Fatta questa premessa occorre ora definire la natura del rapporto tra cinema e storia, 
così nuovo sia nel quadro storiografia in generale sia per quanto riguarda la legittimità 
delle fonti. Le domande che mi sono posta, e che per primi si sono posti Marc Ferro e 
Pierre Sorlin, di fronte alla grande quantità di filmati, soprattutto relativi alle guerre 
mondiali, sono se esiste una visione filmica della storia, se attraverso il cinema si possa 
ricostruire il passato e in che modo anche la cinematografia di finzione possa aiutare la 
ricerca storica. Sorlin risponde a questi quesiti definendo la storia come “attività di 
restituzione e di riordinamento del passato”
4
 che lo storico mette in forma attraverso lo 
strumento della scrittura. Per Sorlin la “messa in forma” della storia può avvenire anche 
attraverso un altro mezzo, quello filmico e, inequivocabilmente, arriva a sostenere che 
“nel futuro, lo storico dovrà usare insieme la lingua e la pellicola per risuscitare il 
passato. (...). Oggi, siamo ancora sul terreno della storia scritta, una storia che deve 
includere il cinema tra le sue fonti”
5
.  
 Marc Ferro, storico marxista, sostiene che primo compito dello storico è quello di 
"restituire alla società la storia di cui gli apparati istituzionali la espropriano", per fare 
questo lo storico deve servirsi di ogni mezzo, compreso quello filmico, per "filmare, 
interrogare quelli che non hanno mai diritto alla parola, coloro che non possono lasciare 
testimonianze"
6
. 
                                                          
4
SORLIN P., Storia e cinema: tra immagini e realtà, in AA. VV., La cinempresa e la storia. Cit., p. 8. 
5
Ibid., p. 9. 
6
FERRO M., Cinema e storia .Cit., p. 89. 
Altri storici invece danno risposte più articolate distinguendo tra semplici riprese del 
reale, documentari, film costruiti con immagini reali e film di fantasia, e quindi 
analizzano tali prodotti attraverso forme diverse di interpretazione storica. Alcuni storici 
non attuano la distinzione tra “fiction” e documentario, come nel caso di Nicola 
Tranfaglia e di Gianni Rondolino
7
, i quali ritiengono che anche nel documentario 
l’autore non può prescindere da sè stesso, nel senso che anche chi monta immagini del 
reale o riprende degli episodi nel momento in cui questi stanno accadendo lascia nei 
suoi lavori un’impronta personale indelebile.  
Tuttavia, a parere di Antonio Mura non tutti i documentari o film definiti storici hanno 
un valore storico: occorre scegliere attraverso studi diversificati per argomenti 
riguardanti l'immagine, la colonna sonora, le didascalie. 
La conclusione alla quale giungono però i diversi approcci relativamente all'utilizzo del 
mezzo filmico nella ricostruzione del passato è unanime
8
. Riprendendo il pensiero di 
Benedetto Croce secondo cui "tutta la storia è storia contemporanea" Mura giunge al 
nodo centrale della sua analisi sostenendo che i film interessano indirettamente lo 
storico nel senso che essi sono "documenti del modo di intendere la storia in un dato 
ambiente e in una data epoca"
9
. Per Mura tutti i film riflettono quelle che erano le 
concezioni storiografiche degli ambienti cinematografici, ma anche della società nel suo 
complesso, di ciascun paese, nel tempo in cui i film furono girati. E' invece molto 
                                                          
