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La prima parte del lavoro, quindi, rappresenta la contestualizzazione del rapporto 
film-trailer all’interno del sistema promozionale
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, a partire da un’analisi propedeutica 
dell’evoluzione strutturale e dei cambiamenti di statuto che, dal nitrato al web, hanno 
interessato il trailer lungo un percorso storico-mediatico. Quella che Lughi [1988a, 
95]definisce la storia di un «cinema “minore”» rappresenta, infatti, l’analisi (cap. I) di 
un cammino parallelo e sincronico a quello del cinema, analogamente scandito da una 
fase primordiale, dominata dalla pratica persuasiva dell’imbonimento cinematografico, 
da quella del muto, in cui avviene una prima standardizzazione strutturale rafforzata poi 
durante il sonoro e, infine, da una fase autoriflessiva e sperimentale degli anni sessanta, 
confluita quindi nel recupero e nell’assestamento di una struttura classica ancora oggi 
osservabile.  
Parimenti al cinema, quindi, il trailer subisce le scosse di una propria nouvelle 
vague che, per quanto smorzate da un ritorno al classico, rappresentano l’affermazione 
di possibilità espressive inaspettate e il rafforzamento di una vocazione intermediale del 
trailer. Le ibridazioni con la grafica cartellonistica operate da Igino Lardani negli anni 
sessanta, infatti, rappresentano la sottrazione furtiva del trailer a un dominio 
prettamente cinematografico, sia in termini produttivi – da quel momento la 
realizzazione dei trailer diventa una pratica autonoma e specializzata – sia linguistici, 
dove il trailer si sottrae per la prima volta al vincolo del prelievo filmico e 
all’imitazione di un linguaggio cinematografico. L’avvento del medium televisivo e, 
successivamente, quello dei new media hanno rappresentato, quindi, la definitiva 
celebrazione di un testo nato (e scomparso) nella sala cinematografica, ma destinato ad 
attraversare (ed essere attraversato da) tutti i media.  
Il secondo capitolo, quindi, verte su tale percorso e sull’approdo del trailer in 
quella sorta di “paradiso” delle forme brevi rappresentato dalla rete telematica. Il web, 
                                                      
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 Per quanto riguarda il corpus testuale di riferimento non si è prediletto nessun criterio di scelta, 
sottostando, inoltre, ad un limite oggettivo che caratterizza la reperibilità dei trailer. Il web, ovviamente, 
ha rappresentato il nostro archivio che, per quanto vasto, ha fornito quasi esclusivamente i trailer più 
recenti. Nel primo capitolo, di impostazione più storica, quindi, gli esempi riportati vertono 
maggiormente sulla componente didascalica del trailer, che si è potuto citare dalle fonti bibliografiche di 
riferimento. Nel secondo capitolo, invece, l’analisi della realtà mediatica contemporanea ha prediletto dei 
casi recenti di promozione cinematografica, grazie anche all’aggiornamento e al facile reperimento di 
ogni tipo di materiale attinente. Nella seconda parte della tesi, di impostazione prettamente teorica, si è 
preferito collocare il trailer in una dimensione testuale potenziale ed astratta prescindendo in parte dai 
singoli casi, mentre per l’analisi dell’enunciazione sono stati scelti i casi più eclatanti come il trailer 
d’autore. 
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nel nostro caso, oltre ad essere una realtà mediatica difficilmente ignorabile in un 
discorso sul testo audiovisivo, rappresenta la summa delle poetiche sviluppatesi lungo il 
novecento e, allo stesso tempo, il principio di convergenza delle strategie comunicative 
dell’industria cinematografica.  
