Skip to content

Il Neorealismo


Il neorealismo è stato un fenomeno eterogeneo, quindi non dotato di un manifesto o di poetiche programmatiche, che ha interessato una buona parte del cinema italiano dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, cioè il 1945, al 1953/1954.
Questa datazione non è universalmente riconosciuta, in quanto il periodo più florido fu in realtà quello immediatamente successivo alla fine della guerra.
Il 1945 è l’anno in cui, dopo la Liberazione, finisce la guerra ed esce “Roma città aperta”, film diretto da Roberto Rossellini.
“Roma città aperta” è considerato l’atto di nascita del neorealismo, fu in parte girato prima che la città fosse completamente liberata e riassume il sentimento di identità nazionale che andava formandosi in quegli anni.

Nel 1953:
• Escono i film più radicali del neorealismo, ovvero “Amore in città” e “Umberto D.”
• Si tiene a Parma un convegno cinematografico che, celebrando il neorealismo, in qualche modo ne segna anche la fine.
Esce infatti anche il film “Pane, amore e fantasia”, diretto da Luigi Comencini.
Il film è ambientato in un piccolo paesino dell’Abruzzo, fu girato prevalentemente in esterni autentici e i personaggi si esprimono in un italiano ricco di inflessioni dialettali.
Ripropone quindi molte delle peculiarità del neorealismo senza però la tensione etica e la ricerca sul piano estetico.
Nel momento in cui il neorealismo diventa uno “stile” viene segnata la sua morte.

Nei confronti del neorealismo, si possono individuare due atteggiamenti:
• Alcuni lo considerano un fenomeno “stretto e lungo”: stretto perché avrebbe interessato solo una parte del cinema italiano e lungo perché, pur essendo il periodo più florido quello tra il ’45 e il ’48, sarebbe possibile individuare delle manifestazioni che negli anni precedenti lo hanno preannunciato e manifestazioni che negli anni successivi avrebbero da esso ereditato molti aspetti.
Secondo questa prospettiva il neorealismo sarebbe nato dalla negazione del cinema italiano sotto il fascismo.
• Altri lo considerano un fenomeno “largo e corto”, in quanto non sarebbe del tutto opposto al cinema italiano degli anni precedenti, con cui esisterebbero soprattutto dei legami intertestuali.

Il cinema degli anni30, quindi sotto il fascismo, faceva affidamento soprattutto sul genere della commedia e tutti i generi erano posti al servizio della propaganda (ad eccezione del cinema di finzione). Caratteristica di questi film è l’assenza della realtà: non viene mai mostrato il paesaggio autentico e nemmeno il rapporto tra personaggi e l’ambiente in cui sono immersi.

Si possono individuare però almeno tre film che in questo periodo rovesciano tale immaginario cinematografico:
• “I bambini ci guardano”, diretto da Vittorio De Sica.
• “Quattro passi fra le nuvole”, diretto da Alessandro Blasetti, regista per molto tempo legato al regime fascista. L’adattamento cinematografico viene attribuito nei titoli di testa a Giuseppe Amato, ma in realtà l’autore fu Aldo Di Benedetti, il quale non poté firmare perché era ebreo.
La commedia ruota attorno alla figura di un commesso viaggiatore, il quale durante un viaggio di lavoro incontra una ragazza madre che sta per partorire, per la quale si fingerà marito e padre del nascituro davanti alla famiglia.
Il film si apre proponendoci l’atmosfera idilliaca delle immagini della campagna italiana, accompagnate da una musica allegra e i titoli di testa. Quest’atmosfera lascia spazio poi a inquadrature che ci mostrano una serie di palazzoni romani piuttosto anonimi e la casa dove il protagonista vive con la moglie e i figli. Qui vive l’atmosfera tipica della quotidianità delle famiglie, caratterizzata da battibecchi tra coniugi e problemi di natura economica, temi che fino ad allora il cinema aveva deciso di non rappresentare.
Il periodo che il protagonista trascorre con la giovane donna in stato interessante costituisce una cornice idilliaca nel quale egli sceglie di cercare rifugio, tornando poi alla fine del film alla sua vita di tutti i giorni.
• “Ossessione”, diretto da Luchino Visconti nel 1943.
Questo film in particolare è caratterizzato da personaggi umili, dominati da passioni primarie e immersi nel paesaggio padano, ma soprattutto distrugge la nozione di famiglia, punto cardine della politica sociale fascista.
I protagonisti infatti sono Gino, un vagabondo, e Giovanna, giovane moglie del proprietario della trattoria che ci viene presentata all’inizio del film. Tra i due si instaura una relazione di natura sessuale che porterà loro ad uccidere il marito della donna simulando un incidente stradale.
La vicenda, che assume un andamento tragico, si basa sul romanzo “Il postino suona sempre due volte” di James M.Cain, con cui però Visconti intende omettere il legame.
Come in “Quattro passi fra le nuvole”, il film si apre con inquadrature in camera car sopra le quali sono sovraimpressi i titoli di testa e che ci presentano la campagna padana. L’atmosfera tuttavia non è idilliaca, ma conflittuale.
Vengono presentati inizialmente tutta una serie di individui anonimi, di origini umili, accompagnati da una voice over maschile che intona una musica lirica.
La voice over appartiene al protagonista che fino all’incontro con Giovanna nelle cucine della trattoria vedremo solo di spalle. L’inquadratura di spalle fa sì che poi, quando Giovanna vede Gino in fuori campo, per lo spettatore sia evidente la passione carnale e la tensione che si instaura fin da subito tra i due.
Esattamente come il film di Blasetti, anche Visconti distrugge la nozione di famiglia, trasgredendo i principi cardine fascisti.

