2
un’organizzazione può effettuare un cambiamento volto ad una maggiore 
efficienza produttiva, una riduzione dell’organico, un miglioramento 
dell’ambiente di lavoro, una struttura organizzativa di tipo orizzontale e più 
snella di quella tradizionale, è solo un tipo di intervento possibile, senza 
dimenticare che ne esistono altri, e che la realtà economica presenta casi in cui 
l’effettivo utilizzo dei team-work in azienda ha prodotto risultati spesso 
contrastanti. 
Questo studio non ha l’ambizione di trovare una o più spiegazioni in grado di 
fare emergere sotto quali condizioni un gruppo di lavoro può effettivamente 
costituire uno strumento adeguato a rispondere alle maggiori esigenze di 
flessibilità e dinamicità richieste dalle imprese, desidera solo essere un 
contributo per una migliore comprensione delle dinamiche interne ad un 
gruppo di lavoro, facendo emergere gli elementi più significativi, analizzando 
la relazione tra più variabili, l’influenza reciproca e quella sull’efficienza di 
gruppo, rendendo più semplice quello che senza dubbio è un argomento 
complesso. 
Una seconda finalità di questo lavoro, consiste nel rivalutare il “gruppo” come 
strumento in grado di adattare le dimensioni sempre maggiori delle imprese, 
spesso multinazionali supportate da strumenti tecnologici ed informatici 
sempre più avanzati che riducono la comunicazione diretta, ad uno spazio 
limitato, più consono a soddisfare le esigenze individuali di relazione e di 
realizzazione dei singoli agenti, seppure all’interno della complessità 
d’impresa. 
Un particolare rilievo è stato attribuito alla tecnologia applicata al processo 
informativo, che in ogni caso non può mai sostituire completamente le abilità e 
le capacità umane, poiché sarà sempre presente qualche forma di conoscenza 
tacita e non programmabile, utile a livello operativo, in grado di essere 
impiegata efficacemente con il sostegno delle moderne tecnologie, ma senza la 
possibilità che queste ultime sostituiscano gli individui. Perfino i più sofisticati 
sistemi di coordinamento non sarebbero in grado di far fronte a tutti i possibili 
eventi, in questo modo ci sarà sempre bisogno delle abilità e delle capacità di 
discernimento dell’uomo, infatti, solo dando il giusto valore all’elemento 
 3
umano, è possibile trovare un modo per impiegare in maniera efficiente la 
moderna tecnologia. 
Lo stesso discorso vale per le risorse finanziarie, quale elemento senza dubbio 
indispensabile nei processi produttivi di qualsiasi azienda, ma spesso impiegato 
in investimenti esterni in grado di migliorare la produttività d’impresa, e 
dimenticato come possibile investimento in attività umane, inteso come 
processo di apprendimento e sviluppo di idee, creatività, conoscenze, abilità ed 
ingegno. Tutte queste caratteristiche fanno parte dell’elemento umano, in 
questo senso, la maggiore ricchezza che un’impresa possiede sta proprio nelle 
persone che la compongono, per questo motivo, prima di impiegare risorse 
nell’acquisire mezzi esterni per competere sul mercato, credo sia necessario 
riflettere su quell’enorme potenziale composto dalle risorse umane che, tra 
l’altro sono già remunerate dall’impresa, e spesso non sono considerate come 
fonti di valore presenti nell’organico e sotto-utilizzate, né sono sostenute 
attraverso investimenti volti alla formazione, all’apprendimento continuo, allo 
sviluppo di nuove conoscenze e competenze. 
In questo senso, lo studio che segue non può limitarsi ad un’analisi economica, 
seppur approfondita, poiché il termine stesso: “gruppo di lavoro” individua una 
rilevanza significativa dell’aspetto sociale, da cui non è possibile prescindere 
poiché costituisce (potenzialmente) il valore aggiunto che un gruppo di lavoro 
possiede rispetto alla singola somma dei contributi individuali. 
Una particolarità di questo studio è il suo ambito di applicazione: i gruppi di 
lavoro, oltre a costituire una modalità di cambiamento organizzativo per 
imprese che competono a livello internazionale, può essere adottato come 
modalità di intervento riferita a realtà aziendali che operano in ambito locale, 
di dimensioni ridotte, in cui non necessitano meccanismi molto articolati di 
coordinamento dell’azione collettiva, di incentivazione o di controllo 
(analizzati in questo studio), ma possono attingere la filosofia alla base dello 
sviluppo dell’attività nei gruppi di lavoro: la cooperazione. 
