Abelardo e l’etica del consensus 
 
2
  
 
confronto con la figura di S. Bernardo ci ha indotto a 
occuparci anche dell’Abelardo ‘monaco’, e soprattutto 
autore di una regola monastica, che abbiamo esaminato alla 
ricerca degli elementi che in essa si armonizzano con le 
concezioni espresse nell’Ethica. 
Dobbiamo ricordare comunque, con Blomme, che in 
Abelardo “il pensiero si svela, si cerca, si corregge e si 
precisa a poco a poco”,
1
  e tutte le opere sono animate dalla 
stessa dinamica, volte nella stessa direzione, i termini delle 
questioni riecheggiano da un libro all’altro, arricchendosi. 
Così, se l’opera di riferimento è comunque l’Ethica, Abelardo 
si occupa di tematiche specificamente etiche anche 
nell’Expositio in Epistolam ad Romanos e nel Dialogus inter 
Philosophum, Iudaeum et Christianum, che quasi tutti gli studiosi 
concordano nel ritenere la sua ultima opera, composta 
nell’estremo rifugio di Cluny.  
E ancora, ricco di contenuto morale è il Carmen ad 
Astrolabium, nel quale egli, ormai vecchio, condensa le  
esperienze della sua vita di maestro per l’educazione del 
                                                           
1
 R. Blomme, La doctrine du peché dans les écoles theologiques de la première 
Abelardo e l’etica del consensus 
 
3
  
 
figlio. In questo poema didascalico sembrano infine 
incontrarsi e integrarsi la passione etica e quella pedagogica, 
e ancora il soggetto individuale, come nell’Ethica, si pone in 
primo piano, nella figura del discepolo che manitiene la 
propria indipendenza, non si nega né si umilia, ma cerca 
l’accordo razionale con il maestro.
2
  
 
                                                                                                                                                    
moitié du XII
e 
siècle, Louvain 1958, p. 110. 
2
 Cfr. G. Ballanti, Pietro Abelardo. La rinascita scolastica del XII secolo, p. 132. 
Abelardo e l’etica del consensus 
 
4
  
 
CAPITOLO 1 
La formazione 
 
  
§1. L’esperienza abelardiana inizia con la rottura nei 
confronti del mondo cavalleresco nel quale è nato: “(…) 
ben presto decisi di rinunciare alla carriera di militare, 
all’eredità, e ai miei diritti di primogenito (…): abbandonai 
la corte di Marte per essere educato in seno a Minerva”.
3
 
Incomincia così un viaggio attraverso le “varie province (...) 
ove era in vigore l’arte della dialettica”.
4
 che lo porterà 
infine a Parigi, alla scuola di Guglielmo di Champeaux. 
Poco sappiamo delle tappe di avvicinamento a Parigi, lungo 
le quali fu probabilmente a Loches, allievo di Roscellino.
5
 
                                                           
* In questo capitolo  le citazioni dell’Historia calamitatum sono 
condotte secondo la traduzione di F. Roncoroni, Abelardo, Storia delle 
mie disgrazie – Lettere di amore di Abelardo e Eloisa, Milano 1974, pp. 7-
79. 
3
 Historia Calamitatum, trad. cit., I, p.8. 
4
 ibidem 
5
 Cfr. J. Chatillon, “Abelard et les écoles”, in AA.VV. Abelard et son 
temps, Parigi 1979, p.138. Nell’ Historia Calamitatum Abelardo non 
nomina Roscellino, che viene invece ricordato e definito magister nostri 
nella Dialectica (cfr. G. Ballanti, op. cit., Firenze 1995, pp.111-112). Se 
non sappiamo dunque nulla dell’incontro tra i due nella scuola, 
abbiamo comunque testimonianza della loro conoscenza, e anche 
della forte animosità che si era sviluppata tra loro, da due lettere, una 
di Abelardo e una di Roscellino, del 1121. Da un lato Abelardo, in 
vista del sinodo di Soissons, scrive al vescovo di Parigi per negare 
Abelardo e l’etica del consensus 
 
5
  
 
Sappiamo invece che Abelardo fu anzitutto diretto a Parigi,  
“dove già da tempo gli studi di dialettica avevano raggiunto 
sviluppi eccezionali”.
6
 
