4
una radicale razionalizzazione del paesaggio che viene uniformato ed inquadrato per fini 
puramente produttivi. 
Infine, riguardo al paesaggio medioevale (esemplificato dal territorio di Trino) ci siamo soffermati 
sia sul ruolo dell’abbazia cistercense nell’organizzare la vita dei fedeli in base ad un ordine 
incardinato in quello dei cicli astronomici, sia sull’effetto dello sfruttamento messo in atto da essi, 
costituito da un’organizzazione che è già una prefigurazione dello sfruttamento agricolo 
capitalistico che odiernamente copre quello stesso territorio.  
 
 
 5
Parte prima: vivere l’ambiente come simbolo 
 
1. Il concetto di trascendentale 
 
Con Immanuel Kant si afferma l’idea che pensare sia unificare
1
. Unificare che si attua a due 
diversi livelli: a livello dell’intelletto attraverso le categorie
2
, ma anche al livello stesso della 
sensibilità attraverso lo schematismo trascendentale
3
. Tra la realtà in sé e il soggetto vi è quindi un 
campo, quello del trascendentale, che si comporta da mediatore, come un contenitore, un campo 
che attraverso la sua stessa forma permette l’incontro tra i due. È importante ricordare che questa 
mediazione si attua sia a livello intellettuale che a quello della percezione, quindi del contatto 
comunemente definito “immediato” col mondo. 
Ernst Cassirer ha coniato a tale proposito il termine di forma formans
4
 per indicare la forma da cui 
anche la percezione stessa del mondo è filtrata a priori. Il mondo, intendendo con questo termine 
la totalità di esperienze vissute da un essere umano, sia intellettuali che percettive, risulta quindi 
come il risultato di questo rapporto di mediazione, come la luce policroma è il prodotto della luce 
bianca filtrata attraverso un vetro colorato
5
. 
Abbiamo affermato che tale mediazione avviene per mezzo di un’unificazione, di un avvicinare e 
mettere insieme, di un comprendere. Questo gesto di unificazione che si situa a livello 
trascendentale (ovvero che da forma all’esperienza e al pensiero) è testimoniato anche dall’etimo 
stesso delle parole. 
Spazio infatti viene dal latino spatium che a sua volta deriva da spázion che è il diminutivo di 
spãzh che indica la stecca larga con cui si stringeva il tessuto, prima dell’uso del pettine sul 
telaio, e per estensione spatola, spazzola
6
. In greco il termine usato per spazio è cèra che indica 
propriamente un tratto di terra delimitata e proviene dal verbo cwrízw che significa separare, 
distinguere, disgiungere. 
Viceversa il termine latino per tempo ha radice greca e deriva da τέµνω che significa tagliare, 
mentre in greco tempo si dice χρόνος che deriva dal verbo χρονίζω che indica il durare nel senso 
deteriore del termine, ovvero il corrompersi, l’andare in rovina
7
. Lo spazio ed il tempo si mostrano 
quindi come campi  in cui si fa esperienza di una scissione, di un’insieme di enti separati, che 
necessitano quindi di unificazione
8
. 
                                                 
1
 Immanuel Kant, Critica della ragion pura, trad. it. di Giovanni Gentile e Giuseppe Lombardo-Radice, Laterza, 
Roma-Bari 2004. (Dottr. Trasc. degli elem., Parte II: Logica trasc., Introduzione I), pagg.77-85. 
2
 Ivi,  (Dottr. Trasc. degli elem., Parte II: Logica trasc. Anal. dei concetti) pagg. 87-130. 
3
 Ivi, (Dottr. Trasc. degli elem., Parte I: Estetica trascendentale) pagg. 53-75, (sintesi dell’immaginazione) pagg. 94-
101, (schematismo trascendentale) pagg. 136-141. 
4
 Ernst Cassirer, Tre studi sulla “forma formans”, trad. it. di Giovanni Matteucci, Clueb, Bologna 2003.  
5
 Kant, utilizza la metafora del vedere il mondo attraverso occhiali verdi (Prolegomena §36). 
Nella Baghavad Gita si esprime lo stesso concetto tramite la metafora contenitore-contenuto: “Come l’acqua che 
viene dalla cisterna riempie i vasi a seconda della loro capacità, così la conoscenza alimenta lo spirito del ricercatore a 
seconda delle proprie personali tendenze”. 
Bhagavad gita, tradotta e curata da Yogi Ramacharaka, Napoleone editore, Roma 1971, pag. 39. 
6
 Nuovo Vocabolario Campanini Carboni, Paravia, Torino 1995. 
