Introduzione 
 
INTRODUZIONE 
 
L’ospedalizzazione in età pediatrica è un fenomeno socio-sanitario rilevante, 
infatti gli ospedali italiani ospitano ogni anno circa 1 milione di bambini.  
Tra le prime cause di ricovero, nella fascia di età tra 0 e 14 anni,  ci sono le 
patologie neonatali e le malattie a carico dell’apparato respiratorio, mentre tra le 
altre cause, meno frequenti, troviamo traumi, avvelenamenti, patologie a carico 
dell’apparato digerente, infezioni e intossicazioni (dati Ministero della Salute, 
2004). 
Come noto, il ricovero in ospedale, costituisce un fattore di rischio per l’equilibrio 
psichico del bambino e della sua famiglia: il piccolo paziente si trova in una 
situazione sconosciuta e insolita, viene assalito da ansia, paura, rabbia e dolore. 
Questo sia a causa dell’allontanamento dalla famiglia, sia perché si trova a 
contatto con degli sconosciuti, il personale sanitario, verso i quali prova 
diffidenza e sospetto.  
Proprio per questi motivi, l’ospedalizzazione del bambino mostra alcune 
particolarità rispetto a quella in età adulta: gli ambienti devono essere adeguati, 
infermieri e medici devono essere in grado di stabilire un rapporto con il piccolo, 
rassicurandolo e conquistando la sua fiducia, i genitori devono avere la possibilità 
di rimanere con lui tutto il tempo necessario. 
Aspetti importanti dell’assistenza al bambino ricoverato sono la valutazione e il 
controllo del dolore, aspetti che, principalmente, sono compito dell’infermiere, 
che è colui che lo assiste 24 ore su 24 e deve saper riconoscere i segni di 
insorgenza del dolore.  
La scelta di questo argomento come punto centrale di questa tesi è dettata 
proprio dal fatto che l’infermiere è altamente coinvolto nella valutazione del 
dolore, è colui che osserva i comportamenti e monitorizza le variazioni 
fisiologiche che possono segnalare un esperienza dolorosa, somministra le scale 
di valutazione, parla con il bambino e con i genitori. Inoltre, l’infermiere ha un 
ruolo importante anche nel controllo del dolore, in quanto somministra le 
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Introduzione 
 
terapie prescritte dal medico, adottando metodiche che siano il meno 
traumatizzanti possibile e impiega tecniche non farmacologiche di sollievo dal 
dolore, che saranno esposte in seguito.  
Per di più, l’infermiere ha una funzione importante anche nel tranquillizzare il 
bambino, distrarlo, spiegargli cosa sta succedendo, insomma rendergli il ricovero 
meno spiacevole: in situazioni di ansia o spavento, infatti, la soglia del dolore si 
abbassa e la percezione dello stimolo doloroso aumenta, ed è da tener conto che 
la paura è un elemento costante nel bimbo che si trova ad affrontare un ricovero 
(M. Capurso, 2001). 
Il problema del dolore nel bambino è un problema fino a pochi anni fa 
sottovalutato, ma che riveste una notevole importanza: è stato stimato che più 
dell’80% dei ricoveri pediatrici sia dovuto a patologie che presentano, fra i vari 
sintomi, anche dolore. Per alcune Unità Operative (Oncologia, Terapie Intensive 
Pediatrica e Neonatale, Chirurgia Pediatrica), il dolore è parte integrante 
dell’approccio quotidiano al bambino malato e moltissime delle procedure 
diagnostico-terapeutiche si accompagnano a dolore e stress e, per questo, sono 
temute quanto e più della stessa patologia di base. 
Ma l’incidenza di dolore è elevata anche a livello ambulatoriale e accompagna 
situazioni cliniche diverse: patologie infettive e/o traumi (94% dei pazienti 
presentano anche dolore), patologie ricorrenti (cefalea e dolore addominale 
ricorrente interessano il 15-25% dei bambini in età scolare), patologie croniche 
(oncologiche, reumatologiche, metaboliche…) e test diagnostici e/o terapeutici 
(www.salute.gov, 2010)  
In particolare, il dolore provato dal bambino può essere acuto, cioè localizzato e 
di breve durata; cronico, quindi nell’ambito di una malattia cronica; o da 
procedura, ovvero legato a manovre svolte dagli operatori sanitari. 
Naturalmente, ogni fascia di età ha diverse modalità di avvertire e esprimere il 
dolore, e possibilità o meno di comunicarlo, e quindi, per ognuna sono stati 
individuati dei metodi per la valutazione del dolore, come ad esempio scale di 
autovalutazione, scale comportamentali, misurazione dei parametri fisiologici. 
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Introduzione 
 