Con il neorealismo, i registi riscoprono la necessità di portare la cinepresa a contatto con la strada: si valorizza l’attualità, agli attori professionisti si affiancano attori presi dalla strada e si ricorre a set autentici sia per gli esterni che per gli interi.
Questa decisione era anche dovuta al fatto che gli studi erano andati distrutti a causa dei bombardamenti.
Tali affermazioni sono vere solo in parte, in quanto si possono individuare diverse eccezioni.
Sciuscià”, film diretto da Vittorio De Sica nel 1946, fu girato in larga parte in studio.
Roma città aperta”, invece, faceva affidamento su attori che avevano già una carriera cinematografica ma anche teatrale, tra cui Anna Magnani.
Il cinema assume l’importante funzione sociale di strumento di conoscenza della realtà e instaura un rapporto paritario tra registi, collaboratori e pubblico.

Nonostante non sia facile individuare gli autori neorealisti, è opinione comune che vi siano stati 4 maestri del neorealismo:
• Vittorio De Sica, divo del teatro e del cinema degli anni ’30, specializzato nella commedia comico-sentimentale. Esordisce come regista nel 1940 e nei primi anni della sua attività rimane legato al genere della commedia, assumendo poi posizioni più mature che già con “I bambini ci guardano” lo affermano come regista di riferimento di quegli anni.
• Luchino Visconti, regista di origini nobili che sosteneva la filosofia marxista.
“La terra trema”, film di Visconti del 1948, costituisce l’unico film marxista della storia del cinema italiano.
• Roberto Rossellini, regista romano che esordisce nel cinema con una trilogia, apparentemente legata alla propaganda fascista.
• Giuseppe De Santis, regista ciociaro che svolge prima l’attività di critico cinematografico per la rivista “Cinema”. Di orientamento comunista, manifesta una grande conoscenza del cinema hollywoodiano, di cui riesce a far coesistere i canoni con quelli del neorealismo nel suo film “Riso amaro”.

I film neorealisti sono fortemente legati alle condizioni politiche, sociali ed economiche dell’Italia del tempo, di cui, consapevolmente o meno, forniscono allo spettatore odierno una importante testimonianza. Riscoprono così l’importanza dell’attualità, caratterizzandosi per un andamento cronachistico e la tendenza al reportage.
Si definiscono film antiletterari, non perché i personaggi siano tutti realmente esistiti o perché non abbiano alcun legame con opere letterarie, ma per la loro costruzione del racconto: non si cercano più vicende eccezionali, ma si dà valore alla vita quotidiana, assumendo come punto di riferimento il tempo esistenziale.
Essi sono riconducibili anche all’idea di umanesimo rivoluzionario, in quanto mettono l’uomo al centro del loro interesse, raccontando vicende che potrebbero essere accadute a qualunque italiano dell’epoca.

