12 
 
1. LA STRUTTURA DELLE IMPRESE ITALIANE 
 
 
In questo primo capitolo si vuole, inizialmente, fornire una panoramica riguardo il sistema 
produttivo italiano, andando a sottolineare il ruolo fondamentale rivestito dalle piccole e 
medie imprese, sotto diversi punti di vista: da quello numerico a quello economico ed 
occupazionale. Successivamente si ricorrerà a dati ISTAT allo scopo di evidenziare 
l’impatto della crisi economica mondiale sulle imprese italiane sia a livello demografico, 
sia considerando produttività, investimenti e ordinativi dell’industria. Si proseguirà poi 
illustrando le modalità di finanziamento delle Pmi, con un excursus sulle diverse fonti 
esterne a cui possono ricorrere per finanziare la loro crescita, evidenziando l’importanza 
del capitale di rischio. Infine si illustrerà la rilevanza della quotazione sui mercati azionari 
per le Pmi, in termini di benefici sia finanziari che non finanziari, non dimenticando di 
approfondire gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di questo processo. 
 
 
1.1  Il ruolo delle piccole e medie imprese 
 
La spina dorsale del sistema imprenditoriale italiano è costituita da società di dimensioni 
medio piccole, che contribuiscono a creare gran parte del valore aggiunto nazionale e a 
sostenere l’occupazione. 
Il “capitalismo italiano” è caratterizzato da una struttura produttiva molto frammentata, 
composta prevalentemente da imprese di dimensione ridotta attive in settori tradizionali; 
esse sono a conduzione familiare con un controllo societario chiuso e definito: le leve 
decisionali sono nelle mani di poche persone e si riscontra una sovrapposizione tra il 
patrimonio dell’impresa e quello familiare; spesso non sono presenti sistemi di governance 
e la struttura organizzativa non è esplicitamente definita; infine la struttura finanziaria è 
caratterizzata da una forte dipendenza dal capitale di debito, con prevalenza di quello a 
breve termine, e da una ridottissima propensione all’apertura del capitale al mercato 
finanziario e quindi ad investitori esterni. 
La ridotta dimensione delle imprese è una peculiarità europea ma in Italia essa assume un 
rilevanza particolare; numericamente, esse rappresentano la stragrande maggioranza delle
13 
 
94,79% 
4,62% 
0,51% 
0,08% 
Unità economiche nell'industria 
 e nei servizi 
micro 
piccole 
medie 
grandi 
24,11% 
28,05% 
18,31% 
29,53% 
Dipendenti suddivisi per classi 
dimensionali delle unità 
economiche 
micro 
piccole 
medie 
grandi 
imprese, e c’è da sottolineare che per lo più si tratta di micro imprese, cioè imprese con 
meno di 10 addetti.  
Esse rappresentano quasi il 95% del totale delle imprese ma danno lavoro solo al 24% dei 
dipendenti complessivi; nell’Europa a 27 la percentuale di piccolissime imprese si attesta 
intorno al 90% e hanno un peso solo dell’ 83% nel tessuto imprenditoriale tedesco e dell’ 
87% in quello inglese. 
Le piccole imprese sono circa il 5%, a fronte di un 7% a livello europeo, e impiegano il 
28% della forza lavoro totale; mentre le imprese di medie dimensioni sono lo 0,5% rispetto 
a un 1,1% europeo con picchi in Germania (2,4%) e nel Regno Unito (1,6%); infine le 
grandi imprese in Italia rappresentano lo 0,08% in confronto allo 0,2% dell’Europa e allo 
0,5% e 0,4% rispettivamente di Germania e Regno Unito. Riguardo l’occupazione, nelle 
medie e nelle grandi imprese italiane sono occupati rispettivamente, circa, il 18% e 30% 
dei dipendenti (si veda Figura 1.1 e Figura 1.2 ). 
 
