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INTRODUZIONE 
 
Tra il 1859 e il 1860 la legislazione italiana fissa i punti cardine 
dell'assetto istituzionale del governo locale italiano secondo un modello  
centralistico. Dalla proclamazione del Regno d'Italia, nel 1861, fino ad oggi 
(passando per la nascita della Repubblica democratica e per la Costituzione del 
1948), l'evoluzione della forma di Stato si sviluppa molto lentamente attraverso 
un processo di decentramento di competenze dallo Stato centrale agli organi 
periferici delle comunità locali. Con la Repubblica democratica, dopo 
l'approvazione della Costituzione, alle Regioni si riconosce la potestà 
locali (Comuni e Province) spetta unicamente la titolarità di funzioni 
amministrative e di potestà regolamentare. 
La scelta in favore del decentramento è legata, in Italia, soprattutto a due 
elementi, riconducibili ai criteri dell'efficienza dell'ordinamento giuridico e 
della democrazia. La democrazia, in particolare, viene declinata nelle sue 
diverse accezioni di responsabilità, partecipazione e separazione dei poteri 
dello Stato. In questo assetto istituzionale, l'originaria idea regionalista, 
proposta attraverso un progetto di legge di iniziativa governativa avanzato da 
Minghetti, viene rifiutata per due ragioni fondamentali: per il timore della 
dissoluzione dell'unità nazionale recentemente raggiunta e per la grande 
differenza esistente, in termini di sviluppo economico e di tradizioni di 
autogoverno tra le varie parti del P
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. 
Nella storia dell'Italia unita una prima fase del decentramento è 
individuabile negli anni che vanno dall'unificazione all'avvento del fascismo. 
                                                
1 La questione meridionale, successiva agli anni dell'unità, si caratterizza per il sottosviluppo 
economico e per la presenza di peculiari strutture sociali nell'Italia del Sud, con il rischio di 
rendere impraticabile l'autogoverno in questa parte del Paese.
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In questo periodo si avvia un processo riformatore degli enti locali territoriali 
allora esistenti: Comuni e Province. L'elettività dei governi locali, 
accompagnata da un progressivo allargamento del suffragio, è parte della 
trasformazione dello Stato liberale italiano: gli enti locali divengono enti 
rappresentativi delle comunità locali, che a loro volta rappresentano le prime 
istanze democratiche e partecipative territoriali. 
A questa fase di decentramento, svoltasi senza rilevanti interventi 
normativi, segue la fase di accentramento rappresentata dal regime fascista, che 
nel 1926 provvede alla soppressione delle elezioni locali e alla sostituzione 
degli organi elettivi territoriali con organi nominati dal centro. Si inaugura, 
così, un'epoca di completo accentramento, che corrisponde al carattere 
autoritario assunto dalla forma di Stato fascista.  
Nell'Italia repubblicana la prima tappa del processo di decentramento 
coincide con la Costituzione del 1948. L'Assemblea Costituente, infatti, negli 
anni 1946-47 compie una scelta in favore dello Stato decentrato, che si 
concretizza in due previsioni normative fondamentali. In questo senso, 
l'articolo 5 disciplina l'autonomia e il decentramento tra i principi fondamentali 
della Costituzione, mentre il Titolo V istituisce per la prima volta le Regioni, 
dotate di potestà legislativa, e l'autonomia dei Comuni e delle Province.  
In questo quadro istituzionale, nella storia dell'Italia post-unitaria le 
Province italiane sono oggetto di un ampio dibattito riguardo alla loro 
funzionalità istituzionale. In questo lavoro si vogliono rappresentare le tesi a 
favore del mantenimento delle Provincie e le tesi abolizioniste. Infatti, una 
parte della letteratura sostiene la necessità della loro soppressione in virtù d'un 
ipotizzato risparmio per le casse dello Stato, mentre la parte contraria sostiene 
il necessario mantenimento di questo livello intermedio di governo locale, in 
quanto rappresentativo delle istanze politiche di una determinata comunità  
territoriale. A questo proposito, può essere utile ripercorrere le tappe
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dell'evoluzione storica della Provincia, la sua nascita nell'ordinamento italiano 
e la ratio con cui è stato concepita. 
