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Il teatro è, per eccellenza, ‘luogo dove una qualunque partitura prende vita’ ed, ogni volta, 
l’esperienza che ne deriva è sempre differente. E’ stata, perciò, soprattutto la presa in visione 
di spettacoli dal vivo ad illuminarmi. Penso, infatti, che solo vivendo di persona un’esperienza 
particolare, come una rappresentazione, si possa davvero capire, provare emozioni, sentire 
che, di fronte a noi, si sta compiendo qualcosa di unico ed irripetibile. 
A questo proposito ho cercato di frequentare teatri sempre diversi, sia in Inghilterra, (Londra, 
Cambridge e Chichester, dove si svolge, ogni anno, d’estate, un famoso festival dedicato al 
Musical) che in patria, a Milano e a Pavia, mio teatro locale, le cui stagioni mi hanno vista da 
anni abbonata. Qui ho assistito dal vivo a diversi musical, veri successi mondiali, tra i quali 
cito “Cats” di Webber e “Cabaret” di Fosse, al cui ricordo sono particolarmente legata. 
Ho concluso la mia ricerca con un’intervista a Saverio Marconi, Direttore della Compagnia 
della Rancia, a Milano, alla quale hanno fatto seguito una serie di contatti epistolari tra la 
sottoscritta ed il suo agente, il Sig. Massimo Davico, Direttore del teatro di Torino. 
Infine, ho avuto modo di venire a contatto con una realtà locale, anche se di respiro nazionale, 
ossia l’Associazione L’Artistica, diretta da Marco Daverio e Lorenzo Vitali. Grazie a costoro 
ho avuto accesso ai casting svoltisi presso il teatro San Babila di Milano per il musical 
“Fame, Saranno Famosi”, che ha visto la sua prima nazionale l’ottobre scorso al teatro 
Fraschini di Pavia. 
Ho anche avuto il privilegio di visitare in anteprima la magnifica struttura teatrale ideata 
appositamente per consentire al cast, impegnato nelle prove estive, di rivivere in un ambiente 
molto simile a quello originale. 
Mi tengo tutt’ora costantemente informata sulle nuove produzioni in corso attraverso i media, 
la televisione, la radio e la stampa che, ultimamente, hanno dato ampio spazio al Musical 
come genere teatrale, sia nel caso di revival di successi internazionali, sia in occasione di 
trasposizioni sceniche tratte da classici. 
Ho deciso di occuparmi di un tema a me caro che, al momento, è anche oggetto di molta 
attenzione da parte del pubblico e della critica; attraverso questa ricerca ho tentato di restiture 
al Musical ciò che le vicissitudini del teatro e della storia gli avevano, per anni, negato: 
dignità artistica e valore sociale. 
 
