2
Alla riserva di giurisdizione contenuta nell’articolo 13 comma 2, 
Cost., il comma 3 dispone una deroga nel caso in cui, per ragioni 
eccezionali di necessità ed urgenza non sia consentito l’intervento 
tempestivo dell’autorità giudiziaria; in questo caso l’autorità di 
Pubblica Sicurezza può intervenire (fermo di polizia giudiziaria) 
purché, entro quarantotto ore dall’applicazione della misura limitativa 
della libertà personale, ne dia comunicazione all’Autorità giudiziaria 
cui spetta il compito di convalidare o meno il provvedimento. 
La deroga alla riserva di giurisdizione contenuta nel comma 3 
dell’articolo 13 è in realtà parziale, in quanto la decisione finale circa 
la misura limitativa della libertà spetta al giudice, e ha carattere 
provvisorio in virtù dei termini previsti dallo stesso articolo. 
Il sistema di tutela dell’articolo 13 della Costituzione si completa 
con l’affermazione di due ulteriori principi: il primo, prescritto dal 
comma 4, impone al legislatore di punire “ogni violenza fisica e 
morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. A 
riguardo l’articolo 608 del codice penale punisce con la reclusione 
fino a trenta mesi il pubblico ufficiale che sottoponga un soggetto 
arrestato o detenuto a misure “di rigore non consentite dalla legge”; 
questo principio si collega, tra l’altro, direttamente all’articolo 27, 
comma 3, della Costituzione il quale impone che le pene non 
consistano in “trattamenti contrari al senso di umanità” e tendano 
invece “alla rieducazione del condannato”. 
Il secondo principio, è quello che impone al legislatore “l’obbligo 
di stabilire i limiti massimi della carcerazione preventiva” al fine di 
evitare, in linea con la presunzione di non colpevolezza sancita 
  
 
 
3
dall’articolo 27, comma 2, della Costituzione, che il periodo di 
detenzione cui può essere sottoposto un soggetto in attesa 
dell’accertamento definitivo della sua responsabilità penale, si 
trasformi in una sorta di pena anticipata. 
Il diritto di libertà personale è stato oggetto di varie intepretazioni 
che possiamo ricondurre a due correnti di pensiero: una che fa 
coincidere la libertà personale di cui all’art. 13 Cost. con la libertà 
fisica; l’altra che estende la garanzia di tale disposizione costituzionale 
alla libertà morale. Al riguardo la Corte Costituzionale appare 
allineata alla prima corrente di pensiero, anche se nel tempo vi sono 
state pronunce con le quali i giudici hanno escluso l’applicabilità della 
garanzia in esame alle limitazioni della libertà fisica di lieve entità 
(sentt. nn. 20 e 30/1962; 54/1986), nonché quelle con le quali la Corte 
ha utilizzato il criterio della degradazione giuridica per determinare la 
portata delle garanzie dell’art. 13 Cost. (sentt. nn. 11/1956 e 
144/1970). 
Del resto non si può comprendere il significato della libertà 
personale da un semplice commento dell’art. 13 Cost. in quanto esso 
si riferisce ad una c.d. “libertà-situazione”, cioè una libertà che può 
assumere varie sfaccettature rispetto al suo valore fondamentale, 
rappresentato dalla “libertà dagli arresti”. 
Infine, per completare l’analisi del concetto di libertà personale 
occorre esaminare il contesto internazionale. Nonostante l’Europa 
disponga di un patrimonio ricco di studi, approndimenti e proposte, 
volti alla tutela della persona, i legislatori nazionali sempre più spesso 
negli ultimi anni attingono dal modello nordamericano, che, 
  
 
 
4
all’indomani dell’11 settembre ha adottato una serie di misure dirette a 
contrastare gli atti terroristici, costruendo un sistema carcerario 
mondiale dislocato su tutto il pianeta privo di ogni garanzia 
giurisdizionale. 
In definitiva sarà dunque il diritto europeo a fornire gli strumenti 
migliori per difendere la libertà personale dalle aggressioni più gravi. 
 