Un’ultima caratteristica è data dalla natura del gruppo di lavoro, in grado di 
fare emergere l’importanza attribuita ad una molteplicità di discipline; questo 
studio, infatti, costituisce un ambito in cui è facile individuare la rilevanza di 
una buona integrazione tra discipline diverse, quali la sociologia in grado di 
 4
fare emergere aspetti importanti delle relazioni tra membri del gruppo, la 
psicologia del lavoro per ciò che riguarda l’influenza delle caratteristiche 
individuali sulla coesione e sul risultato di gruppo e l’economia per un’analisi 
in grado di motivare formalmente i risultati cui si perviene, di fornire strumenti 
e criteri di riferimento per la misurazione delle performance e la valutazione di 
un’effettiva efficienza ed adeguatezza del lavoro di gruppo alle esigenze 
applicative interne ad un’impresa. Tutto questo, senza dimenticare i vari 
contributi che ogni disciplina apporta in termini di meccanismi di 
coordinamento, di incentivazione, di orientamento di interessi individuali e 
collettivi, di integrazione in realtà economiche molto differenti tra loro. 
 
Il lavoro è strutturato in quattro capitoli, in cui è possibile riconoscere due tipi 
di analisi: una rivolta strettamente ai meccanismi interni al gruppo, ed una in 
cui emerge il rapporto tra il gruppo e l’organizzazione in cui opera. In questo 
senso è possibile individuare nel secondo e terzo capitolo uno studio 
focalizzato sull’analisi delle relazioni ed interdipendenze interne al gruppo, 
mentre, il primo e quarto capitolo svolgono una funzione che è possibile 
definire di raccordo tra il gruppo ed il sistema-impresa in cui l’attività dei 
singoli deve trovare integrazione.  
Un’altra caratteristica sul modo con cui si è svolta l’analisi avente per oggetto 
il lavoro di gruppo, è costituita dal procedimento seguito per esporre gli 
argomenti: i capitoli presentano un approccio sistematico in cui di ogni 
argomento è analizzato sia l’aspetto strettamente economico, sia quello legato 
alla sfera dei rapporti sociali (per ciò che riguarda il gruppo) o ad aspetti 
strettamente individuali (se riferiti singolarmente agli agenti). 
Nel primo capitolo si trova una definizione ed un’analisi di gruppo in termini 
economico-sociologici, al fine di individuare le origini su cui si fonda il 
processo di formazione che spinge gli individui ad aggregarsi tra loro. 
Quest’approccio è utile per una comprensione degli elementi caratteristici a 
tutti i gruppi, quindi a definire i fondamenti psicologici individuali e collettivi 
(sotto quali spinte un individuo è portato ad associarsi, quali sono le aspettative 
ed il significato del legame che relaziona ogni singolo individuo agli altri) che 
stanno alla base di un gruppo, individuando ed analizzando gli elementi 
 5
fondamentali - bisogno, interazione, senso di appartenenza, identità - quali 
condizioni essenziali affinché ogni singolo individuo possa essere qualificato 
come “membro” di un gruppo. 
Lo studio, in seguito, procede verso ciò che costituisce l’oggetto di questa tesi, 
rivestendo di connotati economici la definizione di gruppo e i suoi elementi 
essenziali; per un’analisi più approfondita ci si è riferiti al modello tratto da 
Aoki (1984), in grado di identificare e definire in maniera formale delle “regole 
del gioco” in cui circoscrivere le azioni ed i comportamenti di ogni agente 
all’interno di un gruppo di lavoro, attraverso una rappresentazione in cui 
l’impresa appare come istituzione preposta a definire tali regole. 
In quest’analisi è emerso il valore e l’importanza delle norme istituzionali e 
culturali, quali vincoli che l’impresa adotta affinché sia possibile sostenere un 
processo basato sull’accordo spontaneo tra gli agenti, e al contempo rivestono 
un ruolo di coordinamento tra gli obiettivi perseguiti dall’azienda e quelli del 
gruppo di lavoro.  
Il modello adottato, definisce quindi una struttura e dei confini ben precisa in 
cui avviene il processo di interazione tra i membri di un gruppo, evidenziando 
attraverso uno schema rappresentativo di fasi logiche sequenziali, tre elementi: 
la complessità, la dinamica e la natura del legame che unisce gli agenti. 