7
 Lorenzo Rocci, Vocabolario Greco Italiano, società editrice Dante Alighieri, Roma 1995. 
8
 È interessante notare come Kant sembri far derivare spazio e tempo da un’ “unità originaria” (noumeno) che essi 
“scomporrebbero”. Rispetto a tale unità essi si mostrano quindi come una “caduta” essendo un campo di esperienza in 
cui si mostrano oggetti separati, che contengono l’esperienza della mancanza, della scissione e quindi del bisogno (che 
si traduce in bisogno di afferrare, ovvero di nuova unificazione che si attua mediante l’intelletto).  
Questo non fa che confermare ciò che ci svela l’etimo stesso delle parole considerate ( Immanuel Kant, Critica della 
ragion pura,cit., (Introd.) pag. 50, (Estetica trasc.) pagg. 61-64). 
Nelle pagine 122-123 Kant afferma che è tramite il movimento nello spazio che si attua la sintesi (ad esempio 
tracciando una linea), mentre il tempo sembra essere essenzialmente successione, ovvero scissione. 
 6
L’etimo latino sottolinea il carattere di estensione, di distesa dello spazio, mentre è più marcato il 
senso di taglio e separazione nel tempo; viceversa il greco vede nello spazio un terreno delimitato 
mentre del tempo coglie in particolare il carattere corrosivo. 
Lo stesso verbo che abbiamo usato per definire tale attività unificante, ovvero “comprendere” 
deriva dal latino cum praendo che significa letteralmente “prendere insieme”; si tratta quindi di un 
cogliere una pluralità come un insieme, di creare un legame nella varietà in modo da poterla 
stringere con un solo gesto
9
. Non per nulla i termini che indicano il pensiero hanno un campo 
semantico che si aggira sempre intorno all’idea del legare, annodare, tessere. È il caso ad esempio 
del greco λόγος che viene usato a partire dalla filosofia dell’epoca classica come indicante in 
particolare il discorso e l’attività discorsiva e che deriva dal verbo λέγω che significa legare, 
mettere assieme. 
Viceversa il termine italiano “pensare” deriva dal latino penso che significa pesare, ovvero 
misurare (si tenga presente che misurare è creare un rapporto tra il misurato è l’unità di misura, 
ossia unificarli); similmente mente deriva da mensura ovvero misura e ragione da reor ovvero 
calcolare. In latino, invece, pensare si dice cogitare, verbo imparentato molto strettamente con 
cogo che significa raccogliere, radunare. 
Questa unificazione si presenta in Kant come una riunione di due elementi a partire da un centro, 
sia a livello dell’intelletto (dove il centro è l’Io trascendentale che funge da copula tra due 
predicati
10
), sia al livello della sensibilità (dove il centro è fornito dall’immaginazione 
trascendentale che unifica il molteplice sensibile
11
). Tuttavia risulta chiaro che tale unificazione 
può avvenire in diversi modi. Questo si traduce nel concetto di ordine attraverso il quale questo 
rendere uno si esplica. 
Dobbiamo ora fermarci e chiederci: cosa significa ordine? 
Il termine latino ordo richiama immediatamente l’azione del tessere, derivando dal verbo ordior,  
che significa ordire, filare, mentre l’equivalente greco per ordine ovvero táxij richiama più da 
vicino le file dello schieramento militare, derivando da τάσσω: schierare, disporre, mettere a capo. 
Ma ciò che rende tale l’ordine è proprio la sua comprensibilità nel senso di cum prendo, ovvero 
nel fatto stesso che venga percepita tale regolarità nella tessitura degli eventi o nella disposizione 
degli oggetti
12
. Il suo contrario è il caos che si identifica come una disposizione o successione 
confusa ed incomprensibile (ovvero inattingibile, non assimilabile, estranea). 
Disposizione, conformazione, schema o successione sono parole per indicare qualcosa che si 
articola nello spazio e nel tempo; l’ordine indica la capacità dell’uomo di cogliere il significato di 
tale disposizione o meglio la regola che vi è alla base, cosa che è dimostrata dal fatto di essere in 
grado di riprodurre un dato ordine in base alla regola stessa
13
. Comprensione ed ordine risultano 
così strettamente legati dal fatto che comprendere significa cogliere un ordine, ovvero cogliere 
un’immagine che è in grado di generare in qualche modo la disposizione presa in considerazione. 
Possiamo quindi affermare che l’ordine può essere definito come disposizione comprensibile. 
                                                 
9
 Fernando Palazzi, Gianfranco Folena, Dizionario della lingua italiana, Loescher editore, Torino 1995. 