Da un punto di vista economico, il riassetto del settore cinematografico in 
direzione di un decentramento delle attività produttive e distributive, della 
frammentazione dell’offerta e della provvisorietà dei singoli progetti imposto dalla 
sentenza antitrust del 1948 e dalla concorrenza televisiva, è stato il riflesso di una crisi 
più profonda e generica del concetto di unità: l’individuo, l’arte, la cultura e, in seguito, 
lo stesso film hanno subito le energie disgreganti ed “esplosive”  del ‘900 – si pensi alla 
psicanalisi, all’esperienza delle avanguardie e alla moltiplicazione cubista del punto di 
vista – sfaldandosi irrimediabilmente eppure diventando essi stessi frammenti 
ricombinabili in nuove “masse”. In questo senso, la prospettiva sulla massificazione 
culturale proposta da Horkheimer e Adorno in Dialettica dell’illuminismo [1982²] 
rappresenta, in negativo, un punto di partenza per l’osservazione di quei movimenti di 
omogeneizzazione ed orizzontalizzazione culturale e di “coagulazione” dei frammenti 
che nella globalizzazione telematica ha dato vita a nuovi particolarismi e nuove unità: il 
glocal appunto.   
Il passaggio dalla frammentazione meccanica all’unità elettrica, che segna la 
nascita del villaggio globale  di McLuhan [2002] è stato, ovviamente, il modello teorico 
di riferimento anche per la descrizione di un prodotto filmico che si ribella alla 
sequenzialità meccanica del mezzo cinematografico per “darsi” come unità testuale che, 
a sua volta, viene inglobata nel macro-prodotto culturale dei complessi multimediali e, 
naturalmente, atomizzata nei suoi paratesti promozionali. Le scelte di un settore 
economico come quello cinematografico, quindi, rappresentano le condizioni per lo 
sviluppo e la fruizione di formule e forme comunicative sempre più invasive, non solo a 
livello mediatico, ma anche a livello fisico e corporeo. Il web e i siti dell’agenzia 
creativa Hi-Res!, ad esempio, hanno rappresentato infatti il punto di arrivo e la 
sublimazione di un’estetica e di una sensualità fruitiva promossa dalle forme brevi 
pubblicitarie, nonché la piattaforma su cui esse si adagiano una volta terminato il loro 
compito. Con l’introduzione della filosofia dello User-generated Content – si pensi a 
Wikipedia o YouTube – inoltre, il web diventa il luogo del riscatto paratestuale, la 
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consacrazione della forma breve in una nuova fruibilità estetico-ludica svincolata o, 
forse, rafforzata, dalla funzione promozionale: il fenomeno del recut trailer quale 
rimontaggio amatoriale di un nuovo paratesto filmico solitamente deviante o parodico 
(Shining in versione comica, Mary Poppins come thriller, per fare degli esempi), per 
esempio, è stato di recente intercettato ed assorbito tra le proprie strategie dalla stessa 
industria culturale. I fake-trailer integrati nel double feature di Grindhouse (2007) della 
coppia registica Tarantino-Rodriguez – apprezzati più dello stesso film – o il progetto 
You Trailer – un concorso rivolto ai cibernauti per il montaggio del trailer con spezzoni 
filmici preselezionati – che ha accompagnato la promozione del film I Vicerè (2007) di 
Roberto Faenza, dimostrano quanto l’ideale di una cultura di massa (Horkheimer e 
Adorno) monopolizzata ed imposta al consumatore sia lontana dalla realtà del 
postmoderno in cui la “cultura bassa” viene immediatamente istituzionalizzata e 
restituita al consumatore. La rete, infine, rappresenta anche la metafora di un testo 
concepito (etimologicamente) come tessuto, come trama imbastita da una narratività 
inter-paratestuale e transmediale: una strategia globale d’impresa, basata 
sull’elaborazione di un sistema coerente di ripetizioni, citazioni e ri-enunciazioni tra 
testi promozionali, che spesso sfocia in prolungamenti diegetici e macro-discorsività di 
cui il film rappresenta solo una delle possibili testualizzazioni.  