  
 
 
5
CAPITOLO 1 
Profili storici della libertà personale: dall’età 
classica alla Costituzione Repubblicana 
 
 
 
1. Sistema delle pene e libertà personale nell’antichità 
classica 
 
Storicamente, anche nelle repubbliche antiche i provvedimenti 
restrittivi della libertà personale potevano essere presi solo da un 
giudice. Però, all’epoca non esistevano pene detentive (emerse solo 
nel tardo impero romano), ma pene come la condanna a morte, 
l’esilio, la perdita dei diritti politici (atimia)
1
, il bando con o senza la 
confisca dei beni, la flagellazione per gli schiavi. L’imputato poteva 
essere catturato, ad opera di qualsiasi cittadino o del magistrato 
inquirente, nei casi di flagranza o quando esistevano motivi di temere 
la fuga; in questi casi, si procedeva al giudizio sommario o alla 
carcerazione preventiva che poteva essere sospesa dietro versamento 
di una cauzione.  
Anche nel diritto romano in epoca repubblicana le pene erano 
l’esilio, che comportava l’allontanamento dalle cariche pubbliche, e la 
morte. 
                                                          
1
 A. Cerri, Istituzioni di diritto pubblico, casi e materiali, Milano, 2006, p. 446. 
  
 
 
6
Durante l’impero, la pena detentiva diventò lo strumento del potere 
pubblico contro i cittadini ribelli, anche se le costituzioni repubblicane 
condannavano tale consuetudine
2
. 
 
 
 
2. L’ordinamento giuridico romano in materia di 
titolarità della libertà personale 
 
Nell’antico ordinamento giuridico romano, la libertà personale era 
quasi un lusso: un soggetto, infatti, non nasceva necessariamente 
libero e pur quando godeva dello “status libertatis”, poteva facilmente 
perderlo
3
. 
I nati da madre libera - così come gli schiavi liberati - erano titolari 
della libertà personale, di cui potevano essere privati a seguito del 
verificarsi di molteplici fenomeni, tra i quali: la prigionia di guerra, la 
noxae deditio, l’addictio, la renitenza alla leva militare obbligatoria, la 
commissione di particolari reati. 
                                                          
2
 A. Cerri, Diritto costituzionale, II) Libertà personale, in Enc. Giur. Treccani, vol. XIX, Roma, 
1991, p. 8. 
3
 M. Tocci, La perdita della libertà personale nell’antico ordinamento giuridico romano, in 
http://www.mariotocci.it. 
  
 
 
7
Per quanto riguarda la prigionia di guerra, secondo lo “ius 
gentium”, il soggetto catturato in guerra diveniva schiavo non tanto 
del soldato romano che lo catturava, ma del popolo cui costui 
apparteneva. A Roma, però, vigeva l’istituto del postliminium, 
secondo il quale, se il prigioniero tornava in patria, recuperava libertà 
e situazioni giuridiche anteriori; condizione per potersi valere di 
questo diritto era la fuga dal nemico e l’intenzione di rimanere in 
patria. 
La noxae deditio consisteva, invece, nella consegna di un individuo 
fatta da una comunità straniera a Roma, in seguito alla violazione 
delle regole giuridico-religiose internazionali da quello commessa
4
. 
Per addictio, bisogna intendere l’assegnazione, disposta dal 
magistrato, del debitore insolvente al creditore insoddisfatto, a 
conclusione del vittorioso esperimento di un’azione giudiziale da parte 
di quest’ultimo, il quale aveva la facoltà di tradurlo nel carcere 
personale per sessanta giorni, trascorsi i quali poteva tenerlo come 
schiavo o venderlo in territorio straniero, o addirittura ucciderlo. 
L’inottemperanza al dovere di prestare il servizio militare 
(renitenza) era l’altra conseguenza della privazione della libertà 
personale: il soggetto renitente diveniva schiavo dello Stato e, come 
tale, venduto dai magistrati per conto del popolo romano. Infine, era 
altresì privato della libertà personale il soggetto che commetteva 
                                                          
4
 G. Pugliese, Istituzioni di diritto romano, seconda edizione, Torino, 1998. 
  
 
 
8
alcuni particolari reati, sanzionati con la pena della relegatio in 
insulam
5
.    
 