10
 Immanuel Kant, Critica della ragion pura, cit.,  pagg. 110-114. 
11
Ivi, pagg. 94-101. 
12
 Il termine usato da Kant per esprimere l’esplicarsi di questo ordine nei fenomeni è per l’appunto il termine 
regolarità  (Regularität ), dove la regola (Regel ) che vi sta alla base non è altro che l’ordine di unificazione dato dalle 
categorie e dallo schematismo trascendentale. Spesso viene sostenuto che la scoperta delle regole, delle leggi della 
natura derivi da un’osservazione prolungata e agli inizi inconsapevole della regolarità della natura. La teoria kantiana, 
intesa nella sua pienezza, mostra come tale affermazione sia una fallacia logica, dal momento che la regola, ovvero il 
modo di unificare trascendentale viene dato a priori. Si tratta quindi di un qualcosa che fa parte del modo stesso di 
percepire e pensare al soggetto, ad esso connaturato ed esprime semplicemente il modo di darsi del suo mondo. Si 
tenga presente questa accezione del concetto di trascendentale come ciò che è costitutivo dell’esperienza del soggetto 
quando, nei prossimi capitoli, si esporrà il modo di concepire l’ordine del mondo da parte delle società tradizionali. 
13
  Questo è evidente in particolare considerando che i test attuali  per misurare il quoziente intellettivo si basano sulla 
comprensione di serie numeriche (che Kant riconduce al tempo come forma a priori della sensibilità). L’avvenuta 
comprensione viene verificata per mezzo del completamento della serie stessa, quindi mediante l’applicazione della 
regola che sta alla base della successione stessa, mediante una riproduzione di tale ordine. 
 7
Tuttavia non è giusto pensare a questo ordine come a qualcosa di meccanico, di esterno al 
soggetto, di una regola da fuori, esteriore; si tratta infatti di qualcosa che impregna il soggetto sia a 
livello sensibile che intellettuale ed attraverso la comprensione che rende possibile crea il campo 
di esperienza in cui egli vive. L’algoritmo è una regola o un insieme di regole che consente di 
giungere ad un dato risultato mediante una serie di operazioni, quindi di ridurre l’insieme delle 
azioni necessarie ad un insieme unitario di istruzioni. Ma questo non può essere ancora 
considerato unificare nel senso di comprendere, dal momento che non viene mostrato il senso di 
quelle operazioni, né del significato del risultato, né di quello dei dati utilizzati: il tutto avviene 
meccanicamente, senza un ordine di partenza (che è precisamente il significato dell’operazione). 
Comprendere è qualcosa in più: è anche un prendere, un cogliere il senso. La parola “senso” in 
italiano possiede tre campi semantici legati tra loro: il primo è quello di significato; il secondo 
quello di direzione; il terzo quello di organo attraverso il quale è colta la sensazione. 
Nel significato, ovvero nel senso, il piano sensibile, ovvero quello percepito dai sensi ed il piano 
intellettuale, ovvero quello della disposizione, dell’ordine, mostrano con evidenza la loro unità. 
Cogliere il significato, infatti, vuol dire cogliere la direzione, il senso o meglio l’orientamento, la 
disposizione che sottende ai fatti percepiti. 
Disposizione indica l’ordine reciproco in cui si trova una pluralità di oggetti oppure il luogo in cui 
si trova un unico oggetto, ad esempio una particolare prospettiva. Dunque si sta parlando di una 
posizione; ma questa è necessariamente la posizione rispetto a qualcosa, si tratta quindi 
propriamente di un rapporto. Afferrare significa cogliere una molteplicità in un unico contenitore, 
ovvero ridurre la molteplicità ad unità tramite una disposizione o un ordine che leghi tra loro le 
parti; l’ordine è quindi il mezzo tramite il quale avviene questa unificazione. 
Ora sarà utile figurarsi questa unificazione come il rapporto che si crea tra un centro e delle entità 
ad esso esterne che vengono connesse tra loro proprio per mezzo dell’intermediazione di tale 
punto centrale; l’ordine infatti risulta propriamente dalle coordinate che questi altri enti, 
immaginati come punti, intrattengono proprio a partire dal centro. Tale immagine, infatti, la 
troveremo alla base di tutte le cosmologie tradizionali. D’altro canto è l’ordine o orientamento che 
conferisce alle cose una direzione, ovvero un senso, un significato. Ed è il senso o direzione, 
disposizione in un ordine a dare valore alle cose stesse. L’ordine è quindi alla base sia del 
significato che del valore del mondo. 
