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INTRODUZIONE
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La dipendenza economica è un concetto introdotto in economia verso la 
metà del XX secolo da studiosi latinoamericani. 
È un processo che porta alla creazione di due poli opposti: il centro che 
raggruppa i paesi economicamente più forti, e la periferia che è formata dai 
paesi più deboli. Gli effetti prodotti dalla dipendenza economica sono 
positivi per i paesi del centro e negativi per quelli della periferia. Infatti i 
primi utilizzano i secondi come una sorta di magazzino da cui attingere 
materie prime e lavoro a basso costo. I paesi periferici non possono che 
accettare tale situazione non avendo i mezzi né le conoscenze necessarie 
per sviluppare la propria economia ed essere competitivi nel mercato. 
La dipendenza economica presenta una doppia faccia della medaglia: ha 
consentito ai paesi centrali di svilupparsi e migliorare la loro posizione nei 
mercati e ha causato ai paesi periferici maggiore sottosviluppo. 
Le teorie della dipendenza si sviluppano in America Latina, ma anche nel 
resto del mondo ci si rende conto della presenza di aree meno sviluppate e 
dell’ingiusto contrasto fra la condizione del centro e della periferia. 
Nel 1949 Truman, neo-presidente degli Stati Uniti, durante il suo discorso 
di insediamento afferma “dobbiamo avviare un nuovo programma affinché i vantaggi 
del nostro progresso scientifico e industriale siano disponibili per il miglioramento e la 
crescita delle aree sottosviluppate. Oltre metà della popolazione mondiale vive in 
condizioni di miseria. Non ha cibo a sufficienza. È vittima di malattie. La sua vita 
economica è stagnante e primitiva. Il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di aiutare i 
popoli liberi del mondo a produrre, attraverso i loro stessi sforzi, più cibo, più vestiti, più 
materiali per l’edilizia abitativa. Il vecchio imperialismo (lo sfruttamento per il profitto 
estero) non trova posto nei nostri progetti. Quello che prevediamo è un programma di 
sviluppo basato sui concetti di leale condotta democratica”
1
. 
                                                             
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 Harry S. Truman, 20 gennaio 1949, Discorso inaugurale come Presidente degli Stati Uniti, 
www.trumanlibrary.org
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In seguito a queste parole inizia l’era dello sviluppo e della cooperazione 
internazionale. 
Dagli anni Cinquanta ad oggi, molti sono stati i tentativi e gli approcci per 
far cessare la condizione di dipendenza, di povertà e di sottosviluppo nei 
paesi periferici. 
Con la mia tesi cercherò di approfondire alcuni di questi approcci e delle 
differenti modalità per affrontare il problema della dipendenza economica 
che inizia come una questione economica ma che inevitabilmente coinvolge 
ogni aspetto della vita di un paese, la sua cultura, lo spirito creativo e 
innovativo, l’istruzione, la sanità… 
Ho analizzato gli approcci delle organizzazioni internazionali e non 
governative e il pensiero della Chiesa in merito al sottosviluppo e al modo 
per affrontarlo. Il loro punto di vista e la loro operatività sono molto 
diversi, sia in termini di influenza sulle politiche e sulle decisioni dei 
governi, sia in termini di ampiezza degli interventi. 
Nella mia analisi ho preso in considerazione anche il caso del Perù. Le 
motivazioni della mia scelta sono legate al fatto che le politiche poste in 
essere negli anni dai diversi presidenti in quel paese rispecchiano in pieno i 
suggerimenti dati dagli economisti sostenitori della dipendenza economica e 
le linee guida tracciate dalle organizzazioni internazionali. 
Affinché un paese possa dirsi libero dalla dipendenza economica deve aver 
raggiunto un elevato livello di sviluppo. 
La definizione di sviluppo non è facile e può essere analizzata sotto diverse 
sfumature. Secondo una nozione statistica lo sviluppo può essere definito 
come un aumento del reddito nazionale; secondo una nozione dinamica, 
invece, può essere visto come un processo evolutivo che consente di 
migliorare la qualità della vita, ampliando la capacità di scelta degli individui. 
In base a queste definizioni possiamo distinguere i paesi fra:
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 paesi in via di sviluppo: caratterizzati da un tenore di vita basso, una 
scarsa e ristretta base industriale, un livello di reddito basso, una 
povertà diffusa, poca accumulazione di capitale e anche un basso indice 
di sviluppo umano (HDI).  
 paesi sviluppati o avanzati: hanno solitamente sistemi basati sulla 
crescita economica continua e auto-sostenuta, accompagnata da un alto 
tenore di vita. 