Il presente lavoro di tesi, frutto di ricerche su internet, consultazioni di libri, 
protocolli, riviste infermieristiche e scientifiche e materiale che mi è stato 
gentilmente inviato dall’Ospedale Meyer di Firenze, è stato arricchito da 
un’esperienza di tirocinio che mi ha permesso di entrare in stretto contatto con 
le attività, le dinamiche, le emozioni vissute all'interno di un reparto di Pediatria.  
Nel primo capitolo, verranno descritti i meccanismi di reazione del bambino 
all’ospedalizzazione, e le accortezze con le quali questo processo può essere reso 
meno traumatico.  
Per lungo tempo è stata opinione comune che i bambini non avvertissero il 
dolore quanto gli adulti, e che i neonati ne fossero addirittura esenti, solo circa 
30 anni fa questa convinzione è stata smentita; nel secondo capitolo verranno 
fatti cenni allo sviluppo delle vie nocicettive nel neonato e alla trasmissione  
dolorifica. I bambini sono, infatti, soggetti a molteplici forme di dolore, dal mal di 
stomaco, al dolore post-operatorio, al dolore oncologico. 
Il terzo capitolo tratta i metodi di valutazione del dolore per ogni fascia di età, e 
in seguito, nel quarto, verrà esposto il trattamento antalgico in età pediatrica e 
neonatale, illustrando i metodi per il controllo del dolore, e quindi terapie 
farmacologiche, e anche terapie non farmacologiche, cioè rimedi naturali, giochi 
o distrazioni che tendono ad allontanare dalla mente del bambino la paura e il 
dolore, sfruttando le sue capacità immaginative e la sua fantasia. 
 
 
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Capitolo 1   
L’ospedalizzazione con gli occhi del bambino 
CAPITOLO 1 
L’OSPEDALIZZAZIONE CON GLI OCCHI DEL BAMBINO 
 
L’esperienza dell’ospedalizzazione è un momento traumatico per l’adulto, ma 
soprattutto per il bambino, per il quale può diventare una realtà sconvolgente. 
Quest’ultimo, infatti, dipende maggiormente, rispetto all’adulto, dall’ambiente e 
dalle persone che fanno parte del suo quotidiano. 
In questo capitolo saranno trattati gli aspetti psicologici che caratterizzano 
l’ospedalizzazione pediatrica, i meccanismi che si instaurano nel piccolo in 
seguito al ricovero e quindi all’allontanamento dal suo ambiente familiare.  
Prima, però, verranno fatti cenni all’evoluzione storica dell’idea di “bambino 
ospedalizzato”, da quando il bambino era considerato solo un “piccolo adulto”, e 
quindi non si credeva necessario avere accortezze e trattamenti particolari, fino 
al riconoscimento delle differenze tra bambino e adulto, e alla redazione di una 
Carta dei Diritti dei Bambini in Ospedale. Accanto all’evoluzione legislativa, si 
sviluppa un nuovo modello di intervento assistenziale pediatrico, che pone al 
centro il bambino, e lo aiuta a trovare un suo spazio di crescita anche in una 
situazione traumatizzante come quella dell’ospedale.  
In seguito, si parlerà di quali sono i metodi per rendere il ricovero meno 
traumatico possibile per il piccolo, e quindi capacità relazionali di medici e 
infermieri, ma anche ambienti adeguati, attività ludiche e educative all’interno 
del reparto, che rendano il tempo passato in ospedale il più possibile vicino alla 
“vita normale”. 
 
