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G. Debenedetti e il senso di copla della sua opera


Ma constata che in fondo questa è una illusione, e che certa critica costringe gli autori addirittura a dover ripercorrere i suoi gesti più sgradevoli, riassumendo la propria carne. Niente ritorni indietro desidererebbe invece Debenedetti, proiettando invece l’autore amato verso un confronto radicale con la fine, alla conquista di quell’immagine di se stesso che è data dalla definitiva chiusura del percorso di un’ opera, chiusura che si svolge come una sfida continua, un interminabile appello allo spirito profondo delle cose, e dal continuo castigo di se stesso, come se questa sfida non si possa terminare, rinviando continuamente verso una conclusione che non c’è, che si afferma nel proprio stesso non esserci.
È questo il confronto col diavolo di cui si parlava, nel quale si raggiunge un compimento nell’atto stesso in cui si insegue il suo perpetuo sfuggire. In altre parole un senso di colpa che viene tenuto acceso nella biografia per castigarsi di non potere raggiungere se stesso, e contemporaneamente, provocarsi, con questa continua trafittura, a non considerare chiusa la partita; un continuo ricondurre l’opera al continuo rinvio di se stessa, quasi fosse il vittimismo di un escluso dalla possibilità di esprimersi, proprio mentre sta dando fuori il più insperato e profondamente felice capolavoro di stile dei tempi moderni.
Un'altra opera di orizzonte escatologico è sicuramente il saggio su La quinta stagione, del 1960, dedicato ad un altro degli scrittori prediletti di Debenedetti, Umberto Saba. È una lettura di un testo sabiano molto singolare, la raccolta Epigrafe, uscita solo postuma a suggello del Canzoniere, e in cui spesso si annodano i fili della morte e della fine.
Le poche poesie della raccolta, vengono fissate dal critico proprio nella loro dimensione finale, nella retroazione che su di esse viene data dalla morte corporale del poeta, poesie che sembrano quasi vincere vittoriosamente sulla nevrosi del loro autore proprio quando il loro demiurgo è morto. E si dovrebbe dunque parlare del forte interesse di Debenedetti per la psicanalisi, che alla luce di quanto detto, sembrerebbe rientrare nel dominio dell’escatologia e del confronto con una dimensione di senso “ultima”, con un appello al senso della vita e sulla consistenza e la possibilità stessa del personaggio e della sua costruzione.

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