Nelle pagine seguenti si presenta un lavoro strutturato in tre diversi livelli 
di approfondimento: uno storico e socio-politologico, uno giuridico e uno 
economico. Più specificamente, il primo capitolo viene dedicato 
all'inquadramento e all'evoluzione storica dell'istituto provinciale nel Regno 
d'Italia, individuando gli elementi e i caratteri che identificano la Provincia nel 
Novecento. L'attenzione viene focalizzata sugli organi che compongono la 
Provincia in questo arco temporale e sulle funzioni  previste dalle normative 
vigenti nel periodo storico considerato. 
Nel secondo capitolo l'analisi si concentra nello studio del ruolo svolto 
dalla Provincia di Perugia nel Regno d'Italia facendo riferimento ai settori 
d'attività in cui l'ente inizia a operare in ambito sociale e amministrativo. 
Dalla fine del fascismo e dai lavori della Costituente prende spunto il 
terzo capitolo, che si occupa dell'evoluzione del quadro normativo delle 
autonomie locali, con riferimento alle norme costitutive del nuovo ordinamento 
provinciale. In questa fase, si approfondiscono le previsioni dettate dalla legge 
142/1990, sull'ordinamento delle autonomie locali, dalla legge 81/1993, 
sull'elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio 
comunale e del consiglio provinciale, dalla legge 59/1997 (cosiddetta Bassanini 
I), sulla delega data al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle 
Regioni e agli enti locali per la riforma della Pubblica Amministrazione e per 
la semplificazione amministrativa, dalla legge 265/1999, concernente le 
disposizioni in materia di autonomia e di ordinamento degli enti locali, dal 
Testo Unico 267/2000 delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, dalla legge 
3 del 2001 che modifica il Titolo V della Costituzione disciplinante le Regioni, 
le Province e i Comuni.
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Di seguito viene analizzato l'organigramma della Provincia suddiviso tra 
gli organi di governo e gli altri organi, le strutture e i servizi che fanno capo 
all'ente provinciale. In particolare, della Provincia di Perugia, presa come caso 
esemplificativo, viene descritto il programma di mandato 2009-2014 inerente 
gli obiettivi che le funzioni proprie dell'ente territoriale provinciale si prefissa 
di svolgere nel periodo indicato con l'affacciarsi sulla scena politica e sociale 
delle nuove esigenze territoriali. 
Il quarto capitolo si concentra sulla questione relativa al mantenimento o 
al superamento dell'ente provinciale, alla luce del dibattito attuale che ne mette 
in dubbio la sua indispensabilità.
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CAPITOLO PRIMO 
 
L'ORDINAMENTO DELLA PROVINCIA NEL REGNO
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1.1 L'evoluzione storica 
 
tuzione del diritto romano. 
Una provincia romana è la più grande unità amministrativa dei possedimenti 
stranieri dell'antica Roma fondata nell'anno 750 a.C. Con la nascita della 
Repubblica romana (264-146 a.C.) il termine provincia passa gradualmente a 
significare non più la sfera di competenza di un magistrato, ma il territorio sul 
quale questi esercita i propri poteri. L'organizzazione dei territori annessi alla 
res publica romana viene realizzata dal generale che li ha conquistati attraverso 
sulla base dei poteri che gli vengono delegati con l'elezione alla carica. La 
legge poi deve essere ratificata dal Senato, la più autorevole assemblea dello 
stato nell'antica Roma (cfr. Solmi, 1935). La legge stabilisce anche la 
suddivisione in circoscrizioni amministrative chiamate con il nome di 
Terraconese e Asia, attribuendo loro funzioni di distretto giudiziario. Le 
province sono governate da magistrati appositamente eletti, i pretori, o da un 
proconsole o un propetore. Il proconsole è un magistrato romano, a volte ex 
console incaricato di governare una provincia romana. Il proconsole è qualcuno 
che agisce al posto di un magistrato ufficiale. Entrambi hanno tutta l'autorità di 
un console ed in alcuni casi è un ex-console la cui carica governatoriale viene 
prorogata di un altro mandato. A queste figure viene affiancata quella del 
questore per l'amministrazione militare e civile. Si può ordinare 
cronologicamente l'istituzione di queste province: la Sicilia nel 241 a.C, la 
Sardegna e la Corsica nel 238 a.C., la Spagna Citeriore e la Spagna Ulteriore 
nel 197 a.C., la Macedonia nel 146 a.C., l'Africa nel 146 a.C., l'Asia nel 133 
a.C., la Gallia Transalpina nel 121 a.C., la Gallia Cisalpina nel 90 a.C., la 
Cirenea e Creta nel 74 a.C., la Bitinia e Ponto nel 74 a.C., la Cilicia e Cipro
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dopo il 67 a.C., la Siria nel 64 a.C. (cfr. Solmi, 1935). Nel periodo tra Cesare e 
Augusto avvengono nuove conquiste. Durante le conquiste di Cesare (58-51 
a.C.) le esistenti province della Gallia Transalpina e Cisalpina vengono riunite 
sotto il suo comando con l'aggiunta dei territori conquistati man mano della 
cosiddetta Gallia Comata.  