 
1.1 EVOLUZIONE STORICA DEL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI NELL’INFANZIA 
 
Nell’ultimo secolo, e soprattutto dagli anni ’50 si è avviato un processo di 
riconoscimento dei diritti dei bambini in ospedale, e delle sofferenze e disagi che 
derivano dal ricovero, e che costituiscono, per il bambino molto più che per 
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Capitolo 1   
L’ospedalizzazione con gli occhi del bambino 
l’adulto, un trauma psichico che si manifesta con apatia, depressione, perdita di 
fiducia negli operatori sanitari ma anche nei genitori, angoscia, fino a problemi 
nello sviluppo della personalità (J. Robertson, 1958). 
Punti fondamentali di questa svolta sono il saggio “Bambini in ospedale” di James 
Robertson e il Rapporto Platt: entrambi riguardavano l’allontanamento del 
piccolo dal nucleo familiare e i disturbi comportamentali che ne derivano, quali 
tristezza, depressione, aggressività, deficit di sviluppo della personalità. 
Dimostravano che il bambino vive l’ospedale come una minaccia, una perdita di 
autonomia e di orientamento spazio-temporale, e che le cure sono viste come 
una punizione, perché dolorose e spesso eseguite senza informazioni adeguate. 
 
1.1.1 La dichiarazione di Ginevra del 1924 e la Dichiarazione dei Diritti 
dell’Uomo del 1948 
Nel 1924 la Quinta Assemblea Generale della Lega delle Nazioni approvò la 
Dichiarazione di Ginevra sui diritti del bambino.  Per redigerla, la Società delle 
Nazioni fece riferimento al Children’s Charter, scritto nel 1922 dal Save the 
Children Found, ovvero l’Unione Internazionale per il Soccorso all’Infanzia. 
Cinque erano i principi fondamentali: 
1- Al bambino si devono dare i mezzi necessari al suo normale sviluppo, 
materiale e spirituale. 
2- Il bambino che ha fame deve essere nutrito, il bambino malato deve 
essere curato, il bambino il cui sviluppo è arretrato deve essere aiutato, il 
minore delinquente deve essere recuperato, l’orfano deve essere 
ospitato e soccorso, il bambino che vive in ambienti demoralizzanti deve 
essere riportato a una vita normale. 
3- Il  bambino deve essere il primo a ricevere assistenza in caso di necessità. 
4- Il bambino deve essere messo in condizione di guadagnarsi da vivere e 
deve essere protetto contro ogni forma di sfruttamento. 
5- Il bambino deve essere allevato nella consapevolezza che i suoi talenti 
vanno messi al servizio degli altri uomini. 
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Capitolo 1   
L’ospedalizzazione con gli occhi del bambino 
La convenzione enunciava i diritti del bambino, senza però fare cenno ai diritti in 
materia sanitaria se non con la frase “il bambino malato deve essere curato”. 
Non specifica le modalità, né fa riferimento agli aspetti psicologici su cui porre 
l’attenzione durante la cura, è quindi evidente che non ritiene rilevanti le 
differenze tra un qualsiasi individuo adulto ricoverato e un bambino nelle stesse 
condizioni. 
Solo nel 1948, con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, viene 
riconosciuta la necessità di concedere una protezione speciale alla maternità e 
all’infanzia, introducendo l’idea di un diritto speciale per i bambini, perché 
portatori di esigenze diverse rispetto agli adulti. L’articolo 25, cita: “La maternità 
e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel 
matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale” 
(comma 2). 
In ogni caso, nonostante il riconoscimento legislativo, nella pratica si tende 
ancora a considerare il bambino un “piccolo adulto”, e quindi a organizzare le 
strutture pediatriche e a pianificare l’assistenza all’infanzia nelle stesse modalità 
utilizzate per gli adulti. 
 
