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INTRODUZIONE 
 
 
 
Nel seguente lavoro si analizza il rapporto esistente tra Internet e il mondo della terza 
età da due punti di vista.  
Il primo concerne l’immagine dell’anziano emergente dalla rete, partendo dall’analisi 
dei documenti web inerenti questo mondo. 
Il secondo riguarda invece l’aspetto dell’utilizzo della rete ossia come gli anziani 
utilizzano Internet, quali sono le attività online maggiormente svolte, quali gli interessi 
più rilevanti. 
Questi due aspetti sono considerati attraverso un continuo confronto tra la realtà italiana 
e quella internazionale, con particolare riferimento a quella americana. 
La ricerca è iniziata nel gennaio 1998 e si è conclusa nel giugno 1999. 
Il primo capitolo è dedicato al fenomeno dell’emergenza sociale della terza età e al 
metterne in luce le caratteristiche principali per cercare di delinearne il proprio ruolo 
all’interno della società. 
Nel secondo capitolo comincia la ricerca vera e propria, con la presentazione 
dell’indagine condotta interrogando diversi motori di ricerca con parole chiave 
riguardanti gli anziani, da cui è emersa sostanzialmente un’immagine fortemente 
stereotipata. Più precisamente l’anziano italiano di cui si parla nella rete viene 
presentato come una persona bisognosa d’aiuto, alle prese con problemi per garantirsi 
un’autonomia e un’indipendenza, che si concede qualche viaggio e che è valorizzato 
sostanzialmente per il suo ruolo di memoria storica. 
Diversamente a livello americano, accanto ad un’immagine che riproduce i luoghi 
comuni sull’anziano presenti nella società, se ne trova un’altra maggiormente diffusa 
che ci presenta l’anziano come una persona impegnata nella continua realizzazione di se 
stessa, attiva, creativa, consapevole dei propri diritti che rivendica anche online e che si 
mette alla prova ponendosi continuamente delle sfide. 
Il terzo capitolo è dedicato a presentare l’utilizzo della rete fatto da dei nonni milanesi 
che hanno frequentato un corso d’alfabetizzazione informatica. Ad un gruppo di essi è 
stato somministrato un questionario pensato per far emergere l’uso e gli interessi di 
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queste persone verso Internet. Con alcune modifiche il questionario è stato 
successivamente somministrato telefonicamente a degli anziani modenesi che 
usufruiscono del servizio offerto loro dall’Amministrazione comunale. 
Nel quarto capitolo sono presentate le attività più frequenti svolte nella rete, quali la 
posta elettronica o la creazione di pagine personali in relazione alla presenza degli 
anziani; presenza che si rileva essere significativa nel contesto americano, dove gli over 
60 , riuniti in associazioni creano l’home page dell’associazione, partecipano a liste di 
amici di penna online, chiacchierano, comperano i regali per i nipoti, pianificano i loro 
investimenti. A livello italiano gli anziani costituiscono un gruppo di naviganti 
numericamente molto basso, a ciò si deve aggiungere la scarsa attenzione a condurre 
delle rilevazioni in tal senso. 
Nel quinto capitolo viene presa in considerazione l’attività promossa dalla biblioteche 
italiane e straniere per garantire l’acceso alla società dell’informazione a tutti i cittadini 
e in particolare modo a quelle categorie sociali, come gli anziani e i portatori di 
handicap, che non dispongono degli strumenti conoscitivi e culturali per muoversi in 
questa nuova realtà. Esse offrono non solo le postazioni d’accesso pubblico alla rete, ma 
organizzano anche dei corsi d’alfabetizzazione informatica rivolti agli anziani, in 
maniera tale da permettere loro di acquisire le conoscenze e le abilità necessarie per 
utilizzare autonomamente Internet. 
Gli ultimi due capitoli sono dedicati alla presentazione delle conclusioni e dei possibili 
sviluppi di Internet tra la popolazione anziana italiana, visto e considerato che non 
mancano coloro che pur avanti con l’età si cimentano con questo strumento di 
comunicazione, d’informazione e di divertimento. Si tratta dunque di incentivarne la 
presenza, attraverso la realizzazione di iniziative a carattere formativo pensate sulla base 
di una buona conoscenza delle loro principali esigenze e di avviare una collaborazione 
tra i diversi soggetti presenti nel contesto sociale italiano e che operano in questo 
campo. 