 
 8
2. Io trascendentale ed io fenomenico 
 
Tuttavia dobbiamo qui tracciare una distinzione fondamentale che distingue due modi di percepire 
e pensare l’universo, ovvero propriamente di stare al mondo; essi differiscono per via del fatto di 
fondarsi su centri diversi a partire dai quali il mondo viene ordinato. 
Il primo infatti si fonda sull’io fenomenico come centro a cui attribuisce ogni percezione e 
pensiero. Il secondo, viceversa, sente come centro da cui si spiega l’ordine cosmico un punto al di 
fuori di sé, un Centro universale. 
Il primo modo si vivere il mondo è quello tipico della società occidentale moderna, in cui l’ordine, 
il significato ed il valore si danno sempre e solo a partire dal soggetto, ovvero dall’io fenomenico. 
Il secondo invece è quello tipico delle società tradizionali che fanno esperienza del mondo come 
fondato su un’unità immanifesta, ovvero non fenomenica
14
 da cui l’ordine (ovvero il significato ed 
il valore) si esplica nel cosmo. 
Tale opposizione non va affatto ridotta a quella tra soggettivo ed oggettivo, poiché, come si vede, 
questa opposizione si dà soltanto quando si sia posto il soggetto, ovvero l’io fenomenico come 
centro del mondo, mentre scompare non appena il centro venga considerato fuori da esso: nel 
secondo caso infatti anche il soggetto, per forza di cose, non è altro che l’espressione di 
quell’ordine trascendentale che presiede sia all’universo che alla realtà dell’individuo. In altri 
termini, nella prospettiva tradizionale, sia il mondo esterno, la materia, che la mente stessa 
dell’individuo, coi suoi pensieri, sensazioni, sentimenti, sono entrambi espressione di questo 
ordine che permea e sta a fondamento di ogni cosa. 
Ma per rendere meglio l’idea dell’opposizione che vogliamo mettere in luce analizzeremo che tipi 
di mondo sono quelli che si danno da una parte ponendo al centro l’io fenomenico e dall’altra 
riservando tale posizione all’Io trascendentale. 
In una realtà centrata nell’io fenomenico (come quella occidentale moderna) l’ordine è sempre e 
soltanto quello imposto dalla volontà del soggetto o della società, che non è altro che un aggregato 
di individui scissi tra loro; tutto il resto è caos. Lo testimoniano anche le parole per indicare questo 
caos incomprensibile e minaccioso: la parola greca per materia è Ûlη il cui significato originario è 
in realtà quello di bosco, di selva intricata, mentre natura si dice φύσις, che indica una crescita 
organica, spontanea. In tutto questo chi sia centrato nell’io fenomenico non può vedere che oscuro 
caos, dal momento che tale ordine non è stato creato dalla mano dell’uomo, ovvero dalla volontà 
dell’io fenomenico. 
Per quanto riguarda il significato esso è affibbiato per convenzione ad una certa grammatica ed ad 
un insieme di segni: un segno ha significato nella misura in cui si conosca il codice che convoglia 
il messaggio che la volontà del mittente vi ha posto, altrimenti si riduce ad un’immagine muta e 
senza senso. Questo è ciò che  accade ad esempio alle lettere di una lingua sconosciuta: il soggetto 
vede in esse niente più che strani segni tracciati su un supporto che possono essere associati ad una 
decorazione
15
. 
Per quanto riguarda il valore esso è ancora una volta determinato dalla volontà del soggetto, dai 
suoi desideri, e ciò vale nel doppio significato di questo termine, ovvero sia al livello del valore 
economico, sia di quello estetico, etico e politico. Infatti dal punto di vista economico il valore 
della valuta non è più legato ad uno standard definito, come ad esempio il valore dell’oro che 
                                                 
14
 Che Kant chiama Io trascendentale. 
15
 È interessante notare a tale proposito come effettivamente gli occidentali, proiettando le loro limitazioni su ciò che 
osservano, vedano spesso e volentieri nelle opere d’arte tradizionale, che contengono sempre messaggi in codice, 
null’altro che motivi ornamentali. A tale proposito si veda Ananda K. Coomaraswamy, Il grande brivido, trad. it. di 
Roberto Donatoni, Adelphi, Milano 2005. pagg. 13-44. Citiamo soltanto il caso clamoroso dei chiostri romanici della 
Catalogna le cui incisioni (definite a più riprese “fantasiose”, “fantastiche” ed “ornamentali” – per non citare l’horror 
vacui-) sono state decifrate da Marius Schneider come precise partiture musicali collegate con il santo della chiesa e 
l’anno liturgico determinato dall’orientamento della struttura stessa. 
