2
significa “condurre il bambino” in quanto si compone delle due parole 
greche “pais” che vuol dire bambino e “aghein” che vuol dire condurre, la 
pedagogia oggi viene definita con un’ espressione  che racchiude  tutto il 
sapere pedagogico e cioè le Scienze dell’ Educazione. Quindi la pedagogia 
è una materia, che studia teoricamente i problemi inerenti l’educazione, il 
cui termine deriva dal verbo latino “ex-ducere” che significa “tirar fuori” 
nel senso che il rapporto educativo è costituito da tutte quelle attività che 
un adulto svolge nei confronti di un bambino al fine di “tirar fuori” da lui 
ciò che c’è di buono, per svilupparlo e rafforzarlo, ciò che c’è di cattivo, 
per ridurlo o eliminarlo. L’ azione dell’adulto verso il bambino è tesa alla 
maturazione di quest’ultimo, per sviluppare al pieno le sue facoltà fisiche e 
psichiche. Prima di parlare di pedagogia della famiglia o educazione 
familiare, che sarà il tema centrale di questo lavoro, m’è parso utile, 
ridefinire la pedagogia nel suo significato originario, dal momento che 
essa, quando nacque, la sua attenzione era già incentrata sul bambino e la 
sua precoce educazione e sulla figura del pedagogo (l’ antico paidagogos), 
che non poteva certo dirsi  uguale all’attuale pedagogista o educatore 
(infatti l’antico paidagogos era uno schiavo, che accompagnava e ritirava il 
bambino da scuola, una figura posta ai margini del mondo scolastico 
formalizzato dell’epoca). Ma torniamo al periodo attuale, qualche anno fa, 
si tenne un convegno al quale parteciparono molti esperti del settore 
educativo/ familiare di diversi paesi, per discutere di un nuovo ambito di 
studio, la già citata Pedagogia della famiglia o educazione familiare. 
Questo nuovo ambito di studio è relativamente giovane, nel senso che solo 
da qualche anno è oggetto di ricerche degli “ addetti ai lavori “. Perché non 
tanto giovane ?.
2
 Le ricerche educative che da più di un secolo seguono 
l’evoluzione e il progresso del sistema scolastico, solo da poco han 
mostrato interesse in questa direzione, come mai solo ora?. Ci si è 
                                                 
2
 Ibidem. 
 3
chiesti,perché studiare una realtà che tutti conosciamo e viviamo ogni 
giorno?, perché sia all’interno che all’esterno della famiglia i processi 
educativi seguono il nostro esistere  ogni giorno. Ciascuno di noi ha 
esperienza in presa diretta, di appartenere ad almeno una famiglia: tale 
appartenenza ci da il senso di essere esperti in relazioni familiari, al punto 
da non aver bisogno di farne ricerca. Ogni scienza umana ha concluso che, 
la famiglia rappresenta la sfera d’influenza cruciale più importante per lo 
sviluppo e l’educazione del soggetto umano. L’ambito di studio 
dell’educazione  familiare sono le relazioni educative: dentro la famiglia si 
esaminano come i genitori educano i figli e quindi sull’attività genitoriale 
dentro le mura domestiche e verso la famiglia, in che modo i genitori sono 
sostenuti dai servizi sociali. Quindi si parla di educazione familiare intesa 
come pratica sociale, di relazioni verso la famiglia. Questi due ambiti sono 
interconnessi e le loro problematiche sono esaminate dal punto di vista 
pedagogico, ma sono di completamento alle altre scienze umane. La 
domanda che questa “neonata” disciplina si pone è: in che modo aiutare i 
genitori a educare bene i figli e in che modo i genitori possono favorire una 
crescita sana ed equilibrata dei figli in un contesto vitale qual è quello della 
famiglia ?. La realtà familiare è presente fin dagli albori della civiltà, col 
tempo si è evoluta nei rapporti tra suoi componenti e nei rapporti con 
l’ambiente circostante. Parlare di pedagogia della famiglia non è semplice 
come sembra, è un argomento d’interesse importante e non nuovo a 
speculazioni pedagogiche
3
. E’ un oggetto “multisfaccettato”, in qualunque 
“luce” lo si osservi, l’approccio nei suoi confronti è multidisciplinare e 
molti studiosi concordano; perché multidisciplinare ?, perché ogni scienza 
sociale studia la realtà familiare, mostrando diversi aspetti del suo  
“vivere”. La famiglia non può dirsi un contesto univoco, i componenti 
agiscono al suo interno e si confrontano poi all’esterno, la società si evolve, 
                                                 