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1. LA CRESCENTE VISIBILITA’ SOCIALE DELLA TERZA ETA’. 
 
Nel seguente capitolo, abbiamo voluto delineare, a grandi linee, non tanto la condizione 
dell’essere anziano oggi, quanto il fenomeno, recente e non ancora ben compreso con 
tutte le sue implicazioni, dell’emergere della terza età. 
Nelle società attuali, soprattutto in quelle fortemente industrializzate, l’uomo si trova 
infatti a vivere ancora molti anni al di là del periodo della riproduttività e del lavoro. 
La recente comparsa di questo fenomeno implica che, diversamente che per le altre 
fasce d’età dove esistono consolidati modelli comportamentali di riferimento, qui non 
abbiano ancora trovato una definizione. 
Il disorientamento che segue non appartiene solo alle persone che si stanno affacciando 
personalmente su questa realtà, ma anche a tutte le altre che si confrontano 
quotidianamente nei rapporti con le persone anziane . 
Vedremo come Internet può essere considerato, a pieno titolo uno strumento che offre 
all’anziano nuove prospettive per vivere questa fase della vita e nello stesso tempo 
contribuisce a promuovere un’immagine più completa dell’universo dell’anziano stesso. 
Immagine che sicuramente mette in crisi le rappresentazioni tradizionali della vecchiaia 
come declino ineluttabile.  
 
 
1.1 Andare oltre la mistica della vecchiaia 
 
Da diversi anni a questa parte assistiamo ad un proliferazione di libri, ricerche, 
convegni, articoli di riviste, specialistiche e non, che pongono alla nostra attenzione, la 
realtà degli anziani. La novità può essere individuata in una rivalorizzazione della 
persona anziana che, con grande fatica, cerca di promuoverne all’interno della società 
stessa un’immagine più realistica. 
Secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico 
(OCSE),comprendente la maggior parte delle nazioni industrializzate dell’Occidente, in 
questi stessi paesi nel 1950 gli ultra sessantacinquenni erano meno di 50 milioni, nel 
1990 questa cifra si è più che raddoppiata e si prevede che il loro numero supererà i 150 
 7
milioni entro il 2020. (Viazzo, 1992, p. 9). Alle principali motivazioni di 
quest’invecchiamento progressivo della popolazione, non solo europea, ma mondiale, i 
diversi studiosi tendono ad attribuire importanze diverse. 
Sicuramente la diminuzione della mortalità, dovuta ai progressi della medicina e della 
farmacologia, a migliori condizioni igieniche private e pubbliche e il declino della 
natalità provocato, soprattutto nei paesi dell’Asia dall’introduzione di politiche di 
controllo delle nascite e da una maggiore diffusione e utilizzo dei metodi contraccettivi, 
hanno innalzato notevolmente la speranza di vita alla nascita per ogni essere umano che 
si stima sfiorare gli 80 anni nel 2020. ( Viazzo, 1992, p. 10). 
Come sostiene Laslett (1992), l’emergere della terza età, muta notevolmente la struttura 
stessa della società. Quest’autore infatti, ritiene indispensabile riconsiderare la 
suddivisione per età della vita. Egli parla di quattro età, la prima che inizia con la 
nascita, caratterizzata dalla dipendenza, dalla socializzazione e dall’educazione; la 
seconda che corrisponde alla vita adulta, alla maturità, all’indipendenza, alla 
responsabilità familiare e sociale, finalizzata alla realizzazione professionale e al 
mantenimento e alla cura dei figli; la terza età, fenomeno relativamente recente, si 
presenta come il momento in cui è data la possibilità di realizzare fini personali, 
potenzialità, progetti che nell’età precedente si erano dovuti posticipare perché i doveri 
e le condizioni sociali non lo permettevano. e l’ultima età, la quarta, caratterizzata dalla 
dipendenza e dalla decadenza fisica. Questa distinzione non è così netta nella realtà, 
dove età diverse possono essere compresenti nello stesso individuo, come accade per 
esempio negli atleti, infatti la seconda è presente mentre stanno ancora vivendo la 
prima. 