 
 
3. Problematica della libertà personale dal medioevo 
all’assolutismo  
 
Le moderne garanzie della libertà personale sorsero quando le 
strutture feudali cominciarono ad essere intaccate dalla nascita della 
civiltà comunale, talora anche dall’affermarsi di un potere centrale del 
re, sempre in seguito allo sviluppo di un ceto borghese e mercantile.  
Questo istituto nacque nel medioevo, come garanzia riconosciuta 
alla collettività, da atti imperiali o regi, contro i poteri di coercizione 
dei feudatari. L’esempio più importante di questa garanzia era dato 
dall’art. 39 della Magna Charta (nullus homo capiatur vel 
imprisonetur aut exuletur nisi per legale iudicium vel per legem 
terrae)
6
, che richiama per contenuti e forma, l’art. 13 della nostra 
Costituzione
7
. 
Il concetto di libertà personale, nella sua originaria configurazione, 
si identificava quindi con la libertà dagli arresti. Il suo contenuto 
                                                          
5
 Deportazione in una località estremamente periferica o in qualche isola sperduta. Potevano patire 
la relegatio in insulam: gli adulteri, gli stupratori, i lenoni, gli omicidi preterintenzionali (cioè 
quelli che avevano causato la morte attraverso la somministrazione di filtri antiabortivi/amorosi o a 
seguito di maltrattamenti). 
6
 Trad. it.: “nessun uomo libero può essere catturato, imprigionato o esiliato se non in base ad un 
giudizio dei suoi pari o secondo la legge del paese”. 
7
 Cfr. G. Amato, 1967.  
  
 
 
9
essenziale era infatti costituito dall’habeas corpus, nata dall’abitudine 
dei privati di ricorrere alle corti regie più imparziali contro gli atti 
restrittivi delle corti feudali, abitudine favorita dal potere regale e 
trasformatasi via via in diritto.  
Nel diritto comunale tornò ad essere marginale la pena detentiva 
mentre si disciplinò compiutamente la carcerazione preventiva e la 
tortura. 
Nello Stato assoluto venne inasprita la tortura, eliminando ogni 
minima forma di salvaguardia della libertà; il potere di arrestare venne 
trasferito all’autorità esecutiva e ridotta notevolmente l’indipendenza 
del giudice; si introdusse, altresì, la pena straordinaria non collegata 
alla commissione di fatti specifici previsti dalla legge. 
La garanzia delle carte medioevali sarà successivamente ripresa e 
sviluppata a partire dalla fine del Settecento, dalle Dichiarazioni del 
periodo rivoluzionario e dalle prime Costituzioni liberali nelle quali 
l’affermazione della libertà personale verrà accompagnata dal 
principio di legalità e dal divieto espresso di tortura
8
. Infatti con le 
garanzie di indipendenza dei giudici, stabilite nell’Act of Settlement 
(1701), questo rimedio acquisì più importanza. Si tratta di un rimedio 
successivo che presuppone un atto che incida sulla libertà personale, 
di rimedio che attiene al solo titolo della detenzione e che assume la 
veste di azione popolare
9
. 
 
                                                          
8
 S. Cassese, Dizionario di diritto pubblico, vol. IV-Ibr-ott, A. Giuffrè editore, Milano 2006. 
9
 A. Cerri, Istituzioni di diritto pubblico, casi e materiali, Milano, 2006, p. 446. 
  
 
 
10
4. La libertà personale nello Statuto Albertino 
 
Lo Statuto Albertino, concesso da Carlo Alberto nel 1848, 
prevedeva un elenco di diritti in cui era possibile riscontrare le 
caratteristiche proprie di uno Stato liberale. Il catalogo di tali diritti si 
apriva con la libertà individuale. In proposito l’art. 26 affermava: “La 
libertà individuale è guarentita. Niuno può essere arrestato o tratto in 
giudizio se non nei casi previsti dalla legge e nelle forme che essa 
prescrive”
10
.  
Il primo problema che la disposizione poneva, riguardava proprio il 
concetto di libertà individuale. Secondo la dottrina maggioritaria, tale 
concetto comprendeva la libertà personale, intesa come libertà fisica o 
libertà dagli arresti, ma anche la libertà di circolazione e di soggiorno, 
che fu considerata come corollario della prima (A. Brunialti; V.E. 
Orlando). 
Come tutte le altre disposizioni dello Statuto relative ai diritti di 
libertà, anche l’art. 26 dava al legislatore ordinario la possibilità di 
attuare degli interventi; si possono, in proposito, distinguere vari 
ambiti. 
In primis va ricordata la legislazione processual-penalistica, 
chiamata ad introdurre norme dirette all’accertamento dei reati, 
comprese anche quelle limitative della libertà personale a carico degli 
imputati e dei condannati. La materia, oltre che dall’art. 26, era 
regolata anche da altre norme di natura garantista: si pensi 
                                                          
