “grammatica televisiva” mediante cui 
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è possibile comprendere le regole delle convenzioni formali e degli schemi tecnici 
utilizzati dalla televisione (movimenti della camera, riprese particolari, zoom, 
dissolvenze). Il riconoscimento delle tecniche televisive è possibile, comunque, solo 
quando il bambino è in grado di compiere determinate operazioni mentali (Metastasio, 
2007). 
Il primo problema che si pone di fronte alla visione di uno spot da parte di un bambino, 
e se egli si renda conto di assistere ad una comunicazione commerciale e se sappia 
distinguere la pubblicità come genere televisivo distinto dagli altri. Per quanto riguarda 
quest’ultima questione si è visto che questa, come tutte le attività riconducibili alla 
television literacy, aumenti con l’età. In particolare il periodo compreso tra i 7 e i 10 
anni rappresenta un momento critico, in cui si manifesta pienamente la capacità di 
comprensione delle forme televisive. Infatti, molti studi evidenziano che solo a partire 
da 8 anni circa, la maggior parte dei bambini riconosce le diversità tra programmi di 
generi differenti (Metastasio, 2007). Jaglom e Gardner (1981) dimostrano, invece che 
gli spot sono il primo genere a essere riconosciuto dai bambini, già dai 3 anni, quando 
tutti gli altri programmi iniziano a diventare riconoscibili solo dopo i quattro. A questa 
età addirittura si riscontra un innalzamento dell’attenzione di fronte ai commercials, al 
contrario di quello che accade con i bambini più grandi e a gli adulti (Puggelli, 2002). 
Va detto, peraltro, come osserva Puggelli (2002) che la capacità di distinguere la 
pubblicità dagli altri generi televisivi non implica che il bambino ne comprenda le 
finalità persuasive.  
Una piena comprensione dell’intento persuasivo della pubblicità richiede infatti che il 
bambino capisca la natura simbolica rappresentata nella pubblicità dal prodotto, dal 
personaggio e dal contesto (Metastasio, 2007).  
Nella fase finale dell’infanzia, quella della pre-adolescenza, dai 9 ai 12 anni, inizia a 
decrescere l’interesse per la televisione e si osserva come, oltre all’allontamento dalla 
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tv, si instaura l’abitudine di cambiare canale alla comparsa della pubblicità nella quale 
viene riposta minore fiducia; i ragazzi iniziano infatti a coglierne l’intento persuasivo e, 
con l’avvicinarsi dell’adolescenza, anche le principali tecniche di persuasione (Puggelli, 
2002). È chiaro quindi che che, con il crescere dell’età, ma soprattutto con la maggiore 
comprensione delle tattiche persuasive della pubblicità, i bambini diventino sempre più 
scettici nei confronti degli spot. 
Dopo aver analizzato lo sviluppo delle competenze cognitive del bambino davanti alla 
pubblicità, occorre focalizzarsi sui tre processi che entrano in gioco, ovvero attenzione, 
comprensione e memorizzazione, per mostrarne i meccanismi. 
L’attenzione è un processo di tipo selettivo che può essere attivato da alcune 
caratteristiche percettivamente salienti che possono aiutare il bambino nella 
comprensione, accentuando i momenti importanti del racconto. Queste caratteristiche 
possono essere distinte in: macro come l’azione e il ritmo, e micro,  che si differenziano 
in visive (panoramiche, zoom, dissolevenze, effetti speciali) e sonore (dialoghi, effetti 
sonori e musica) (Metastasio, 2007). 
Le caratteristiche proprie dello stimolo sono in grado di influenzare il livello di 
attenzione dei bambini: ad esempio, i più piccoli sono particolarmente attratti da 
animazione, voci caricaturali, musica sostenuta e rime; i più grandi ricercano 
maggiormente elementi salienti ed informativi (Puggelli, 2002). 
In linea generale, quindi i principali elementi in grado di attivare l’attenzione e favorire 
conseguentemente la memorizzazione del messaggio sono la musica, l’intensità del 
segnale acustico e il ritmo nella successione delle immagini, così come l’azione e l’uso 
di effetti speciali visivi e sonori, senza dimenticare la continuità nella narrazione e il 
tipo di voce. Particolarmente, le voci femminili e quelle di bambini sembrano porsi 
come elementi di stimolo per l’attenzione, mentre la ostacolerebbero le voci maschili, i 
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dialoghi lunghi e complessi, i disegni statici e un ritmo eccessivamente lento o al 
contrario troppo rapido (Metastasio, 2007). 