Nel passato accadeva che si passasse direttamente dalla seconda età alla quarta, in 
quanto la speranza di vita era molto bassa, diversamente oggi accade che si entri nella 
terza età sempre prima poiché l’età pensionabile viene sempre più spostata verso il 
basso. 
Da più parti si sottolinea come il termine “terza età” non vuole essere solo un termine 
nuovo per indicare le persone anziane, ma vuole soprattutto riconoscere come queste 
ultime vadano sempre più acquistando peso sociale, politico ed economico, soprattutto 
all’interno di tutti i paesi industrializzati. 
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Nonostante questa presa di coscienza, l’universo dell’anziano rimane fortemente 
limitato e sottovalutato a causa di pregiudizi e di stereotipi ancora fortemente presenti 
nella nostra cultura e che distorcono ogni approccio a quest’universo, da qualunque 
prospettiva ci si ponga. 
Autori come Laslett (1992) o come Betty Friedan (1994.) spiegano quest’atteggiamento 
culturale riconducendolo sostanzialmente alla definizione di vecchiaia in termini di 
malattia, che giustifica la considerazione dell’anziano come essere debole, in declino, 
bisognoso di ogni sorta d’aiuto, incapace di attendere a semplici compiti, smemorato. 
Un altro elemento, che contribuisce ulteriormente a radicare quest’atteggiamento è dato 
dall’utilizzare quale riferimento concettuale per definire la vecchiaia stessa, la 
giovinezza. Basti pensare, per esempio, al fatto che l’intelligenza psicometrica 
nell’adulto e nell’anziano si basa su strumenti e modelli sviluppati per il giovane.  
Urge, oggi più che mai, riconoscere la vecchiaia come una nuova fase dell’esistenza 
dell’uomo,  come possibilità di ulteriore sviluppo per l’essere umano, negli anni in più 
regalati. Si tratta, come sostiene la Friedan (1994) di andare oltre la “mistica della 
vecchiaia” che concepisce quest’ultima come momento di decadimento fisico e mentale 
per restituirle la giusta dignità e importanza che le spetta e per far sì che possa essere 
vissuta pienamente e in tutte le possibilità di realizzazione personale che 
intrinsecamente le appartengono. 
Vi sono ricerche gerontologiche che testimoniano come in questo periodo accadano dei 
mutamenti che coinvolgono l’intera persona dell’anziano e che non possono essere 
definiti solo in termini di mancanza o di perdite inevitabili e che contribuiscono a 
frantumare l’idea della vecchiaia come invecchiamento programmato ( Friedan, 1994, p. 
32).  
Un altro aspetto molto importante, che ha contribuito alla diffusione dell’immagine 
dell’anziano così come oggi la troviamo, è dato dal fatto che la maggior parte degli studi 
gerontologici, fino a tempi recenti, sono stati condotti su persone anziane malate e 
istituzionalizzate. 
Dalle ricerche prese in considerazione da quest’autrice, emergono cinque considerazioni 
di notevole importanza: 
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1. Il decadimento di varie capacità con l’età, studiato comparando tendenze medie 
all’interno di diversi gruppi d’età, si è dimostrato non universale e prevedibile – come 
se fosse biologicamente programmato. (...). ( Friedan, 1994, p.32). 
2. Il progressivo deterioramento delle capacità mentali e fisiche che emergeva nei primi 
studi trasversali condotti su americani di età differenti scomparve quando persone che 
invecchiano nelle loro comunità, e non nelle istituzioni, cominciarono a essere 
studiate longitudinalmente – a cinquanta, sessanta, sessantacinque, settanta, 
ottant’anni eccetera. (…). ( Friedan, 1994, p. 32) 
3. Il graduale disimpegno dalla società e la diminuzione delle attività sociali che erano 
stati considerati aggiustamenti “funzionali” e “normali” dai gerontologi non 
costituivano il modello individuato tra i sopravvissuti sani in questi importanti studi 
longitudinali del “normale invecchiamento umano”. (…). ( Friedan, 1994, p. 36) 
4. L’attività in seno alla società, tanto complessa da ricorrere alla capacità cognitiva e 
da comportare delle scelte, è evidentemente una questione fondamentale per la 
longevità e per invecchiare in modo vitale. (…). ( Friedan, 1994, p.36). 