Il termine “complessità” vuole identificare il rapporto di interdipendenza tra le 
azioni e scelte di comportamenti che ogni agente può adottare, queste scelte, 
per quanto limitate da vincoli normativi (che definiscono ciò che è condiviso e 
che unisce il gruppo), prevedono un certo grado di discrezionalità concessa ad 
ogni individuo, e proprio in questa discrezionalità emerge il confronto tra 
soggetti con idee, percezioni, competenze differenti, con le relative 
problematiche che si sviluppano quando il confronto porta a contrasti tra i 
partecipanti.  
Con il termine “dinamiche interne”, si vuole evidenziare la caratteristica per 
cui un gruppo non è mai stabile nel tempo, ma in continua evoluzione e 
sviluppo, questo comporta che la realizzazione di un progetto comune 
all’interno di un gruppo presenterà un problema di ricerca e mantenimento di 
un equilibrio (problema caratteristico della fase relativa al processo 
decisionale). 
 6
Infine, la comprensione della natura del tipo di legame che unisce i membri di 
un gruppo di lavoro: la cooperazione. L’accordo spontaneo, raggiunto e 
mantenuto grazie alla struttura di vincoli normativi dati dall’impresa, è basato 
su una forma di patto o di accordo che ha come fine la ripartizione equa dei 
profitti derivanti dalla collaborazione. 
Il secondo capitolo affronta le problematiche legate a possibili comportamenti 
opportunistici da parte di uno o più membri di un gruppo di lavoro, ed al 
verificarsi di possibili conflitti tra esigenze di autonomia e necessità di 
controllo. Sono descritti in termini formali due problemi che possono causare 
inefficienza all’interno di un gruppo di lavoro, il moral hazard (forma di 
opportunismo post-contrattuale che può presentarsi in caso di compiti 
individuali non osservabili) ed il free-riding (legato alla difficoltà di 
individuare chi si è sottratto agli impegni contrattuali). Queste problematiche 
legate a comportamenti sleali, difficilmente individuabili e sanzionabili è 
affrontato con l’utilizzo di due modelli, entrambi volti a trovare delle possibili 
soluzioni, ma attraverso l’utilizzo di due approcci differenti. I due modelli 
servono da riferimento, in particolare entrambe propongono una soluzione 
basata su un meccanismo di incentivazione, il primo modello (Holmstrom 
1982) si basa su una logica di tipo economico punitivo, che si sviluppa su un 
tipo di coesione basata sul compito.   
Un secondo modello (Lazear E.1992) affronta la medesima problematica 
analizzando l’impatto economico derivante da fattori emotivi presenti 
internamente ad un gruppo di lavoro, fornendo un’utile applicazione di 
intervento su tali fattori per influenzare il risultato di gruppo. La ricerca di 
meccanismi di incentivazione in grado di far fronte alle potenzialità 
opportunistiche, sono ricercati nella struttura emotiva individuale degli agenti 
che compongono un team. Sentimenti quali la vergogna ed il senso di colpa 
rivestono un ruolo fondamentale in quest’approccio e fanno emergere 
l’importanza della struttura cognitiva individuale, come grado di sensibilità di 
ogni agente al rapporto interpersonale, per questo si può considerare lo 
sviluppo del modello basato su coesione interpersonale. La medesima analisi, è 
proposta come modalità di controllo affidata ai singoli membri che 
compongono il gruppo di lavoro, e non ad autorità esterne, una forma di 
 7
controllo reciproco che evidenzia una modifica sostanziale presente nei gruppi 
rispetto alle tradizionali forme di controllo aziendali, in cui la funzione svolta 
tradizionalmente dal potere (in termini di autorità e controllo), viene affidata 
alle competenze (capacità di valutazione) di soggetti “pari” ed al processo 
informativo basato sull’osservazione diretta. 
Tra i due modelli che illustrano due differenti modalità di incentivazione 
integrabili tra loro ai fini applicativi, è presente un paragrafo sull’equità 
retributiva, considerata un principio base nell’attività di gruppo. Infatti i vari 
schemi proposti si riferiscono a premi o punizioni, sia economici che di altra 
natura, che hanno la funzione di coordinare le scelte individuali ed incentivare 
azioni e comportamenti di tipo cooperativo; questo processo di orientamento, 
fondamentale per lo sviluppo di un gruppo di lavoro, deve rientrare in un 
criterio generale di equità, in questo caso retributiva, quale principio 
sostanziale su cui successivamente possono essere integrate varie forme 
motivazionali. 