 
 
Fonte: Elaborazione di dati ISTAT 2007 
 
 
 
Figura 1.1 - Numero di unità 
economiche nell’industria e nei servizi 
suddivise per classe dimensionale 
 
Figura 1.2 - Numero dipendenti delle 
unità economiche dell’industria e dei 
servizi suddivisi in base alla classe 
dimensionale
14 
 
Quanto detto è spiegato dal fatto che, come appare ovvio, le unità economiche di maggiori 
dimensioni hanno un maggior numero di dipendenti, ma anche dal fatto che prevalgono le 
micro imprese le quali hanno un ridottissimo numero di dipendenti, alla luce di ciò il 
numero medio di dipendenti per unità economica è di 2,67 dipendenti. 
Per quanto riguarda la distribuzione dei dipendenti la situazione sembra esser più 
equilibrata, essi si suddividono in maniera equa tra le diverse tipologie di imprese, ciò che 
si può notare è che le piccole imprese danno occupazione praticamente allo stesso numero 
di dipendenti delle grandi imprese e che più del 70% dei dipendenti lavora nelle micro e 
Pmi. Mediante l’osservazione di questi dati pare ancora più evidente il ruolo fondamentale 
della piccola e media impresa in Italia. 
 
 
1.1.1  Suddivisione settoriale delle imprese 
 
Le micro e piccole e medie imprese hanno caratteristiche peculiari, sulla base dei dati 
forniti dall’ISTAT per l’anno 2007, per quanto riguarda le attività a cui si dedicano in 
prevalenza, rispetto alla totalità delle imprese italiane; è possibile, di fatti, effettuare una 
suddivisione delle imprese appartenenti alle diverse classi dimensionali in base al settore
13
 
in cui operano, allo scopo di evidenziare se le piccole e le medie imprese siano 
maggiormente attive in alcuni settori o meno (si veda Figura 1.3). 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                             
13
 Classificazione statistica delle attività economiche nelle Comunità europee o codice NACE, con validità 
fino al primo gennaio 2008.
15 
 
 
 
 
 
 
 
 
Fonte: Elaborazione di dati ISTAT 2007 
 
 
Come risulta chiaro dalla Figura 1.3 la composizione settoriale delle imprese, 
percentualmente parlando, presenta delle differenze se vengono considerate tutte le 
imprese italiane o se si vanno ad indagare solo le piccole e medie imprese singolarmente. 
Se consideriamo le imprese italiane nel complesso, notiamo che si suddividono per lo più 
in 4 settori principali: esse sono attive soprattutto nel commercio al dettaglio e all’ingrosso, 
riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni personali e per la casa (28%); nonché nelle 
attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca e servizi alle imprese (25%); e in 
maniera minore, ma ancorché rilevante, nelle costruzioni (14%) e nell’attività 
manifatturiera (12%).  
Il quadro cambia notevolmente se consideriamo le piccole imprese, le quali per ben il 43% 
svolgono attività manifatturiere, solamente il 15% di esse si dedica al commercio 
all’ingrosso e al dettaglio e appena poco meno del 10% ad attività immobiliari, noleggio, 
informatica, ricerca e servizi alle imprese.  
Le medie imprese seguono per lo più l’andamento delle piccole: ben il 45% di esse si 
occupa di attività manifatturiere, poi si attestano le attività immobiliari, noleggio, 
informatica, ricerca e servizi alle imprese (13%) e il commercio all’ingrosso e al dettaglio 
(13%); una riduzione della percentuale di può vedere per quanto riguarda le costruzioni 
0% 
10% 
20% 
30% 
40% 
50% 
totale imprese 
piccole 
medie 
Figura 1.3- Distribuzione settoriale delle imprese suddivise per classe dimensionale 
1.Estrazione di minerali 2. Attività manifatturiere 3. Produzione e distribuzione di energia elettrica, gas 
e acqua 4.costruzioni 5.commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli, motocicli e di 
beni personali e per la casa 6. Alberghi e ristoranti 7. Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni 
8.attività immobiliari, noleggio, informatica,ricerca, servizi alle imprese 9. Istruzione 10. Sanità e 
assistenza sociale 11.altri servizi pubblici, sociali e personali.
16 
 