1.1.2 Nel Regno Unito due studi innovativi: James Robertson e il Rapporto Platt 
Negli anni ’50 numerosi studi di psicologi e pediatri, iniziarono a evidenziare gli 
effetti dannosi che l’ospedalizzazione aveva sul benessere psico-affettivo del 
bambino, soprattutto a causa della separazione del piccolo dalla famiglia, che 
all’epoca era prassi in quasi tutti gli ospedali. 
Nel 1958 questi studi trovarono voce in un saggio, “Bambini in ospedale”, di un 
pediatra, James Robertson: nel suo lavoro, Robertson dimostrava, sulla base di 
verifiche sperimentali, che l’ospedalizzazione costituisce un trauma per il 
bambino e che la lontananza dai suoi genitori è fonte di sofferenza. Secondo gli 
operatori dell’epoca, la lontananza dalla famiglia rendeva il bambino più 
tranquillo, Robertson chiarì che era una serenità solo apparente, perché alla 
disperazione e irrequietezza per l’abbandono era subentrata l’apatia.  
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Capitolo 1   
L’ospedalizzazione con gli occhi del bambino 
Era uno studio all’avanguardia, che per la prima volta rendeva l’opinione 
pubblica consapevole di questo, considerando anche che l’OMS ancora nel 1960 
definiva la Pediatria “un’applicazione della medicina generale ai bambini”, 
tralasciando quindi ogni differenza tra i bisogni psicologici dell’infanzia e dell’età 
adulta. Proprio per questo motivo, non si sentiva il bisogno di elaborare uno 
specifico diritto dei bambini in ospedale: gli studi di Robertson segnarono la 
svolta da questo punto di vista, e nel 1959 la pubblicazione del rapporto Platt 
(Platt’s report) confermò le affermazioni di Robertson. 
Il rapporto Platt era uno studio prodotto da un Comitato di medici e psicologi 
guidati dal chirurgo Harry Platt, nominato dal Ministero della Sanità inglese, 
intitolato “The Welfare of Children in Hospital”, che si poneva l’obiettivo di 
trattare aspetti non medici dell’assistenza dei bambini da 0 a 16 anni. Come 
detto, rafforzava le teorie di Robertson e nello stesso tempo, forniva 
suggerimenti per ridurre il disagio del bambino in ospedale: in primo luogo, 
l’abolizione degli orari di visita nei reparti di pediatria, la possibilità per i genitori 
di pernottare in ospedale e di essere coinvolti nella cura dei figlio; inoltre, la 
creazione di ambienti più accoglienti, con spazi per il gioco e l’incontro con altri 
bambini, una maggiore attenzione alla psicologia del piccolo e dei genitori, una 
migliore comunicazione.  
Se, però, i primi punti erano facilmente attuabili, gli ultimi apparivano più 
impegnativi, in quanto comportavano modifiche sia nella progettazione dei 
reparti, sia nel piano di studi e nella mentalità degli operatori sanitari.  
 
