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Deleuze e "Film" di Samuel Beckett



"Film" di Samuel Beckett si basa sulla massima di Berkeley “Esse est percipi”, e Deleuze analizza come viene drammatizzato il rapporto sguardo – oggetto, sfiorando la visione frontale di Buster Keaton; il protagonista dapprima sfugge allo sguardo altrui, che inorridisce quando lo vede (immagine-azione), poi percepisce soggettivamente e insieme fa percepire oggettivamente alla cinepresa gli oggetti della stanza, mentre annulla tutti gli sguardi su di sé tentando di autoannullarsi (immagine-percezione), infine si assopisce e consente alla cinepresa di inquadrarlo, cinepresa che si rivela un “doppio” del protagonista stesso (immagine-affezione). Il cinema in Deleuze è un “occhio variabile”, che può essere non-umano e mutevole oppure ancorato ad un centro e generatore perciò di movimento, originando rispettivamente l’immagine-azione e l’immagine-percezione; il passaggio da un’immagine-movimento ad un’altra entro il flusso dell’immagine-materia dà l’immagine-percezione, cui corrisponde per reazione un’immagine-azione, e ciò compone lo schema senso-motorio o percettivo-attivo, opposto allo schema ottico-sonoro incarnato dal bambino neorealista e dalla sua pura “voyance” priva di attività pratica; l’immagine-affezione sorge nel centro di indeterminazione, ossia il soggetto, e la percezione è un sostantivo, l’azione un verbo e l’affezione un aggettivo.

Tratto da SEMIOLOGIA DEL CINEMA di Massimiliano Rubbi
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