10
 P. Caretti, La libertà personale nella Costituzione, in Questione e giustizia, 2004, fasc. 2-3, p. 
225-234. 
  
 
 
11
all’affermazione del principio di legalità, di irretroattività e di analogia 
(in malam partem) in materia penale, che furono sanciti nel codice 
penale del 1889. 
Il codice di procedura penale del 1865 disciplinava poi l’arresto in 
flagranza e il fermo degli indiziati di reato da parte del Procuratore del 
Re. In tali casi, questi doveva interrogare l’imputato, senza la presenza 
del difensore (determinando così una grave lesione del diritto di 
difesa) e, al più tardi entro ventiquattro ore, rimettere l’arrestato al 
giudice istruttore; a sua volta, quest’ultimo poteva limitare la libertà 
personale dell’imputato, non solo attraverso mandati di cattura e di 
comparizione, ma anche mediante ispezioni o perquisizioni personali, 
compiute, anche queste, senza la garanzia dell’assistenza del 
difensore. 
A ciò si aggiungeva, la mancata indicazione dei termini per la 
durata della custodia cautelare, i forti limiti alla concessione della 
libertà provvisoria, nonché la complessità del meccanismo di 
convalida degli arresti che nella pratica non funzionò mai (esso era 
comunque escluso nel caso di arresto di oziosi, vagabondi e 
mendicanti). 
 Qualche apertura si ebbe con il codice del 1913, il quale, oltre a 
precisare la distinzione fra mandato di arresto obbligatorio e 
facoltativo, aprì al difensore la fase istruttoria e stabilì per la prima 
volta i limiti massimi alla carcerazione preventiva. 
In secundis la legislazione di pubblica sicurezza che introdusse, 
invece, una serie di misure limitative della libertà personale che si 
basavano sulla presunta pericolosità sociale di determinati soggetti: in 
  
 
 
12
pratica, la legge individuava determinate categorie di soggetti i quali, 
data la loro presunta pericolosità sociale, e a prescindere dal 
compimento di reati, erano passibili di essere assoggettati a restrizioni 
più o meno gravi, a seconda della misura inflitta a loro carico. 
Dunque si aveva, da una parte, il sistema della legislazione 
processual-penalistica che dettava regole per l’accertamento della 
responsabilità penale e la repressione dei reati; dall’altra, un sistema di 
misure di prevenzione che prescindeva dall’accertamento della 
responsabilità e si basava esclusivamente sulla pericolosità sociale del 
soggetto. 
Le misure di prevenzione erano, l’ammonizione, la vigilanza 
speciale, il domicilio coatto. 
Le persone che potevano essere ammonite erano gli oziosi, i 
vagabondi abituali non dediti al lavoro e senza mezzi di sussistenza; 
coloro che per pubblica voce avessero commesso qualche reato, anche 
se non processati o condannati (ovvero i diffamati). L’ammonizione 
determinava come conseguenza l’interdizione, intesa come decadenza 
dal diritto di voto, nonché una serie di obblighi, come quello di tenere 
una fissa dimora, o del divieto di frequentare alcuni luoghi o persone, 
sul cui rispetto vigilava l’autorità di pubblica sicurezza. 
La vigilanza speciale si applicava come pena accessoria a chi era 
già stato condannato per dei reati. Questa misura imponeva una serie 
di obblighi che riducevano la persona in uno stato di soggezione nei 
confronti dell’autorità di pubblica sicurezza: ad esempio, l’obbligo di 
residenza, l’obbligo di non abbandonarla senza l’autorizzazione 
dell’autorità pubblica, di non frequentare alcuni locali pubblici, ecc…. 
  