In particolare le tecniche pubblicitarie agiscono in tre direzioni sui bambini, con tre 
finalità diverse: come già detto per catturare l’attenzione si usano musica, effetti sonori 
e ripetizioni; per focalizzare l’attenzione si ricorre allo spettacolare, all’incongruenza, 
magari con l’animazione di ciò che comunemente non è animato; per sostenere 
l’attenzione, infine si ricorre allo humor, all’invito alla partecipazione del bambino, 
all’alternanza di diverse tecniche e personaggi. Senza dimenticare che ciò che può 
influenzare l’attenzione di un bambino verso uno spot è la completa comprensibilità del 
messaggio; infine, un elemento che sembra essere più efficace nella relazione con lo 
spot è l’interesse verso il prodotto stesso (Puggelli, 2002 ). 
Il processo di attenzione quindi non è sufficiente ad attuare il compito che lo spot si 
pone, cioè quello di cambiare un comportamento o perlomeno un atteggiamento; è 
necessario che il messaggio sia compreso con chiarezza e sia poi memorizzato per poter 
essere efficace. Ciò che fortemente influenza la comprensione della televisione sono 
l’età e il grado di alfabetizzazione generale e televisiva che il bambino ha. Clifford, 
Gunter e McAleer (1995) sostengono che quello che i bambini comprendono della 
televisione dipende in larga misura da quello che essi hanno già. I bambini devono 
infatti essere in grado di percepire inizialmente i contenuti, avere cioè una sufficiente 
conoscenza del mondo esterno che permetta loro di decodificare quello che lo spot 
intende esprimergli, << ma essi devono anche imparare gli aspetti formali della 
televisione per mantenere l’attenzione, segnalare importanti contenuti e trasmettere un 
significato>> (Van Evra, 1998, p. 8).  
Altri fattori che possono influenzare il livello di comprensione sono, ad esempio, la 
familiarità e il tempo passato davanti alla televisione e la motivazione alla fruizione 
televisiva, che, come sostiene McQuail (1994), può essere di vario genere: ricerca di 
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informazioni, ricerca di un’identità personale, desiderio di integrazione e di interazione 
sociale, ma anche semplice intrattenimento. 
Nel processo di memorizzazione in relazione ai messaggi pubblicitari è possibile 
individuare due ipotesi diverse: l’ipotesi della memorizzazione attiva e l’ipotesi della 
memorizzazione reattiva. La prima afferma che il processo mnemonico è mediato 
dall’attenzione e determinato dalla struttura del messaggio e dalle strategie attive di 
elaborazione del messaggio stesso da parte del destinatario, mentre l’ipotesi della 
memorizzazione reattiva enfatizza maggiormente gli aspetti relativa alla forma, come il 
ritmo e la continuità, rispetto al contenuto del messaggio; quindi, più è lento il ritmo, 
minore è la frammentarietà, migliore sarà il ricordo.  
Lo sviluppo di alcune abilità cognitive vengono ritenute da entrambe le ipotesi fattori 
fondamentali. Non a caso, le ricerche evidenziano un aumento significativo del ricordo 
a partire dagli 8 anni fino all’adolescenza, con un andamento curvilineo che tende a 
decrescere nell’età adulta. I bambini più piccoli tenderebbero prevalentemente  a 
memorizzare i singoli elementi costituitivi del messaggio, come ad esempio, i jingle, 
piuttosto che invece aspetti più astratti, come il nome della marca; i più grandi,invece, 
ricorderebbero informazioni più centrali, quali le caratteristiche del prodotto 
(Metastasio, 2007). 
L’ipotesi della superiorità del registro visivo è stata invece sostenuta da molte ricerche;  
questa ipotesi infatti sostiene che una forte influenza sui processi di memorizzazione e 
di comprensione del bambino sarebbe esercitata dalle immagini.  
Questa prevalenza delle immagini, comunque, tende a diminuire con l’aumentare 
dell’età e delle abilità cognitive del bambino, confermando in sostanza l’importanza 
rivestita dalle caratteristiche percettivamente saliente per i più piccoli e l’importanza dei 
contenuti per i più grandi.