Il terzo capitolo si occupa di un altro problema tipico dei gruppi di lavoro: il 
processo decisionale. Questo argomento è stato sviluppato intorno all’elemento 
“sistema informativo”, come strumento utilizzato per recepire informazioni 
dall’ambiente esterno e indirizzare i flussi informativi all’interno di un’unità di 
lavoro; si è adottato quindi, come mezzo attraverso il quale relazionare i 
membri di un gruppo tra loro, e al sistema ambientale, in cui operano. Si è 
cercato di analizzare l’efficienza del sistema adottato in relazione ad una sua 
applicazione al processo decisionale, evidenziando alcune variabili, quali: la 
tecnologia e la struttura d’impresa in cui il gruppo è inserito, al fine di 
comprendere in che modo ed in quale misura queste due variabili possono 
influenzare il processo decisionale interno al gruppo. In particolare sono 
emerse due strutture, una di tipo gerarchico integrate e l’altra di tipo 
“reticolare”, supportate dai relativi sistemi informativi che sono state ritenute 
molto interessanti per il differente impatto sul processo decisionale interno al 
gruppo. 
L’analisi seguente si è quindi articolata sulla base di queste due strutture 
organizzative, valutando la loro efficacia relativamente a sistemi ambientali 
diversi ed al compito che un’unità di lavoro è chiamata a svolgere. In questo 
 8
studio si è utilizzata la correlazione statistica come strumento in grado di 
evidenziare, la relazione esistente tra sistemi ambientali differenti e tra i 
compiti svolti in termini di complementarità o sostituibilità.  
Questo capitolo si è considerato particolarmente utile per comprendere le 
relazioni esistenti tra più variabili e l’influenza di queste nella scelta di un 
preciso sistema decisionale; l’interesse è dato dalla possibilità di un’analisi che 
non si limita ad evidenziare il rapporto tra un singolo elemento considerato 
variabile all’interno di un modello statico, ma alla caratteristica di fare 
emergere l’interrelazione esistente tra un insieme di combinazioni di elementi 
diversi e modificabili che concorrono a costituire modelli adattabili a varie 
realtà organizzative. 
Un’ultima considerazione sulla modalità con cui si è affrontato il capitolo, è 
data dal fatto che, uno studio così articolato su variabili economiche trascura, 
per necessità, l’elemento umano, dovendo scindere in attributi la complessità 
individuale; in questo caso si è trascurato l’elemento psicologico individuale, 
privilegiando l’aspetto conoscitivo, basato sulle capacità, competenze e 
conoscenze in relazione al compito. 
Nel quarto capitolo si cerca si colmare la lacuna precedente, dando rilievo 
all’aspetto psicologico individuale, quale elemento fondamentale affinché sia 
possibile una buona integrazione del gruppo, e quindi dei singoli agenti 
all’interno di un’impresa. 
Questo capitolo riporta lo studio dei gruppi di lavoro, all’interno della 
dimensione naturale in cui operano, ossia il contesto organizzativo ed 
economico dell’impresa. 
Sono ripresi alcuni concetti espressi nel primo capitolo, in cui ci si riferiva 
all’impresa come istituzione, cui era preposta la funzione di determinare una 
cornice di regole normative e di valori (norme culturali), in grado di vincolare 
le azioni ed i comportamenti dei singoli agenti all’interno di precisi limiti che 
consentissero loro di trovare un equilibrio spontaneo basato su un patto di 
natura cooperativa. 
Nel quarto capitolo si analizza la cultura d’impresa, indicata come fondamento 
essenziale di coordinazione implicita, ma che, a differenza dei meccanismi 
espliciti, risultava un concetto vago e impreciso, limitato alle indicazioni 
 9
generiche precedentemente fornite. Restava anche un problema irrisolto, legato 
alla possibilità che si verificassero casi, nella realtà aziendale, in cui un gruppo 
di lavoro fosse efficiente, ma tale efficienza non venisse trasmessa all’impresa 
in cui operava, quindi si presentava un possibile problema legato ad 
inefficienze nel processo di coordinamento tra obiettivi di gruppo e d’impresa. 
