CAPITOLO I: 
LA FIGURA DELL'EXTRANEUS NELL'AMBITO DELLA DISCIPLINA DELLA 
CONCORRENZA SLEALE
§.1 La nozione di concorrenza sleale: inquadramento della fattispecie 
come forma patologica dell'iniziativa economica  privata e  limiti alla 
concorrenza                                                                                               
La concorrenza sleale consiste nell'utilizzare tecniche e mezzi illeciti per ottenere un 
vantaggio sui competitori o per arrecare loro un danno
1
. Gli atti di concorrenza sleale si 
configurano quando al principio di leale competizione nel settore economico si oppongono 
fattori di distorsione che alterano in maniera illecita la concorrenza di più soggetti giuridici 
sul mercato. Solo un sistema concorrenziale può garantire  condizioni di pari opportunità di 
accesso al processo produttivo, consentendo per questa via il pieno sviluppo delle 
potenzialità della personalità (art. 3 co2 cost.)
2
. 
1 FERRI, M., Manuale di diritto commerciale, Torino, 2010, 148; GHIDINI, G., la concorrenza 
sleale, in Giur. sist. di dir. civ. e comm., Torino, 2001, 14s; Secondo la giurisprudenza (cfr. Cass. 
civ., 30 luglio 1996, n. 6887, in Dir. ind., 1997, I, 131),  la concorrenza sleale consiste in attività 
dirette ad appropriarsi illegittimamente dello spazio di mercato ovvero della clientela del 
concorrente, che si concretizzano nella confusione di segni prodotti, nella diffusione di notizie e 
di apprezzamenti sui prodotti o sull'attività del concorrente o in atti non conformi alla correttezza 
professionale; con la conseguenza che l'illecito non può derivare dal danno commerciale in se, 
né nel fatto che una condotta individuale di mercato produca diminuzione di affari nel 
concorrente, in quanto il gioco della concorrenza rende legittime condotte egoistiche, dirette al 
perseguimento di maggiori affari, attuate senza rottura delle indicate regole legali della 
concorrenza.
2 E' necessario delineare alcuni cenni storici sulla disciplina in discorso. In Italia, sull'esempio 
della Francia, la giurisprudenza cominciò ad applicare a tutte le ipotesi di comportamenti sleali 
l'art.1151 c.c. del 1865, secondo cui «qualunque fatto dell'uomo che arreca danno ad altri, 
obbliga quello per colpa del quale è avvenuto a risarcire il danno». La concorrenza sleale fu, 
così, considerata una species  del generale illecito civile. La prima norma emanata per 
reprimere la concorrenza sleale è quella introdotta con la Convenzione Internazionale di Parigi 
del 1883; ma fu solo con la conferenza di revisione nella convenzione di Bruxelles dell'11 
dicembre 1900 che venne aggiunto al testo della Convenzione generale l'art.10 bis all'effetto di 
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La concorrenza garantisce il reciproco rispetto dei soggetti che operano nel mercato, 
tutelando il diritto d’impresa spettante a ciascuno di essi. Si tratta di un diritto soggettivo 
perfetto, finalizzato all’effettiva coesistenza di tutte le imprese che vogliano partecipare al 
mercato, senza che siano poste gravose barriere in entrata o in uscita e senza che sia 
impedito ovvero intralciato il regolare e normale esercizio della loro attività imprenditoriale. 
La concorrenza quindi rappresenta  il limite interno alla libertà d’impresa, nel tentativo di 
impedire che comportamenti privati, posti in essere da chi dispone di potere di mercato, 
attentino a quello stesso bene giuridico. In altre parole la regola è la libertà della 
competizione il cui limite è rappresentato dalla libertà del competitore
3
. 