Lo sfaldamento di un epicentro filmico all’interno di un più ampio sistema 
intertestuale e intermediale rappresenta il presupposto per l’analisi più mirata del 
rapporto trailer-film, indirizzata sullo sviluppo di quattro caratteristiche principali del 
testo: a. Il trailer è un paratesto; b. Il trailer è un paratesto audiovisivo; c. Il trailer è un 
testo pubblicitario; d. Il trailer è una réclame. A partire da un tradizionale 
inquadramento nella paratestualità teorizzata da Genette, si sono analizzate le 
condizioni “fisiche” in cui tale rapporto nasce e si sviluppa. La distanza e la prossimità 
spazio-temporali in cui si colloca il trailer a seconda delle fasi promozionali 
determinano, infatti,  l’efficacia e la natura di una sua operatività  sul film: sulla base 
delle sotto-categorie paratestuali genettiane, quindi, si è osservato come il trailer possa 
ricoprire tutte le funzioni riconducibili alle prefazioni anteriori, originali e tardive, 
nonché all’epitesto e al peritesto. Attraverso la panoramica delle “posizioni” 
paratestuali assunte dal trailer, quindi, si è definito il grado di libertà enunciazionale di 
un testo, tra l’altro, audiovisivo come il proprio referente, nonché breve e pubblicitario. 
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Su tale assunto si è ipotizzato quindi che il linguaggio del trailer sia ancora 
cinematografico ma, ovviamente, non filmico, che esso ne rappresenti, in pratica, una 
particolare articolazione pubblicitaria che lo differenzia dal semplice spot. La natura 
audiovisiva del trailer, inoltre, determina la complessità di un rapporto basato sulla 
condivisione della stessa sostanza espressiva, sul prelievo intertestuale e sulla 
differenza di “formato”, che connotano tale relazione come una traduzione 
intrasemiotica di tipo riassuntivo. Ma la forte caratterizzazione testuale connaturata alla 
sua durata ed imposta da un “dovere” persuasivo determina un “vantaggio” del trailer 
sul film, rafforzato da una più generica estetica dell’euforia in cui le forme brevi 
assumono le redini della comunicazione audiovisiva “leggera”.  
Una maggiore focalizzazione della componente prettamente pubblicitaria del trailer 
ha marcato, infine, lo slittamento analitico dai testi ai discorsi, evidenziando la 
superficialità e la limitatezza della dimensione testuale e quindi la profondità e, 
soprattutto, l’ampiezza di una relazione interdiscorsiva. La ricognizione dei rapporti 
transtestuali tra film e trailer, quindi, ha evaso i limiti della tassonomia genettiana per 
recuperare la versatilità concettuale della transtestualità stessa; nel caso di una tendenza 
a trascendere così spiccata e doverosa come quella del testo promozionale, inoltre, essa 
è stata liberamente assunta come architesto pubblicitario o, detto altrimenti, come 
“promozionalità della pubblicità”. A partire dalla definizione di «trascendenza testuale 
del testo» [Genette 1997, 3], è stato utile ampliare la portata della trascendenza non 
solo al versante testuale ma anche a quello discorsivo, ridefinendola come 
“trascendenza immanente” o “transtestualità transtestuale” (trascendente la testualità): 
un bisticcio di parole per dire che nei loro rapporti i testi avviano una serie di sub-
relazioni presumibilmente più ampie quanto teoricamente suggestive, delle quali le 
classi genettiane rappresentano una costrizione. 
Con questi presupposti teorici si sono osservate, quindi, le dinamiche del trailer in 
relazione alle nuove frontiere della comunicazione pubblicitaria e della “svolta 
discorsiva” intrapresa dalla marca nell’era della publicity, divenuta sistema di valori 
comportamentali, culturali o, semplicemente, comunicativi: un universo discorsivo in 
grado di interagire in maniera invasiva non solo con altre pratiche testuali ma più 
direttamente con il sociale. Il trailer, invece, rimanendo fedele ad una configurazione 
tardo-ottocentesca tipica della réclame fonda il proprio messaggio sulla funzione 
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mostrativa rispetto al prodotto filmico, evidenziando, quindi, le problematiche relative 
alla presenza del testo in un altro e alla distanza enunciazionale che il trailer instaura 
con esso. Più precisamente, nell’ambito di un’intertestualità (genettiana) quasi 
imprescindibile, il trailer si configura come racconto di primo grado rispetto al 
metaracconto filmico, in cui la distinzione tra le due diegesi verte principalmente nel 
ricorso alla voce off. È stato necessario quindi risolvere l’ambiguità di fondo della 
terminologia relativa al collocamento diegetico delle voci in presenza di un “racconto 
nel racconto”: distinguendo, ad esempio, un fuori campo del trailer da uno filmico, la 
voce off designerà il primo (il narratore del trailer non inquadrato) che, rispetto al 
secondo sarà quindi over; allo stesso modo non esiste alcuna voce over riferita al trailer, 
non esiste cioè un io, qui ed ora collocato a un livello superiore rispetto al narratore.  