L’analisi della cultura d’impresa si è sviluppata in riferimento ad un modello 
proposto da Kreps D. (1990), in cui si è assunta la reputazione, come elemento 
rappresentativo della dimensione culturale d’impresa, su cui si fonda la quota 
intangibile di strategia, difficilmente codificabile e trasferibile in termini 
contrattuali. 
La reputazione di un’impresa, in questo studio, è il mezzo attraverso il quale 
l’impresa riesce a trasmettere e diffondere, sia internamente (alla propria 
organizzazione) sia esternamente (al mercato), la densità e la continuità dei 
valori ideologici, morali, ed etici che la compongono. Questi valori sono 
considerati requisiti fondamentali che ogni agente deve possedere, affinché 
possa partecipare in modo continuativo, stabile, e costruttivo alla vita 
d’impresa. 
Un’ultima analisi formale si riferisce ai costi, in termini di comunicazione, e ai 
benefici apportati dalle diversità individuali. Il modello utilizzato (Lazear 
1999) è molto interessante poiché formulato in modo tale da poter interpretare 
le diversità come derivanti da natura conoscitiva o culturale, facendo emergere, 
contemporaneamente la complessità di doti apportata dalla diversità (intesa in 
entrambe le asserzioni), senza dimenticare il conseguente incremento dei costi 
(relativi a comunicazione, coordinamento e conflitti interni). 
 
Per concludere vorrei citare una frase di Merton (1949) “…ogni modo di 
vedere è anche un modo di non vedere”: perché l’individualità soggettiva sia 
considerata come una ricchezza da salvaguardare anziché un limite, senza 
dimenticare l’importanza di sapere volgere lo sguardo con comprensione e 
interesse verso ciò che resta oltre il confine delle nostre percezioni, affinché 
l’argomento trattato in questa tesi mantenga una valenza propositiva non solo 
in ambito strettamente economico. 
 10
Capitolo 1 
 
TEORIE SOCIALI E MODELLI ORGANIZZATIVI NELLA 
FORMAZIONE DI GRUPPI DI LAVORO 
 
1.1       Struttura sociale nei gruppi 
 
Per comprendere le dinamiche interne ai team-work è importante capire cosa 
spinge due o più individui ad associarsi, a condividere le proprie abilità, 
capacità e conoscenze; sotto quale stimolo, singoli individui sono disposti ad 
aggregarsi ed a formare un gruppo di lavoro? 
Prima di analizzare i fattori che determinano ed influenzano una realtà 
economica così complessa, è necessario capire la struttura comportamentale 
alla base della quale si forma un qualsiasi tipo di associazione tra due o più 
persone; in questa concezione, il “gruppo” cui si fa riferimento non possiede 
ancora le caratteristiche di attività economica che saranno studiate in seguito. 
Ciò che si vuole indagare è prima di tutto l’aspetto sociale
1
 per il quale un 
individuo sia disposto a stringere un patto, un’alleanza con altri individui al 
fine di unirsi in un gruppo, una classe, o categoria, sia esso costituito da 
familiari (nucleo essenziale di ogni società), da un gruppo di amici, da 
associazioni sportive, culturali, religiose, forme societarie con o senza scopo di 
lucro, istituzioni sociali. 
Consideriamo quella che oggi è definita “collettività”, ossia un insieme di 
persone, molto vasto rispetto ai gruppi che analizzeremo in seguito, ma che può 
fornirci un aiuto nel chiarire la motivazione principale alla base della 
formazione di gruppi. 
La collettività può essere definita come un esempio di “struttura sociale”, 
composta da un insieme di individui che condividono valori comuni, tale 
struttura è caratterizzata dall’acquisizione di sentimenti di solidarietà reciproci 
e da un costante senso di obbligazione morale a soddisfare le aspettative 
derivanti dal ruolo svolto all’interno della collettività. 
La rinuncia parziale alla propria individualità, associata allo sforzo (valutato 
diversamente da ogni singolo individuo) di doversi conformare ad una struttura 
                                                 
1
 “Fondamenti di sociologia” di Anthony Giddens, Il Mulini ed. 2000 
 11
sociale che richiede una determinata condotta, quindi il riconoscimento di 
norme e convenzioni che la regolano, risulta senza dubbio molto gravoso per 
chiunque; quali sono le motivazioni alla base di tale rinuncia, e quali le 
aspettative? 