La competizione è la ricerca dell'autoaffermazione economica nel mercato: il presupposto 
di questa autoaffermazione è la percezione da parte del mercato dell'esistenza di un 
prodotto, ovvero della sua qualità promessa, giacché è tale percezione che orienta la 
scelta del consumatore. L'illecito concorrenziale confusorio si realizza proprio 
disorientando tale scelta
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La legge garantisce l’esistenza di un ordine concorrenziale attraverso la fissazione di 
regole che garantiscano la libertà di azione dell’individuo. La concorrenza è un elemento 
fondamentale di un ordinamento che assicura il perseguimento della dignità dell’uomo: lo 
Stato può limitarla, instaurando condizioni di monopolio, solo nei casi in cui esistano 
ostacoli insormontabili al suo svolgimento. In tutti gli altri casi lo Stato deve limitarsi a 
cercare di stimolare il funzionamento autonomo del mercato e nel contempo assicurare 
che la "competizione" avvenga con il rispetto delle regole predeterminate. In sé e per sé, 
la concorrenza è accettata dall'ordinamento e, anzi, considerata espressione del principio 
di libertà dell'iniziativa privata, costituzionalmente riconosciuto: ciò che è vietato è l'utilizzo 
stabilire che i cittadini dei paesi unionisti godevano in ciascun altro Stato della protezione 
accordata ai nazionalisti per la concorrenza sleale. Il testo dell'art.10 bis fu poi modificato e sulla 
base del recepimento in Italia della Convenzione dell'Aia in forza della legge 29 dicembre 1927, 
n.2701, venne finalmente introdotta una disciplina specifica della concorrenza sleale nel nostro 
codice civile del1942 agli artt. 2598-2601 c.c. ( Cfr VANZETTI, A., DI CATALDO, V., Manuale di 
diritto industriale, Milano, 2009, 5 ss).
3 SANZO, S., La concorrenza sleale,  in  Enciclopedia diretta da CENDON, P., Padova, 1998, 84 
ss
4 BERRUTI, G., La concorrenza sleale nel mercato, Milano, 2002, 49 ss; Cass.  27 febbraio 1995, 
n. 1712, in Giur. it., 1996,I, 831; Cass. 15 dicembre 1983, n. 7399, in Giur. ann. dir. ind.,1983, 212
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di mezzi non conformi alla correttezza professionale, idonei a danneggiare l'altrui azienda
5
. 
La disciplina della concorrenza sleale è racchiusa all’interno del codice civile, che ha 
mostrato una straordinaria modernità, perché non solo ha sopportato l’innesto 
nell’ordinamento di un concetto quale quello di mercato concorrenziale, ma soprattutto ha 
sostenuto un adeguamento rapido e moderno dell’illecito individuale di cui specificamente 
si occupa. L’articolo 2598 del codice civile è la norma che disciplina con maggiore 
specificità questa particolare fattispecie di illecito. Da sottolineare che non tutti i 
comportamenti contrari alla correttezza professionale, capaci di risolversi in un pregiudizio 
per un concorrente, possono essere ricondotti con certezza nell’ambito di applicazione 
degli artt. 2598 – 2601 c.c.. L'art.2598 c.c. è una norma generale che, facendo salve le 
disposizioni in materia di segni distintivi e brevetti, costituisce lo strumento di tutela 
brevettuale per il caso in cui sia posto in essere qualsiasi tipo di violazione riconducibile 
alla concorrenza sleale
6
. Più precisamente, non si parla di concorrenza sleale quando 
l’attività compiuta dall’imprenditore a danno di un rivale viola un divieto legislativo fissato in 
vista del perseguimento di un  interesse superiore. In questo caso, infatti, si verte in una 