5. Un’identificazione attiva, realistica e precisa con il proprio processo 
d’invecchiamento – contrapposta sia alla rassegnazione  allo stereotipo del “vecchio” 
sia alla negazione dei cambiamenti prodotti dall’età – pare una chiave importante che 
consente d’invecchiare in modo vitale, e persino un motivo di longevità. ( Friedan, 
1994, p. 37). 
 
 
La normale e scontata decadenza legata all’età è stata sovvertita con cambiamenti nel 
modo di vita, nell’ambiente e con la ginnastica.(Friedan, 1994, pag.30). 
Oggi, per tutto un insieme di ragioni che abbiamo visto inizialmente, l’uomo si trova a 
dover vivere ancora molti anni dopo l’età riproduttiva, anni che sempre risultano essere 
dedicati all’attività e dalla realizzazione personale. Non si vuole assolutamente negare 
l’esistenza di anziani che soffrono, malati, dipendenti, ma questi appartengono alla 
quarta età definita da Laslett (1992), l’attenzione sociale è infatti tutta puntata su quelle 
persone che vivono attualmente la terza età, fenomeno tipico delle società 
industrializzate del nostro secolo e che tende sempre più ad accrescersi. Se per le altre 
fasce d’età, esistono nelle società dei modelli comuni di riferimento per il 
comportamento, dei ruoli definiti, una esatta collocazione nella società, diversamente 
proprio per la recente comparsa della terza età, non esistono dei modelli a cui potersi 
rivolgere per poter vivere, nel migliore modo possibile questi anni di vita. Si assiste ad 
una forte impreparazione delle organizzazioni sociali a gestire questo fenomeno. Da ciò 
 10 
segue una grande responsabilità, nel dar vita a modelli stabili d’identificazione, non solo 
da parte di coloro che stanno vivendo ora la loro terza età verso i più giovani, ma anche 
e soprattutto, di coloro che si stanno avvicinando a questa tappa. 
Nel passato, per tutta una serie di condizioni sociali, lavorative, igieniche, la gente 
moriva sul finire di quella oggi definita seconda età. 
L’errore più grossolano a cui, per ragioni culturali, la maggior parte di noi è soggetta, è 
quello di applicare le categorie interpretative della quarta età alla terza età e di definirla 
inoltre sempre nel confronto con la seconda. Si tratta dunque di partire da un 
riconoscimento di questa fase della vita, da un’accettazione sostanziale da parte di tutte 
le generazioni, per avviare un processo di individuazione e di comprensione  dei 
concetti che la definiscano in maniera autonoma e unica rispetto alle altre età. Tutto 
questo è ancora lontano dall’essere realizzato, in realtà si assiste al dispiegarsi di un 
circolo vizioso, di una profezia che autoavverantesi per cui alla negazione della 
vecchiaia, nella continua ricerca della giovinezza, seguono atteggiamenti, 
comportamenti, scelte che allontanano sempre di più il confronto con questa realtà e 
conseguentemente la possibilità di viverla pienamente ed inoltre le persone, proprio per 
il clima culturale imperante, tendono ad aspettarsi sempre meno dagli anziani e di 
conseguenza questi ultimi, si aspettano sempre meno da loro stessi.  
La nostra specie è unica non solo per l’infanzia prolungata, ma per un periodo sempre 
più lungo di maturità e di tarda età, quando sono finiti gli anni della riproduttività e 
conclusi i ruoli parentali. (Friedan, 1994, p.74). Inevitabilmente il compito più urgente 
consiste nel trovare i modi per vivere questi anni. 
 
 
1.2 Quali prospettive per la terza età, oggi? 
 
L’equazione età – deterioramento è talmente diffusa, che è esperienza comune lo 
stupore e la meraviglia che ci assalgono quando scopriamo che esistono persone attive e 
propositive, pur essendo avanti con l’età. 