 9
occorreva avere per emettere un eguale valore di moneta cartacea, ma esso stesso dipende dalle 
fluttuazioni del mercato, ovvero dalla domanda e dall’offerta, in altri termini dal semplice 
capriccio degli individui
16
. 
Per quanto riguarda i valori estetici ci accontenteremo di dire che il termine stesso di estetica nel 
senso corrente entra in uso a partire da quando Baumgarten crea il concetto di “perfezione 
materiale”, ovvero della bellezza intrinseca all’individuo, in contrasto con la concezione 
neoplatonica di eredità rinascimentale che sosteneva con forza l’oggettività del bello. Se i termini 
“moda” e “gusto”, sconosciuti al mondo antico e medioevale, nascono del XVII secolo, è da 
questo momento in poi che il centro attorno a cui gravita la creazione artistica scivola dalla solidità 
di un modello che deve essere imitato alla palude dei gusti cangianti degli individui. Individui tra 
cui, è il caso di notarlo, non spiccano l’artista o il committente (ora divenuto consumatore), come 
si crede comunemente, ma in realtà i mercanti ed i critici d’arte, loro assistenti, che si incaricano, 
come soggetti tecnicamente più preparati, a scegliere cosa è bello e ad imporlo attraverso il denaro 
(attraverso la pubblicità e la retribuzione delle opere cosi scelte) alla massa del pubblico. 
Per quanto riguarda i valori morali si nota anche qui un processo analogo: semplificando, il 
passaggio dall’epoca medioevale è quello che va da Dio come centro da cui si diparte ogni valore 
morale (universale) a quello del soggetto o della comunità che decidono secondo il momento ed il 
luogo cosa è bene e cosa è male. Un processo del tutto simile lo si ha in politica, dove dal centro 
incarnato nell’imperatore o nel dio della città si passa all’insieme dei soggetti che come tanti atomi 
scissi uniscono le loro volontà per dare corpo ad aggregati territoriali e politici. 
Da notare come non si debba confondere l’ordinamento delle poleis greche con quello delle 
repubbliche attuali, come è d’uso: la poleis, infatti, si organizzava originariamente intorno ad un 
culto ed un dio protettore, come tutte le città stato antiche: si pensi ad esempio all’antica 
Mesopotamia dove la sovranità della città era rappresentata dalla statua del dio protettore di cui in 
un primo tempo i sacerdoti ed in un secondo tempo il re non erano che i vicari e rappresentanti
17
. 
Espugnata una città per sottometterla non si faceva altro che trasportare la statua della divinità 
nella propria città, appropriandosi così della sovranità della città stessa essendosi assicurati la 
fonte da cui tale sovranità proveniva
18
. Allo stesso modo è attestato che tutte le città greche sorsero 
come aggregati urbani intorno ad un santuario, come suo sviluppo: la teoria delle diverse forme di 
governo, ovvero monarchia, aristocrazia e democrazia, non è altro che una razionalizzazione tarda, 
sorta quando le poleis esistevano già da secoli e la coscienza del loro fondare la propria unità e la 
propria ragion d’essere intorno ad un dio ed un culto era oramai quasi del tutto svanita. Lo stesso 
discorso può essere fatto per la repubblica romana e per tutte le monarchie tradizionali, come per 
l’impero bizantino e quello romano (nel secondo caso, come è noto l’imperatore stesso era 
divinizzato) ma cessa di valere con lo strappo avvenuto in occidente tra l’impero ed il papato. 
Questo strappo tra il potere temporale e quello spirituale è la falla attraverso la quale si incunea il 
soggetto che non percepisce più dietro la realtà un ordine trascendentale, e da questo momento 
non vede nell’imperatore che un soggetto come gli altri e non una funzione
19
, ovvero un’entità che 
per la sua stessa posizione nell’ordine del mondo agisce come centro visibile ed agente di tale 
                                                 
16
 Si tratta dell’iter subito dal concetto e dalla pratica della valuta tracciato da M. Foucault in Le parole e le cose, trad. 
it. di E. Panaitescu, Rizzoli, Milano 1998. Si veda anche l’interpretazione di Zolla, in Elémire Zolla, Verità segrete 
esposte in evidenza, Marsilio, Venezia 2003, pagg. 52-60. 
17
 Mario Liverani, Antico Oriente. Storia, società economia, Laterza, Roma - Bari 2005, pag. 183-191. 