che passano da circa il 13% al 7%; i rimanenti dati non mostrano notevoli differenze 
rispetto alle piccole imprese. 
Analizzando la concentrazione dell’occupazione nei diversi settori di attività economica si 
può affermare che il settore manifatturiero è prevalente, dando lavoro a ben il 25% degli 
addetti totali, seguito dal commercio all’ingrosso e al dettaglio, 20% dell’occupazione, e 
dalle costruzioni, che si attestano all’11%. All’interno dell’attività manifatturiere 
particolare rilevanza la ricoprono le imprese metalmeccaniche, alimentari e tessili. 
 
 
1.1.2  Distribuzione territoriale delle imprese 
 
Consideriamo ora la distribuzione territoriale delle diverse classi di imprese, suddividendo 
le imprese appartenenti ad ogni classe dimensionale in base alla zona in cui operano. Le 
zone considerate sono cinque: il Nord Ovest, che comprende la Liguria, la Lombardia, il 
Piemonte e la Valle d’Aosta; il Nord Est, cioè l’Emilia Romagna, il Friuli-Venezia Giulia, 
il Trentino Alto Adige e il Veneto; il Centro, costituito dal Lazio, dalle Marche, dalla 
Toscana e dall’Umbria; il Sud, che comprende l’Abruzzo, la Basilicata, la Calabria, la 
Campania, il Molise e la Puglia; e infine le Isole cioè Sardegna e Sicilia.
14
 
Per quanto riguarda le classi dimensionali le imprese sono state suddivise tra micro 
imprese, cioè quelle con meno di 10 addetti, piccole e medie imprese, con un numero di 
dipendenti che va da 10 a 249 addetti, e grandi imprese con più di 250 addetti (si veda 
Figura 1.4). 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                             
14
  Definizione Istat condivisa anche da Eurostat
17 
 
Figura 1.4 – Distribuzione territoriale delle imprese italiane suddivise per classe 
dimensionale  
 
 
Fonte: Elaborazione di dati Istat 2007 
 
Considerato che la distribuzione territoriale delle imprese in generale può esser ben 
approssimata da quella delle micro imprese, dato che esse rappresentano circa il 95% del 
totale, notiamo che poco più del 50%  di esse si trova nel Nord, con una leggera prevalenza 
per il Nord Ovest , 29% rispetto al 21% del Nord Est. Poi man mano che si scende verso 
sud diminuisce la percentuale di imprese presenti, passiamo da circa il 21% del Centro al 
19% del Sud fino all’8% delle Isole. 
Si può riscontrare che al crescere della dimensione delle imprese considerate aumenta la 
percentuale di concentrazione nel Nord Italia e diminuisce la concentrazione al Sud:  cioè 
le grandi imprese sono presenti per lo più nell’area settentrionale, mentre la maggior parte 
delle imprese presenti nel meridione appartengono alle classi dimensionali inferiori. 
Per quanto riguarda le piccole e medie imprese, si nota una maggiore presenza nel Nord 
Ovest e Nord Est (60%), mentre nelle altre 3 aree esse sono presenti in percentuali minori 
rispetto ai valori registrati per le micro imprese. 
Analizzando infine la distribuzione delle grandi imprese si evidenziano le differenze più 
marcate, dato che nel solo Nord Ovest si localizza ben il 45% di esse, che unito al dato del 
Nord Est fa si che nella parte settentrionale ci sia poco meno del 70% delle imprese con 
più di 250 addetti. Per quanto riguarda le altre aree abbiamo il 20% delle grandi imprese 
nel Centro Italia, il 9% nel Sud e solamente al 3% nelle Isole. 
 
