4
In Italia si è da poco cominciato a parlare di questo problema
1
. 
Per lungo tempo infatti la giurisprudenza e la dottrina non hanno 
dato rilievo al pregiudizio provocato all’integrità psico-fisica, se 
non con l’eccezione dei limiti posti dall’art. 2059 c.c., riguardo al 
danno patrimoniale “risarcito solo nei casi determinati dalla 
legge”. 
Con sentenza n. 184 del 14 luglio 1986, la Corte Costituzionale 
ha determinato una vera e propria inversione di tendenza; essa ha 
affermato il principio secondo cui “qualsiasi lesione che viola 
l’integrità psico-fisica dell’individuo determina il danno 
cosiddetto biologico o alla salute”. 
L’aspetto innovativo, che trova giustificazione nel nostro 
ordinamento nell’art. 32 della Costituzione e nell’art. 2043 c.c., 
sta nel riconoscimento della sussistenza di un bene giuridico 
primario da tutelare e risarcire autonomamente rispetto agli altri 
danni. 
La ratio di tale pronuncia è in accordo con gli altri principi 
espressi nella Costituzione, quali “la tutela del lavoro in tutte le 
sue forme” e il “diritto del lavoratore ad una retribuzione 
proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”.  
                                                 
1
 Nel territorio sono presenti due Centri di Cura a Milano, l’Associazione 
PRIMA di Bologna, fondata dal Professor Harald Ege, una Associazione 
contro il mobbing e lo stress psicosociale a Padova e, infine, il “Movimento 
Italiano Mobbizzati Associati” a Roma. 
 5
Il problema principale del mobbing riguarda la rilevanza 
giuridica di quei casi di persecuzione psicologica che non 
sfociano in ritorsioni lavorative già oggetto di tutela normativa. 
Fino a questo momento, infatti, non esistono norme giuridiche 
regolatrici di tale fattispecie e dunque si tratterà di verificare se in 
via interpretativa vi siano norme che possono essere estese a 
questo fenomeno sociale. 
 
E’ opportuno chiarire che il fenomeno delle persecuzioni 
psicologiche sul luogo di lavoro è sempre esistito, mentre recente 
è solo la sua trattazione e individuazione.  
Le iniziative sindacali e giuridiche ne hanno circoscritto la 
portata, classificando le fattispecie e tutelando soggetto debole 
nel contratto di lavoro ma non sono riuscite a debellarlo.  
Al contrario tali persecuzioni e vessazioni sono diventate ancora 
più insidiose e poste in atto attraverso comportamenti subdoli, al 
fine di non cadere nella tutela legale e contrattuale. In sostanza è 
proprio per tale ragione che la giurisprudenza incontra delle 
difficoltà nell’eliminazione del fenomeno e nella sua congrua 
punizione.  
 6
Secondo ciò che risulta dall’ufficio vertenze dei sindacati e dagli 
altri settori che, all’interno di questi, si occupano della tutela dei 
lavoratori, si desume che, fino a questo momento, la repressione 
e la sanzione sono state possibili solo quando il comportamento 
vessatorio si sia tradotto in provvedimenti illegittimi o 
palesemente persecutori, quali trasferimenti non motivati, 
retrocessioni della carriera, privazione di mansioni
2
.  
E’ stato assai più complesso tutelare il lavoratore contro 
vessazioni indirette, come l’isolamento o l’attribuzione di 
mansioni ripetitive o inutili e contro comportamenti messi in atto 
da colleghi. Questi ultimi, anzi, rimangono, il più delle volte, 
totalmente impuniti, salvo casi limite. 
In fase risarcitoria risultati vi sono, per quanto ancora iniziali, 
nell’ipotesi di danno biologico, sebbene sia complesso l’onere 
probatorio, cioè la dimostrazione del nesso causale fra la malattia 
e la persecuzione. 
Per quanto concerne la prevenzione, questa si sta rivelando 
ancora più difficile, per una serie di motivazioni. 
In Italia non c’è una piena consapevolezza del fenomeno, della 
sua gravità, della sua ampiezza e delle sue caratteristiche, 
soprattutto da parte delle probabili vittime che ritengono normale 
subire anche delle offese pesanti nel luogo di lavoro. 
La coscienza dell’esistenza del fenomeno nei suoi complessi 
aspetti renderebbe di certo più facile la tutela e la difesa delle 
vittime.  
                                                 