Solo la constatazione dell’impossibilità a soddisfare in modo autonomo quei 
bisogni essenziali  quali la sicurezza, bisogni sociali, affettivi, di relazione e di 
appartenenza ad una comunità con norme, valori, credenze e consuetudini 
simili in cui riconoscersi - insieme all’intollerabilità a rinunciarvi, può portare 
una singola persona a limitare parte della propria individualità a favore di altri, 
nel caso considerato, della collettività, al fine di assicurarsi quelle che abbiamo 
definito: esigenze primarie. 
La consapevolezza di questo “bisogno” può quindi essere considerato 
l’elemento fondamentale che porta due o più individui ad unirsi per formare un 
gruppo. 
Le comunità costituiscono un sottogruppo della collettività, in cui, ai 
sentimenti di condivisione di valori fondamentali, si associano patti di 
cooperazione per raggiungere un fine comune che, altrimenti, sarebbe molto 
difficile, o impossibile ottenere singolarmente. 
Alla base della formazione di gruppi, possiamo quindi assumere il 
riconoscimento implicito per ogni singolo individuo della propria limitatezza, 
della mancanza di autosufficienza per soddisfare i propri bisogni o obiettivi, di 
qualsiasi natura siano. 
Dopo quest’analisi sommaria, su ciò che spinge gli individui ad aggregarsi, ora 
è necessario un modello in grado di fornire una definizione più precisa di 
gruppo, ed in particolare che renda possibile un’analisi dettagliata delle 
caratteristiche comuni a diversi tipi di gruppi. 
Il modello proposto da Merton
2
 identifica un generico gruppo, come “un 
insieme di persone che interagiscono secondo determinati modelli, che provano 
sentimenti di appartenenza nei confronti del gruppo, e che vengono considerati 
membri dello stesso gruppo, sia da parte degli altri componenti, sia da soggetti 
esterni”. 
                                                 
2
 “Teoria e struttura sociale” di Robert Merton; Il Mulino ed. 2000, vol. 2 “Studi sulla struttura 
sociale e culturale” 
 12
Da questa definizione si possono ricavare un primo elemento che caratterizza 
ciò che costituisce un gruppo, approfondendo il significato di “interazione 
strutturata da modelli”. 
L’interazione tra due o più soggetti, in ambito sia sociologico sia economico, 
presuppone che le decisioni, il comportamento, le scelte dell’uno influenzino 
quelle degli altri membri del gruppo e viceversa. L’interazione fa riferimento 
ad uno scambio, diretto o indiretto, attraverso la comunicazione o, in assenza 
con l’utilizzo di comportamenti abituali, rituali che assumono un preciso 
significato per i membri di un medesimo gruppo. Perché tale interazione sia 
definita “strutturata” è necessario qualcosa in grado di regolare, ordinare i 
comportamenti in una precisa direzione. 
Possiamo identificare una struttura, come mappa sulla quale più soggetti 
interagiscono tra loro, attraverso un percorso costituito da consuetudini, norme 
di comportamento, codici identificativi del gruppo, credenze, rituali.  
Tale struttura può assumere forme diverse, la differenziazione proposta da 
Merton verte sulla natura del modello di interazione, che può risultare di tipo 
istituzionale o culturale. 
La distinzione principale tra i due tipi di strutture sociali, è da ricercarsi nel 
livello su cui influiscono sul comportamento degli individui, in particolare: le 
norme istituzionali indirizzano i comportamenti degli individui verso 
procedimenti ordinati a priori, prescrivono comportamenti specifici e azioni da 
eseguire, possono essere state formulate per ottenere un risultato ma non 
raggiungerlo. 
Nei modelli basati su norme culturali, ciò che costituisce il fulcro dell’intera 
struttura sociale, possiede natura ideologica, i comportamenti e le azioni dei 
singoli membri di un gruppo sono valutati con criteri di ordine morale, etico. 
Sono i singoli membri di un gruppo a definire il proprio modello culturale, 
basato sulla condivisione dei valori, criteri di giudizio e mete comuni, tali 
norme influiscono sull’emotività degli individui, sono orientate, non ai 
procedimenti ma allo scopo comune, sono quindi flessibili dal punto di vista 
pratico dello svolgimento di singole azioni. 
 13
Certamente, ogni insieme di individui, possiede uno specifico modello di 
attività e di interazione, che definisce in modo preciso i confini del gruppo con 
l’esterno. 