Nel settembre 1945, in un mini-festival all’interno di un teatro romano, viene presentato “Roma città aperta”, film diretto da Roberto Rossellini e atto di nascita del neorealismo.
Il titolo del film si riferisce a un evento storico: nel 1943 Roma viene dichiarata città aperta, condizione che preservava i suoi beni materiali e architettonici dalla violenza nazista ma non i cittadini e che durerà fino al 1944.
Nonostante si debba considerare un film corale, in “Roma città aperta” assumono particolare importanza i personaggi interpretati da Aldo Fabrizi, cioè Don Pietro, e Anna Magnani, la popolana Pina.
Nella sequenza iniziale del film, Rossellini sottolinea la casualità dei personaggi e delle vicende presentate. In realtà, alcuni dei personaggi sono ispirati a persone realmente vissute: per esempio, il comunista Manfredi è ispirato a Cesare Negarville, capo del partito comunista clandestino, e Pina a Maria Teresa Gullace, popolana che morì sotto i colpi dei nazisti.
In una delle scene più celebri il film racconta una retata dei nazi-fascisti, i quali stanno cercando uomini italiani nascosti in un edificio popolare.
Tra questi verrà portato via Francesco, promesso sposo di Pina, che morirà davanti al proprio bambino sparata dall’esercito nazista.
In questa scena Rossellini sceglie di non rappresentare la lacerazione sociale che divideva l’Italia in due schieramenti: sceglie di omettere i fascisti e di valorizzare la contrapposizione trai tedeschi e i civili italiani, rappresentati come un gruppo solidale che resiste ai nemici.
Questa scelta era dovuta alla necessità di preservare l’identità nazionale e allo stesso tempo evitare reazioni sia da parte di chi aveva sostenuto il fascismo sia da parte di comunisti e socialisti.
In un’altra scena celebre, Manfredi viene catturato dai tedeschi e rinchiuso nel comando della Gestapo a Roma, dove il comandante cerca invano di farlo parlare. In questa parte del film è evidente la contrapposizione di carattere morale tra tedeschi, che incarnano il male, e i resistenti, simboli del bene e della virtù. Il generale cerca di convincere Manfredi attraverso Don Pietro, costretto a guardare mentre viene torturato. Evidente è il riferimento alla Via Crucis, con Manfredi come moderno Cristo e Don Pietro con funzione testimoniale.
Si è spesso detto che il cinema moderno nasca proprio da questa scena, che ci mostra momenti osceni e terribili che in realtà dovrebbero stare fuori campo.

Rossellini concepisce il neorealismo come un bisogno dell’uomo moderno di esprimere la realtà in modo concreto e vedere gli uomini senza cercare lo straordinario.
Questo non necessita, secondo il regista, una sceneggiatura di ferro, ma solo completa disponibilità verso la realtà.
Tale concetto è evidente soprattutto nel film “Paisà”, diretto da Rossellini e uscito nel 1946.
Il film è suddiviso in 6 episodi e racconta l’avanzata degli alleati in Italia.
I primi 5 episodi, in particolare, sono introdotti da una voce extradiegetica che ci fornisce i riferimenti temporali e geografici e da immagini di archivio.
Ogni episodio è ambientato in una zona diversa dell’Italia, dalla Sicilia fino ai pressi del Po, anche se il film fu girato quasi interamente nei pressi di Maiori.
Il primo episodio è ambientato in Sicilia: motivo conduttore è la difficoltà di comunicazione e comprensione che l’esercito americano e gli stessi siciliani si ritrovano ad affrontare.
Solo un soldato americano era in grado di parlare l’italiano ma aveva comunque difficoltà a capire il dialetto siciliano parlato dai civili che incontrano all’interno della Chiesa.
Quando gli anglo-americani sbarcano in Sicilia sono percepiti dai civili come “occupanti”, esattamente come i tedeschi, con i quali quindi sono posti sul medesimo piano.
I confini tra alleati e civili cominciano ad affievolirsi grazie al rapporto di amicizia/amoroso che si instaura tra il soldato Joe e la popolana Carmela, i quali si ritrovano a condividere gli spazi all’interno di una vecchia torre. Joe viene però ucciso da un colpo sparato dai tedeschi in fuoricampo, i quali poi uccideranno anche Carmela e getteranno il corpo giù dalla scogliera.
I compagni di Joe, trovando il suo fucile, crederanno che Carmela si sia schierata dalla parte dei tedeschi e non scopriranno mai che invece si era schierata apertamente dalla parte di Joe.
In “Paisà”, Rossellini inserisce degli elementi molto interessanti, a partire dai luoghi impervi e avvolti nell’oscurità che ricordano il mito e i film gotici.