Dialettica e disputatio risultano strettamente connesse, in 
questo primo scorcio del XII secolo,
7
 e questo aspetto 
soprattutto sembra attirare il giovane Abelardo, che giunto   
alla scuola di Guglielmo di Champeaux non pone tempo in 
mezzo a disputare con il maestro, contestandone la sententia 
sugli universali.
8
 Sarà l’inizio di uno scontro di lunga durata 
                                                                                                                                                    
qualunque influenza di Roscellino sul suo trattato De unitate et trinitate 
Dei; dall’altro lato Roscellino, venuto a conoscenza della mossa 
dell’antico allievo, scrive allo stesso Abelardo e la polemica teologica 
si associa a un violento attacco personale. 
Le due lettere sono pubblicate in Petri Abaelardi, Epist. XIV et XV, 
P. L. CLXXVII, coll. 356-372. 
6
 H. C., I, p.9. 
7
 Cfr. J. Chatillon, op.cit., pp. 135 ss., che cita, sullo statuto della 
dialettica nel XII secolo, Giovanni di Salisbury, per il quale si tratta di 
bene disputandi scientia e Ugo di San Vittore, per il quale la dialettica è 
una disputatio acuta 
8
 Per il valore del termine sententia e per il ruolo del magister nella 
scuola, cfr. J. Chatillon, op.cit., pp.138 ss. 
Cfr. anche G. Pare, A. Brunet, P. Tremblay, La renaissance du XII
e 
 
siècle. Les écoles et l’enseignement, Parigi-Ottawa 1934, pp. 116-117, nn. 1-
2: il termine sententia nel XII secolo aveva modificato il proprio 
significato originario-. nell’alto Medioevo esso designava enunciazioni 
dei Padri, estrapolate dalle loro opere e raccolte in un florilegio; in 
seguito si è chiamata sententia l’interpretazione data dal maestro in 
seguito alla lettura e alla comprensione del  senso immediato del testo 
studiato, come scrive Ugo di San Vittore: “Expositio tria continet: 
litteram, sensum, sententiam. Littera est congrua ordinatio dictionum, 
quam etiam constructionem vocamus. Sensus est facilis quaedam et 
aperta significatio, quam littera prima fronte praefert. Sententia est 
Abelardo e l’etica del consensus 
 
6
  
 
che ben presto dilaga al di fuori delle mura di Notre-Dame, 
coinvolgendo discepoli e potenti protettori.
9
  
Abelardo riesce per la prima volta ad avere una sua scuola, 
anche se a Melun, poco lontano da Parigi; ben presto adotta 
una strategia di avvicinamento alla capitale che lo porta ad 
aprire una scuola a Corbeil, ma una malattia lo costringe a 
tornare in Bretagna, abbandonando il campo a Guglielmo. 
Nel 1108 torna a Parigi, dove Guglielmo insegna ora 
retorica.  
Doveva trattarsi  di una retorica ben vicina alla dialettica e 
                                                                                                                                                    
profundior intelligentia, quae nisi expositione vel interpretatione non 
invenitur” (Didascalion, III, 9). Non si tratta più delle parole dei padri, 
ma di quelle dei maestri; esse entrano allora nel circuito scolastico 
delle quaestiones e delle disputationes,  al termine delle quali il maestro 
deve dare la propria soluzione: la sententia nel senso corrente del XII 
secolo di presa di posizione personale del maestro.  
9
 Cfr. H.C., II, pp. 9-10: “Di qui ebbero inizio le mie disgrazie(...): 
più la mia fama cresceva, più aumentava l’invidia di tutti nei miei 
confronti. Alla fine, sopravvalutando forse, data l’età, le mie capacità, 
aspirai, nonostante fossi poco più che un ragazzo, a dirigere una 
scuola. Subito cercai il posto dove intraprendere questa attività e mi 
parve di averlo scoperto in Melun, una cittadina allora famosa e per 
di più residenza regale. Ma il mio maestro intuì le mie intenzioni e 
ricorse a tutti i mezzi e a tutti i sotterfugi a mia disposizione per 
relegare me e la mia scuola il più lontano possibile da Parigi: cercava 
insomma, prima ancora che io lasciassi la sua scuola, di impedirmi di 
fondarne una mia e faceva di tutto per togliermi il posto che avevo 
scelto. Per fortuna però egli aveva a lui ostili parecchi tra i signori di 
quella cittadina, e io, grazie anche al loro appoggio, riuscii a coronare 
il mio sogno: anzi il suo stesso atteggiamento apertamente ostile 
giovò a conciliarmi un gran numero di simpatie”. 
Abelardo e l’etica del consensus 
 