0% 
5% 
10% 
15% 
20% 
25% 
30% 
35% 
40% 
45% 
Nord Ovest Nord Est Centro Sud Isole 
micro 
pmi 
grandi
18 
 
32,47% 
23,22% 
16,05% 
28,26% 
Valore Aggiunto 
micro 
piccole  
medie 
grandi 
27,15% 
23,45% 
19,98% 
29,42% 
Fatturato 
micro 
piccole 
medie 
grandi 
1.1.3  Risultati economici  
 
Infine per motivi di completezza si deve, chiaramente, fare riferimento ai risultati 
economici delle diverse classi dimensionali di imprese, indagando sia il fatturato sia il 
valore aggiunto al costo dei fattori che esse sono in grado di generare. 
Come appare ovvio le micro e piccole e medie imprese avranno risultati economici medi 
inferiori alle grandi imprese, ma si deve anche considerare la loro maggiore numerosità che 
potrebbe portarle ad esser fondamentali per il raggiungimento di importanti risultati 
complessivi (si vedano le Figure 1.5 e 1.6). 
 
 
 
 
Fonte: Elaborazione di dati Istat 2007 
 
In media per una generica impresa italiana il fatturato medio ammonta a 627.787 euro 
andando da un minimo di 192.776 euro realizzato in media dalle micro imprese fino a 
254.924.885 euro generato in media delle grandi imprese. 
Dal punto di vista del valore aggiunto al costo dei fattori, esso mediamente ammonta a 
164.013 euro per impresa, con un range che si estende da poco più di 56 mila euro per le 
micro imprese fino a quasi 60 milioni di euro per le grandi imprese, entrambi i valori  
considerati in termini medi. 
 
Figura 1.5 – Fatturato complessivo 
suddiviso per classi dimensionali 
 
 
Figura 1.6 – Valore aggiunto al costo 
dei fattori suddiviso per classi 
dimensionali
19 
 
In linea generale possiamo dire che le micro, piccole e medie imprese generano il 70% del 
fatturato e del valore aggiunto totale, a fronte di una media di poco inferiore al 60% 
nell’EU27. 
Il ruolo prevalente è quello delle micro imprese, le quali, alla luce della loro numerosità, 
producono circa il 27% del fatturato ma soprattutto creano più del 32% del valore aggiunto 
totale. Per avere un termine di raffronto si pensi che in Europa
15
 le micro imprese generano 
solo il 21% del valore aggiunto, tra i diversi Paesi quelli in cui il dato differisce 
maggiormente con quello italiano sono Regno Unito e Germania, in cui le piccolissime 
imprese si attestano rispettivamente al 18% e 15% del valore aggiunto totale. 
Il fatturato e il valore aggiunto delle piccole imprese, nel nostro Paese, si attesta sul 23% 
mentre alle medie è da attribuire il 20% del fatturato e il 16% del valore aggiunto. 
A livello europeo il valore aggiunto delle piccole imprese risulta invece in media il 19% , 
di poco inferiore è, inoltre, quello delle medie imprese. 
Divergenze importanti si notano se si considera il valore aggiunto creato dalle grandi 
imprese italiane che si attesta sul 28% del totale a fronte di una media EU27 del 42% e dei 
valori del Regno unito, dove è quasi il doppio rispetto al dato italiano, e della Germania 
dove le grandi imprese producono il 45% del valore aggiunto. 
Risulta inoltre interessante realizzare un confronto tra la numerosità delle imprese 
appartenenti ad ogni classe e il fatturato e il valore aggiunto creato da ognuna, facendo 
riferimento, ovviamente, a valori percentuali che consentono un confronto utile (si veda 
Figura 1.7). 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                             
15
Si fa riferimento all’Europa a 27- dati Eurostat
20 
 
Figura 1.7 -  Rilevanza numerica, fatturato e valore aggiunto di ogni classe dimensionale 
in percentuale sul totale 
 