L’importanza rivestita da tutto ciò che è estraneo al gruppo rafforza un’altra 
caratteristica fondamentale quale il “senso di appartenenza”. 
Al fine di stabilire l’appartenenza ad un gruppo, è necessario identificare dei 
criteri oggettivi cui riferirsi per decidere quando un individuo appartiene ad un 
gruppo. L’appartenenza dei singoli soggetti ad una medesima classe, si traduce 
in una serie di comportamenti e attività svolte per riaffermare il proprio ruolo, e 
per rinsaldare i legami che uniscono reciprocamente i membri. 
Uno dei criteri per valutare l’appartenenza è da ricercarsi nel fattore “tempo” in 
cui le attività sono svolte, ossia nella frequenza dell’interazione tra i soggetti e 
nella durata del rapporto, quest’ultimo inteso come arco temporale in cui 
persistono le azioni. 
Un secondo criterio di appartenenza è individuato nel fatto che gli individui si 
percepiscono come “membri” di un’entità comune, e come tali, hanno delle 
aspettative definite, circa i comportamenti ammessi all’interno del gruppo o 
considerati moralmente proibiti. Uno stesso comportamento, attuato da un 
soggetto estraneo al gruppo, non è valutato negli stessi termini, in riferimento 
ai principi adottati nel giudizio. 
Quest’ultima considerazione indica, come, nel modello proposto da Merton, 
anche l’ambiente esterno riveste un ruolo importante, secondo il quale, i 
membri di un gruppo vengono percepiti come tali anche dall’esterno, è 
attraverso questa percezione che il gruppo acquisisce un’identità propria. 
Nel momento in cui vi è una situazione di conflitto con l’ambiente esterno, di 
difficoltà o crisi, il gruppo si rivela nel suo massimo grado di coesione interna, 
apparendo come un’unica entità, il cui destino di ogni singolo membro 
coincide con quello del gruppo. 
Spesso, il gruppo, è considerato come un’entità comune e superiore, questa 
caratteristica è evidente ogni volta che ci si trova a prendere delle decisioni, è 
in questi casi che l’interesse comune assume maggiore importanza rispetto agli 
interessi individuali: il gruppo può allora essere considerato come organismo 
dotato di una propria identità. 
 14
L’identità è intesa come insieme coerente di assunti e valori fondamentali che 
distinguono un particolare gruppo. Gli assunti costituiscono la struttura 
normativa da cui non si può prescindere, affinché sia chiaramente definito un 
insieme di comportamenti che i singoli membri possono adottare nel perseguire 
il fine comune. I valori fondamentali necessitano di apprendimento e di 
educazione dei singoli individui ad un modo di pensare comune, tale da 
percepirsi non più come singoli ma come gruppo. 
Le caratteristiche appena esposte – struttura di interazione, il senso di 
appartenenza, l’identità – sono comuni a una grande varietà di gruppi. 
Una possibile distinzione, particolarmente adatta allo studio che ci si appresta 
ad esaminare, differenzia i gruppi in primari e secondari, in base al tipo di 
legame esistente tra i membri. 
Il legame costituisce l’origine da cui scaturisce il gruppo, le caratteristiche 
comuni descritte sopra, assumono una particolare struttura dipendente dalla 
relazione esistente tra i membri del gruppo, vantaggi e problematiche sono 
differenti in base al legame. 
 
¾ Gruppi primari e gruppi secondari 
 
Per “gruppo primario” si considera un piccolo numero di persone che 
interagiscono direttamente, in rapporti che si possono definire “personali”, 
coinvolgendo l’aspetto psicologico della loro individualità. La dimensione 
ridotta del gruppo è un elemento essenziale, in quanto pone le condizioni 
affinché l’interazione tra i membri sia diretta, questo rende possibile la 
formazione di legami stretti e personali. 
Il termine gruppo primario è stato applicato la prima volta nell’indicare la 
famiglia, ossia il nucleo alla base di ogni società, i cui membri sono legati tra 
loro da rapporti affettivi molto stretti, ciò che i sociologi definiscono “forti 
vincoli emotivi”. In seguito la terminologia ha acquisito un valore meno 
restrittivo, ed ora è applicata per indicare un qualsiasi gruppo la cui 
caratteristica dominante sia rappresentata da stretti legami personali.