La successiva riflessione sul destinatore e destinatario del trailer ha rivelato, 
quindi, una problematica centrale ma non facilmente risolvibile in un testo fortemente 
interpellativo e tuttavia anonimo come il trailer ma, assumendolo come flashback (già 
visto) invece che come un flashforward (pre-visione) del film, si è ipotizzato che il 
destinatore del trailer possa coincidere con un suo destinatario, lo spettatore, di cui il 
trailer rappresenta il ricordo sfaccettato e confuso dell’esperienza filmica: parafrasando 
Eco [1985, 54], quindi, il ricordo anticipato del film connota un testo il cui meccanismo 
interpretativo rappresenta la sua sorte generativa.  
Se a livello narrativo, quindi, il trailer mette in forma il prodotto filmico per 
mostrarlo e, simultaneamente, distanziarlo da sé, a livello discorsivo tale separazione 
non è auspicata né possibile. In maniera più discreta rispetto alla chiassosità della 
réclame, infatti, il trailer ricopre anche il ruolo di publicity sponsorizzando il film non 
in quanto prodotto, ma in quanto marca di se stesso, universo discorsivo già 
testualizzato ma, non per questo immune da un suo reinvestimento in altri testi. La 
promozionalità del trailer, quindi, non si riduce alla sola trascendenza testuale-
oggettuale mostrata in stile réclame; ad essa è sottesa, infatti, una trascendenza 
discorsiva in cui un discorso di provenienza pubblicitario si incontra con quello di 
referenza filmico dando luogo, quindi, ad un’elaborazione secondaria, a una 
rimediazione delle messe in forma intraprese dal film sul mondo.  
Le relazioni transtestuali rappresentano, quindi, solo la manifestazione di relazioni 
più immanenti in cui il paratesto diventa discorso su un discorso che, a sua volta, 
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subisce un’ulteriore messa in forma: «Il discorso sul paratesto non deve mai 
dimenticare che il suo oggetto è un discorso che ha, a sua volta, come oggetto un 
discorso, e che il significato del suo oggetto dipende dall’oggetto di questo significato 
che è a sua volta significato»[Genette 1989, 404, corsivi miei]. Un’esponenzialità 
discorsiva, quindi, in cui è forse lecita un’enunciazione enunciata dove ammettere di 
essere diventati oggetto del proprio studio: il «discorso sul paratesto» come quello qui 
presente, non solo applica la messa in forma di un discorso “periodico”, ma intraprende 
obbligatoriamente l’elaborazione secondaria dei “discorsi altrui” [cfr. Bachtin 1979] 
riferiti al paratesto e, più in generale all’intertestualità (nel senso più ampio del 
termine). L’intentio intertextualitatis [Eco 2002, 128-146] in una tesi, d’altronde, è 
quanto di più ovvio e doveroso possa esistere, un imperativo citazionale, una legittimità 
discorsiva inequivocabile e addirittura misurabile. Ma se il discorso autorevole e 
legittimante a cui si fa ricorso ha come oggetto e come metodologia forzata – anch’esso 
non può fare a meno di citare – l’intertestualità e tutte le sue implicazioni, esse stesse 
diventano la causa, gli strumenti e gli effetti della propria strumentalizzazione. 