Il primo passo da compiere per considerare la terza età così come si presenta, è dato 
dall’abbandonare le concezioni, gli atteggiamenti, i pregiudizi che ci hanno 
 11 
accompagnato fino ad ora, persuasi dal panorama che si dischiude al nostro sguardo, a 
condizione che sia uno sguardo attento e in cerca di risposte. 
L’avvenimento che convenzionalmente segna l’ingresso nel mondo della terza età, pur 
tenendo conto delle eccezioni, è il pensionamento. Il ritiro dall’attività lavorativa 
costituisce un grande cambiamento, per ogni individuo, soprattutto nella nostra società 
dove il valore del lavoro, della produttività, dell’attività sono fortemente imperanti. Con 
il pensionamento, l’uomo si trova a dover gestire le naturali perdite in termini d’identità 
e di potere, ciò rappresenta una sfida soprattutto per gli uomini la cui identità è 
maggiormente legata al lavoro rispetto alle donne, che possono, volendo, tornare al 
ruolo di casalinghe. Per alcune categorie professionali come gli scienziati, i direttori 
d’orchestra o gli artisti, la ricerca di un nuovo ruolo attivo all’interno della società, al 
momento del pensionamento non avviene, perché possono restare nel loro campo 
d’interessi. Essi svolgono, infatti, professioni che, potremmo dire, non hanno età, 
ponendo questioni sempre nuove, che li stimolano a svilupparsi, a usare tutte le loro 
capacità, in un contesto in continua evoluzione e fonte inesauribile di nuovi 
apprendimenti. Non a caso, le persone che esercitano tali professioni, sono i gruppi più 
longevi presenti nella nostra società,  come ulteriore conferma dell’importanza della 
flessibilità, dell’elasticità nel vivere i propri ruoli e nell’invertarne di nuovi.  
E’, inoltre, utile evidenziare come, rispetto al passato, il tempo libero è riconosciuto e, 
per certi aspetti, promosso tra tutte le fasce d’età e tende a coesistere accanto 
all’impegno lavorativo. L’anziano ha a disposizione una grande quantità di tempo 
libero, che deve essere però impiegato in maniera tale da risultare fonte di soddisfazioni, 
di realizzazione personale e di crescita. Come sostiene Tournier (1974), si tratta di 
convertirsi dal lavoro professionale all’attività culturale. Esiste il pericolo che a 
quest’ultima ci si dedichi esclusivamente per passare il tempo, per ovviare alla noia, per 
cui qualunque impegno risulta andare bene. In realtà essa deve primariamente 
rispondere al bisogno vitale di svilupparsi e di crescere fino all’ultimo giorno, proprio 
dell’uomo. (Tournier, 1974, p. 14). Si tratta di passare dal semplice passatempo ad 
un’attività scelta in quanto rispondente ad un’inclinazione profonda. 
Paradossalmente, la persona anziana, venuti meno tutta una serie di obblighi 
professionali e familiari, si trova a disporre di una grande libertà nel gestire la propria 
giornata ed a dover inventare ruoli che la società non ha ancora definito per lei. Sono in 
 12 
diversi autori a sostenere come la qualità esistenziale della terza età dipende 
fondamentalmente da come si sono vissute le età precedenti. Tournier scrive in 
“Invecchiare è un’arte” (1974): “la riuscita del pensionamento dipende in gran misura 
dalla vita che si è vissuta in precedenza” (p. 18). Betty Friedan scrive in “ L’età da 
inventare. La seconda metà della vita” (1994): “ A seconda di come è stata vissuta , 
impostata e organizzata la nostra vita precedente, la vecchiaia verrà affrontata e 
vissuta in maniera diversa. (p. 82). 
Esiste una vasta bibliografia di studi condotti sugli aspetti biologici, cognitivi, sociali 
dell’invecchiamento, che ci permette di osservare l’anziano da una prospettiva nuova, 
che recentemente si sta facendo strada tra l’opinione pubblica. Come, da più parti si 
sostiene, nella vecchiaia lo sviluppo può continuare, attraverso perdite, profitti e 
riorganizzazioni e dipende sia dall’ambiente in cui l’anziano vive che dalle sue scelte 
personali. Potremmo dire che per una vecchiaia riuscita è necessaria sia una 
consapevolezza personale di cosa essa significa che una volontà politica sensibile alle 
esigenze di questa fascia d’età. 