 7
 
Cap. I  Il processo di produzione e realizzazione di un Musical 
  
1.1   Autonomia di un genere 
Partendo dal presupposto che si tratti di un genere teatrale e, dunque, rappresentato in un 
teatro, il Musical si presenta così solitamente composto: uno spettacolo di due atti separati 
da un intervallo più o meno lungo dove l’azione viene portata non solo per mezzo del 
canale verbale ma utilizzando diversi canali artistici, quali la musica, il canto, la danza. 
Soggetto, tono dello spettacolo e stile musicale variano invece a seconda del tipo di show 
che si vuole rappresentare e dalla regia. E’ importante sottolineare che, come tutti i generi 
artistici, anche il Musical ha delle proprie convenzioni e, nella fattispecie, è necessario che 
lo spettatore accetti e riconosca la musica, il canto, la danza come elementi integrati in 
grado di esprimere i sentimenti in forma non solo verbale e si abbandoni a questo flusso di 
emozioni che proviene dal palcoscenico, entrando in contatto con gli interpreti. E’ questa, 
infatti, l’unica possibilità che gli permetterà di entrare ed apprezzare un musical. Questa 
precisazione va fatta poiché, più volte, nel corso della storia dello spettacolo e perfino oggi, 
il Musical è stato confuso da alcuni con l’Operetta (se non addirittura con l’Opera stessa, 
specialmente in casi particolari di estrema drammatizzazione del soggetto, si vedano ad 
esempio,“Il Fantasma dell’Opera”, piuttosto che “I Miserabili ” o “I Dieci Comandamenti”) 
da altri con l’omonima forma di cinema musicale che tutti conosciamo. Questa confusione 
di generi da parte dello spettatore è, tuttavia, plausibile se si pensa alla genesi del Musical, 
ai suoi coinvolgimenti con il cinema, considerate le innumerevoli trasposizioni da e per il 
palcoscenico, e a tutti quegli aspetti che lo rendono simile ad uno spettacolo circense, 
addirittura alle somiglianze col Teatro dei Burattini di cui l’Italia vanta una lunga e gloriosa 
tradizione. E’ facile, perciò, per lo spettatore, perdersi in un labirinto di immagini e 
situazioni performative che lo rimandano a esperienze diverse, di conseguenza 
identificandosi con qualcosa di scarsamente definito e poco chiaro: vicino alla tradizione 
operistica italiana ma non abbastanza compiuto per essere tale, divertente e spettacolare 
come un’impresa acrobatica ma tuttavia serio a tratti, se non addirittura tragico. 
 Spostando invece l’attenzione sulle figure essenziali che caratterizzano la sua messa in  
scena è senz’altro più facile trovare analogie con la macchina di produzione 
cinematografica che con a quella più  semplice del teatro. Il Musical infatti, dal punto di 
vista produttivo, ha diversi aspetti in comune col cinema. Non solo per quanto riguarda la 
spettacolarità del soggetto (che poi si traduce in un uso accentuato delle luci, nella presenza 
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più o meno costante di effetti speciali, nelle dissolvenze e tanti altri trucchi atti ad 
impressionare e stupire lo spettatore) ma, soprattutto, per le figure che ne garantiscono i 
processi produttivi. Le figure del regista, autore e compositore sono infatti supportate da un 
sistema organizzativo imponente, coordinato dal ruolo del produttore che garantisce i 
contatti con potenziali investitori, organizzando speciali serate ed inviti durante i quali sarà 
resa pubblica la lettura del testo e delle partiture musicali. La figura del produttore è 
importante per una prima valutazione delle possibilità commerciali di un progetto, in vista 
delle spese di allestimento, talvolta davvero ingenti. Raggiunta la cifra necessaria a coprire 
almeno i costi iniziali si passa alla ricerca dello staff creativo, che deve essere 
accuratamente selezionato e molto affiatato (per questo motivo spesso si torna a lavorare 
con le stesse persone e si creano vere e proprie collaborazioni che possono dare avvio a 
‘compagnie’) e poi degli interpreti, cioè gli attori-cantanti-ballerini. Il grande fascino del 
Musical, che lo discosta, invece, dal Cinema è che tutti devono sostenere un provino, 
mentre nel Cinema le parti vengono solitamente assegnate più velocemente, spesso sulla 
base di precedenti performance degli artisti o su suggerimenti della produzione. Nel 
musical invece anche le star, sebbene a loro sia concessa un’audizione singola, detta 
appunto dall’inglese solo audition, devono essere messe alla prova. Il rimanente della 
compagnia si formerà invece a partire da quelle che, in gergo, vengono chiamate cattle 
calls
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, letteralmente raccolte del bestiame, a causa della loro rinomata durezza e rigidità di 
selezione. D’altra parte si tratta di enormi investimenti ed perciò necessario assicurarsi le 
migliori risorse disponibili sul mercato, tenendo conto che i posti sono purtroppo un 
numero fisso da rispettare. La professionalità richiesta (il ciò porta a note lotte durante le 
audizioni per ottenere un ingaggio e a molta disoccupazione). Va poi aggiunto il fatto che 
non tutti possono aspirare a tutti i tipi di ruoli: ci sono musical dove i requisiti fisici e 
tecnici non bastano o comunque non sono sufficienti a garantire il posto e se un cantante, 
poniamo, con un’ottima estensione vocale sa muoversi bene anche come ballerino, è in 
grado di soppiantare un altro aspirante che, magari, ha molta più tecnica e precisione nella 
danza del primo ma non ha sufficienti qualità canore, proprio perché nel musical una dote 
                                                 