Nel 1946, Vittorio De Sica dirige “Sciuscià”, il suo primo film neorealista.
Per questo film il regista si ispira al contesto dell’epoca: siamo nell’Italia del dopoguerra, De Sica si trova nei pressi di Via Veneto e s’imbatte in un gruppo di ragazzini che, come molti in quegli anni, sopravvivono grazie al malaffare, spesso facendo da intermediari ai soldati americani in cerca di prostitute. De Sica rimane molto colpito e scrive un articolo di denuncia sociale sulla rivista “Cinema”, corredato da un servizio fotografico. Questo articolo costituisce la base di “Sciuscià”, che assume quindi una funzione testimoniale e può essere considerato quasi un poema melodrammatico sull’infanzia privata dei suoi diritti.
I protagonisti del film sono Giuseppe e Pasquale, due amici che lavorano come lustrascarpe nei marciapiedi di Via Veneto a Roma. I due, appena riescono a racimolare qualche soldo, corrono ad affittare un cavallo bianco che chiamano Bersagliere e che sognano di comprare.
Vengono coinvolti in un furto in casa di una chiromante, motivo per cui verranno arrestati e condotti in un carcere minorile. Riusciranno però ad acquistare il cavallo e affidarlo alle cure di uno stalliere.
Nel carcere minorile sperimentano l’inganno e la crudeltà e le difficili condizioni porteranno Pasquale a tradire Giuseppe, convinto però di averlo salvato dalle torture dei carcerieri. Evasi dal carcere la loro amicizia troverà la conclusione nella morte di Giuseppe che, dopo essere stato pestato da Pasquale con una cintura, inciampa e muore precipitando da un ponte.
Il film è introdotto proprio da un’inquadratura fissa, angolata dall’alto, che ci mostra il carcere minorile, anticipandoci l’atmosfera del film. Questa inquadratura prende il nome di inquadratura matrice.

Nel 1948 esce “Ladri di biciclette”, diretto da Vittorio De Sica, che nel 1949 vince il premio Oscar come miglior film straniero.
Il film è sceneggiato da De Sica e Cesare Zavattini sulla base dell’omonimo romanzo di Bartolini. Lo scopo di De Sica era quello di dare dignità alla sofferenza degli umili, di cui nessuno si preoccupava.
La vicenda ruota attorno al personaggio di Antonio Ricci, al quale viene rubata la bicicletta dopo che l’ufficio di collocamento gli aveva offerto il lavoro di attacchino; la disperata ricerca della bicicletta, che conduce insieme al figlio, è dovuta alla necessità di non perdere il lavoro.
De Sica infarcisce il film di tanti piccoli eventi che fanno dimenticare allo spettatore che la bicicletta sia stata rubata e l’impianto narrativo risulta così realistico che il film sembrerebbe quasi un documentario sull’Italia di quegli anni.
I protagonisti sono interpretati da attori non professionisti.

Nello stesso anno esce “La terra trema”, primo film neorealista di Luchino Visconti.
Il film si basa sul romanzo “I malavoglia” di Giovanni Verga, con cui però Visconti omette l’affiliazione.
Fu pensato originariamente come un film a episodi, costituito da 3 episodi + 1 dedicati ai lavoratori della terra, del mare, ecc, e doveva essere finanziato dal Partito Comunista.
Visconti iniziò le riprese del primo episodio, dedicato ai lavoratori del mare, in Sicilia e dopo esserci stato per un lungo periodo di tempo i soldi finirono, costringendolo a cercare un altro produttore. Il primo episodio rimarrà l’unico, ma riporterà la dicitura originale.
Il film racconta le vicende di una famiglia di pescatori di Acitrezza, i Valastro, che su consiglio del figlio maggiore ‘Ntoni decidono di mettersi in proprio. La loro attività andrà bene finché una tempesta non distruggerà la loro barca, mandandoli in rovina. Il fallimento dei loro affari disgregherà la famiglia. Al centro della vicenda stanno tre storie d’amore: quella tra Antonio e Nedda, Mara e Nicola e Lucia con Don Salvatore.
Il film è accompagnato da una voice over che interviene per spiegare in italiano ciò che accade, essendo i dialoghi in dialetto siciliano. Anche gli attori di “La terra trema” sono attori non professionisti.
Visconti procede in questo film attraverso una vera e propria opera di sperimentazione linguistica, riuscendo a combinare il linguaggio del romanzo di Verga, il dialetto parlato dei pescatori e gli arcaismi del dialetto, di cui viene a sapere tramite gli anziani del paese.

Riso amaro”, diretto da Giuseppe De Santis e prodotto da Gualino, produttore della Lux Film, esce nel 1949. Le riprese hanno però avuto luogo prima delle elezioni del’48, probabilmente perché, essendo De Santis, comunista alla Lux Film conveniva rivolgersi a un regista di sinistra.
Il film, per cui il regista ha condotto una vera e propria inchiesta giornalistica, è dedicato alla vita delle mondine, ma non ha fini esclusivamente documentaristici.
La vicenda sembra invece voler riflette sull’effetto del consumo di prodotti culturali, come i come i fotoromanzi e i balli che arrivavano in quel periodo dagli Stati Uniti come il boogie boogie. Non piacque in particolare che le mondine si mostrassero sensibili a queste manifestazioni culturali.
Particolare interessante è il modo in cui viene introdotto il film, attraverso un annunciatore radiofonico che interviene, introducendo la vita delle mondine, quasi come se stesse operando un’inchiesta giornalistica.

Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.