7
  
 
Abelardo ritorna presso l’antico maestro; subito 
ricominciano le dispute. 
Ora, per la prima volta, sappiamo quale sia l’oggetto della 
disputatio: “gli confutai (…) anzi gli demolii, facendogli 
perfino cambiare opinione, la sua vecchia dottrina sugli 
universali”.
10
 
Si tratta del nodo centrale della dialettica, come Abelardo 
stesso afferma: “ In realtà il punto più importante dei nostri 
studi è proprio quello relativo al problema degli 
universali”.
11
 
Nel suo viaggio di formazione filosofica, Abelardo ha 
incontrato successivamente i campioni delle due soluzioni 
estreme del problema: dapprima Roscellino, il nominalista 
che assegnava agli universali unicamente l’esistenza di puri 
nomi e poi Guglielmo, il più noto e agguerrito dei realisti, di 
coloro cioè che attribuivano l’esistenza sostanziale agli 
universali.
12
 
                                                           
10
 H.C., II, p. 11. 
11
 ibidem 
12
 Cfr. M.R. Beonio Brocchieri, La logica di Abelardo, Firenze 1969, in 
particolare le pp. 47-78.  
Per porre i termini della questione dobbiamo ricordare il primo testo 
di logica di Abelardo, le cosiddette “glosse letterali” o Introductiones 
Abelardo e l’etica del consensus 
 
8
  
 
Il passo citato sopra dell’Historia Calamitatum apre uno 
spiraglio per scorgere l’oggetto dell’insegnamento nelle 
scuole di Melun e di Corbeil, e rivela la posizione iniziale di 
Abelardo, impegnato a confutare il realismo di Guglielmo 
che sarebbe stato costretto ad abbandonare le sue 
precedenti posizioni e a sostenere che “la stessa realtà è 
presente nei singoli individui non essenzialmente, ma 
indifferentemente”.
13
 
Guglielmo non diventa certo nominalista, ma modera il 
proprio realismo, recede dal sostenere che una sola realtà 
universale sia presente, come unica essenza, in tutti gli 
individui, che sarebbero pertanto meri accidenti e ammette 
                                                                                                                                                    
parvulorum, databili agli anni dell’insegnamento a Melun, nelle quali 
viene condotto il commento letterale dell’Isagoge di Porfirio, oltre a 
quello delle Categorie e del Peri hermeneias aristotelici e di alcuni testi 
logici di Boezio. 
Nella trattazione di Porfirio è evidente che Abelardo intende le sei 
categorie di genere, specie, differenza, proprio, accidente e individuo 
come puri nomi, senza alcuna implicazione metafisica. Per lui, 
probabilmente ancora influemzato dal nominalismo di Roscellino, il 
piano della realtà e quello delle parole sono distinti, anche se il primo 
funge da garanzia del secondo. “(...) la predicazione non trascina con 
sé la costituzione della realtà pur fondandosi su questa. Il giovane 
Abelardo come dialettico rifiuta dunque di svolgere un esame che non 
verta esclusivamente sulle parole (istituite alla predicazione) e 
accantona quindi lo studio della realtà, ma, d’altro canto, fonda 
implicitamente le relazioni di predicazioni su relazioni reali” (M.T. 
Beonio Fumagalli Brocchieri, Introduzione a Abelardo, Bari 1988, p. 15). 
13
 H.C., II, p.12. 
Abelardo e l’etica del consensus 
 
9
  
 
che gli individui sono legati da un legame di somiglianza, di 
indifferenziazione.
14
 