3
 Laura Formenti, Pedagogia della famiglia, Milano, Edizioni Angelo Guerini e Associati SpA, 2000. 
 4
progredisce ed è chiaro che ciascuna famiglia ne è condizionata, es.: usi, 
costumi, punti di vista, modelli di comportamento in modo positivo o no; 
ecco perché all’ inizio ho accennato che la “ realtà virtuale “ è artificiale, 
non vera..ciò che va bene per l’intera società, non è detto, che valga per 
ogni  singola famiglia. La famiglia non dev’essere vista solo come un 
sistema il cui fine più importante è tramandare il sapere non solo culturale 
ma anche affettivo, ma anche come un  “campo” in cui il bambino sviluppa 
l’apprendimento, prendendo a modello di riferimento i genitori. La famiglia 
è da vedere come un contesto vitale, che prende vita, che vive; possiamo 
paragonare la società al corpo umano: la prima è data dall’ insieme di tante 
singole famiglie, il corpo umano è formato da tante piccole cellule che 
nell’insieme formano tessuti e qundi un organismo, ciascuno con proprie 
caratteristiche e compiti, come all’interno di una famiglia. Per ciascuno di 
noi la famiglia è il primo punto di riferimento, dal quale abbiamo appreso 
modelli e sviluppato le nostre identità. Questo lavoro si occuperà di 
educazione familiare e identità genitoriale, che ora andiamo a definire. 
Ciascun genitore ha il compito di far sviluppare al figlio una sua identità, 
ricordando che, il piccolino apprende velocemente qualunque cosa veda o 
senta, perciò si deve  fare attenzione alle parole che si pronunciano e i 
comportamenti, in quanto parole e/o comportamenti sbagliati verranno 
presi dal bambino come corretti, non essendo il bambino ancora in grado di 
definire bene e male.  Abbiamo detto che, il bambino si identifica nei 
genitori, che hanno un sapere acquisito grazie all’ esercizio della loro 
funzione, ma definiamo meglio cosa s’intende per identità.  L’identità è 
l’essere una determinata persona con sua personalità e carattere, con una 
sua individualità diversa da ogni altra. Per definire l’identificazione 
prendiamo a prestito dei concetti dalla psicoanalisi: s’intende con tale 
termine, un processo in cui, una persona assimila uno o più tratti di un altro 
individuo, comportandosi più o meno come lui; quindi la personalità di 
 5
ciascuno si distingue attraverso identità successive, che portano allo 
sviluppo della personalità. Questa semplice definizione ci fa comprendere, 
che già alla nascita siamo esseri, che si distinguono dagli altri, all’inizio 
solo fisicamente ma in seguito anche mentalmente. Se ci pensiamo, in 
fondo è bello, esser diversi l’uno dall’altro, in una parola esser originali con 
qualità o tratti che altri non hanno; è bello nella diversità, scoprire altri 
caratteri, vedute. E’ bella l’originalità, anche se non sempre viene 
accettata..  Il famoso detto: “il mondo è bello, perché è vario”, non sarà 
nato per caso; se fossimo tutti uguali, a “fotocopia”, che gusto ci sarebbe a 
scoprire l’altro?. La vita sarebbe piatta, monotona e niente di particolare.. 
Scoprire altri caratteri, vuol dire, adattarsi anche a personalità diverse dalle 
nostre, che ci piacciano o meno.. Lo insegna l’antichità biblica, i primi 
genitori al mondo,  Adamo ed Eva che ebbero dei figli Caino e Abele, 
diversissimi per temperamento e carattere, il primo irrequieto e impulsivo e 
il secondo più mite e tranquillo: l’originalità era presente già da allora.. 
Riprendendo dall’antichità, certamente Adamo ed Eva non sapevano, che 
volesse dire essere genitori, trasmettere qualcosa ai figli, hanno imparato 
come si dice “in itinere” cioè col tempo e con la pratica.. Pur senza essere 
andati a scuola (evidente il motivo) né loro né i figli, hanno comunque 
studiato: perché dico ciò?. Perché nel loro caso lo studio era la pratica della 
vita quotidiana, che forniva loro l’esperienza per andare avanti, anche se la 
loro vita familiare si svolgeva tra campi e pascoli.. La cultura e l’esperienza 
non vengono solo da libri e studio, ma anche dalla vita pratica che cementa 
rapporti e conoscenze, ricordiamolo, aver letto tanti libri o avere una laurea 
non significa che si è in grado di essere bravi genitori o persone, sono le 
situazioni che si vivono ogni  giorno a darci l’esperienza e maturità, per 
affrontare eventi più o meno duri. Nessuno nasce esperto come genitore, 
anche se ha preparazione universitaria, si diventa genitore solo con la 
pratica. Sento spesso dire, che il mestiere di genitore è quello più difficile, 
 6
perché non si impara né sui banchi né sui libri, come ho brevemente 
accennato all’inizio. Allora, cos’è che aiuta un buon genitore ad essere 
tale?. La  pratica, gli errori, l’uso di buon senso e voglia di crescere al 
meglio i figli.. Il ruolo dei genitori e il loro agire educativo in situazioni 
facili e non, sta al centro di un recente progetto chiamato appunto 
Pedagogia dei genitori, un progetto in cui sono raccolte storie di vita di 
alcuni genitori alle prese con figli portatori di handicap e una cosa che 
emerge dai loro racconti è, che nessuno era preparato alla difficoltà e il 
contesto si è rivelato importante nello sviluppo della personalità e 
nell’apprendimento. Si evidenzia l’importanza della famiglia nello sviluppo 
delle capacità cognitive, di carattere e personalità durante il periodo della 
scuola materna. I genitori possono definirsi esperti educativi pur senza 
preparazione universitaria, la loro azione verso la prole è di basilare 
importanza, perché i figli sviluppino in modo armonico la loro persona, 
anche in situazioni di vita anormali o con ostacoli. Tale progetto vuol 
evidenziare, che anche l’azione dei genitori è pedagogica, pur senza essere 
dei veri pedagogisti. Questi genitori in situazioni difficili hanno avuto la 
forza e il sostegno per risalire la china e reimpostare modi e 
comportamenti, non sempre è facile. L’avere in casa un figlio portatore di 
handicap, può dirsi un “evento critico” che modifica o disgrega la vita 
familiare, un trauma che “segna” non solo chi lo vive, ma anche i familiari 
che assistono. Dopo questa introduzione di “assaggio” sull’argomento ecco 
come si articolerà il presente lavoro. Nel primo capitolo si parlerà degli 
“eventi critici” che presentandosi nella vita familiare, possono portare alla 
modificazione e / o disgregazione della medesima (famiglie negligenti, figli 
con handicap, separazioni, catastrofi naturali, guerre); nel secondo capitolo 
l’ evento “critico” già presente può provocare una “caduta” del soggetto, 
che pur vivendo tale difficile situazione, trova la forza e la capacità per 
riorganizzare in positivo la propria esistenza anche tramite supporti esterni 
 7
come la mediazione familiare e le associazioni di volontariato e qui entra in 
gioco  il fenomeno della resilienza, il cui studioso più autorevole è senza 
dubbio Boris Cyrulnik
4
; nel terzo capitolo si esporranno in modo più 
diffuso la mediazione familiare e le associazioni di volontariato (dette 
anche no-profit), nel quarto capitolo si  esporranno alcuni casi reali di 
persone resilienti
5
 e nell’ultimo si trarranno le conclusioni: il mondo del 
volontariato e la mediazione familiare, quanto questi siano  determinanti 
nel supportare persone resilienti e la loro efficacia. 
                                                 
