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I Vizi dell’Istruttoria


Come ci si difende se queste regole sono violate? Come ci si difende di fronte ad un’iniziativa illegittima? La prima cosa da chiedersi è se si possa paralizzare questa iniziativa prima che l’autorità la compia. Esempio: la finanza bussa alla porta della dimora del contribuente pretendendo di entrare senza autorizzazione del PM. Cosa può fare il contribuente? Può impedire l’ingresso in casa? Se cerchiamo una risposta dal punto di vista giudiziario non la troviamo facilmente: è difficile trovare un giudice a cui chiedere di ordinare alla finanza di non entrare. Il giudice più vicino potrebbe essere il giudice amministrativo perché stiamo parlando di un atto di supremazia, ma non esiste la possibilità di chiedere l’inibitoria al giudice amministrativo. In astratto si potrebbe pensare di fare un ricorso al giudice civile perché l’unico strumento generico previsto dalla legge è quello dell’art. 700 C.p.p. , ma non è che quando arriva la finanza a casa del contribuente per entrare questo possa rivolgersi direttamente al giudice civile. Quindi bloccare l’iniziativa prima con un provvedimento giudiziario è molto difficile. Talaltro a volte non ci sono neanche dei provvedimenti da impugnare: quando la finanza vuole entrare nell’abitazione del contribuente cosa si può impugnare davanti al giudice? Il contribuente non può bloccare l’iniziativa giuridicamente ma può resistere materialmente? Resistere passivamente si può, resistere violentemente è già più opinabile. In realtà c’è un decreto luogotenenziale del 1944 che dice che è legittimo resistere alle prepotenze dell’autorità pubblica, ma l’applicabilità di questo decreto è talvolta discussa. La resistenza passiva però è ammessa. Vediamo se almeno il contribuente può difendersi dopo l’iniziativa illegittima dell’autorità pubblica, dato che non può impedirla prima. Esempio: hanno trovato nascosti nel calzino i rotoli di €, il fisco fa l’accertamento, il contribuente può chiedere l’annullamento dell’accertamento perché l’accesso è avvenuto senza mandato? Problema diverso è se chi ha commesso l’abuso sia punibile: sarà punibile ma al contribuente interessa far dichiarare l’accertamento invalido, non gli interessa se il finanziere che ha fatto l’accesso senza mandato verrà punito o meno. Questa questione divide la giurisprudenza, due sono le tesi:
- L’atto di accertamento è valido lo stesso (Sezione della Cassazione presieduta da Sceriffi): non si può applicare al processo tributario il principio processual-penalistico dell’inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite. Questo principio è valido quando si tratta di condannare la gente perché sono necessarie maggiori garanzie, nel processo tributario l’inutilizzabilità non vale perché non è prevista da nessuna norma tributaria.
- L’atto di accertamento è illegittimo (orientamento ribadito anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ma successivamente smentito da altra giurisprudenza)
Come si risolve il problema? Il fondamento non deve essere ricercato nelle norme del processo penale: l’inutilizzabilità deriva da un’altra fonte. Il procedimento tributario è un procedimento amministrativo. Il procedimento amministrativo può esser considerato come una successione di atti e uno dei principi tipici di questo procedimento è che il vizio di un atto si riverbera su tutti quelli successivi: se è viziato un atto a monte cadono anche gli atti a valle. L’istruttoria viene prima dell’avviso di accertamento: se è viziata l’istruttoria cade anche l’avviso di accertamento. In linea di principio è corretto l’orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Questo però non significa che la violazione di tutte le regole determina l’invalidità dell’avviso di accertamento, non sempre le scorrettezze dell’istruttoria comportano l’invalidità dell’accertamento. Ci possono essere violazioni più o meno gravi, ma la distinzione più importante è un’altra: ci sono regole che tutelano il contribuente e ci sono regole che con la tutela del contribuente non hanno niente a che vedere. Esempio: gli accessi nelle imprese devono essere autorizzati dal capo dell’ufficio, ma che tutela ha il contribuente dal fatto che l’autorizzazione deve provenire dal capo dell’ufficio? Non è che questo sia più garantista dell’impiegato, questa è una regola organizzativa interna, se l’ufficio la viola non c’è nessun vizio dell’accertamento perché è una questione organizzativa dell’amministrazione. Se invece si tratta dell’autorizzazione del PM per entrare nell’abitazione privata allora si verifica la funzione di tutela del contribuente: la norma è una norma di garanzia di interessi privati, se viene violata il contribuente può farla valere. E se per caso il controllo è stato fatto in casa di un terzo? Esempio: il contribuente nasconde tutta la sua contabilità a casa di sua cognata, la finanza va a casa di sua cognata senza l’autorizzazione del PM. La finanza invade la sfera privata della cognata e poi fa l’accertamento al contribuente. Il contribuente potrà dolersi del fatto che è stata lesa la sfera privata non sua, ma di un altro soggetto? Si, perché quello che importa è che ci sia una tutela di interessi privati violata dall’autorità pubblica. Discorso diverso è quando la norma violata riguardi interessi diversi. Abbiamo già fatto l’esempio dell’autorizzazione del capo dell’ufficio. Vediamone un altro: molto spesso gli accertamenti tributari nascono dal processo penale, ad esempio si indaga qualcuno per spaccio di droga, riciclaggio, ecc.. si trova un grosso quantitativo di denaro e si vogliono trasmettere le risultanze delle indagini penali alla guardia di finanza o agli uffici tributari. C’è una norma che dice che questa trasmissione si può fare solo con l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria che deve valutare se questa sia compatibile con le esigenze delle indagini. La ragione per cui si richiede l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria è tutelare il segreto dell’indagine. Molto spesso la trasmissione degli atti agli uffici tributari avviene senza questa autorizzazione e il contribuente in questi casi cerca di far annullare l’accertamento. Sulla base di quanto detto sopra (bisogna andare a vedere qual è l’interesse leso) si arriva alla conclusione che il ragionamento del contribuente non è fondato: a lui cosa interessa della necessità di segretezza delle indagini? Nulla. L’autorizzazione del PM deve essere motivata. Cosa succede se l’autorizzazione non è motivata? Dipende da che livello di garanzia si desidera: se riteniamo che il fatto che il PM l’abbia saputo sia una garanzia sufficiente può bastare anche l’autorizzazione non motivata. Ma un’autorizzazione non motivata è anche un’autorizzazione non controllabile (anche se è un atto non impugnabile la motivazione serve comunque a sapere perché il PM ha deciso di concedere o meno l’autorizzazione). Quali sono le conseguenze della mancata motivazione? Dipende da quanto riteniamo forte la garanzia.

Tratto da APPUNTI DI DIRITTO TRIBUTARIO di Luisa Agliassa
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