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Due tappe moderne della letteratura femminile: Woolf e de Beauvoir

Il femminilismo letterario del Novecento ha due autorità in Virginia Woolf e Simone de Beauvoir. Già negli anni ottanta dell'Ottocento si va elaborando una nuova femminilità (new woman) che reclama in ogni sfera pari diritti per uomini e donne. Contro l'immagine di una femminilità statica, uno dei compiti della narrativa inglese tra le due guerre è mettere in crisi tale rappresentazione.
Nel 1928 la Woolf pubblica Orlando, di cui è protagonista un essere alternativamente maschile e femminile. In Una stanza tutta per sè, la Woolf afferma che la donna può svolgere il lavoro intellettuale tradizionale prerogativa degli uomini, ma per farlo deve avere uno spazio tutto suo, un luogo prima di tutto mentale, garantito dall'indipendenza e dal benessere materiale.

Nell'Ottocento le donne si danno alla letteratura, prediligendo rispetto agli uomini certi generi: il romanzo, il diario e l'autobiografia, che favoriscono l'espressione dell'interiorità. Il romanzo diventa  banco di prova e laboratorio di una nuova idea di donna, la donna scrittrice, incarnata dalla Woolf.

Nel 1949 esce Il secondo sesso, di Simone de Beauvoir, che indaga le ragioni storiche del maschilismo: la donna non è mai stata soggetto come l'uomo, ma l'altro dell'uomo. La femminilità è una costruzione politica che perpetua stereotipi e discriminazione. La Beauvoir conclude il suo lavoro con l'auspicio che uomini e donne, al di là delle differenze, affermino la loro fraternità.

Dalla collaborazione tra i sessi nasce una nuova idea del mondo. Questo è il merito dei Cultural Studies e di chi vede nella ridefinizione dei luoghi comuni il fine della letteratura comparata.

Tratto da LETTERATURA COMPARATA di Domenico Valenza
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