UN RESTAURO
“ACCOGLIENTE“
UNA PROPOSTA PER VILLAGONIA (ME)
tesi di laurea di Alessia Miceli
relatore Prof. Ing. Alessandro Lo Faro     correlatore Prof. Ing. Giuseppe di Gregorio
Università degli Studi di Catania     dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura
corso di laurea in Ingegneria Edile-Architettura     A.A. 2016-17
IL RESTAURO ARCHITETTONICO E L’ITER 
METODOLOGICO
“S’intende per restauro qualsiasi intervento volto a rimettere in 
efficienza un prodotto dell’attività umana”
1
 
In una delle definizioni alla base del suo pensiero, Cesare Brandi pone 
dei labili limiti alla definizione dell’oggetto del restauro, utilizzando le parole 
“prodotto dell’attività umana”. Esse immediatamente inducono a pensare ad 
un elemento diverso da quelli fisici o biologici, ma non ci danno indicazioni 
su che tipo di prodotto si parli: potrebbe trattarsi di un prodotto industriale, 
artigianale o di un’opera d’arte. 
Oggetto di questa introduzione è il restauro architettonico: esso si pone 
naturalmente come quella disciplina atta a restaurare un’opera architettonica. 
Partendo da questa considerazione si affronta necessariamente una questione 
sulla quale il dibattito da sempre divide le opinioni: come considerare l’oggetto 
architettonico? È esso un’opera d’arte in quanto frutto del pensiero artistico 
di uno o più individui, o è assimilabile più ad un prodotto standardizzato in 
quanto risultato dell’assemblaggio di più elementi lavorati artigianalmente o 
industrialmente? Se la risposta fosse la prima il restauro potrebbe dirigersi 
1.  C. Brandi, Teoria del restauro: Lezioni raccol-
te da L. Vlad Borrelli, J. Raspi Serra e G.Urbani, 
Einaudi Editore, Torino, 1977
  INTRODUZIONE 3
principalmente verso il ripristino dell’istanza “estetica” dell’opera d’arte; nel 
secondo caso invece, ci si concentrerebbe maggiormente sul ripristino della 
funzionalità dell’oggetto, come potrebbe accadere ad esempio con il restauro 
di un’auto d’epoca
2
. Questo dibattito, che storicamente è stato oggetto di una 
vastissima trattazione, probabilmente non troverà mai una risposta definitiva o 
universalmente condivisa, ma ci porta però ad una importante considerazione 
preliminare: prendere coscienza della complessità del percorso che si 
intraprende con il restauro di un’opera architettonica, a qualunque epoca 
essa appartenga. È indiscusso infatti che l’oggetto architettonico possieda sia 
delle caratteristiche tipiche di un’opera d’arte, come l’irriproducibilità, l’istanza 
estetica, che può scaturire ad esempio dall’uso delle forme e dei materiali, 
e quella storica, che inevitabilmente denuncia la sua appartenenza ad un 
determinato luogo e periodo storico; ma possiede anche delle caratteristiche 
fisiche, tecnologiche, spaziali e funzionali, anche queste peraltro irriproducibili, 
che lo rendono un prodotto fruibile dall’utente. 
Il restauro architettonico si configura pertanto come la disciplina che 
intende ripristinare nell’oggetto architettonico tutte queste caratteristiche, 
2.  R. Luciani, Il restauro: storia, teoria, tecniche, 
protagonisti, Fratelli Palombi, Roma, 1988, pp. 
13-15
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attraverso un percorso critico, il quale prevede diverse strade che devono 
necessariamente intersecarsi tra loro; tenendo, inoltre, sempre presente la 
necessità di denunciare la presenza dell’intervento, per evitare di incorrere 
in un falso architettonico: intento del restauro è infatti non quello di riportare 
l’oggetto al suo stato originario, come se il tempo non fosse mai trascorso, ma 
di far sì che esso sia fruibile nella nostra epoca, dimostrando il tempo che ha 
vissuto e le epoche che ha attraversato. 