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 Il musical “A Chorus Line” porta in scena esattamente il meccanismo sopra descritto di una cattle call a 
Broadway, ovviamente romanzandola un po’ per esigenze di copione.La trama, in breve, è questa: centinaia di 
giovani si presentano alle audizioni e devono mostrare le proprie attitudini.Via via il numero degli aspiranti 
viene ridotto fino a che la parte finale della selezione si trasforma in una gara carica di tensione, anche perché il 
regista-coreografo pretende pure di ascoltare le storie personali dei singoli, dalla ribalta, come fossero pezzi di 
teatro. La suspense si prolunga, naturalmente, fino al verdetto finale e c è chi già pregusta gli applausi e chi si 
rassegna a tentare presso un altro teatro.Il Musical teatrale è di Kirkwood, Dante e Hamlisch ed è datato 1975. 
Dieci anni dopo assistiamo alla trasposizione cinematografica di Attenborough con tremiladuecento candidati 
che diventeranno poi i sedici della chorus line, appunto. (SARA VENTURINO, Musical istruzioni per l’uso, 
Milano, Ricordi 2000, p.172 ) . 
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fondamentale è la polivalenza artistica. Non è tanto importante, infatti, eccellere in una 
disciplina quanto saper convincere il pubblico di essere artisti completi e dunque capaci in 
tutto.
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 Il merito finale va a tutto il cast completo.  
 Ecco perché un musical può essere facilmente paragonato e venduto, come un prodotto    
commerciale coperto da copyright: tutto è previsto in anticipo, incluse regia ed 
interpretazione e tutto deve essere mantenuto come nell’originale. La figura del regista resta 
comunque decisiva nel corso della realizzazione dello spettacolo perché è lui a deciderne il 
taglio, ad indirizzare e stimolare il lavoro degli altri collaboratori al fine di arrivare ad un 
prodotto mirato ed omogeneo; è sempre il regista ad apportare variazioni (spesso anche nel 
corso delle prove, cioè quando lo spettacolo ha già una sua forma concreta) e ad avere 
insomma l’ultima parola sulle scelte definitive. In questa fase è molto importante trovare  
investitori  dotati di buon senso artistico che si mostrino quindi in accordo col regista, 
essendo loro i finanziatori del progetto e, quindi, nel diritto di esercitare potere sulla 
produzione stessa. 
 
 
                                                 