Per poter effettivamente parlare di prospettive per l’anziano di oggi, è fondamentale che 
esita un’accettazione realistica e attiva dei cambiamenti connessi all’età. A livello 
personale, più precisamente deve esistere un’identificazione con il proprio processo 
d’invecchiamento. 
E’ stato chiaramente dimostrato che la perdita cognitiva dopo i sessant’anni è in realtà 
provocata da altri fattori, per esempio il differente livello d’istruzione e anche che 
attività soddisfacenti, migliorando il funzionamento mentale e fisico, aumentano la 
longevità. Basta, infatti, pensare a tutto uno stuolo di artisti, come Michelangelo (scolpì 
la “Pietà Rondanini” a ottant’anni), Rembrandt, Beethoven, Yeats, Picasso che hanno 
continuato a lavorare fino a tarda età , dando prova di grande crescita e di continua 
evoluzione.(Friedan, 1994, p. 70). 
Anche il lavoro esercitato dopo il pensionamento, venendo meno tutta una serie di 
obblighi e di restrizioni, permette all’anziano di mettersi effettivamente in gioco con le 
proprie capacità, le proprie esperienze e le proprie competenze e può essere un mezzo 
per integrare ed esprimere parti in precedenza non realizzate di sé. Sono molte le storie 
che i quotidiani o i servizi televisivi portano alla nostra attenzione, di persone che nella 
terza età danno vita a progetti creativi, a iniziative, che si dedicano totalmente  a ciò che 
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nella età precedente era coltivato nei piccoli ritagli di tempo o neppure estrinsecato 
perché non compatibile con la posizione lavorativa e sociale del soggetto stesso. 
Leggendo un testo di Viney intitolato “L’uso delle storie di vita con l’anziano” (1992), 
un aspetto che ci colpì particolarmente fu che nella vecchiaia si è maggiormente liberi 
dalle costrizioni sociali, dalle inibizioni,  dalle regole comuni di comportamento, meno 
disposti a scendere a patti con le influenze indirette esercitate dall’ambiente sociale 
d’appartenenza. Inoltre le storie positive narrate ruotavano attorno al tema della 
maggiore libertà rispetto al passato, vista dai narratori come possibilità di dedicarsi 
maggiormente a loro stessi , agli affetti e alle relazioni sociali. 
Vissuti comuni di anziani che vivono serenamente i loro anni è il sentirsi sempre più 
loro stessi, l’esercitare un controllo sulla propria vita, l’operarsi per raggiungere 
obiettivi e scopi ben precisi. 
Per quanto concerne le persone anziane costrette a ritirarsi in case di cura, si rileva un 
declino a breve termine, diversamente da chi continua a vivere nelle proprie abitazioni, 
in contesti familiari. Questo fenomeno pone l’urgenza di un cambiamento radicale del 
concetto di assistenza, a favore di un approccio olistico alla persona, che riconosca e 
promuova le esigenze mutate d’intimità, d’impegno, di dieta, di sonno e di esercizio 
fisico. 
Concludendo possiamo dire che oggi gli anziani e forse ancora di più la prossima 
generazione che entrerà a far parte della terza età,  si trovano a dar frutto ai loro anni in 
un contesto che presenta senza dubbio migliori condizioni economiche e sociali rispetto 
al passato e dove i modelli di vita offerti all’anziano stesso stanno subendo un profondo 
mutamento. I concetti fondamentali a cui ricondurre l’universo degli ultra 
sessantacinquenni sono quelli di autonomia, libertà, controllo esistenziale, scelta 
personale, intimità, creatività, responsabilità, flessibilità, mutamento. 