7
TRANFAGLIA N., Fonti visive e divulgazione storica. Appunti su storia, cinema e televisione, in 
AA.VV., La cinepresa e la storia. Cit., pp. 17-21. 
8
Vedi anche AA. VV., Cinema, stora, Resistenza (1944-1985), atti della rassegna-convegno 
“Antifascismo e Resistenza nella storia della cinematografia italiana” organizzato dall’Istituto Storico 
della Resistenza in Valle D’Aosta,  Pont-Saint-Martin 1 febbraio-3 marzo 1985, Franco Angeli, Milano, 
1987; MIDA M. e VENTO G., Cinema e Resistenza, Luciano Landi Editore, Firenze, 1959. 
9
MURA A., Film, storia, storiografia. Cit., p. 154. 
critico nei confronti di quei film o documentari storici che vorrebbero svolgere una 
funzione didattica e non reputa importante l'analisi della autenticità degli eventi 
raccontati se non allo scopo di cercare le ragioni che hanno portato un certo autore o un 
certo regime alla falsificazione delle fonti. Mura però mantiene un punto fermo nella 
sua analisi ed è quello di ritenere comunque tutti i film storici “solo opere di fantasia"
10
. 
Ferro giunge ad una analoga conclusione attraverso un percorso analitico simile a quello 
di Mura; anch'egli parte dalla visione crociana della storia e dall'approccio attualizzante, 
ma il suo punto di arrivo è un’interpretazione più radicale. Per Ferro "la storia è 
analizzata dal punto di vista di chi si è attribuito la gestione della società"
11
 e quindi 
attraverso il cinema si può ricercare l'immagine che i detentori del potere hanno della 
storia e della società del passato. In più Ferro riconosce nella gerarchia delle fonti, che 
si è formata nel corso dei secoli, la gerarchia del potere e pertanto alla fine degli anni 
'70 come all'inizio del XX secolo la cinematografia ne occupa il gradino più basso. 
L'autore è però ottimista e ritiene che nonostante la censura o la finzione “anche se 
sorvegliato un film testimonia”
12
 e permette quindi allo storico la scoperta di ciò che un 
regime avrebbe voluto nascondergli. 
Per ritornare al discorso della funzione didattica del film storico, che Mura esclude, 
Brunetta sostiene che il film ha un impatto diretto sul pubblico e ne “dilata la capacità di 
comprensione (...) E' una narrazione che non innova nei confronti della ricerca storica 
ma ne recepisce i risultati più consolidati”
13
. Il film è pertanto opera di sintesi e di 
                                                          
10
Ibid., p. 154 
11
FERRO M., Cinema e storia. Cit., p. 95. 
12
Ibid., p. 99. 
13
 BRUNETTA G.P., La cultura cattolica di fronte alla cinematografia sulla Resistenza, in AA. VV., 
Cinema, storia, resistenza. Cit., p.42. 
divulgazione non analitica ma descrittiva. Il Neorealismo stesso assolve, in parte, anche 
alla funzione didattica; vedremo che molti film sulla Resistenza sono di impronta 
neorealistica e pertanto ritengo di dover far mia l’idea della funzione anche didattica 
della cinematografia dell’immediato dopoguerra. Tranfaglia ritiene, inoltre, che l’uso 
delle fonti visive nell’insegnamento sia importante pur ritenendo necessario integrare i 
diversi strumenti didattici
14
 per evitare “l’appiattimento del passato” dal quale ci mette 
in guardia lo storico Valerio Castronovo
15
 sulla scorta di precedenti analisi condotte dal 
sociologo delle comunicazioni Mc Luhan.  
Se si analizza il cinema non dal punto di vista semiologico o estetico, ma come oggetto 
con significati nuovi e diversi da quelli prettamente cinematografici, si vedrebbe che il 
film non vale solo per ciò che testimonia, ma come specchio (anche negativo) del 
mondo che lo circonda con il quale è necessariamente in rapporto. Portando avanti 
questo tipo di analisi è importante mettere in rapporto il film con il suo autore, pubblico, 
produttore ma anche con la critica e il regime nel quale esso è venuto alla luce, nel 
tentativo così di comprendere la realtà contenuta nell'opera ma soprattutto la realtà che 
sta al di fuori dell'opera stessa. Questo è uno degli argomenti che Ferro sviluppa 
giungendo a definire la storia nel cinema una "contre-histoire pour autant que, fiction ou 
pas, une image est toujours depassée par son contenu: ainsi elle n'est pas la simple 
reproduction du "réel", de ce que l'operateur juge etre la réalité"
16
. 
                                                          
14
TRANFAGLIA N., Fonti visive e divulgazione storica, in AA. VV., La cinepresa e la storia. Cit. 
15
CASTRONOVO V., Mass media e storia contemporanea, in “Società e storia”, 1981, n° 11. 
16
FERRO M., L'histoire sous sourveillance, science et conscience de l'histoire, Paris, 1985, p. 96. 
Questo sarà e potrà essere il punto di partenza di un diverso tipo di approccio 
storiografico alla cinematografia. La ricerca di quella che è la visione del passato da 
parte della società contemporanea e, inoltre, la ricerca delle ragioni e dei nessi che 
hanno prodotto quel tipo di visione della storia in una determinata società.    
 