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 Per ottenere la parte nel musical “Barnum”, incentrato sulla vita del fondatore di uno dei più famosi circhi 
d’America, Michael Crawford (famoso per essere stato il primo “Phantom” in “The Phantom Of The Opera”) ha 
dovuto a suo tempo apprendere diverse arti circensi, tra cui proprio l’equilibrismo,e d allenarsi per lungo tempo 
prima di essere pronto ad andare in scena. Altro caso è quello di “Starlight Express” dove tutto il cast recita, 
canta, balla, lotta, si insegue, litiga e ci si riappacifica, tutto ciò sui pattini a rotelle.Impossibile dunque ottenere 
la parte, anche se in possesso di buone doti vocali e recitative,a meno di non essere pattinatori provetti. In un 
musical come “Cats ”, invece, interamente basato sull’impatto dell’espressività corporea dell’intero cast che si 
muove sul palco, i ruoli musicalmente più complessi di Old Deuteronomy e di Grizabella sono affidati ad 
interpreti più dotati, sia vocalmente, sia per quanto riguarda la recitazione. Allo stesso modo, quello di 
Mr.Mistoffolees, che prevede invece uno spettacolare virtuosismo coreografico e dunque richiede un ballerino di 
eccezionale capacità, è un ruolo, vocalmente parlando, poco importante.In questo caso è il compositore che ha 
provveduto ad approntare una partitura che non presenti grosse difficoltà nei ruoli cantati in modo di avere ampia 
scelta nella selezione (SARA VENTURINO, Musical istruzioni per l’uso, Milano, Ricordi 2000, p.173). 
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1.2 Struttura del Musical 
 Focalizzando l’attenzione sul Musical così com’è costituito nelle sue parti fondamentali, 
appare composto dei seguenti elementi principali: un book, delle liriche, una partitura, 
coreografie, ambientazioni, luci, scenografie e costumi. Allestire un musical comporta l’uso 
di diversi canali espressivi e presuppone perciò l’utilizzo di tecniche diverse; quando si parla 
infatti di successo si intende un vero successo dato dall’insieme di tutte le parti coinvolte. 
Si comincerà dalla presa in esame del primo di questi linguaggi e, forse, il più importante: il 
book, in italiano libro. La traduzione italiana libro non esaurisce a sufficienza il termine 
inglese, mentre libretto è forse una scelta azzardata, in quanto rimanda al testo della 
tradizione operistica che si fonda su presupposti diversi. Il book  è, invece, più simile allo 
storyboard  cinematografico, ossia costituito dall’insieme di sequenze o, nella forma più 
grezza, di ‘vignette’ che creano, in successione, una storia, una sorta di griglia che determina 
lo spazio da assegnare ai dialoghi, il posizionamento delle scene musicali, ecc. Nel musical un 
book  deve sapersi adattare ad un genere di tono commerciale e di contenuto popolare, nel 
quale le liriche si andranno ad intrecciare alla perfezione con le parti di testo. Se, da una parte, 
questo interscambio di scene dialogate con scene musicali rappresenta un vantaggio per 
l’autore perché, dove non arriva con le parole, può ricorrere alla musica, dall’altra rischia di 
incorrere nell’inconveniente del tempo, limitato ad un paio di ore (in alcuni casi tre, come in 
“Hello Dolly”) ed impone di restringere lo spazio normalmente destinato al dialogo tra i 
personaggi per concederne di più all’emotività suscitata dalla musica. Tale aspetto impone 
all’autore del book il rispetto di alcune regole di base: brevità, chiarezza, immediatezza. La 
trama deve essere semplice ma efficace, così come i personaggi ed i concetti da loro espressi. 
Non deve poi mai mancare un’aria sentimentale fortemente passionale che deve saper 
suscitare emozioni riconoscibili da chiunque, a prescindere da età, sesso, razza e cultura. 
Inoltre il book deve avere in sé quell’elemento che gli inglesi definiscono comedy, inteso 
come capacità di far divertire. Il book deve assolvere alla sua funzione drammatica 
(dall’inglese, dramatic, teatrale) delineando chiaramente personaggi, intreccio, situazioni, 
dialoghi e temi. L’intreccio consiste principalmente nell’azione, un’azione basata su un ritmo 
sempre molto sostenuto, per non far mai calare l’attenzione, così come il flusso delle 
emozioni. Di norma in un book compare anche un intreccio secondario, relativo agli elementi 
che coinvolgono i personaggi comprimari, con due funzioni pratiche: rimpolpare lo scheletro 
della storia per renderlo più interessante e creare alternanza di scena per dare, così, il tempo ai 
protagonisti di riposarsi o cambiare costume. 
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 Si tratta dello schema ereditato dalla ‘coppia comica’ dell’operetta (i comprimari che 
affiancano i protagonisti con funzione comica), della quale più avanti verranno analizzati gli 
aspetti principali. 
Dal punto di vista strutturale, i tre momenti fondamentali del book sono l’apertura, la fine del 
primo atto ed il finale. L’apertura ha il difficile compito di richiamare l’attenzione di tutti gli 
spettatori, creando in loro la concentrazione necessaria per farsi coinvolgere nella narrazione. 
Solitamente un’apertura efficace si sviluppa almeno per i primi trenta minuti. La fine del 
primo atto deve essere tale da creare aspettativa durante l’intervallo che, sebbene possa 
sembrare un momento di disturbo per il ritmo dello spettacolo, è necessario per non sfiancare 
lo spettatore e garantire una pausa agli interpreti. Questo effetto può essere sortito in vari 
modi, ad esempio con numeri musicali di notevole impatto,  lasciando presagire una minaccia 
pendente su uno dei protagonisti o un indizio che suggerisca la possibile risoluzione di 
conflitti in corso. A questo proposito anche il numero di apertura del secondo atto deve essere 
tale da recuperare le fila del discorso emotivo interrotto dalla pausa. Il secondo atto è in 
genere più corto del primo e non introduce elementi di novità nell’intreccio. Il finale deve 
essere invece sempre in crescendo, rispettando lo stile dello spettacolo ma, nello stesso tempo, 
in grado di suscitare emozioni fortissime; un finale sbagliato in senso strutturale può decretare 
perfino il fallimento di un allestimento decoroso. Di solito, proprio per incrementare la 
suspense del finale si usa posizionare, più o meno a tre quarti di spettacolo, un numero di 
forte impatto chiamato in gergo inglese eleven’o’clock number (numero delle 11.00 in punto), 
come si descriverà più avanti. 
Dal book si passerà ora ad analizzare il libretto ( da non confondersi con quello operistico), il 
book previsto per le parti cantate. Il testo delle canzoni prende il nome di liriche, (dall’inglese 
lyrics, letteralmente poesie, nel linguaggio musicale testi), e il motivo di questa dicitura è da 
ricercarsi nell’evoluzione che quest’ arte ha avuto nei secoli. Se, infatti, nelle prime forme di 
musical, le canzoni apparivano come dei brani a sé stanti slegati dall’azione drammatica, con 
lo sviluppo del book - musical, le scene musicali e cantate sono divenute parte integrante del 
copione complessivo, anzi in molti casi il fulcro della scena stessa. A questo proposito i testi 
devono rispondere alle stesse regole di brevità, chiarezza, immediatezza che valgono per il 
book.  
Jane Feuer, nel libro The Hollywood Musical, sottolinea l’importanza dei testi che 
accompagnano una partitura. Così l’autrice commenta, ad esempio, un testo che sottolinea 
l’importanza della la musica in quanto mezzo di comunicazione  di trasmissione di 
sentimenti:  
 