4
 Boris Cyrulnik, La resilience, ou le ressort intime. In J.P. Pourtois e H.Desmet ( a cura di ), Relation 
familiale et resilience, Paris, L’ Harmattan, 2000, pp.96-111. 
5
 Boris Cyrulnik, Elena Malaguti, Costruire la resilienza, Trento, Edizioni Erickson. 
 8
Capitolo 1 
Vita familiare ed “eventi critici” che possono modificare e/o 
disgregare la medesima 
 
Par.1.1.1. La famiglia : nascita ed evoluzione 
 
Famiglia: parlarne non è facile, nel senso che non si sta studiando un 
oggetto che sta in un posto e basta. Essa è materia di studio di tante 
discipline e ciascuna la esamina dal proprio punto di vista e secondo il 
proprio modello di studio; la famiglia è un oggetto reale e ben definito nella 
sua struttura interna, però non è statico, nel senso che non è agevole, di 
dargli una forma. La famiglia viene esaminata con un approccio 
multidisciplinare, ogni scienza umana la “vede” in base al suo “occhio”, da 
una prospettiva differente, perché ?.  Ogni scienza sociale evidenzia vari 
aspetti della vita familiare. Discutere di famiglia a senso unico, è da 
escludersi; la famiglia al suo interno produce interazioni e vari tipi di 
relazione tra i suoi componenti, la stessa famiglia deve interagire, 
rapportarsi al mondo circostante; così come dentro si cerca di far convivere 
diversi caratteri e modi di pensare, in una parola ci si adatta agli altri, anche 
verso l’esterno dovrebbe avvenire la stessa cosa, ma non è facile.  Famiglia, 
una parola che fin dal periodo medioevale (intorno al 1200) ha avuto varie 
definizioni, significati;
6
 è talmente diffusa nel linguaggio corrente e nella 
nostra cultura, che fa da “apripista” ad altri significati ben diversi dalla 
“canonica” definizione . Infatti, se prendiamo il dizionario, vediamo che, un 
unico termine ha tanti significati, per cui, famiglia è: un nucleo di persone 
(marito, moglie, figli e altri) uniti da vincoli di sangue, giuridici e/o 
religiosi, che convivono; ma famiglia indica anche una stirpe; in un 
significato più sociologico la famiglia è un gruppo avente caratteristiche 
                                                 