2) Il cinema e la Resistenza 
Date queste indicazioni di ordine teorico, intraprendo lo studio di un definito periodo 
della storia italiana: la Resistenza. Il mio interesse verso questo tipo di analisi è stato 
stimolato da diversi fattori, primo fra tutti l’idea di potermi servire di fonti alternative a 
quelle tradizionali per la ricostruzione storica, e in particolare delle fonti visive. Ho 
illustrato più sopra come, nel corso degli ultimi decenni, alcuni storici abbiano 
riconsiderato l’uso di documenti filmici, e non solo di tipo documentaristico, riuscendo 
a distinguere nell’analisi le diverse implicazioni artistiche e stilistiche da quelle invece 
più vicine alla loro disciplina.  
Personalmente, ho voluto applicare questo tipo di approccio della ricerca storica a un 
periodo, per me, di grande interesse quale è la Resistenza. La scelta di studiare la guerra 
italiana tra il ‘43 e il ‘45 non è stata casuale in anni in cui è stato riaperto un dibattito 
storiografico (che comunque ha subito vari mutamenti nel corso dei decenni che ci 
separano dagli eventi) teso a rivalutare e ad analizzare aspetti poco visitati negli anni 
precedenti. Inoltre, il mio interesse personale nasce dall’esigenza (giovanile, di chi ha 
sentito parlare di Resistenza e di Guerra Mondiale solo in qualche racconto di persone 
anziane o in qualche romanzo di Levi, di Calvino, di Fenoglio) di scoprire quali sono 
state le implicazioni della Resistenza stessa nella storia italiana e quali le influenze che 
hanno portato il paese alla sua attuale fisionomia.   
Naturalmente anche l’interesse per il cinema come forma artistica e di svago ha avuto la 
sua parte nella scelta del tipo di ricerca da portare avanti. 
La Resistenza nel cinema italiano ha avuto una importante posizione, con periodi più 
ricchi di produzioni e periodi più poveri. La cinematografia resistenziale è suddivisibile 
in due momenti fondamentali secondo una classificazione uniformemente accettata
17
 e 
facilmente riscontrabile nella cronologia delle produzioni. Esiste un primo ciclo che va 
dal 1945 al 1951 detto della "Resistenza vissuta" e un secondo ciclo tra il 1959 e il 
1963, periodo di ripresa del tema, il quale invece fu praticamente abbandonato tra il 
1951 e il 1959. Dopo il 1964 ci fu una caduta del tema resistenziale nella cinematografia 
italiana, ma la produzione ha mantenuto un certo ritmo, nel proporre film sulla guerra di 
liberazione, che giunge fino ai giorni nostri
18
. 
Lo studio della succesione nel tempo dei film sull'argomento Resistenza è già un punto 
di partenza, o potrebbe diventarlo, per cercare di comprendere e spiegare come la 
cinematografia italiana abbia ricordato e rappresentato un'importante fase della storia 
del nostro paese. Anche la cinematografia ci può aiutare nella conoscenza di un periodo 
controverso che se alle origini, cioè alla fine della Seconda Guerra Mondiale, era 
interpretato univocamente, nel corso degli anni è stato rivisitato con nuovi approcci 
storiografici che si sono fatti avanti. Il cinema sembra anticipare, nei primi decenni, le 
                                                          