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“ Where there’s music, there’ll be singing 
  Where there’s singing you’ll find skies of blue 
   For when all the world goes wrong 
   A simple little song 
  Will always bring a rainbow, there’ll be a laughter 
   Chasing after sunshine from above. 
  Where there’s sunshine, there’ll be music 
  And where there’ s music there’s love.”
 4
 
 
“Where’s the music introduces a medley of old standards Judy Garland sings in the final show 
of   Presenting Lily Mars. The lyric is instructive not because it is poetically rich but because 
it’s so skeletal. In order to sing the praises of music, the general term “music” must be 
particularized as “song”. The redefinition masks the lack of a real lack of equivalence 
between the two terms. ‘Where there’s music, there’ll be singing’, says the lyric, conveniently 
ignoring the fact that a song   is a hybrid form of presentation, combining purely symbolic 
‘language’ of music with the referential language of words in order to achieve a synthesis 
whish is always referential and which may be addressed to an audience. Without the words, 
music has trouble talking about itself”. 
 
  
 “In privileging songs over non- representational music, however, the Hollywood Musical is 
not necessarily contrasting two languages (music and words) even when it seems to be doing 
so. In the very act of privileging the non-representational language of music over the 
representational language of words, a switch is made so that what at first seems to be a 
contrast between modes of representation actually becomes a contrast between modes of 
presentation. Instead of privileging music over words, the lyric actually privileges song over 
speech that is sung words over spoken words:
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 “He doesn’t just say it, he sings it” – Gene Kelly from “Singing In The Rain”.
 6
 
 
                                                 