Chiusa questa fase di scontro, che lo porterà a perdere 
l’insegnamento alla cattedra di Notre-Dame, 
fortunosamente e provvisoriamente ottenuto, Abelardo 
affronta un nuovo ambito del sapere, il campo più pregiato 
dei tempi suoi: “Tornai in Francia con la precisa intenzione 
di studiare la teologia”.
15
 
Si reca dunque  a Laon, discepolo del più prestigioso 
maestro di teologia: Anselmo, che era già stato maestro di 
Guglielmo. 
Ben presto le attese vengono deluse: “(…) mi resi conto che 
più che un’effettiva preparazione gli aveva giovato la lunga 
                                                           
14
 Abelardo espone questa posizione, comunque realistica, nella più tarda Logica 
“Ingredientibus”: gli universali possono essere applicati “rebus seu vocibus”; 
se si attribuisce la definizione di universale rebus, alla realtà, sono possibili 
due posizioni: una sorta di realismo “assoluto”, che afferma essere unica e 
identica l’essenza nelle diverse cose individuali (si tratta evidentemente della 
posizione che Guglielmo è costretto ad abbandonare nel corso della 
disputatio della quale stiamo trattando) e un realismo più moderato, la 
indifferentia (alla quale abbiamo visto approdarre Guglielmo) che sostituisce 
all’identità essenziale degli individui la somiglianza; cfr: per questa analisi M. 
T. Fumagalli Beonio Brocchieri, Introduzione a Abelardo, cit., pp. 20-23. 
15
 H.C., III, p.15. G. Ballanti, op.cit., pp. 204-205, avanza l’ipotesi che 
questo interesse per la teologia fosse funzionale all’ambizione del 
giovane magister di ottenere il rettorato della scuola cattedrale; sino a 
ora, infatti, Abelardo si era interessato solo della dialettica, e non 
poteva vantare alcuna competenza specialistica nell’ambito della pagina 
Abelardo e l’etica del consensus 
 
10
  
 
pratica (…). Se lo si stava ad ascoltare poteva anche 
affascinare, ma quando si cominciava a discutere ci si 
avvedeva della sua nullità”.
16
 
Abbiamo conosciuto un Abelardo polemico ed energico 
disputatore, nell’ambito della dialettica, ora lo vediamo 
intento a confutare non più una sententia, una posizione 
sostenuta dal maestro, ma il metodo stesso che il maestro 
usa. Abelardo non dice di essere in disaccordo con il 
contenuto delle lezioni di Anselmo. Esso è in qualche modo 
indifferente, rispetto al metodo utilizzato per ottenerlo ed 
esporlo.
17
 
La sua insofferenza viene ben presto notata dai 
condiscepoli, ed egli si spinge a lanciare una sfida: è pronto 
                                                                                                                                                    
sacra. 
16
 H.C., III, p.16. 
17
 Cfr. G Ballanti, op.cit., pp.120-121, che sottolinea come il disaccordo 
sul metodo non tocchi le lezioni di Guglielmo di Champeaux, ma solo 
quelle, strettamente legate al modo della lectio monastica, di Anselmo 
di Laon. 
Sul metodo di insegnamento di Anselmo, E. Bertola, “I precedenti 
storici del metodo del Sic et non di Abelardo”, in Rivista di Filosofia 
neoscolastica, 1975, p.273, scrive: “A Laon si leggeva la divina pagina 
attraverso un precedente lavoro erudito di testimonianze di autorità. Si 
collazionavano cioè testi patristici diversi, su particolari versetti 
scritturali o su questioni derivate dal testo sacro, sia attraverso una 
ricerca diretta sulle opere dei Padri, gli espositores, sia attraverso 
precedenti commentari o precedenti lavori di glossatori”. Cfr. anche 
G. Pare, A. Brunet, P. Tremblay, op. cit., pp. 113 ss. 
Abelardo e l’etica del consensus 
 
11
  
 
a spiegare qualunque testo biblico a scelta, meglio di 
Anselmo. 
“Io presi il commento
18
 e subito li invitai a venire il giorno 
dopo a sentire la mia spiegazione. Essi allora, con l’aria di 
darmi un consiglio che io non avevo certo richiesto, 
cominciarono a dirmi che su un argomento così difficile 
non dovevo aver fretta e che, data la mia inesperienza, avrei 
dovuto dedicarmi un po’ più a lungo alla preparazione e alla 
comprensione del commento. A questo punto mi sentii 
offeso e risposi piuttosto irritato che non era mia abitudine 
imparare le cose per mezzo dell’esercizio mnemonico, ma 
per mezzo dell’intelligenza”.
19
 
