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- CAPITOLO 1: LA STORIA - 
 
1.1 LA NASCITA DELLA VOLONTÀ DI CONSERVAZIONE: FILM 
E «NON-FILM» 
 
Parigi, 17 giugno 1938. In occasione di un tributo al MOMA (Museum 
of Modern Arts) di New York, organizzato dalla Cinémathèque 
Française alla Cité Universitarie si incontrano quattro dei più illustri 
rappresentanti di organizzazioni archivistiche e cineteche allo scopo 
della costituzione di un organismo soprannazionale. Iris Barry e John 
Abbott (MOMA), Olwen Vaughan (National Film Library), Frank 
Hensel (Reichsfilmarchiv) ed Henri Langlois enunciano la filosofia 
operativa di quella che un anno dopo, nel 1939, diventerà la Fédération 
Internationale des Archives du Film (1939). 
I cinque punti cardine enunciati, e a cui il futuro organismo di 
coordinamento avrebbe dovuto prestare fede, concernevano: il 
coordinamento delle organizzazioni dedite alla salvaguardia dei film, 
l’agevolazione alla creazione di archivi nazionali in paesi che ne erano 
ancora privi, lo sviluppo della cooperazione tra le cineteche, la 
promozione e la facilitazione delle ricerche storiche ma soprattutto – 
cosa che ritengo ai miei fini particolarmente interessante – 
l’incoraggiamento alla raccolta e conservazione dei materiali attinenti al 
cinema, cioè quelli che il gergo archivistico attuale definisce «non-film». 
Non a caso, nella dichiarazione ufficiale d’intenti della FIAF 
viene sottolineato che «la FIAF non collezionerà film, fotografie o 
sceneggiature […], esiste unicamente allo scopo di essere l’intermediaria 
fra i suoi membri e di stabilire e sviluppare una rete d’informazione con 
i paesi non aderenti»
1
. 
E’ significativo che il documento FIAF, un documento scritto nel 
1939, faccia riferimento anche alle sceneggiature. Evidentemente c’è un 
                                                 
1
 BORDE, Les cinémathèques cit., pp. 72-73 
 13
assunto sotteso alla nascita della volontà di conservazione dei film, 
ovvero la consapevolezza che il film è un risultato collettivo che non si 
esaurisce unicamente nel visto, nel visivo tangibile, ma ha una propria 
storia che lo rende non un prodotto, bensì un processo che in quanto tale 
gode di un culmine – il visivo appunto – preparato già prima della sua 
realizzazione e arricchito in seguito da altri materiali, quasi sempre su 
diverso supporto. Difatti «riappropriarsi del ‘non-film’, per quanto 
questo termine, che è il solo in vigore, ne dia una connotazione 
brutalmente negativa, significa ricollocare nello spazio e nel tempo 
l’opera cinematografica e scoprirne i segreti di fabbricazione. In un certo 
senso rappresenta il ‘non-visto’: attraverso la documentazione cartacea il 
film diventa immediatamente percepibile sia come work in progress che, 
aspetto molto spesso trascurato, come prodotto collettivo; si supera in 
questo modo la dimensione puramente spettacolare e, nel caso estremo 
di scomparsa del film stesso, ne diventa l’unica testimonianza»
2
. 
E’ chiaro che i cosiddetti materiali non-filmici dunque, devono 
essere oggetto di attenzione alla stregua di quelli propriamente filmici, 
se non addirittura di più, in considerazione del fatto che il materiale 
cartaceo, fotografico etc. che correda una pellicola è numericamente più 
elevato. 
Perché, però, si pensa quasi esclusivamente alla raccolta e alla 
conservazione dei film? Come viene valutato il «non-film»? Quanta 
importanza e che rilevanza si dà alla sua raccolta? Ma soprattutto: chi 
deve occuparsi della raccolta e della conservazione di tali materiali? A 
queste ed altre domande vorrei tentare di dare una risposta. 
 