17
Cfr. CEREJA FEDERICO, La cinematografia sulla Resistenza nella storia italiana (1944-1964), in 
AA. VV., Cinema, storia, Resistenza. Cit., p.17. 
18
Cfr. saggi di Cereja, De Luna, Sorlin, Brunetta, Giannarelli, Gobetti in AA. VV., Cinema, storia, 
Resistenza. Cit.; Sorlin, Tranfaglia, Brunetta, Ortoleva, Flores, Campari in AA. VV., La cinepresa e la 
storia. Cit.; MURA A., Film, storia, storiografia. Cit. 
fasi dello sviluppo della storiografia sulla Resistenza, ma quando la storiografia riesce a 
rendersi autonoma dalla letteratura, il cinema prosegue per un percorso indipendente. 
Ciò ha contribuito al fiorire di nuovi settori di ricerca, nel campo del rapporto tra 
cinema e storia, soprattutto a partire dagli anni '70 con l'emergere di nuovi soggetti 
politici e della storia dei marginali che hanno prodotto quella che Jean-Claude Schmitt 
chiama "una rivoluzione copernicana"
19
. 
De Luna
20
 colloca i film sulla Resistenza all'interno di questo contesto storiografico per 
poi analizzarli come forma peculiare di storiografia e come fonte per la storia della 
storiografia e valutarne in un secondo tempo il livello di autonomia rispetto alla 
storiografia in senso proprio. 
Nella sua analisi Federico Cereja va invece alla ricerca delle ragioni che hanno condotto 
lo sviluppo della cinematografia resistenziale e lo fa riferendosi ai film e ai loro autori 
visti nel loro tempo, cioè inquadrando le pellicole nel periodo in cui sono state girate e 
prodotte per fare un tipo diverso di storia. Nell'analisi della Resistenza attraverso il 
cinema italiano non si vuole fare nè la storia del cinema nè la storia della Resistenza; lo 
scopo di questo tipo di ricerca è quello di svelare i rapporti tra una società e il suo 
passato, tra gli uomini del presente e quelli del passato. 
Nel campo cinematografico saranno i cattolici che alla fine della Seconda Guerra 
Mondiale daranno un grande impulso, grazie soprattutto al numero di sale di proiezione 
a loro disposizione. Inoltre, i "cattolici sono la forza più organizzata in campo 
                                                          
19
SCHMITT JEAN-CLAUDE, La storia dei marginali, in LE GOFF (a cura di), La nuova storia, 
Mondadori, Milano, 1980, p. 259. 
20
DE LUNA G., Cinema e Resistenza negli anni ‘70, in AA. VV., Cinema, storia, Resistenza. Cit., pp. 30-
56. 
cinematografico (...) grazie al Centro Cattolico Cinematografico"
21
. Questo fatto ci pone 
di fronte ad un'altra questione che è quella dei rapporti tra cinema resistenziale e 
cattolicesimo e tra cattolicesimo, Partito Comunista e sinistra in senso più allargato, la 
quale rimane una delle forze maggiormente coinvolte nella guerra di liberazione e 
quella che nel dopoguerra raccoglie nelle sue fila un gran numero di intellettuali anche 
del cinema.  
Un’altra questione riguarda la rimozione dei "fantasmi del passato”
22
 per alcuni registi 
cattolici che avevano fiancheggiato il regime con la loro opera; tra i tanti Rossellini, 
Blasetti, Marcellini. 
Brunetta ritiene che “il campo della gente di cinema si presenta, nell'immediato 
dopoguerra, come una nebulosa morale e ideologica in cui la perdita del centro non 
viene facilmente ricomposta”
23
. Il cinema del dopoguerra è un luogo neutrale dove 
amicizie e collaborazioni possono essere mantenute nonostante la guerra fredda e la 
logica dei fronti contrapposti. Questo non toglie che i cattolici abbiano portato avanti 
una crociata morale e anticomunista nell'ambito cinematografico indirizzando il 
pubblico verso produzioni americane per distoglierlo dal neorealismo italiano. 
I brevi accenni fin qui fatti ai rapporti tra cinema, storia e Resistenza pongono di fronte 
a storici di diversi orientamenti e scuole un vasto campo di ricerca per la conoscenza del 
passato. Poichè lo studio della cinematografia, dal punto di vista storico, significa studio 
di due società lontane nel tempo ma necessariamente in relazione tra loro, ogni aspetto 
                                                          
21
BRUNETTA G.P., La cultura cattolica di fronte alla cinematografia sulla Resistenza., in AA. VV., 
Cinema, storia, Resistenza. Cit., p.80. 
22
Ibid., p. 75. 
23
Ibid., p. 78. 
delle due età deve essere valutato. Così lo storico della mentalità eleva a status di fonte 
il cinema: “ogni cosa è fonte per lo storico della mentalità, anche e soprattutto il cinema 
se si parla di storia contemporanea”
24
. 
Prima di entrare nel vivo dell’argomento devo fare alcune precisazioni: 
a) nel corso del mio studio parlerò di Resistenza nella sua accezione storica, come 
evento verificatosi tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945. Molti registi infatti parlano 
di Resistenza in modo più ampio, la vedono come un impegno da portare avanti e una 
condotta da seguire anche nella realizzazione dei propri film; 
b) il mio punto di riferimento, per quanto riguarda la storia della Resistenza in Italia, 
sarà il saggio di Claudio Pavone Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella 
Resistenza (1991) dal quale attingo il concetto di guerra civile; 
c) l’analisi qui condotta si sviluppa attraverso tre piani temporali: il tempo resistenziale, 
il tempo in cui i film sono stati girati e, in parte, il tempo presente, l’oggi. Cercherò di 
illustrare come la memoria della Resistenza abbia subito delle trasformazioni attraverso 
queste tre ottiche nella cinematografia italiana. 
                                                          