Il terzo capitolo, che abbiamo intenzionalmente omesso nella rivisitazione delle 
tematiche affrontate, rappresenta, quindi, la fissazione di un quadro teorico utile a 
chiarire le ipotesi a seguire ma, soprattutto la silenziosa ed arrendevole presa di 
coscienza di un atto di scrittura privatamente autoriflessivo ma dichiaratamente 
anonimo. Il regime impersonale mantenuto nella compilazione della tesi, non 
rappresenta solo una convenzione discorsiva di un testo che vuol sembrare “scientifico” 
ma la consapevole rinuncia a qualsiasi barlume di autorialità e di originalità d’altronde 
negate fin dal principio. Intraprendere un percorso di scrittura che ha come presupposto 
teorico la morte dell’autore rappresenta una suggestione che forse anche Barthes ha 
provato, una rassegnazione divertita ma anche il desiderio di smentirlo o, almeno, di 
ingannarlo simulandoci come lettori di ciò che scriviamo (che, in questa sede, è un po’ 
un dovere). Tale arrendevolezza è tuttavia preferibile al nevrotico tentativo di dire il 
non detto pur parafrasando ciò che, magari, non è più dicibile, diversamente da quanto 
accade in una presa di coscienza dell’effettiva socialità del pensiero, attraverso la 
perenne sensazione di una comprensione preverbale, di un déjà vu della lettura e di una 
plurivocità della scrittura.  
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Tali sono stati i presupposti teorici o, meglio, le predisposizioni personali che 
hanno indirizzato questa ricerca ma anche le verbalizzazioni di “sensazioni” testuali 
esperite empiricamente. L’opportunità-dovere di eseguire un montaggio 
cinematografico in forma breve, senza l’ausilio di un’apparecchiatura per le riprese, è 
stata l’occasione per usufruire adeguatamente del trailer quale unico audiovisivo che 
non avrebbe “sofferto” dell’assenza di un proprio girato. Il ricorso a un “già filmato” o, 
meglio, a un “già film” sarebbe stato legittimato, quindi, dalla natura stessa del trailer, 
di un testo, cioè, condannato a “parassitare” su un altro che, si suppone, gli preesiste e 
lo determina occupandone ogni spazio, “saturandolo”. La sintassi sarebbe stata, quindi, 
l’unico strumento per rivendicare una parziale autonomia d’intervento sul film nel 
modo più ovvio di tutti: tradendone il significato e deviandone gli orientamenti tematici 
in esso predisposti. Lo statuto del trailer, inoltre, avrebbe rappresentato la 
giustificazione di tale “scorrettezza”: un testo nato per sedurre, per trainare 
(letteralmente), per persuadere deve essere prima di tutto convincente, quasi attendibile, 
in accordo con uno spettatore che conosce, ma ignora, le sue possibilità – o il suo 
dovere – di mentire impunemente. La scelta di come sfruttare le potenzialità del trailer 
è, infine, ricaduta sulla variante thriller-hollywoodiana di un film geograficamente e 
stilisticamente sovietico come Stalker (A. Tarkovskij 1979): un’operazione ludica e 
“irrispettosa” – ma senz’altro nata dall’amore verso il film – che si è scoperto poi essere 
un vero e proprio fenomeno della rete, il recut trailer appunto. Ma soffermandomi sulle 
motivazioni di tale scelta, ciò che si è prospettato nella mente è stato semplicemente il 
ricordo del film, della sua visione e delle sue risonanze: una sorta di senso ottuso 
emerso dal testo stesso e da me solo nominato – in maniera forse incongrua – come 
thriller; un gesto autorizzato, quindi, da un testo rarefatto che tutto può essere, dalla 
nudità di uno “schema narrativo canonico”, da una favola russa, matrice narrativa del 
mondo. Al di là di un effettivo raggiungimento dell’“effetto thriller” di Stalker, ciò che 
è rimasto è stata la piacevole rassegnazione di fronte a un testo che ha comandato le sue 
aberrazioni e a cui, ancora inconsciamente, ho obbedito.