 
 
 
                                                 
2
 M. ZEGNA, L’archivio Chaplin, sua costituzione e natura, pp. 80-81 in La Cineteca 
di Bologna come laboratorio della storia del cinema in “Cinema in Archivio” n°4; 
Centro di Ricerca, Roma 2002 
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1.2 I MUSEI DEL CINEMA 
 
Paolo Cherchi Usai, nell’operare una distinzione tipologica tra archivi, 
musei e cineteche scrive che «i musei del cinema conservano spesso 
macchine da presa, proiettori, manifesti, costumi, sistemi sonori, 
sceneggiature, materiali pubblicitari, foto di scena, e in generale 
qualsiasi oggetto legato alla produzione o alla distribuzione di immagini 
in movimento, così come reperti relativi ad epoche anteriori 
all’invenzione del cinema»
3
. L’autore stesso constata poi tristemente 
però che «al di là del superficiale (e tutto sommato triste) interesse per 
gli oggetti-feticcio di contorno all’immagine in movimento […] e della 
curiosità antiquaria, ancorché rispettabile, per il documento effimero 
trasformato in reliquia estetica e culturale […], il museo del cinema ha 
in effetti ben poco da mostrare»
4
. 
Scrive invece Letizia Cortini: «la conservazione di 
documentazione cartacea in alcuni casi avviene oggi all’insegna di uno 
spirito collezionistico, secondo un’ottica museale che porta alla 
costituzione di raccolte di manifesti, fotografie di scena e locandine 
pubblicitarie del film – materiali di corredo prodotti durante e per la fase 
della diffusione e distribuzione di un’opera, che ancora una volta 
sottolineano l’importanza esclusivamente del prodotto finito – oltre che 
di sceneggiature e soggetti, spesso estrapolati dai loro contesti 
produttivi, trattati alla stregua di opere singole e autonome. Oppure, per 
esigenza di chiarezza sui diritti di sfruttamento di un film, vengono 
recuperati documenti amministrativi, quali contratti, accordi, liberatorie, 
convenzioni, estrapolati anche questi dai loro contesti produttivi»
5
. 
                                                 
3
 P. CHERCHI USAI, La Cineteca di Babele, p. 1019 in Storia del Cinema Mondiale 
vol. V, “Teorie, strumenti, memorie”, a cura di G.P. Brunetta, Einaudi , Torino, 2000 
4
 Ibid., p. 1061 
5
 L. CORTINI, Il problema del recupero e della conservazione della memoria filmica 
di fiction e non fiction, p. 128 in L’importanza dei fondi cartacei e del loro trattamento 
negli archivi cinematografici in “Cinema in Archivio” n°4; Centro di Ricerca, Roma 
2002 
 15
I materiali non film, per la loro stessa natura prevalentemente 
cartacea, vanno conservati “in luogo fresco e asciutto” ponendo la 
medesima attenzione che si presta alle pellicole. Come direbbe Hervé 
Dumont, direttore della Cineteca svizzera di Losanna, «I film sono come 
il pesce, se non li si mette in frigorifero vanno a male». Bene, allo stesso 
modo i materiali «non-film» non sono solo carta né solo video di 
secondaria importanza o altro: accettato questo assunto ha un certo senso 
porsi domande sulle scelte terminologiche da adottare o sui luoghi; 
infatti – come spiega Cherchi Usai -, «sul piano terminologico la 
confusione è grande e soprattutto sintomatica di un’incertezza di fondo 
sull’identità di quel che si vuole conservare e mostrare»
6
. 
Ma mi chiedo: non è forse necessaria a priori l’acquisizione di 
una consapevolezza di tipo nuovo? Ovvero: fin quando non si 
concepiranno film e «non-film» come parti inscindibili di uno stesso 
processo, destinati a confluire in uno stesso luogo e ad eccedere 
accessibili non si sarà ottenuto molto. 
Ciò che voglio dire è che credo sia auspicabile sperare che, 
quantomeno inizialmente, per le personalità più importanti della storia 
del cinema si costituiscano dei veri e propri fondi che raccolgano tutto il 
materiale connesso con la loro carriera (è quello che ad esempio stiamo 
realizzando con Mastroianni alla Cineteca di Bologna). E’ chiaro, 
fortunatamente, che un film può esistere in più copie che a loro volta 
possono essere collocate in varie cineteche, ma tra tutte, almeno una 
dovrebbe occuparsi di raccogliere accuratamente anche i materiali non 
filmici. 
Solo allora si potrà parlare non tanto o non solo di “museo del 
cinema” ma espressamente di museo “interattivo” del cinema: interattivo 
perché almeno idealmente consentirà di ripercorrere ogni tappa 
realizzativa di un’opera e di valutarne, studiarne ed osservarne gli esiti 
                                                 