24
Ibid., p. 42. 
Capitolo1 
Il cinema del dopoguerra 
Quando il 25 aprile 1945 finisce la guerra in Italia Roberto Rossellini sta già lavorando 
al suo primo capolavoro del dopoguerra: Roma città aperta, che uscirà nell’autunno 
dello stesso anno. Con questo film si apre una nuova stagione per il cinema italiano, 
proprio nel momento di passaggio dall’era delle guerre
25
 a quella della memoria. Roma 
città aperta è il primo film di finzione
26
 che affronta il tema della Resistenza ed è anche 
il film riconosciuto come iniziatore del neorealismo nel cinema. Il cinema sarà, insieme 
con la memorialistica, uno dei primi mezzi attraverso cui alcuni uomini intraprendono la 
strada della memoria; se è vero che l’atteggiamento generale degli italiani è quello di 
dimenticare in fretta e di ricostruire il paese è anche vero che esiste chi dedica il proprio 
lavoro e la propria opera alla memoria perchè non sia dimenticato quel periodo della 
storia d’Italia. 
Attraverso il cinema registi e attori cercano, a loro modo, una chiave di lettura del 
periodo che va dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 e tentano di illustrare che cosa 
rappresentarono la Resistenza e la lotta di liberazione per molti uomini.  
                                                          
25
Vedi tesi di Claudio Pavone a proposito delle tre guerre (di liberazione, di classe e civile) in PAVONE 
C., Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino, 1991. 
26
Altri due film lo avevano preceduto, si trattava però ancora di documentari montati con immagini girate 
direttamente mentre gli eventi si stavano svolgendo; i due film sono Giorni di gloria prodotto dall’ANPI 
e diretto da Visconti, Pagliero, De Santis, Serandrei, l’altro è Aldo dice 26x1 documentario sulla 
liberazione del Piemonte sempre prodotto dall’ANPI. 
Paolo Gobetti sostiene che tutto il cinema dell’immediato dopoguerra è cinema 
resistenziale poichè riuscì a sopravvivere e rinascere in un clima di grande ostilità
27
, egli 
aggiunge che “in questi mesi il cinema sa diventare lo specchio di un’Italia nuova, 
l’interprete di aspirazioni nuove verso una società che vorrebbe costituirsi su basi 
nuove”
28
. Attraverso il cinema, per primo, si è tentato di fissare e diffondere in Italia i 
valori fondanti della Repubblica e costruire quel mito fondativo che il paese non era 
riuscito a trovare nel Risorgimento e nell’unità, non tutta l’Italia aveva conosciuto la 
Resistenza e la guerra di liberazione ma lo può fare ora attraverso le immagini proposte 
da Rossellini, Vergano, De Santis, Lizzani e altri ancora. Inoltre il cinema tenta a modo 
suo la via della ricostruzione, che non è quella concreta di case e fabbriche, ma quella 
morale delle coscienze di chi per vent’anni aveva vissuto sotto il regime, dei 
giovanissimi che non avevano conosciuto altro che il fascismo, di coloro che 
combatterono la guerra partigiana con le sue implicazioni di violenza e lotta fratricida. 
Lo stesso Rossellini sostiene in una sua intervista autobiografica che “subito dopo la 
guerra, tutto era distrutto in Italia. Il cinema come ogni altra cosa (...). Si poteva godere 
di un’immensa libertà (...). Fu questo stato di cose a permetterci di intraprendere lavori 
di carattere sperimentale; (...) I film divenivano opere importanti”
29
.  
                                                          