4
 “Dove c’è musica, c’è canto, dove si canta troverai cieli blu, perché, anche quando tutto il mondo sembra andar 
per il verso sbagliato, una semplice canzoncina saprà portare un arcobaleno.Ci sarà una risata dietro il sole, da 
lassù, perché dove c’è sole c’è musica e dove c’è musica c’è amore”. La canzone “ Dove c’è musica” introduce 
un  medley di antichi standard che Judy Garland canta nel numero finale di “Presenting Lily Mars”. La canzone 
è esplicativa in questo senso, non per il fatto di essere ricca dal punto di vista poetico, ma perché è così, 
semplicemente lineare. Al fine di celebrare le lodi della  musica, il termine stesso, generico ‘ musica’ deve essere 
inteso nel suo significato di ‘canzone’. Il nuovo modo di definire questo concetto supplisce alla vera mancanza 
di una corrispettività tra i due termini. “ Dove c’ è musica, c è canto” si dice nella canzone, senza considerare il 
fatto che una canzone altro non è che un’ ibrida forma di presentazione, che combina il linguaggio puramente 
simbolico della musica al linguaggio referenziale delle parole, al fine di raggiungere una qualche sintesi di tipo 
referenziale che possa essere usata per rivolgersi ad una platea. Senza le parole, infatti, la musica non potrebbe 
parlare di se stessa (JANE FEUER, The Hollywood Musical, second edition, Bloomington and Indianapolis, 
Indiana University Press, 1993, p.72). 
5
 “ Nel privilegiare canzoni a una musica che non rappresenti nulla, comunque, il musical di Hollywood  non 
necessariamente vuole mettere a contrasto due linguaggi, da una parte la musica, dall’altra le parole, anche 
quando sembra farlo. Nel momento stesso in cui privilegia, invece, il linguaggio non rappresentativo della 
musica rispetto a quello rappresentativo delle parole, avviene un’ inversione tale da far pensare che ci possa 
essere un contrasto tra i diversi modi di rappresentazione. In verità, si crea un contrasto per quanto riguarda i 
modi di presentazione. Invece di rappresentare la musica al posto delle parole, i testi privilegiano il cantato al 
discorso parlato, ossia le parole cantate rispetto alle parole semplicemente pronuncia ( JANE FEUER, The 
Hollywood Musical, Blomington and Indianapolis, Indiana University Press, 1993, p.95). 
6
 “ Non lo dice e basta, lo dice cantando”, Gene Kelly da “Cantando sotto la pioggia”. 
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Esistono poi regole fonetiche: la scelta dei termini deve tenere conto anche del suono che 
producono, in modo da non riempire i versi di consonanti troppo dure o da non posizionare 
vocali chiuse su note alte o in punti difficili della partitura, rendendoli incantabili. Le canzoni 
devono anche assumere funzione drammatica per creare quel flusso di emozioni di cui già 
accennato in precedenza e devono perciò essere scelte con attenzione: dense di significato, 
non devono sembrare troppo ripetitive affinché l’azione possa progredire, i contenuti devono 
essere immediati e comprensibili da chiunque al primo ascolto, senza problemi di 
interpretazione. Le canzoni definiscono anche i personaggi; ciascun carattere, infatti, ha 
propri modi di esprimersi e un proprio vocabolario, metafore ed immagini mentali differenti   
che devono essere tenute presenti al momento di stesura  dei brani da interpretare.
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Canzoni 
scritte con tali obiettivi non sono pensabili al di fuori del personaggio, tanto che  perdono 
molto del loro senso se tolte dal contesto.  
Non a caso gli hit tratti dai musical, ossia i brani di successo che entrano in classifica e 
trainano le vendite della stessa colonna sonora, sono solitamente brani - manifesto ad uno 
stadio generico, che rappresentano il tema dello show o contenuti sentimentali avulsi dai 
personaggi. Parolieri e compositori devono essere, per questo motivo, coppie molto ben 
assortite. Partendo dalle liriche è possibile introdurre il concetto di partitura, analizzandola 
com’ è composta nelle sue tre componenti principali: melodia, armonia e ritmo. Nel musical 
la melodia è la sequenza di note che  permette di ricordare ed identificare una canzone ed è il 
più delle volte corrispondente alla parte cantata. La maggior parte delle melodie sono in forma 
discorsiva ed hanno sempre l’obiettivo di integrare e far procedere il racconto. L’armonia è un 
concetto più complesso ma, semplificandolo, possiamo dire che riassuma la somma  degli 
accordi che accompagnano la melodia. Gli accordi sono gruppi di note suonate 
simultaneamente su uno o più strumenti che nel musical hanno il compito di colorare le 
atmosfere suscitate dal testo. Infine il ritmo. La musica è funzionale soprattutto al ritmo ed è il 
movimento che ricalca le situazioni delle rappresentazioni. Il ritmo di un brano esprime quello 
che un personaggio sta provando in un preciso momento. Il ritmo sfocia poi nella danza, pura 
espressione corporea. Parlando di danza non è possibile non citare le coreografie, le sequenze 
danzate nelle quali è possibile esprimere visivamente quello che musica e parole 
emotivamente evocano. In origine l’inserimento di danze negli spettacoli era attribuito a due 
ragioni fondamentali: aggiungere momenti di divertimento allo show e giustificare la presenza 
                                                 