Una diversa classificazione, coniata durante la guerra fredda, raggruppa i 
paesi in: 
 primo mondo: riunisce le economie più avanzate, capitalistiche e 
caratterizzate da sistemi istituzionali democratici; 
 secondo mondo: riunisce i paesi avanzati con economia pianificata o 
centralizzata; 
 terzo mondo: riunisce i paesi che presentano economie distorte dalla 
loro dipendenza dall’esportazione di prodotti primari ai paesi sviluppati; 
 quarto mondo: raggruppa i paesi che non presentano una infrastruttura 
industriale. 
In base a queste definizioni possiamo inquadrare il Perù degli anni 
Cinquanta come un paese in via di sviluppo o del terzo mondo.  
Lo scopo della mia tesi è quello di analizzare le strategie suggerite per uscire 
dallo stato di dipendenza economica e valutare i risultati ottenuti, 
considerando il Perù, uno degli stati più arretrati dell’America Latina.
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CAPITOLO 1: 
 
 STORIA ECONOMICA E POLITICA 
 DEL PAESE
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1. Dalla conquista alla storia contemporanea 
La storia documentata del Perù risale alla conquista spagnola del XVI secolo. 
Nel 1524 Francisco Pizarro, durante una breve visita in Perù rimase 
affascinato dalle ricchezze di quel territorio. Tornato in patria, ottenne dal 
re spagnolo Carlo I la concessione di essere governatore delle terre che 
avrebbe conquistato. Così Pizarro partì per una nuova spedizione. 
Approdato sulle coste peruviane, benché disponesse di un piccolo esercito 
di circa 180 uomini e 30 cavalli, riuscì a sconfiggere gli indigeni nella 
battaglia di Cajamarca. Gli Spagnoli infatti con i loro cannoni d’acciaio e la 
loro cavalleria rappresentarono una forza imbattibile per gli autoctoni 
armati solo di assi di legno, sassi, fionde e armature imbottite di cotone. 
Nel 1532 Pizarro fondò una colonia spagnola in Perù e pochi anni dopo 
trasferì la capitale da Cuzco, sulla sierra andina, a Lima, sulla costa, più 
adatta al commercio. 
Quella che trovò Pizarro arrivando in Perù era una società molto 
organizzata. La famiglia era alla base dell’organizzazione sociale ed era 
considerata l’indicatore della ricchezza: maggiore era il numero dei 
componenti, maggiore era la ricchezza. Una famiglia poco numerosa veniva 
considerata povera. L’economia era principalmente agricola, non esistevano 
moneta né mercato. Gli scambi erano regolati con la “reciprocidad”, che 
prendeva le fattezze della fornitura di mano d’opera. Proprio per questo 
una famiglia numerosa possedeva maggior “moneta di scambio”. 
All’interno di ogni unità etnica o famiglia erano presenti persone che 
assolvevano al compito di giudice, intervenendo nei conflitti domestici. 
L’arrivo degli Spagnoli segnò la fine della civiltà e della società indigena: le 
autorità andine furono considerate illegittime e sostituite con 
l’amministrazione coloniale; la famiglia allargata fu condannata e la 
popolazione obbligata a vivere in case organizzate per ospitare un solo
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nucleo familiare indipendente; il compito di mediatore nei conflitti fu 
affidato ad una persona esterna alla famiglia che giudicava in base ad una 
legge scritta.  
Si formò quindi un regime accentrato e autoritario, entro cui le relazioni 
non erano più basate sulla reciprocità e redistribuzione. Gli indigeni che 
avevano accettato gli spagnoli dando loro cibo, risorse e soprattutto mano 
d’opera con la speranza di una adeguata ricompensa secondo il principio 
della reciprocità, videro ignorate tutte le richieste presentate al re spagnolo 
di ridurre le tasse e riconoscere maggiori diritti ai sudditi. L’arrivo degli 
Spagnoli segnò anche la nascita delle prime forme di commercio e di 
mercato. Gli indigeni iniziarono a trasportare le merci spagnole 
continuando però a regolare gli scambi mediante mano d’opera. A poco a 
poco le principali strade del paese si affollarono di mercanti creando delle 
zone di traffici commerciali intensi. È così che, oltre che alla nascita del 
commercio si assistette anche alla formazione di una nuova classe sociale: la 
borghesia. 
Contemporaneamente all’arrivo degli spagnoli il Perù fu afflitto da una 
grave crisi demografica che decimò la popolazione indigena.  