18
 “Questi talismani che aiutavano a raggiungere il carisma della monarchia erano le insegne regali, contenevano 
l’essenza del potere. La giurisprudenza da per scontato il carattere vibratorio delle insegne regali ancora oggigiorno in 
un caso come quello della corona ungherese, che ci rammenta le corone sciamaniche dei re siberiani e coreani e che 
furono definite legalmente come proprietarie della monarchia ungherese. Quando la corona fu sottratta 
clandestinamente al paese e si confidò al Congresso degli Stati Uniti, il Governo comunista magiaro invece di 
richiederla al depositario come pura merce, contese a proposito dell’oggetto magico in se stesso. A Sri Lanka gli 
Inglesi fecero sparire il dente di Buddha che era ricettacolo della monarchia kandyana e lo restituirono allorché il 
sentimento monarchico fu estinto in seguito all’assenza palese delle sue vibrazioni” (Elémire Zolla, Discesa all’ade e 
risurrezione, Adelphi, Milano 2002,  pag. 154). 
19
 In senso cassireriano. 
 10
ordinamento. L’uomo centrato nell’io fenomenico, il soggetto
20
 non percepisce più il mondo come 
intessuto da un ordine trascendentale dal momento che questo ordine presupporrebbe che il centro 
da cui esso si sviluppa sia fuori di sé, mentre egli non percepisce nulla che vada oltre di sé dal 
momento che è tutto solidificato e centrato nel suo io fenomenico. 
Bisogna infine analizzare come coloro che vivono centrati nell’io fenomenico concepiscono la 
conoscenza e la perseguono. L’esperimento è il mezzo ed il modello di conoscenza principe per 
colui che percepisce la realtà dal centro prospettico dell’io fenomenico: l’esperimento, infatti, non 
consiste in altro che nel tenere fissa una costante per misurare come mutano le altre variabili. Ma 
questo tenere costante un valore non è altro che un’azione compiuta dall’io fenomenico, l’effetto 
della volontà irradiata proprio da questo centro. Ad esempio per misurare il periodo di un pendolo 
si prendono corde di materiale uguale, con all’estremità un peso uguale e le si fa oscillare per una 
stessa ampiezza, variando però la lunghezza; poi si procede a tenere fisse le altre variabili e a 
variare il peso e così via. Il risultato è una costante che viene definita legge fisica o naturale. 
Ma come è stata ottenuta questa legge “naturale”? 
La risposta è che non è ottenuta per semplice osservazione ma mediante l’azione del soggetto, di 
una sua intromissione nell’ordine spontaneo; è la volontà del soggetto che determina la costante, 
che con la sua azione la rende tale. La “legge naturale” o fisica non è altro, di conseguenza, che la 
descrizione della realtà come percepita dal punto di vista prospettico dell’io fenomenico. L’io 
fenomenico può quindi essere immaginato come il punto in cui si situa l’osservatore in una 
prospettiva geometrica, il centro da cui viene definito il punto di fuga (lo scopo) in base al quale le 
altre linee prospettiche convergono. La realtà così tracciata sarà quella in cui vive l’occidentale 
moderno
21
.  
Al contrario la realtà emanata dal Centro si presenta come un’icona, una immagine in cui la 
prospettiva è “centrale”, data non a partire dall’osservatore ma da un punto che rappresenta 
propriamente il centro assoluto, solitamente una realtà sacra, ovvero da cui promana  e si ordina 
ogni significato e valore. Si tratta di una caratteristica tipica dell’arte tradizionale di tutti i popoli; 
abbiamo citato l’icona semplicemente perché si tratta di un ambito a cui è stata accordata molta 
attenzione a partire dai lodevoli lavori di Pavel Florenskij
 22
, ma si possono citare allo stesso titolo 
la pittura cinese antica, l’arte precolombiana, la miniatura persiana, l’arte dell’antico Egitto e così 
via
23
. Nelle società tradizionali, l’ordine della realtà è percepito come dentro le cose stesse: il 
                                                 
20
 Da notare anche l’etimologia di questa parola che deriva dal verbo latino subicio, ovvero “sto sotto”. È interessante 
vedere come in latino il termine subiectum ha come significato principale quello di essere sottomesso, sottostare: si 
tratta di ciò che è soggetto a qualcosa, ovvero in balia di qualcosa, in particolare, potremmo dire con una sfumatura 
stoica, che è essere soggetti alle proprie passioni, alle opinioni ed ai  desideri passeggeri ed accidentali. In questa 
prospettiva il termine si presta bene a definire l’io fenomenico dal punto di vista delle grandi filosofie ellenistiche, 
ovvero come la personalità come accidente, come mancanza, dal momento che essa è dominata interamente da forze 
(passioni, desideri, opinioni) ad essa estranee. Ed è tanto più notevole notare come questo termine diventerà il cardine 
della filosofia moderna con Cartesio, ma subendo un cambiamento di senso significativo: esso non indica più l’io 
fenomenico come campo di forze accidentali, ma diventa il centro a partire dal quale Cartesio “ricrea” – è il caso di 
dirlo- il mondo. Non viene più inteso quindi come luogo dell’accidentale, della mancanza, ma l’etimo diventa subicio 
inteso similmente a substanzia, in cui lo “stare sotto” è inteso invece come rimanere saldo, come essere fondamento 
stabile al di sotto del mutare della superficie delle cose. Il soggetto diviene quindi sostanza, fondamento, centro delle 
cose in contrapposizione a quello che era il centro precedente, la sostanza, in greco οὔσια ovvero propriamente 
l’Essere. 