Allo stesso modo in cui l’ingegneria e l’architettura tradizionalmente si 
intersecano e si contaminano con molte altre discipline, tale percorso può essere 
affrontato con un approccio mentale che ci insegna la medicina: accostando 
metaforicamente l’intervento di restauro al percorso riabilitativo di un paziente, 
l’oggetto edilizio, che si affida alle cure del medico, il restauratore. Risulterà 
chiaro come tale percorso ha come presupposto fondamentale una fase di 
conoscenza, che dia all’attività del restauratore “solidissimi fondamenti storici 
e critici”
3
: allo stesso modo in cui un medico, attraverso la fase dell’anamnesi, 
prende coscienza del trascorso clinico del paziente, il restauratore deve fare 
in modo di giungere alla conoscenza della fabbrica. L’oggetto del restauro, 
3.  P. Sanpaolesi, Discorso sulla metodologia 
generale del restauro dei monumenti, EDAM, 
Firenze 1973, p. 21
  INTRODUZIONE 5
è senza dubbio un’entità dotata di una sua unicità, frutto di un pensiero, 
dell’insieme delle conoscenze e delle tecniche esecutive proprie del tempo 
in cui è stato concepito, e giunto a noi dopo essere stato utilizzato ed avere 
probabilmente subito una serie di trasformazioni. È fondamentale quindi 
impostare un percorso conoscitivo il cui scopo è quello di ricostruire le 
vicende che ci hanno consegnato l’oggetto per come oggi appare ai nostri 
occhi. Questa fase si concretizza attraverso rilievi visivi, fotografici, geometrici 
e dimensionali, ed una serie di ricerche storico-archivistiche che ci portano a 
delineare le vicende storiche e costruttive dell’oggetto, la sua apparecchiatura 
tecnologica, ma anche il contesto culturale in cui l’oggetto si è sviluppato.
A questa fase segue quindi quella che nella metafora medica è 
l’osservazione dei sintomi del paziente, ovvero la rappresentazione sincronica 
delle patologie della fabbrica. Questa fase prende in considerazione tutte 
quelle condizioni ed alterazioni che modificano le capacità prestazionali 
del manufatto, ove per prestazioni si intendono quelle estetiche, statiche e 
funzionali, non rendendole più sufficienti per l’edificio affinché assolva alle 
funzioni cui è stato destinato.
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Con il rilievo delle manifestazioni visibili del degrado si può ritenere 
concluso il percorso di conoscenza del manufatto, e passare quindi alla fase della 
prediagnosi: sulla scorta delle conoscenze sincroniche ottenute sull’oggetto 
edilizio, sul suo funzionamento, e sull’alterazione delle sue prestazioni, si può , 
infatti, operare una sintesi critica ed una valutazione, preliminare e qualitativa, 
di quelle che possono essere le cause delle patologie, valutando l’incidenza 
dei diversi fattori in gioco quali l’interazione tra manufatto e ambiente, le azioni 
dell’uomo ed i fenomeni legati alla presenza dell’acqua.
Tali valutazioni vanno convalidate con l’utilizzo di tecniche di indagine 
strumentale, principalmente le indagini non distruttive, che attraverso il rilievo 
e l’analisi scientifica consentono di giungere ad una conoscenza quantitativa 
dei fenomeni del degrado. Tale strumento va valutato attentamente in base 
all’istanza storico-artistica del manufatto e dev’essere oggetto di una specifica 
pianificazione. La fase di prediagnosi, quindi, se confermata dalle suddette 
indagini, può essere assunta come vera e propria diagnosi. Questa fase è 
estremamente determinante poiché dalla correttezza delle interpretazioni 
delle analisi finora condotte, dipenderanno l’esito e la buona riuscita degli 
  INTRODUZIONE 7
interventi da realizzare. 
È infine possibile passare all’ultima fase, che concerne la formulazione 
della terapia riabilitativa che ha come scopo il ripristino o l’innalzamento delle 
caratteristiche prestazionali del manufatto. La scelta degli interventi dipende 
fortemente dalla conoscenza dell’apparecchiatura costruttiva, ma anche 
dall’istanza culturale della fabbrica. E’ fondamentale, in questa fase, non alterare 
le prestazioni e le qualità dei materiali tradizionali, per non innescare nuove 
patologie e decadimenti dovute ad eventuali incompatibilità dell’intervento 
con i materiali o le tecniche tradizionali impiegati nella fabbrica, ed in particolar 
modo tenere sempre presente l’istanza culturale, nell’interesse di evitare di 
stravolgere l’aspetto, la funzionalità, lo stato tensionale dell’edificio.