Per rafforzare la loro colonizzazione, gli spagnoli introdussero le 
encomiendas, lotti di terreno piuttosto estesi e organizzati secondo l'antico 
modello feudale. Si trattava di possedimenti affidati a un solo uomo, 
l'encomendero, che comprendevano uno o in genere più villaggi dai cui 
abitanti egli riscuoteva tributi e servigi per mantenere se stesso, i suoi 
uomini e il clero spagnolo che nel frattempo era accorso dalla madrepatria. 
La terra non era ceduta come proprietà ma era data in usufrutto, inoltre, 
secondo la legge, l'encomenderos non aveva né il diritto di legiferare né quello 
di rendere schiavi gli abitanti dei villaggi ed appropriarsi dei loro beni. 
Costoro rimanevano, almeno in teoria, uomini liberi e potevano avere il
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diritto di costruire i propri templi e mantenere i propri capi, i sacerdoti e le 
proprie usanze. Tuttavia un tale sistema, assai antiquato e impostato sul 
lavoro forzato, diede presto il via ad abusi di ogni sorta. Gli encomenderos 
sfruttarono la loro assoluta libertà di governo per abusare dei loro 
encomendados, facendoli lavorare in modo disumano soprattutto nelle 
miniere.  
La costituzione di un sistema feudale come le encomiendas nelle colonie 
dell’America Latina non era vista di buon occhio dalla Corona spagnola che 
temeva il riformarsi dall'altro capo del mondo di una nuova aristocrazia 
feudale che costituiva un retaggio del passato. Lo sfruttamento di quelle 
terre avveniva inoltre secondo gli interessi del momento e quindi la 
madrepatria non avrebbe certamente ottenuto che una piccola parte delle 
grandi ricchezze che quel paese custodiva. L’assassinio di Pizarro nel 1541, 
diede il via a rivalità tra i luogotenenti spagnoli, tanto che l’anno successivo, 
dovette intervenire il governo spagnolo ordinando la fine della trasmissione 
ereditaria dell'encomienda con la promulgazione delle cosiddette Leyes nuevas 
(Leggi nuove) e insediando nel Perù, ormai conquistato, un apparato 
amministrativo del tutto nuovo che lo trasformò in un vicereame 
burocratico.  
Con la creazione dei Vicereami, nel 1542, l’impero spagnolo in America 
Latina divenne ancora più forte, il Perù divenne la principale fonte di 
ricchezza della Spagna e la maggiore potenza sudamericana. Nei circa 
trecento anni di virreinato il Perù conobbe un periodo di grande splendore 
anche dal punto di vista culturale, venne fondata l’Università Maggiore di 
San Marcos (la più antica d’America), si diffuse la lingua castigliana e 
fiorirono letteratura e arte.
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L’indipendenza del Perù fu un processo lungo che portò ad una rivoluzione 
sia sociale che politica. Dal punto di vista sociale si assistette ad almeno tre 
grossi cambiamenti: 
 La cosiddetta “cholificaciòn” della società peruviana, cioè l’acculturazione 
di diversi settori della popolazione fino ad allora analfabeti e la 
mescolanza etnica fra spagnoli e indigeni in seguito alla quale si formò 
un nuovo gruppo etnico: i meticci. 
 La creazione delle Cortes de Cadiz: assemblee costituite da deputati 
spagnoli e americani, questi ultimi furono eletti dalla popolazione e 
rappresentarono i dieci distretti elettorali peruviani. Le Corti disposero 
riforme in senso liberale tra le quali il riconoscimento dell’uguaglianza 
fra indigeni e spagnoli che furono considerati come membri di un’unica 
nazione e con gli stessi diritti, l'uguaglianza giuridica, l’inviolabilità del 
domicilio e il riconoscimento della libertà di stampa. La Corte de Cadiz 
rappresenta un nuovo sistema politico basato sul principio della 
sovranità nazionale, con la monarchia come forma di governo, ma con 
la separazione dei poteri. Il compito delle Cortes de Cadiz era quello di 
creare un corpo di legislazione liberale su cui costruire un nuovo ordine 
sociale. Questo portò alla nascita della Costituzione del 1812 (detta “La 
Pepa” perché promulgata in occasione della festa di San José), che 
rappresenta il primo testo costituzionale spagnolo.  
 La fine dell’istituto della mita. La mita era un sistema di controllo della 
mano d’opera; gli indigeni erano obbligati a prestare servizi di mano 
d’opera per un periodo minimo di dieci mesi presso le miniere a favore 
dei colonizzatori. 