21
 Non possiamo qui dilungarci sul ruolo capitale che ha avuto la prospettiva geometrica nel determinare la nascita del 
modo di pensare e percepire proprio della “rivoluzione scientifica”; tale tema è stato esposto diffusamente trattato da 
Erwin Panofsky, La prospettiva come «Forma simbolica» e altri scritti, trad. it. di G. D. Neri, Feltrinelli, Milano 
2001. 
22
 In particolare P. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull'icona, trad. it. di Elémire Zolla,  Adelphi, Milano 2007. Ma 
anche, in senso più generale, Id., Lo spazio e il tempo nell'arte, trad. it. di Nicoletta Misler,  Adelphi, Milano 1995, 
opera in cui l’autore mostra come la prospettiva “centrale” sia universalmente alla base dell’arte figurativa nelle 
società tradizionali. 
23
 Nei casi in cui invece ci troviamo di fronte ad un’arte “realistica” o ad una prospettiva data a partire dall’osservatore 
dobbiamo concludere che ci troviamo di fronte ad un luogo ed un periodo in cui la coscienza sta slittando velocemente 
 11
termine cosmo (greco Κόσµος) che indica sia l’universo che l’ordine che è l’universo stesso può 
essere compreso solo a partire dal concetto di trascendentale. Infatti un ordine del genere è 
possibile solo se non vi è scissione tra soggetto ed oggetto, se la stessa legge intrinseca forma sia 
l’individuo che l’universo, in altri termini se “ipse est ordo rerum et ordo idearum”
24
, se la 
correlazione tra le cose (“esterne”, ponendo il soggetto come punto di riferimento come si fa 
inconsapevolmente di solito) e le idee (“interne”) è la stessa. A ciò segue che il significato non è 
mai limitato ad una convenzione stabilita da soggetti, ma si basa sempre su una “lingua 
universale”, una “grammatica comune” che corrisponde a quella secondo cui è formato universo 
stesso
25
. 
Per quanto riguarda i valori essi sono stabiliti in maniera oggettiva a partire dall’ordine stesso delle 
cose: così a Babilonia il cambio tra l’oro e l’argento è stabilito in proporzione di 1/13 come le 
rispettive rivoluzioni del sole e della luna che simboleggiano tali metalli
26
; similmente accadeva 
anche nelle società della Melanesia nei riguardi dei doni rituali il cui valore era stabilito 
oggettivamente dal grado di sacralità degli stessi
27
. La bellezza derivava necessariamente da un 
modello divino, immanifesto che l’artista si sforzava di riprodurre nella misura in cui i suoi mezzi 
e le sue capacità gli permettevano: si trattava allora di un’attività sacra in quanto creava, 
manifestava in questo mondo una scintilla del mondo immanifesto
28
. E’ interessante tra l’altro  
notare come questo sia in completo accordo con la frase contenuta in Esodo, 20, 4, ritenuta 
comunemente come un’affermazione di iconoclastia: “Non farti scultura alcuna, né immagine 
alcuna di cosa che sia in cielo di sopra né di cosa che sia in terra di sotto, né di cosa che sia nelle 
acque sotto la terra”
29
. Questa opinione non dimostra altro che l’ignoranza dei commentatori, dal 
momento che essi sembrano ignorare totalmente la cosmologia biblica che vede la terra come 
circondata dall’Oceano, sotto la quale vi erano le acque sotterranee o abissali ed era contenuta nel 
cielo concepito come una cupola solida sopra la quale si trovavano le acque superiori, quelle che 
poi cadono sulla terra durante le piogge. Ora, avendo presente tutto questo, il testo appare chiaro: 
il divieto si riferisce precisamente ai due regni terrestre ed infero, ma non cita affatto le “acque 
sopra la terra” (in contrapposizione a quelle sotto la terra). È consentita quindi la rappresentazione 
delle realtà che stanno sopra al cielo, ovvero che appartengono a quel regno che in greco si 
definirebbe iperuranio: in altri termini si tratta di una teoria dell’arte basata su modelli divini, su 
quelle che Platone chiama le Idee. 