 
Fonte: Elaborazione di dati Istat 2007 
 
Come evidenzia la Figura 1.7 i dati del fatturato e del valore aggiunto delle grandi imprese 
sono equivalenti a quelli delle micro imprese, ma le prime numericamente sono solo lo 
0,08% rispetto al 95% delle seconde. 
La distribuzione delle imprese così fortemente sbilanciata verso la dimensione minore, è 
una delle cause della più ridotta produttività media del nostro tessuto produttivo; se infatti 
consideriamo la produttività, misurata dal valore aggiunto per addetto, in Italia si può 
riscontrare che essa si attesta di poco al di sotto della media dell’Europa a 27 e che il 
divario con i maggiori paesi europei è notevole. 
La produttività italiana si attesta circa a 43,2 mila euro per addetto rispetto ai 44,5 mila 
dell’Europa,  ai 55 mila di Francia e Germania e ai 63,4 mila del Regno Unito. 
Inoltre si possono evidenziare, per ogni classe dimensionale, i settori produttivi che 
generano la maggior quota di valore aggiunto e sui quali si dovrebbe quindi puntare per 
riuscire ad incrementare i risultati complessivi. 
Cominciando dalle micro imprese, si può dire che i settori che contribuiscono 
maggiormente alla creazione del valore aggiunto sono: l’immobiliare, noleggio, ricerca e 
servizi alle imprese (27% sul totale del valore aggiunto creato dalle micro imprese); 
commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni 
personali e per la casa (25%); e infine le costruzioni (16%). Le attività manifatturiere 
0% 
10% 
20% 
30% 
40% 
50% 
60% 
70% 
80% 
90% 
100% 
micro piccole medie grandi 
n. imprese 
fatturato 
valore aggiunto
21 
 
contano solo per il 13% circa del valore aggiunto totale creato delle micro imprese e, 
infine, gli altri settori si attestano sotto il 10%. 
Le piccole imprese e quelle medie presentano andamenti simili quindi possono essere 
considerate congiuntamente. 
In esse si può riscontrare una rilevanza crescente delle attività manifatturiere all’aumentare 
della dimensione delle imprese, di fatti le piccole imprese che si occupano di questa attività 
generano circa il 40% del valore aggiunto totale della classe, questa percentuale per le 
medie imprese sale al 52%; ciò probabilmente è dovuto al fatto che nell’attività 
manifatturiera acquisiscono particolare importanza le economie di scala che consentono 
ingenti risparmi di costo. 
Gli altri settori rilevanti per il valore aggiunto creato sono il commercio all’ingrosso e al 
dettaglio, il cui ruolo va diminuendo all’aumentare della classe dimensionale passando dal 
20% delle piccole imprese fino al 12% delle medie; lo stesso andamento si può riscontrare, 
in modo ancor più evidente, per le costruzioni che dimezzano la percentuale di valore 
aggiunto creato dal 16% al 6% man mano che si considerano imprese di maggiore 
dimensione. Infine le imprese che si dedicano alle attività immobiliari, noleggio, 
informatica, ricerca e servizi alle imprese presentano percentuali stabili attorno all’11% per 
entrambe le classi dimensionali considerate. 
In generale per le piccolissime imprese si nota che il valore aggiunto creato si suddivide in 
modo più frammentato tra i diversi settori produttivi, mentre per le imprese di maggiore 
dimensione si riscontra una maggiore concentrazione solo su determinati settori che, per 
così dire, la fanno da padroni nella produzione di valore aggiunto. 
 
 
1.2  Gli effetti della crisi sul sistema produttivo italiano 
 
La crisi finanziaria, sviluppatasi nel 2007 a partire dal mercato dei mutui subprime 
statunitensi e giunta ad intaccare l’economia reale dopo il fallimento della banca 
d’investimento Lehman Brothers nella seconda metà del 2008, ha avuto effetti più o meno 
rilevanti in tutti i paesi, a causa del crollo della domanda e del conseguente blocco del 
commercio e della produzione mondiale. Le imprese hanno reagito riducendo 
drasticamente la produzione, gli investimenti e gli acquisti.