Nichilismo in Junger. Nietzsche e Dostoevskij

È singolare che Junger già dalle prime battute del suo saggio citi Nietzsche come padre del nichilismo, soprattutto con la sua opera Volontà di potenza. Lo fa perché è d’accordo con Nietzsche quando afferma che il nichilismo non rappresenta un punto d’arrivo della società o della filosofia o della morale. Nietzsche proponeva in maniera ottimistica un uscita da esso attraverso il superuomo. Junger vuole far notare come spesso di Nietzsche si tiri fuori l’aspetto distruttivo della sua filosofia, quando in realtà egli propone una soluzione e dunque è ottimista nei riguardi del presente e del futuro. A seguire J. cita Dostojeski letterato, autore di Delitto e castigo; autore un po’ esistenzialista. Anch’egli parla di una società nichilista e secondo Junger anche in lui esiste una prospettiva positiva e per questo motivo lo prende in considerazione. Inoltre egli fa riferimento a questi due grandi per prenderne esempio da un punto di vista metodologico: entrambi hanno lasciato una speranza. Dostojeski in realtà è molto più attento ai problemi morale e teologici: egli ritiene che solo attraverso l’esperienza del dolore, e solo dopo aver toccato il fondo si possa rinascere e scorgere una via positiva. In generale allora il nichilismo viene considerato dagli autori come una tappa necessaria, ma non ultima, del processo evolutivo delle società occidentali. Junger alla fine del suo saggio parlerà di Wildnis più o meno traducibile con “terra selvaggia” o “terra vergine” come spazio spirituale dell’uomo ancora incontaminato e grazie al quale è possibile vedere dei barlumi di luce e di rinascita spirituale di tutto l’Occidente. Secondo Junger il nichilismo si manifesta
- con la sopraffazione del singolo da parte delle società di massa
- attraverso la guerra tra Stati che hanno desiderio di distruggersi reciprocamente a causa di un processo che prende piede dalla” paura” dell’altro.