 
 
13
La violazione di uno di tali obblighi autorizzava l’autorità di 
pubblica sicurezza a procedere all’arresto del contravventore, e anche 
alla perquisizione personale o domiciliare, nel caso in cui vi fosse 
stato il sospetto che un vigilato stesse per commettere un reato. 
Infine il domicilio coatto si applicava a coloro che erano considerati 
particolarmente pericolosi per la pubblica sicurezza (per 
esempio,ammoniti o vigilati che avessero contravvenuto due volte ai 
relativi obblighi, o coloro che fossero stati condannati per un delitto 
contro le persone). 
Si trattava della misura più grave quanto alla limitazione della 
libertà personale, che però, a differenza delle precedenti , era irrogata 
da un organo amministrativo (l’ammonizione e la vigilanza speciale 
erano disposte dal giudice); la sua durata variava da uno a cinque anni 
e consisteva in una vera e propria pena detentiva da scontare in 
colonie penitenziarie. 
Non a caso essa fu la misura che subì notevoli ampliamenti durante 
il periodo fascista, quando venne usata come strumento per contrastare 
il dissenso sociale e politico. 
Dunque, le misure di prevenzione mostrarono da subito la loro 
natura “classista”: si colpivano determinati soggetti, sulla base della 
convinzione che la semplice repressione dei comportamenti illeciti, 
non fosse sufficiente a garantire la difesa della società e che fosse 
dunque necessario introdurre degli strumenti piu flessibili, affidati 
all’autorità di pubblica sicurezza che garantiva tempestività di 
intervento e fedeltà ai poteri costituiti
11
. 
                                                          
11
 P. Caretti, I diritti fondamentali, Libertà e diritti sociali, Torino, 2005, p. 30-35. 
  
 
 
14
5. La libertà personale nel sistema dello Stato fascista 
 
La legislazione successivamente varata dal regime fascista sviluppò 
quei principi di preminenza dell’Esecutivo, che avevano subito alcune 
limitazioni, ma che non erano stati mai completamente eliminati. Si 
conservarono nel nuovo codice di procedura le ipotesi di carcerazione 
preventiva prevista dal codice del 1913, accentuando il rigore nei 
confronti dei deliquenti abituali, professionali e per tendenza. 
L’impianto delle misure di prevenzione non subì, con la legislazione 
fascista, innovazioni particolarmente significative rispetto a quello 
preesistente. 
La relativa disciplina era contenuta in due testi unici: quello del 
1926, che sostituisce quello del 1889, e quello del 1931, che si 
sostituisce integralmente al primo. 
Dunque, le misure di prevenzione rimasero le stesse: ammonizione, 
sorveglianza speciale e domicilio coatto, che assunse il nome di 
confino di polizia; la disciplina precedente subì un aggravamento in 
quanto, da un lato, vennero ampliate le categorie di soggetti sottoposti 
alle suddette misure e dall’altro lato si aumentarono i presupposti che 
ne giustificavano l’applicazione; infine, venne esplicitata la funzione 
di repressione del dissenso politico di queste misure e vennero 
conferiti più poteri discrezionali alle autorità amministrative chiamate 
ad applicarle. 
Le principali novità introdotte dal T.U. del 1931, riguardavano 
innanzitutto l’ammonizione che venne estesa anche ai soggetti ritenuti 
pericolosi per gli ordinamenti politici dello Stato, poi il confino di 
  
 
 
15
polizia che era applicato, a differenza di prima, secondo quanto 
disposto dal T.U., “anche a coloro che abbiano commesso o 
manifestato il deliberato proposito di commettere atti diretti a 
sovvertire l’orientamento degli ordinamenti nazionali, sociali o 
economici costituiti nello Stato o a menomare la sicurezza ovvero a 
contrastare o ostacolare l’azione dello Stato in modo da arrecare 
comunque noncumento agli interessi nazionali in relazione alla 
sicurezza interna e internazionale". Venne previsto il rimpatrio con 
foglio di via obbligatorio o per traduzione, che si traduceva in un vero 
e proprio fermo di polizia di sicurezza e che era applicato a persone 
che non volevano dare “contezza di sé” tramite l’esibizione di un 
documento d’intentità, e a persone pericolose per l’ordine pubblico, la 
sicurezza pubblica o per pubblica moralità; e in ultimo, è opportuno 
ricordare le drastiche limitazioni alla libertà di circolazione e 
soggiorno introdotte dalla l. n. 1092/1939, recante “Provvedimenti 
contro l’urbanesimo”
12
. 
 
 
 
  
 
 
 
 
                                                          
12
 P. Caretti, op. ult. cit.