7
 Un tipico esempio sono i personaggi di Eliza Dolittle e del Professor Higgins, protagonisti di “My Fair Lady” ; 
basta infatti confrontare il loro linguaggio, l’uno saccente ed accademico del Professor Dolittle,l’altro 
sgrammaticato e foneticamente scorretto del dialetto cockney di Eliza, per comprendere dei due personaggi 
molto di più di quanto non sia stato detto dal copione fino a quel punto ( KURT GANZL, Musicals, London, 
Carlton Books Ltd.,1995,p.132). 
 
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di belle signorine in abiti succinti che hanno da sempre stimolato il gradimento del pubblico, 
soprattutto maschile. Oggigiorno, invece, le coreografie hanno assunto sempre più 
importanza, al punto che in alcuni casi una sequenza danzata può sostituirsi al dialogo senza 
perdere in efficacia comunicativa. Coreografia non vuol dire poi soltanto danza nel senso 
stretto del termine, ma anche movimento di scena. Molti musical moderni non hanno  vere e 
proprie parti danzate ma piuttosto dei ‘quadri’ in cui è necessario articolare il movimento 
sulla scena di gran parte del cast per ottenere effetti incisivi. Il pubblico ha sempre 
l’impressione di un movimento assolutamente realistico e naturale ma in realtà ogni 
spostamento è calcolato con precisione estrema. Questo vale anche per la gestualità dei 
singoli attori, che non è mai improvvisata.  
La scenografia, infine, include il lavoro accurato di costumisti e degli addetti alle luci. Sono 
questi aspetti tutt’altro che insignificanti, frutto di lunghe ricerche che prevedono molte prove 
nel corso della preparazione di uno spettacolo e prendono il nome di tryout. Scenografie, 
costumi e luci condividono un fondamentale obiettivo espressivo: il colore, la cui importanza 
deriva dall’impatto immediato sul pubblico. Attraverso il colore si può infatti suggerire 
movimento, alterare la percezione delle forme, influenzare, atmosfere e stati d’animo. 
L’impianto scenico, i costumi ed il disegno delle luci,
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 salvo modifiche apportate dallo staff, 
rimane immutato per tutto il tempo della messa in scena di un musical,  a volte per anni. Solo 
nel caso di allestimenti di revival, ossia spettacoli interrotti da molti anni che vengono, dopo 
un certo periodo di tempo, riproposti al pubblico, è permesso rivisitare tali impostazioni, 
come a volte accade anche per gli arrangiamenti musicali, che vanno adattati al gusto che, 
inevitabilmente, è soggetto a continui cambiamenti.Una considerazione merita di essere fatta 
sull’ effetto complessivo che uno spettacolo così costituito ha sul pubblico. Chi allestisce un 
musical vuole innanzitutto affascinare il pubblico con la sua storia, rapirlo con la sua musica, 
sbalordirlo con la bravura dei suoi interpreti e con incredibili effetti scenici, farlo ridere di 
gusto ed insieme commuoverlo fino alle lacrime. Per questo motivo, a differenza di quanto 
accade in altre situazioni teatrali, dove lo spettatore può applaudire solo alla fine della 
rappresentazione, l’applauso a scena aperta è una costante del teatro musicale, favorito da 
questo da una particolarità della propria struttura divisa in ‘quadri’. 
                                                 
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 Le luci, una volta, le faceva il regista, coadiuvato da un elettricista e, al massimo, da un direttore delle 
luci.Oggi i direttori delle luci si chiamano “Light designers” ed hanno un’autonomia relativa, alla pari dello 
scenografo, del musicista e del costumista. Spesso, purtroppo, il risultato è che le luci non hanno niente da 
spartire con la scenografia e perciò stridono col resto.Ecco perché è importante, oggigiorno, trovare ottimi 
tecnici specializzati. (SARA VENTURINO,  Musical istruzioni per l’uso ,  Milano, Ricordi 2000,  p.189).