Per le persone anziane autosufficienti, che stanno numericamente aumentando sempre 
più, le prospettive che la società attuale offre sono molteplici e cominciano inoltre a 
diversificarsi notevolmente. Bisogna tenere conto che molto dipende anche dalle 
condizioni economiche in cui versano, le quali nel momento in cui sono sufficienti 
permettono all’anziano di scegliere tra un ventaglio molto ampio di attività, di impegni, 
di divertimenti. 
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Diversamente, ci sono persone della terza età che vivono in condizioni tipiche di quarta 
età: malate, non autosufficienti, deboli, depresse, bisognose di ogni elementare aiuto. In 
queste condizioni non esistono prospettive risolutive, ma esistono possibilità di 
interventi per migliorarne l’assistenza, in una sempre più ricercata collaborazione tra la 
famiglia e il personale delle strutture residenziali o dei servizi sociali. 
In questo lavoro non affronteremo il tema dell’assistenza alle persone anziane, ma 
tenendo come riferimento la suddivisione delle età della vita fatta da Laslett (1992), 
avremo maggiormente a che fare con la terza età, per definizione impegnata in un 
apprendimento per se stessa, per sviluppare, arricchire e impegnare  le sue capacità in 
attività liberamente scelte, ad esempio Internet. 
 
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1. GLI ANZIANI NELLA RETE. 
 
Nel seguente capitolo, abbiamo voluto delineare, a grandi linee, non tanto la condizione 
dell’essere anziano oggi, quanto il fenomeno, recente e non ancora ben compreso con 
tutte le sue implicazioni, dell’emergere della terza età. 
Nelle società attuali, soprattutto in quelle fortemente industrializzate, l’uomo si trova 
infatti a vivere ancora molti anni al di là del periodo della riproduttività e del lavoro. 
La recente comparsa di questo fenomeno implica che, diversamente che per le altre 
fasce d’età dove esistono consolidati modelli comportamentali di riferimento, qui non 
abbiano ancora trovato una definizione. 
Il disorientamento che segue non appartiene solo alle persone che si stanno affacciando 
personalmente su questa realtà, ma anche a tutte le altre che si confrontano 
quotidianamente nei rapporti con le persone anziane . 
Internet può essere considerato, come vedremo, a pieno titolo uno strumento che offre 
all’anziano nuove prospettive per vivere questa fase della vita e nello stesso tempo 
contribuisce a promuovere un’immagine più completa dell’universo dell’anziano stesso. 
Immagine che sicuramente mette in crisi le rappresentazioni tradizionali della vecchiaia 
come declino ineluttabile.  
 
 
1.1 LA CRESCENTE VISIBILITÁ SOCIALE DELLA TERZA ETÁ 
 
Da diversi anni a questa parte assistiamo ad un proliferazione di libri, ricerche, 
convegni, articoli di riviste, specialistiche e non, che pongono alla nostra attenzione, la 
realtà degli anziani. La novità può essere individuata in una rivalorizzazione della 
persona anziana che, con grande fatica, cerca di promuoverne all’interno della società 
stessa un’immagine più realistica. 
Secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico 
(OCSE),comprendente la maggior parte delle nazioni industrializzate dell’Occidente, in 
questi stessi paesi nel 1950 gli ultra sessantacinquenni erano meno di 50 milioni, nel 
1990 questa cifra si è più che raddoppiata e si prevede che il loro numero supererà i 150 
 16 
milioni entro il 2020. (Viazzo, 1992, p. 9). Alle principali motivazioni di 
quest’invecchiamento progressivo della popolazione, non solo europea, ma mondiale, i 
diversi studiosi tendono ad attribuire loro importanze diverse. 
Sicuramente la diminuzione della mortalità, dovuta ai progressi della medicina e della 
farmacologia, a migliori condizioni igieniche private e pubbliche e il declino della 
natalità provocato, soprattutto nei paesi dell’Asia dall’introduzione di politiche di 
controllo delle nascite e da una maggiore diffusione e utilizzo dei metodi contraccettivi, 
hanno innalzato notevolmente la speranza di vita alla nascita per ogni essere umano che 
si stima sfiorare gli 80 anni nel 2020. ( Viazzo, 1992, p. 10). 