2
 Stefano Oriano, Ufficio Legale CGIL Nazionale “Il mobbing: alcune linee 
di intervento” al convegno organizzato  dalla Camera del Lavoro 
Territoriale di Roma del 19 aprile 2000. 
 7
In questa fase è indispensabile il ruolo delle Organizzazioni 
Sindacali le quali, oltre all’assistenza individuale e collettiva 
consueta, possono intervenire positivamente per ostacolare il 
fenomeno, attrezzando le proprie strutture a tali evenienze e con 
la formazione di delegati sindacali. I sindacati potrebbero agire 
inserendo nel contratto collettivo specifiche norme 
antipersecuzione, ovvero realizzando accordi specifici all’interno 
delle aziende, aventi come contenuto l’indicazione generica dei 
comportamenti ritenuti illegittimi e una completa informazione 
sia delle misure preventive, sia delle sanzioni disciplinari previste 
per la loro repressione. 
E’ evidente la necessità di un intervento legislativo che definisca, 
sistematicamente, la fattispecie del mobbing in tutti i suoi 
molteplici aspetti e risvolti e possa dare una congrua tutela per le 
vittime. Infatti, sebbene la presa di coscienza sia indispensabile, 
questa non è di certo sufficiente per l’esecrazione del fenomeno. 
In ogni modo questa malattia sociale sta riscuotendo un interesse 
sempre crescente nell’ultimo decennio.  
Per quanto concerne la natura della patologia, è evidente il 
carattere medico-legale.  
Si tratta di lesione personale all’integrità psicofisica con 
riduzione della capacità lavorativa ed eventuale perdita del posto 
di lavoro.  
 8
Il risarcimento potrà dunque avvenire qualora si riscontrino i 
requisiti ex artt. 2 e 3 T.U. 1124/65, concernente l’assicurazione 
obbligatoria sugli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. 
Infatti, ai sensi dell’art. 2, deve sussistere il nesso causale fra il 
danno patito dal lavoratore e la condotta datoriale, che deve 
avvenire “in occasione di lavoro”; ai sensi dell’art. 3 dello stesso 
T.U., vengono risarcite le malattie tabellate, ma la sentenza della 
Corte Costituzionale n. 179/88 ha dichiarato l’illegittimità dello 
stesso, nella parte in cui non prevede il risarcimento anche delle 
malattie non tabellate, ma dipendenti dall’ambiente di lavoro. 
A questo proposito vi è stata sicuramente un’evoluzione nella 
giurisprudenza che, in tema di risarcimento di malattie 
professionali, ha ribadito nel recente D. Lgs n. 38/2000 
l’indennizzo del danno biologico per infortunio sul lavoro anche 
a malattie cosiddette “non tabellate”. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 9
CAPITOLO. 2. 
I REQUISITI 
 
Sommario 
2.1 Requisiti oggettivi; 2.2 Requisiti soggettivi; 2.3 Tipologie 
2.1 Requisiti oggettivi 
Nella nozione di mobbing rientrano condotte dettate 
dall’intenzionalità, non, invece, quei comportamenti provocati 
dalle caratteristiche obiettive del posto di lavoro, quali ad 
esempio l’eccessivo silenzio o la ripetitività delle mansioni, che 
possono provocare penosità nello svolgimento dell’attività 
lavorativa. 
Il “dolo specifico” di molestare è, perciò, requisito fondamentale 
della condotta mobizzante, ribadito in tutte le proposte di legge 
per la tutela contro atti vessatori nei luoghi di lavoro.  
La tutela è apprestata a quelle condotte caratterizzate dalla 
violenza e dall’intento discriminatorio e persecutorio, che 
“mirano a danneggiare” il lavoratore e che sono svolte “con 
palese predeterminazione”
3
 ovvero che tendono “ad instaurare 
una forma di terrore psicologico nell’ambiente di lavoro”
4
.  
Altra caratteristica della condotta mobizzante è la ripetitività, 
così ove si parla di comportamenti “con carattere sistematico e 
duraturo”
5
.  
                                                 
3
 art. 1 P.d.l. n. 6410 del 30.11.1999 
4
 art. 1 P.d.l. n. 1813 del 09.06.1996 
5
 art. 2 P.d.l. n. 6410 del 30.11.1999 
 10
A questo proposito la medicina legale prevede una durata minima 
di sottoposizione al fenomeno di almeno sei mesi, tenendo conto, 
di volta in volta del caso specifico. 
A questo punto è necessario capire, per una più approfondita 
analisi del problema, se il singolo atto  può costituire mobbing. 
Poiché la ripetitività è uno dei requisiti fondamentali, si potrebbe 
affermare con certezza che la singola diffamazione o ingiuria non 
possono essere definiti come comportamenti mobbizzanti. La 
sentenza Pret. Milano 14.12.1995 sottolinea, a questo proposito, 
come il singolo atto di esercizio del potere del datore di lavoro 
sia scarsamente contrastato ed è per questo motivo che raramente 
si è in grado di apprezzarne, in una visione di insieme, la 
persecutorietà.
6
  
Dalle proposte di definizione normativa del fenomeno si ricava 
un altro dato importante: la tutela è riservata a comportamenti 
che siano idonei “a fare impressione sopra una persona sensata”, 
riprendendo quanto si afferma all’art. 1435 c.c.”
7
 
Una delineazione oggettiva del mobbing è indispensabile al fine 
di definirne obiettivamente i limiti e, quindi, evitare di includervi 
e punire comportamenti del tutto estranei, dovuti a situazioni di 
esasperata sensibilità individuale. 
                                                 
6
 Il Lavoro nella Giurisprudenza n. 5/1996 pag. 385. 
7
 Mobbing: possibilità e prospettive di intervento giudiziario. Delimitazione 
del tema: il “dolo specifico” della condotta di mobbing. Dott. Daniela 
Verrina. Magistrato.