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La comunicazione all'interno del film

La comunicazione all'interno del film



Tuttavia, un tale punto d’avvio comporta un che di paradossale. Questo tu che si costituisce con il costituirsi stesso del discorso filmico è infatti come prigioniero di una doppia gabbia.
- Da un lato esso si confonde con il semplice rappresentato: né è piuttosto uno dei principi d’ordine. E nondimeno questo tu tende a ogni passo a far parte di quanto dovrebbe invece dominare. Insomma, quello che di per sé dovrebbe essere un mero presupposto, trova il proprio ambito in quel che è posto, sia perché vi si specchia, sia perché vi si travasa.
- Dall’altro lato questo tu che si afferma con l’affermarsi del film tende ad anticipare qualcosa che a quest’ultimo sfugge, e cioè la presa in carica delle immagini e dei suoni da parte di un individuo in carne ed ossa. Infatti la meta cui il discorso filmico punta e che già pone per il fatto stesso di esistere è in realtà fuori dalla sua portata: al di là dello schermo, ben oltre una previsione. Mero ruolo enunciazionale, questo tu allora non diventerà mai quanto pure lo completerebbe, un corpo.
Dunque, la destinazione interna a ogni film si trova per suo stesso statuto a lavorare su due frontiere;
- da una lato quella che separa un presupposto da un posto, l’enunciazione dall’enunciato;
- dall’altro quella che divide una realtà di diritto da una realtà di fatto, l’enunciazione dalla comunicazione.
Quel soggetto che abbiamo chiamato enunciatario, e che fa da perno al darsi a vedere e intendere del film, scorge il proprio terreno di manovra continuamente minacciato. Preso tra una presenza ingombrante e un’assenza incombente, tra qualcosa di troppo vicino – che lo rivela ma che anche lo maschera – e qualcosa di troppo lontano – che non si lascia dominare e il cui aggancio e affidato all’azzardo –, l’enunciatario non può che operare ai margini della partita: la sua esistenza ha in fondo la qualità del residuo.
Ciò a maggior ragione se si pensa ai rapporti che intrattiene con il suo convenuto, l’enunciatore. Quest’ultimo infatti pone l’enunciatario, e nello stesso tempo ne è posto: lo pone attraverso una schizia, che porta appunto all’affermazione di un antisoggetto, e ne è posto ogni volta che per oggettivare se stesso e la propria azione cerca di vedersi vedere, e dunque si scopre attraverso gli occhi dell’altro.
Non a caso siamo partiti dall’interpellazione, e cioè da quel momento in cui l’io, sporgendosi verso il fuori campo, cercando di oltrepassare lo schermo, chiama in causa qualcuno che gli è certo di fronte, ma sembra anche rispondere a un implicito invito; insomma da quel momento in cui chi muove il gioco crea il propri interlocutore, ma anche se ne serve per affermarsi pienamente.
Cosi come non a caso abbiamo concluso con la sanzione, e cioè con quel momento in cui l’enunciatore fronteggia delle versioni alternative di fatti, e commisura a esse anche la propria; dunque da quel momento in cui chi muove il gioco prende possesso dell’enunciato, con tutte le sue condizioni di esistenza, ma solo dopo essersi sottoposto a giudizio, come e assieme a chiunque.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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