L’usus si contrappone all’ingenium: Abelardo rompe la 
struttura della lectio monastica, dove i discepoli-ascoltatori 
assistono alla spiegazione del magister che a lungo ha 
studiato, e memorizzato i testi dei padri, e improvvisa la sua 
lezione, fidandosi della propria intelligenza e della forza 
stringente della logica.  
                                                           
18
 E. Bertola,  art, cit., pp. 261ss, precisa la funzione dell’expositor, una 
auctoritas patristica riconosciuta che il maestro utilizza nelle proprie 
lezioni, limitandosi a fornire il proprio commento (glosa). 
19
 H.C., III, p.17. 
Abelardo e l’etica del consensus 
 
12
  
 
E’ un successo che ben presto lo costringe ad allontanarsi 
da Laon. 
 
Abelardo e l’etica del consensus 
 
13
  
 
§ 2. Nel primo paragrafo abbiamo visto Abelardo a 
confronto, e in scontro, con le due maggiori scuole del suo 
tempo. Per lui sono insoddisfacenti, e il nodo centrale della 
sua insoddisfazione si è rivelato essere il metodo, oltre al 
rapporto stesso tra magister e discipulus. 
Per questo secondo punto, notiamo subito che il discepolo 
insoddisfatto decide di diventare lui stesso maestro e inizia 
un percorso che, con alterne vicende, affiancherà la sua 
attività filosofica e teologica alla scuola lungo tutta la sua 
vita, con l’interruzione finale.
20
 
Abelardo da subito si sente maestro, capace di insegnare, ma 
soprattutto di affascinare e convincere chi vorrà farsi suo 
discepolo. Scopre il fondamento del prestigio del capo-
scuola e gli si sostituisce, con maggiore abilità e 
autorevolezza.
21
 
E’ interessante notare come, quando parla delle sue scuole, 
non dica mai che cosa accada al loro interno, come 
                                                           
20
 Cfr. il percorso biografico di Abelardo, nel quale è ben evidente il 
conflitto tra la vita pubblica di maestro e polemista e la pace della 
solitudine claustrale, in R. Blomme, La doctrine du peché dans les écoles 
theologiques de la première moitié du XII
e 
siècle, cit., pp.119ss. 
21
 Così almeno appare dal racconto certamente parziale dell’ Historia 
calamitatum. 
Abelardo e l’etica del consensus 
 
14
  
 
concretamente si strutturi il rapporto di insegnamento
22
, 
limitandosi ad affermare che i suoi discepoli sono in grado 
di affrontare gli scontri dialettici con gli altri maestri e i loro 
discepoli, di prevalere: è successo per la dialettica e succede 
per la teologia.
23
 Sottolineiamo come queste vittorie 
illustrino il maestro:” Quali furono le dispute che i miei 
scolari sostennero con Guglielmo (…), quali successi in 
questi scontri riservò la fortuna ai miei scolari, anzi a me 
attraverso essi è cosa nota a tutti”.
24
 Come se i discepoli 
altro non fossero che appendici mobili e numerose, che 
moltiplicano la sua vis polemica. 
Abelardo fu dunque un maestro affascinante, ma un 
discepolo inviso a tutti i magistri che si scelse e ai loro fedeli.  
                                                           
22
 Nelle pagine dell’H.C. vediamo Abelardo insegnare solo 
nell’episodio del commento alle profezie di Ezechiele, allorquando 
utilizzando il testo biblico e un expositor, armato solo della propria 
intelligenza, entusiasma con la chiarezza e la logica stringente i propri 
condiscepoli.  
 La pratica propriamente pedagogica viene da lui presa in 
considerazione in modo particolare solo nel tardo Carmen ad  
Astrolabium che raccoglie le sue meditazioni sull’argomento al termine 
ormai della sua esperienza di maestro. 
23
 Cfr. H.C., II, p. 14; V, p. 19.