                                                                                                                                                                
verso il centrarsi nell’io fenomenico. Un caso per tutti è quello della comparsa di tale prospettiva (anche se ancora non 
geometrizzata) e di un certo “realismo” nell’arte della Pompei romana. Su questo tema è molto chiaro Ananda K. 
Coomaraswamy, Il grande brivido, cit., pagg..187-201. 
24
 Spinoza, Etica, trad. it. di S. Giametta, Bollati Boringhieri, 1992. parte II, proposizione VII. 
25
 Vorremmo fare notare come i fondatori della “rivoluzione scientifica” abbiano coniato una metafora giunta sino a 
noi che è quella secondo la quale l’universo è come un libro scritto in un linguaggio geometrico. È divertente vedere 
quanto questa metafora spacciata come manifesto e fondamento venga continuamente disattesa e rovesciata: abbiamo 
visto come tutta la concezione scientifica basata sull’esperimento, lungi dal rifarsi ad una “grammatica universale” 
(geometrica) dia come risultato una prospettiva sempre più convenzionale ed ancorata al soggettivo. Ciò è  
particolarmente evidente nei sistemi di notazione completamente convenzionali con cui vengono trascritte le “leggi” e 
le teorie formulate a partire dall’azione, il cui fulcro, il cui punto prospettico, è l’io fenomenico. In altre parole se non 
esiste alcuna lingua naturale, ovvero universale, affermare di “leggere il libro della Natura” quando invece si scrivono 
leggi “scoperte” da alcuni in una lingua da loro stabilita è perlomeno una grossa menzogna. 
26
 Zolla mostra come la moneta nasca essenzialmente come amuleto, come “fede (fiducia) condensata”; il valore 
sacrale è confermato dalla valenza sacrale ed astronomica accordata al cambio: nell’antica Mesopotamia l’oro 
(simbolo del sole) e l’argento (simbolo della luna) si cambiavano invariabilmente secondo la proporzione 1/13 e ½ 
perché questa è la relazione tra le rotazioni dei due astri (Elémire Zolla, Le meraviglie della natura, Marsilio, Venezia 
1991, pagg. 365-376). 
27
 Bronislaw Malinowsky, Argonauti del Pacifico occidentale, trad. it. di Maria Arioti , Newton e Compton, Roma 
1978. 
28
 Titus Burckhardt, L’arte sacra in oriente ed in occidente, trad. it. di Elena Bono, Rusconi, Milano 1990, pagg. 5-12. 
29
 La sacra Bibbia, tradotta da Giovanni Diodati, Tipografia Bruno Coppini e C., Firenze, 1962. La versione ufficiale 
della CEI del 1974 riporta: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù 
sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra”. 
 12
I valori etici erano percepiti come vere e proprie forze oggettive, come accade agli eroi dell’Iliade 
la cui condotta è regolata dalla vera e propria apparizione delle divinità
30
. Similmente la vita 
sociale doveva essere regolata da quello stesso ordine che regge l’universo: così il reggente viene 
sempre identificato con l’asse centrale immobile (che astronomicamente è l’asse del polo nord- 
sud, come vedremo) intorno al quale devono ruotare gli eventi, come intorno all’asse polare 
ruotano il sole e gli astri determinando l’ordine necessariamente determinato delle stagioni, delle 
maree, degli accoppiamenti e così via. La conoscenza, da questo punto di vista, non è altro che un 
riconoscere un accordo necessario tra soggetto ed oggetto, tra sensibilità ed intelletto, tra 
sensazione e misura: una stessa legge risuona e regge tutti questi livelli.  
 
                                                 
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 Lungi dal trattarsi di un semplice artificio retorico o narrativo, come si è creduto a lungo e come si tende a liquidare 
l’apparizione delle divinità agli eroi omerici rappresentava una vera e propria realtà percepita proprio come la realtà 
comune: questa tesi è stata sostenuta in maniera convincente dallo psicologo J. Jaynes nella sua opera Il crollo della 
mente bicamerale e l’origine della coscienza, trad. it. di Libero Sosio, Adelphi, Milano 1996.