27
A questo proposito si veda l’intervento di Gobetti al dibattito tenutosi a Torino  il 5 novembre 1994 
all’interno della rassegna Il sole sorge ancora. Cinquant’anni di Resistenza nel cinema italiano dal titolo: 
“Cinema, memoria, storia, Resistenza. Confronto registi, storici, protagonisti”. In attesa della 
pubblicazione degli atti di questo incontro facciamo riferimento ad appunti personali riportati in 
quell’occasione. 
28
GOBETTI P. (a cura di), Memoria, mito, storia. La parola ai registi, I quaderni del nuovo spettatore 
n°16/2, ANCR, Regione Piemonte, Torino, 1994, p. 7. 
29
ROSSELLINI R., Il mio dopoguerra, in “Cinema Nuovo”, n° 70, 10 novembre 1955, p. 345. 
1) I film del 1945-1948 
Come già detto la nuova stagione del cinema italiano si apre con Roma città aperta, e si 
consolida con i molti film prodotti in questi pochi anni sul tema resistenziale. Prendiamo 
qui in considerazione le produzioni dei primi  quattro anni del dopoguerra perchè il 
1948, come si vedrà più analiticamente nei prossimi paragrafi, segna, con la vittoria 
elettorale della DC, una svolta negli assetti politici precedenti; la campagna elettorale 
per le elezioni del 18 aprile e la successiva vittoria della DC influenzeranno non poco le 
sorti del cinema in Italia, sorti già molto precarie dopo l’approvazione della legge sul 
cinema il 18 settembre 1945. Di questo si parlerà più approfonditamente nei paragrafi 
successivi. 
Passiamo ora alla rassegna e all’analisi dei film più importanti usciti tra il 1945 e il 1948 
ai quali si può avere facile e sicuro accesso
30
. 
                                                          
30
Esistono alcuni film di cui non è più reperibile alcuna copia, come per Uno tra la folla di Ennio Cerlesi  
e Piero Tellini del 1946, oppure di cui esistono poche copie non reperibili neppure all’ANCR, si tratta di 
Umanità di J. Salvatori del 1946, Il corriere di ferro di F. Zavatta del 1947, Lo sconosciuto di San Marino 
di Vittorio Cottafavi del 1947. Si ritiene, in seguito all’analisi delle recensioni dell’epoca in cui i film 
sono usciti nelle sale cinematografiche, che non si tratti di film essenziali per la nostra ricerca. Con questo 
non vogliamo cancellare del tutto il ricordo di queste opere, ma semplicemente appuriamo che nello 
sviluppo e nella storia della cinematografia italiana resistenziale nessuno dei film sopracitati possa 
comportare un mutamento nell’analisi che si vuole condurre. Del resto anche altri film di cui parleremo 
sono utili per una visione globale della situazione senza però essere di fondamentale importanza, come 
invece lo sono stati altri, nell’elaborazione delle nostre tesi. Di Umanità il critico de “Il Popolo”, Piero 
Gadda Conti, dice il 10 ottobre 1946 “Umanità è un titolo piuttosto grandiosetto per un film così 
mediocre (...) La storia è male raccontata e procede incerta (...) Tutto è stanco e risaputo (...) si rimane in 
un clima di poco convincente documentario”. Per quanto riguarda Il corriere di ferro e Lo sconosciuto di 
san Marino si hanno difficoltà nel trovare recensioni o riferimenti, non perchè andate perdute ma perchè 
sono stati film poco rilevanti per il pubblico e per la critica. L’ultimo film che abbiamo incluso in questa 
lista di dispersi è più importante degli altri; si tratta di Uno tra la folla. Di questo film troviamo diverse 
testimonianze sia sulla stampa specializzata sia sui quotidiani più letti dell’epoca. Piero Gadda Conti de 
“Il Popolo” in un articolo del 10 luglio 1946 parla male del film, lo definisce “molto mediocre nella 
sceneggiatura e nella fotografia e addirittura pessimo nella colonna sonora” e aggiunge che “una totale 
incomprensione della tragedia italiana mi sembra abbia presieduto all’ispirazione del film”. Nonostante le 
aspre critiche il film arriva al pubblico e occupa spazio anche sulle pagine del “Nuovo Corriere della 
Sera” sempre del 10 luglio e sempre molto criticato nella regia e giudicato “una commedia dialettale 
imperniata sulla malinconia travettistica e sulle invenzioni di Eduardo De Filippo”.