La riorganizzazione delle province galliche avviene sotto Augusto, tra il 
27 e il 16 a.C. Nel 168 a.C. l'Illirico e la Macedonia vengono divisi in tre 
repubbliche indipendenti. La Dalmazia dopo una serie di lotte condotte a 
partire dalla metà del II secolo a.C., si arrende a Cesare nel 46 a.C.; una nuova 
provincia viene creata solo nel 27 a.C. da Augusto. Con l'avvento del 
principato di Augusto, 27 a.C.-14d.C., l'amministrazione provinciale viene 
riorganizzata. Alcune province vengono affidate al controllo del Senato, 
chiamandosi così province senatorie, mentre altre vengono rette secondo il 
modello di epoca repubblicana da proconsoli e propretori eletti per un anno. A 
questi si affiancano i questori per l'amministrazione finanziaria e i procuratori 
imperiali che si occupano dell'amministrazione delle proprietà del principe.  Le 
altre province chiamate imperiali, rimangono sotto il diretto controllo 
dell'imperatore in forza del potere che gli è stato attribuito a vita consistente in 
poteri proconsolari generici, con prevalenza sugli altri proconsoli. Nelle 
province l'imperatore invia un proprio rappresentante per un breve periodo 
affiancato da un procuratore preposto alla riscossione tributaria e al pagamento 
di un'imposta all'esercito. Dall'età di Claudio (41-54) nascono nuove province 
di rango  procuratorio rette da un procuratore equestre a cui la provincia affida 
le funzioni a tempo indeterminato. Questa funzione è detta nella storiografia 
Solmi, 1935). L'Italia costituisce il territorio di Roma e in quanto tale non è una 
provincia. Durante il principato di Augusto , nel 7 a.C., l'Italia viene suddivisa
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al suo interno in undici regiones: Latium e Campania, Apulia et Calabria, 
Lucania et Bruttii, Samnium, Etruria, Piceum, Umbria, Aemilia, Venetia et 
Histria, Liguria, Transpadana. Gli abitanti liberi della penisola sono tutti 
cittadini romani e non pagano l'imposta fondiaria, che invece è riservata ai 
cittadini dei territori provinciali, considerati di proprietà del popolo romano, 
una proprietà che va riconosciuta attraverso il pagamento dell'imposta 
fondiaria. L'imperatore Diocleziano (284-305) decide negli anni 290 di 
suddividere l'impero in almeno un centinaio di province che di fatto includono 
le regiones dell'Italia, anche se formalmente il termine provincia non viene mai 
usato per il territorio della penisola. Le province vengono a loro volta 
raggruppate ori
province e le suddette prefetture. Ogni diocesi è governata da un vicario che 
controlla i governatori delle province e giudica in appello le cause già decise in 
primo grado dai stessi. Durante questo periodo le Province acquistano la 
facoltà di adunarsi in assemblee provinciali, allo scopo di celebrare feste in 
omaggio all'Imperatore, per organizzare dibattiti sugli interessi della Provincia 
e per avanzare quesiti in rapporto ai tributi raccolti. Con Costantino (306-334)  
queste attività vengono mantenute come nel periodo precedente. Costantino 
crea una seconda capitale, Nova Roma, che presto cambia il nome in 
Costantinopoli diventando la capitale della parte orientale dell'Impero. In Italia 
Roma cessa di essere residenza imperiale che viene spostata prima a Milano e 
poi a Ravenna. Nel IV secolo la struttura amministrativa dell'impero viene 
modificata più volte. Le province e le diocesi vengono divise per formarne di 
nuove. Con la morte di Teodosio I nel 395 l'Impero viene diviso 
definitivamente in due parti: l'Impero romano d'Occidente e l'Impero romano 
d'Oriente. Il primo cade nel 476 e il secondo nel 1453.  
Con la caduta dell'Impero alle antiche province subentrano nuove 
divisioni territoriali (frutto di nuove conquiste militari), non esattamente