Come sostiene Laslett (1992), l’emergere della terza età, che muta notevolmente la 
struttura stessa della società. Quest’autore infatti, ritiene indispensabile riconsiderare la 
suddivisione per età della vita. Egli parla di quattro età: la prima che inizia con la 
nascita, caratterizzata dalla dipendenza, dalla socializzazione e dall’educazione, la 
seconda che corrisponde alla vita adulta, alla maturità, all’indipendenza, alla 
responsabilità familiare e sociale, finalizzata alla realizzazione professionale e al 
mantenimento e alla cura dei figli.  
La terza età, fenomeno relativamente recente, si presenta come il momento in cui è data 
la possibilità di realizzare fini personali, potenzialità, progetti che nell’età precedente si 
erano dovuti posticipare perché i doveri e le condizioni sociali non lo permettevano. E’ 
il periodo del completamento e dell’arrivo. (Laslett, 1992, p.265). 
Infine giungiamo all’ultima età, la quarta, caratterizzata dalla dipendenza e dalla 
decadenza fisica. Questa distinzione non è così netta nella realtà, dove età diverse 
possono essere compresenti nello stesso individuo, come accade per esempio negli 
atleti, infatti la seconda è presente mentre stanno ancora vivendo la prima. 
Nel passato accadeva che si passasse direttamente dalla seconda età alla quarta, in 
quanto la speranza di vita era molto bassa, diversamente oggi accade che si entri nella 
terza età sempre prima poiché l’età pensionabile viene sempre più spostata verso il 
basso. 
Da più parti si sottolinea come il termine “terza età” non vuole essere solo un termine 
nuovo per indicare le persone anziane, ma vuole soprattutto riconoscere come queste 
ultime vadano sempre più acquistando peso sociale, politico ed economico, soprattutto 
all’interno di tutti i paesi industrializzati. 
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Nonostante questa presa di coscienza, l’universo dell’anziano rimane fortemente 
limitato e sottovalutato a causa di pregiudizi e di stereotipi ancora fortemente presenti 
nella nostra cultura e che distorcono ogni approccio a quest’universo, da qualunque 
prospettiva ci si ponga. 
Autori come Laslett (1992) o come Betty Friedan (1994.) spiegano quest’atteggiamento 
culturale riconducendolo sostanzialmente alla definizione di vecchiaia in termini di 
malattia, che giustifica la considerazione dell’anziano come essere debole, in declino, 
bisognoso di ogni sorta d’aiuto, incapace di attendere a semplici compiti, smemorato. 
Un altro elemento, che contribuisce ulteriormente a radicare quest’atteggiamento è dato 
dall’utilizzare quale riferimento concettuale per definire la vecchiaia stessa, la 
giovinezza. Basti pensare, per esempio, al fatto che l’intelligenza psicometrica 
nell’adulto e nell’anziano si basa su strumenti e modelli sviluppati per il giovane.  
Urge, oggi più che mai, riconoscere la vecchiaia come una nuova fase dell’esistenza 
dell’uomo,  come possibilità di ulteriore sviluppo per l’essere umano, negli anni in più 
regalati. Si tratta, come sostiene la Friedan (1994) di andare oltre la “mistica della 
vecchiaia” che concepisce quest’ultima come momento di decadimento fisico e mentale 
per restituirle la giusta dignità e importanza che le spetta e per far sì che possa essere 
vissuta pienamente e in tutte le possibilità di realizzazione personale che 
intrinsecamente le appartengono. 
Vi sono ricerche gerontologiche che testimoniano come in questo periodo accadano dei 
mutamenti che coinvolgono l’intera persona dell’anziano e che non possono essere 
definiti solo in termini di mancanza o di perdite inevitabili e che contribuiscono a 
frantumare l’idea della vecchiaia come invecchiamento programmato ( Friedan, 1994, p. 
32).  
Un altro aspetto molto importante, che ha contribuito alla diffusione dell’immagine 
dell’anziano così come oggi la troviamo, è dato dal fatto che la maggior parte degli studi 
gerontologici, fino a tempi recenti, sono stati condotti su persone anziane malate e 
istituzionalizzate. 
Dalle ricerche prese in considerazione da quest’autrice, emergono cinque considerazioni 
di notevole importanza: