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Il concorso di persone nei reati propri


Quando la designazione normativa si riferisce non ad un generico chiunque ma ad una persona qualificata in rapporto alla propria posizione giuridica o al proprio status o anche alla propria situazione di fatto, si ha reato proprio, figura contrapposta a quella del reato comune, suscettibile di essere commesso da chiunque.
Il reato proprio dipende da una particolare rapporto tra la qualifica soggettiva e l’interesse protetto dalla norma:
la qualifica individua un particolare obbligo di tutela nei confronti del soggetto che ne è portatore, fermo restando che il fatto può assumere una connotazione offensiva anche in difetto della qualifica: es. la condotta del peculato integrerebbe, a carico di un soggetto che non fosse p.u. o incaricato di un pubblico servizio, gli estremi dell’appropriazione indebita;
la qualifica è intimamente connessa all’identificazione stessa dell’interesse tutelato, nel senso che non può essere concepito in difetto della posizione ricoperta dal soggetto attivo: es. incesto, il rapporto sessuale assume una dimensione lesiva solo se si sia intrattenuto fra persone legaste da vincoli di parentela o di affinità. In questi casi si parla di reati propri esclusivi o di mano propria, in quanto la loro esecuzione implica un intervento personale diretto del soggetto designato dalla legge. I reati propri non esclusivi possono essere commessi anche da un estraneo che agisca in concorso con il soggetto qualificato: nel peculato, l’appropriazione della cosa può essere effettuata da un familiare del p.u. da lui istigato.    

Il concorso nei reati propri non si differenzia, in linea di principio, dal concorso in un reato comune, se non per l'ovvia esigenza che tra i compartecipi figuri il soggetto qualificato (c.d. intraneo), senza il quale il fatto dei reato proprio non potrebbe sussistere.

Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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