situazione di vera e propria concorrenza illecita in senso stretto, fattispecie regolata da 
norme di volta in volta diverse ed in generale, dal punto di vista civilistico, riconducibile al 
paradigma dell’art. 2043 c.c.. Inoltre, non si applicano le categorie proprie della 
concorrenza sleale alle ipotesi riconducibili alla c.d. concorrenza illecita contrattuale (o 
anticontrattuale)
7
, che ricorre quando tra l’imprenditore danneggiante e quello danneggiato 
esista un contratto o un rapporto qualificati da caratteristiche tecniche significative o da 
una situazione di particolare affidamento. La concorrenza sleale presuppone una 
situazione di concorrenza tra aziende, il reiterarsi dei comportamenti illeciti ed il verificarsi 
di un danno effettivo (o potenziale). La dottrina ha in proposito osservato come la 
concorrenza sleale possa ben definirsi quale forma patologica della libertà tout court, un 
illecito che sorge da un'attività in sé lecita
8
, ossia la concorrenza, la quale trova il suo 
fondamento nell'art. 41 della Costituzione, nonché nelle norme di fonte comunitaria che 
5 Cass. civ., 21 dicembre 2007, n. 27081, in Giust. civ. Mass., 2007, 12
6 UBERTAZZI,  L. C., MARCHETTI, P ., Commentario breve al diritto della concorrenza, Padova, 
2005, 514
7 PARDOLESI, R., La concorrenza e la tutela dell'innovazione, in Diritto civile, diretto da LIPARI, 
N., e RESCIGNO, P., IV, 2009, 13 ss
8 FRANCESCHELLI, R., Sulla concorrenza sleale, in Studi di Dir. Ind., 1972, 585
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tutelano l'aspetto pluralistico della libertà d'impresa e della libertà di concorrenza
9
. 
La Suprema Corte ha definito la concorrenza come «una contesa della clientela che 
l'ordinamento favorisce allo scopo di offrire vantaggi al consumatore»
10
. 
Col trittico di norme degli artt. 2595-2597 c.c., il legislatore ha suddiviso il principio della 
libertà di concorrenza in tre ambiti: quello dei limiti legali della concorrenza ex art.2595 
c.c.; quello dei limiti contrattuali di cui al successivo art.2596 c.c. e quello, infine, 
dell'obbligo a contrarre di cui all'art 2597 c.c.. I limiti legali richiamati dall'art 2595 c.c. 
s'identificano in norme di diritto pubblico volte a tutelare interessi generali dei consociati; 
ed in norme di diritto privato che proteggono in via esclusiva i diritti soggettivi di ciascun 
individuo.
E' opportuno ricordare che le regole a tutela della concorrenza trovano una disciplina 
organica nella l.10 ottobre 1990, n.287 (norme per la tutela della concorrenza e del 
mercato): per questo motivo l'art. 2595 c.c. viene interpretato come un articolo di mero 
rinvio ad altre norme dell'ordinamento che si richiamano alle regole sulla concorrenza. A 
questo riguardo viene in rilievo, in primis, la disciplina sull'antitrust e poi le norme del 
codice civile che individuano limiti e divieti alla concorrenza
11
.  L'art. 2596 c.c. disciplina il 
patto di non concorrenza, accordo col quale una parte s'impegna a non effettuare attività 
9 Con la riforma costituzionale del 2001 (L. cost. 18 ottobre 2001, n.3), la «tutela della 
concorrenza» è divenuta oggetto di una disposizione espressa anche nella Costituzione 
italiana: essa è elencata tra le materie in cui lo Stato ha potestà legislativa esclusiva (art. 117 c. 
2 lett. e). Prima di allora, l'art. 41 era stato generalmente interpretato come una norma di 
garanzia della libertà individuale di iniziativa economica, ma non anche della concorrenza 
effettiva, come modo di funzionamento del mercato. Vedi GIAMPIERETTI, M., Il principio cost. 