6
 P. CHERCHI USAI, La Cineteca di Babele, p. 966 in Storia del Cinema Mondiale 
vol. V, “Teorie, strumenti, memorie”, a cura di G.P. Brunetta, Einaudi , Torino, 2000 
 16
dopo la sua uscita passando attraverso le sceneggiature, i piani di 
produzione, le rassegne stampa, le foto di scena etc. 
 
1.3 PER UNA POLITICA DEL «NON-FILM» 
 
Il «non-film» deve godere della stessa dignità della pellicola, essere 
valutato con la stessa importanza: pensiamo a quanto aiuto diano i 
documenti nella ricostruzione filologica di un’opera. 
D’altra parte «non c’è cineteca, archivio o museo che conservi 
documenti filmici che non sia in possesso anche di una pertinente 
documentazione cartacea, di tanti tipi e relativa a tanti aspetti. Persino le 
etichette, poste sui coperchi delle scatole-contenitori di bobine o di 
videocassette, sono fonti informative che in certi casi si rivelano 
preziose. In molte scatole di film in pellicola si sono rintracciati per 
esempio i visti di censura, moduli cartacei rilasciati dalle autorità 
competenti in materia (e cambiate nel corso del tempo); e in certi casi le 
pellicole erano accompagnate da resoconti sintetici sui luoghi dove 
erano state proiettate, con annotazioni anche sullo stato tecnico»
7
. 
A tutt’oggi però non sembra essersi avviata una corretta politica 
internazionale del deposito dei «non-film» il cui valore intrinseco è 
duplice: completare, supportare e arricchire le pellicole da una parte e 
costituire in sé uno strumento di “storia del cinema” e di 
approfondimento delle modalità di produzione cinematografiche. Solo 
nel momento in cui questi due aspetti assurgeranno, sintetizzandosi, ad 
un’unità inscindibile si disporrà di uno strumento dal valore inestimabile 
che dovrà essere adeguatamente protetto e conservato. 
Archivisti, ricercatori, collezionisti e semplici appassionati 
dovranno concorrere alla raccolta di materiali filmici e non mediante 
acquisti, donazioni e ritrovamenti. 
                                                 
7
 A. GIANNARELLI, Documenti cartacei utili per l’archiviazione di documenti 
filmici, p. 109 in I documenti cartacei nel processo produttivo filmico in “Cinema in 
Archivio” n°4; Centro di Ricerca, Roma 2002 
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Il fatto stesso che la storia del deposito dei «non-film» sia breve 
o quasi inesistente, se non per finalità di altro tipo (ad esempio in Italia 
l’obbligatorietà del deposito di soggetti, trattamenti e sceneggiature è 
finalizzata all’accertamento della nazionalità di un film; vd. cap. 2), la 
dice lunga sulle carenze che bisogna ancora colmare. 
Perfino a livello di standard di catalogazione dei materiali non 
possiamo ancora disporre di uno strumento classificatorio unico e 
completo. 
L’esempio pratico della creazione del Progetto Mastroianni 
mostrerà quindi le difficoltà che praticamente si incontrano nella ricerca 
dei «non-film» e che derivano da quanto ho appena messo in evidenza.