Quanto detto si può riassumere nelle seguenti caratteristiche che 
gli interventi previsti devono possedere: essere specifici per le patologie 
diagnosticate, minimali, compatibili, al fine di evitare eventuali nuovi 
decadimenti, e reversibili, così da poter eliminare i materiali adoperati e 
ripristinare le trasformazioni effettuate nel caso in cui l’intervento si rivelasse 
inefficace.
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IL RIUSO DELL’ESISTENTE
Nel contesto socio-urbano contemporaneo, molti fattori quali la 
saturazione dell’ambiente urbano, i fenomeni di spopolamento dei centri storici, 
il cambiamento delle abitudini di vita e di mobilità, stimolano la riflessione 
sulle modalità di utilizzo del costruito, ed appare sempre più pregnante 
l’istanza di recupero e riutilizzo di fabbricati storici. Tale esigenza è evidente 
soprattutto quando si considera un contesto territoriale dotato di peculiarità ed 
emergenze storiche, artistiche ed ambientali, e viene per di più amplificata dalla 
sempre crescente sensibilità ai temi della sostenibilità ambientale. Il restauro 
e il riuso sono, in questo complesso contesto, due approcci complementari 
e strettamente dipendenti l’uno dall’altro, in quanto una nuova destinazione 
d’uso per un edificio storico è un’occasione irripetibile per la tutela e la 
sopravvivenza del bene, nell’ottica non di una mera conservazione, ma di 
una consapevole valorizzazione, ma anche per dare realizzazione concreta al 
principio della sostenibilità, nel senso di un utilizzo compatibile dell’esistente, 
evitando, se possibile, nuove edificazioni. Tali approcci, restauro e riuso, sono 
palesemente interdipendenti, in quanto, se è ovvio che la possibilità di riutilizzo 
del bene dipenda dal restauro dello stesso, è vero anche il contrario, in quanto 
  INTRODUZIONE 9
il riuso può considerarsi la massima e più felice manifestazione della necessità 
ed utilità dell’intervento di restauro. Scelte progettuali di simile rilievo devono 
però rispondere a fondamentali esigenze, come quella della compatibilità tra il 
contenuto ed il contenitore, che deve essere garantita a più livelli:
• una compatibilità tecnologica, funzionale e socio-culturale;
• la sostenibilità energetica ed ambientale; 
• la sostenibilità di lungo periodo, nell’ottica di una minimizzazione degli 
interventi conservativi. 
Appare fondamentale, in quest’ottica, prevedere uno studio di prefattibilità 
volto ad accertare la possibilità della realizzazione del cambiamento di 
destinazione d’uso, che consiste in un’analisi del sistema insediativo, scomposto 
nelle sue componenti fisiche, sociali ed economiche. Tale studio può trovare 
concretizzazione in una serie di analisi volte alla conoscenza, ad esempio, 
delle caratteristiche territoriali, della mobilità, delle attività e delle istituzioni 
presenti nel territorio; ma anche in un interfacciarsi diretto con la collettività, 
attraverso interviste ad interlocutori particolari. Presa coscienza dei risultati di 
tale analisi si può giungere ad un ventaglio di possibili funzioni che rispondano 
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ad una domanda collettiva. Per ogni opzione è opportuno quindi valutare, in 
maniera preliminare, la compatibilità in termini dimensionali, di accessibilità, di 
condizioni strutturali e fisiche (illuminazione, acustica, condizioni igrotermiche). 
Altro requisito da soddisfare è la rispondenza alle prescrizioni imposte dagli 
strumenti urbanistici vigenti o in fase di approvazione. Fine ultimo di tali analisi 
è la valutazione delle potenzialità residue dell’oggetto architettonico, e quindi 
selezionare le “nuove” funzioni rispettose della sua istanza culturale. Con 
questo approccio metodologico si è sviluppata la presente tesi, che propone il 
riuso sostenibile di un “contenitore” storico: l’ex convento dei Frati Cappuccini 
di Villagonia in Taormina.
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