1.1.3 Verso il cambiamento: la Carta di EACH e la Convenzione del 1989 
Gli studi inglesi di Robertson e Platt, nuovi studi che continuavano a seguire le 
loro idee, il fiorire di associazioni di volontariato a protezione dell’infanzia, 
raggiunsero anche l’opinione pubblica degli altri paesi europei, portando a 
pensare che il bambino potesse reagire all’ospedalizzazione in maniera differente 
rispetto all’adulto, e quindi  incoraggiando la nascita di un diritto speciale, che 
considerasse il fatto che il bambino in ospedale è un “bambino a rischio”, che va 
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Capitolo 1   
L’ospedalizzazione con gli occhi del bambino 
curato tenendo conto anche dei fattori psicologici riguardanti la malattia e 
l’allontanamento dai familiari e dal suo ambiente quotidiano. 
Nel 1959 una nuova Dichiarazione sui Diritti del Bambino, redatta 
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riconosce il diritto del bambino a 
ricevere cure mediche adeguate, approfondisce il concetto di protezione speciale 
“a causa della sua mancanza di maturità, fisica e intellettuale”, ma dal punto di 
vista sanitario rimane piuttosto generico, senza una differenziazione reale con gli 
interventi sanitari rivolti agli adulti. Inoltre, la dichiarazione non fa cenno al 
diritto d’opinione: i bambini devono essere protetti e curati, ma si pensa che non 
abbiano ancora il diritto di esprimere una vera e propria opinione, in quanto, 
essendo ancora immaturi, non sono capaci di scelte autonome, e per questo non 
vengono informati e coinvolti nel processo di cura.  
Dal 1961 iniziarono a sorgere, prima in Gran Bretagna e poi negli altri paesi 
europei, associazioni di volontariato con l’obiettivo di consigliare e informare le 
famiglie dei bambini malati, ma anche di richiamare l’attenzione di medici, 
infermieri e altri operatori sanitari, per sollecitare la realizzazione dei 
cambiamenti suggeriti dagli esperti e creare ambienti adatti.  
Nel 1988 dodici di queste associazioni di volontariato si incontrarono a Leida, in 
Olanda, per il primo convegno sul tema “bambino e ospedale”, in cui fu redatta 
la “Carta di Leida”, che, in dieci punti, riassume gli interventi prioritari per il 
benessere del bambino prima, durante e dopo il ricovero in ospedale. Per ridurre 
il trauma furono identificati quattro elementi fondamentali: la presenza dei 
genitori, la preparazione al ricovero, il gioco, e l’ambiente. La carta di Leida fu 
successivamente chiamata “Carta di EACH”, quando le stesse associazioni, con 
l’aggiunta di altre, provenienti da 16 paesi europei,  si riunirono in EACH-
European Association for Children in Hospital, nel 1993. 
Da quando la Carta di EACH è stata adottata, è aumentata la comprensione di ciò 
che va fatto in pediatria per una corretta assistenza, centrata sulla famiglia. Oggi 
le associazioni facenti parte di EACH sono orientate a consigliare e informare 
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Capitolo 1   
L’ospedalizzazione con gli occhi del bambino 
famiglie e operatori sanitari, in modo da applicare i principi della carta, tentando 
di inserire gli stessi principi nelle leggi, regolamenti e linee guida dei vari Paesi 
europei. Nel 7° convegno europeo di EACH del 2001 a Bruxelles le 18 associazioni 
che fanno attualmente parte di EACH hanno discusso e adottato delle 
Annotazioni, da aggiungere alla Carta, spiegazioni più dettagliate degli articoli.  
Attualmente, sulla base di un progetto depositato presso il Parlamento Europeo, 
si vuole trasformare questo documento, opportunamente modificato, in una 
vera e propria Carta Europea dei diritti dei bambini in ospedale, giuridicamente 
vincolante per le famiglie e il personale sanitario. Il bambino 
ospedalizzato verrebbe riconosciuto in modo completo come soggetto giuridico 
dotato di specifici diritti, scaturenti dal suo essere ricoverato in un’istituzione 
sanitaria. 
Infine, il 20 novembre 1989 l’Assemblea Generale adottò la Convenzione 
Universale sui Diritti dell’Infanzia (CRC - Convention of the Rights of the Child), 
di cui alcuni articoli riflettono la Carta di EACH, come ad esempio: 
- Art. 24, diritto del minore alla salute e ai servizi medici (EACH 1 e segg.) 
- Art. 9, separazione dai genitori (EACH 2-3) 
- Art. 12, rispetto dell’opinione del fanciullo (EACH 4-5) 
- Art. 16, diritto del fanciullo alla privacy (EACH 10) 
- Art. 17, diritto del fanciullo all’informazione adeguata (EACH 5) 
- Art. 31, diritto del minore al tempo libero, ad attività ricreative e culturali 
(EACH 7) 
La Convenzione entrò in vigore nel Settembre 1990; nello stesso mese a New 
York si riunì il Vertice Mondiale per l’Infanzia, che invitava tutti gli stati a 
ratificare la Convenzione, che non rappresenta solo una linea guida per i Governi 
ma, se ratificata, diventa un vero e proprio vincolo giuridico. 
 
 
 
 
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