di libera concorrenza: fondamenti, interpretazioni, applicazioni, in Dir. soc., 2004, 439 ss; 
BUFFONI, L., La tutela della concorrenza dopo la riforma del titolo V: il fondamento 
costituzionale e il riparto di competenze legislative, in Le istituzioni del federalismo: regione e 
governo locale, 2003, 345 ss
10 Cass. civ., 29 febbraio 2008, n. 5437, in Riv. dir. ind. 2008, III, 150 ss.  Con questa sentenza, la 
Cassazione riforma la sentenza della Corte d'Appello di Milano del 23 ottobre 2003, pubblicata in 
questa rivista, 2004, II, 14 e ss
11 Art. 2105 c.c. (obbligo di fedeltà del lavoratore subordinato); 2301 c.c. (divieto di concorrenza 
del socio di società in nome collettivo); 2390 c.c. (divieto di concorrenza degli amministratori di 
società per azioni); 2557 c.c. (divieto di concorrenza a carico di chi aliena l'azienda); 1347 c.c.
(diritto di esclusiva del preponente e dell'agente); 1751 bis c.c. (patto di non concorrenza 
dell'agente).
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concorrenziali al termine del rapporto e per il tempo successivo alla collaborazione stessa. 
La ratio della disciplina del patto di non concorrenza è data dall'imposizione di condizioni 
di validità ed efficacia in funzione di tutela della libertà di concorrenza. Il successivo art. 
2597 c.c., infine, prevede un obbligo di contrattare, in capo all'imprenditore in regime di 
monopolio legale, con chiunque chieda la prestazione oggetto della sua attività 
osservando parità di trattamento. La ratio di questa compressione di libertà è data dalla 
condizione di esclusiva riservata al monopolista e dalla natura dei beni e servizi da esso 
offerti; senza questa limitazione si verificherebbero abusi a danno dei consumatori.
L'ordinamento non garantisce, a chi svolge una certa attività imprenditoriale, di non essere 
disturbato dalla concorrenza altrui, a meno che tale concorrenza non si svolga attraverso 
pratiche e dinamiche sleali in sé. La libertà d’iniziativa economica implica la normale 
presenza sul mercato di una pluralità d imprenditori che offrono beni e servizi identici o 
similari e che, conseguentemente, sono in competizione fra loro per conquistare il 
potenziale pubblico dei consumatori e conseguire il maggior successo economico 
12
.
Per raggiungere questi obiettivi ciascun imprenditore gode d’ampia libertà d’azione e può 
adottare le tecniche e le strategie che ritiene più vantaggiose, non solo per attrarre a sé la 
clientela ma anche per sottrarla ai propri concorrenti. La competizione può essere anche 
ferrea, posto che in un sistema basato sulla concorrenza non è tutelabile e non è tutelato 
l’interesse degli imprenditori a conservare la clientela acquisita. Il pregiudizio che un 
imprenditore subisce per via della sottrazione della clientela da parte dei concorrenti non 
viene considerato danno ingiusto e risarcibile. Sicuramente, però, risponde ad un 
interesse generale che la competizione fra imprenditori si svolga in modo corretto e leale. 
Da qui la necessità di predeterminare talune regole di comportamento che devono essere 
osservate nello svolgimento della concorrenza al fine di impedire «colpi bassi e vittorie 
truffaldine»: necessità di distinguere fra comportamenti concorrenziali leali e perciò leciti e 
consentiti dall’ordinamento e comportamenti all’opposto sleali e perciò illeciti e vietati
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.
 Tra imprenditori concorrenti è vietato servirsi di mezzi e tecniche non conformi al principio 
della correttezza professionale (art. 2598, n. 3), principio ispiratore di tutta la disciplina 
della concorrenza sleale. I fatti, gli atti e i comportamenti che violano tale regola (il 
12 Per usare le parole della Corte costituzionale «l’art. 41 cost. enuncia sul piano costituzionale la 
libertà economica nella sua fondamentale manifestazione di iniziativa economica privata, che si 
traduce nella possibilità di indirizzare liberamente, secondo le proprie convenienze, la propria 
attività nel campo economico». 
13 CAMPOBASSO,  G. F., Manuale di diritto commerciale, Milano, 2010, 103 s
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