Dal punto di vista politico, il processo per l’indipendenza iniziò con le 
rivolte degli Indios durante la seconda metà del 1700. Si susseguirono 
diverse battaglie come quella di Tacna e di Huànuco, ma fu con l’intervento
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dell’esercito dei libertadores che si raggiunse l’indipendenza, proclamata da 
Josè de San Martin (che, nel 1820, dopo aver sconfitto le forze spagnole in 
Cile, sbarcò presso il porto di Pisco e, raggiunta Lima, proclamò 
l'indipendenza peruviana il 28 Luglio 1821) e consolidata da Simon Bolivar 
che, nel 1824, con la battaglia di Junín e quella di Ayacucho, sconfisse 
definitivamente gli Spagnoli.  
Gli anni immediatamente successivi furono caratterizzati da forte instabilità 
politica. Molto importante nella storia politica peruviana fu Ramon Castilla, 
alla guida del Perù negli anni 1845-1851 e 1855-1862. 
Durante il suo governo Ramon Castilla promulgò la prima Costituzione 
democratica (1860), abolì la tratta degli schiavi, avviò la costruzione della 
prima ferrovia e lo sfruttamento dei depositi di guano. L’“età del guano”, 
secondo tanti analisti, rappresenta per il Perù “un’occasione di sviluppo 
persa”. 
L’Età del guano è un esempio di come l’economia del Perù sia stata 
caratterizzata nella storia da alti e bassi, e vincolata dalle necessità degli stati 
più ricchi, soprattutto europei. Alla fine XIX secolo l’Europa stava 
assistendo alla rivoluzione agricola e aveva una elevata necessità di 
fertilizzante. Il guano, prodotto in grande quantità nelle isole Chincha, al 
largo delle coste peruviane, era considerato all’epoca il migliore fertilizzante 
naturale. Si diede così avvio al suo commercio che regalò al Perù un 
periodo di elevata prosperità. Si calcola che in tre decenni si esportarono 
circa 12 milioni di tonnellate di guano in Europa e Nord America 
stimolando la rivoluzione agricola e facendo entrare nelle casse statali circa 
24 milioni di dollari l’anno. 
Il guano però non portò solo crescita economica ma anche tensioni interne. 
Infatti Castilla aveva affidato la commercializzazione del guano a settori 
privati. Furono firmati contratti che prevedevano anticipi necessari per
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risanare i conti pubblici ma che trasformavano i clienti esteri in creditori, in 
grado di modificare o imporre nuove clausole contrattuali. 
Il guano da un lato ha guidato una grande crescita economica, ha 
contribuito a cancellare il debito estero e a creare una base finanziaria 
stabile per lo stato, oltre che a modernizzare l’esercito e a dare l’impulso per 
la costruzione di una efficiente rete ferroviaria; dall’altro lato ha però 
aumentato il divario interno fra la costa e la sierra, la distribuzione non 
egualitaria del reddito, ma soprattutto la dipendenza dello Stato dai prestiti 
stranieri garantiti dai depositi di guano, che tuttavia era una risorsa naturale 
limitata e sempre più impoverita da uno sfruttamento eccessivo e senza 
regole. Tutto questo, insieme ad una cattiva gestione delle risorse 
finanziarie e a progetti d’investimento troppo ambiziosi, hanno segnato la 
fine della prosperità peruviana e il collasso dello stato. 
Questo panorama è stato ulteriormente peggiorato dalla guerra con il Cile. 
Nota anche come Guerra del Pacifico, nasce dalla disputa per il dominio 
del deserto di Atacama, territorio di confine fra Cile e Bolivia, molto ricco 
di giacimenti di guano e salnitro, facilmente estraibili e vendibili a buon 
prezzo nei mercati internazionali. Preventivamente i due stati avevano 
stipulato un primo trattato nel 1866 e un secondo nel 1874 per stabilire i 
rispettivi confini nella zona desertica e fissare un’imposta sulle esportazioni. 
Il Cile decise di invadere il territorio boliviano dopo che la Bolivia aumentò 
la tassa sulle esportazioni di nitrati provenienti dalla regione di Atacama e 
controllati principalmente da imprese cilene. In risposta, la Bolivia chiese 
l’intervento del Perù in virtù dell’alleanza di difesa che avevano stretto in 
segreto nel 1873. Nel 1879 il Cile dichiarò guerra ufficialmente all’alleanza 
Perù – Bolivia. La guerra terminò nel 1884 con l’annessione al territorio 
cileno del deserto di Atacama.