6
 Laura Formenti, Op.cit., p. 17.  
 9
comuni o unito da legami di affinità, per es.: la famiglia umana indica 
l’umanità; in grammatica, vi sono parole che derivano dalla stessa radice; 
nelle scienze naturali invece, ciascun gruppo in cui si divide un ordine 
animale o vegetale. Questo excursus di definizioni si è reso utile per 
comprendere che una parola è matrice per altre. Quelle che più ci 
riguardano per il tema qui trattato, sono la famiglia come nucleo e come 
gruppo con affinità comuni. Quando si studia una famiglia, è bene tenere a 
mente alcune semplici norme
7
, quali la norma biologica: esamina i legami di 
sangue, quindi la continuità della specie; norma anagrafica e giuridica: 
riguarda il matrimonio come contratto e il  ruolo della genitorialità; norma 
strutturale: riguarda la composizione del nucleo familiare e i suoi confini (le 
mura domestiche) e le relazioni che vanno a costituirsi al suo interno (es. la 
coppia) e altre strutture presenti nella società e infine la norma funzionale: 
partendo dall’ipotesi che, le relazioni familiari, il dividersi i ruoli e i compiti 
dentro le mura e verso l’ambiente esterno, presentino criteri di efficacia ma 
soprattutto di  adattamento sia fuori che dentro la famiglia. Quindi la 
famiglia per le interazioni continue che si snodano al suo interno e le stesse 
che vengono espresse all’esterno, non è mai statica, ferma; direi, che è un 
sistema dinamico e continuamente si trasforma col passare del tempo, 
famiglia e componenti cambiano. La dinamicità della struttura familiare 
rinnova i rapporti e le interazioni si producono sempre. Attraverso le 
interazioni è come se la famiglia producesse una “rete”, anzi lo è lei stessa; 
una “rete” che presenta sentimenti di appartenenza e favorisce lo sviluppo 
dell’identità, con l’identità ci si differenzia e ogni componente si 
“individua” rispetto agli altri. Ricordate nell’introduzione il discorso 
dell’originalità di carattere e personalità ?. Ciascun membro del sistema 
familiare sviluppa una sua individualità, per cui è quella persona e non 
un’altra. Non è un caso che, la famiglia sia considerata il sistema educativo 
                                                 
7
 Laura Formenti, Op.cit., p. 22.  
 10
per eccellenza. La famiglia è un sistema, che persiste col passare del tempo, 
ma al tempo stesso si modifica, avvengono dei cambiamenti, positivi e non, 
che possono cambiare la struttura di vita di ciascuno e produrre crisi, o 
meglio, l’evento critico. La vita non è piatta, senza accadimenti, lungo il suo 
“cammino” si presentano degli ostacoli sotto forma di eventi, che possono 
far vacillare la stabilità familiare o tenerla unita o portarla alla situazione più 
estrema, la disgregazione che, in tal caso “romperebbe” la “rete” di rapporti 
e di equilibri. Gli eventi sono come degli scossoni, che comunque 
dipendono in gran parte dalle nostre scelte e decisioni, un nostro si o un no 
porteranno relative conseguenze. Qualunque tipo di scelta si faccia e di 
qualunque ambito si tratti, essa andrà a produrre la nostra “struttura vitale” e 
gli eventi ad essa collegati, la cui scoperta e studio si devono alle ricerche 
del noto teorico dell’identità Daniel Levinson
8
. Egli, alla fine degli anni ’70 
adottò il metodo autobiografico, elaborando il modello di struttura della 
personalità adulta e introducendo il concetto di “marker events”, tradotto 
“evento marcatore o contrassegno”, proprio perché, potremmo dire, “lascia 
il segno”, un’impronta. Gli eventi marcatori di cui parla Levinson sono: 
matrimonio, malattie, morte, guerre, ma anche famiglia con handicap, 
separazione, una catastrofe naturale, un nuovo lavoro o il pensionamento; in 
questo elenco ci son eventi positivi e non, ciascuno produce cambiamenti e / 
o crisi. Daniel Levinson tratta dei “marker events” nel discorso sulla 
struttura di vita di ciascun individuo che è strettamente legato al concetto di 
“sogno”, che ognuno di noi si porta dentro e spera di realizzare. Levinson 
nelle sue ricerche arrivò a elaborare il modello di struttura della personalità 
adulta, che per quanto sia ben formata e maturata dalle esperienze, a 
seconda degli eventi può perdere in stabilità, fermezza. 
                                                 
8
 Daniel J. Levinson, The season’s of a man’s life, New York, Knogts, 1978.