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ART.2635 – Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità

Prevede la sanzione sempre per gli organi che esercitano il potere gestorio e anche uno almeno degli organi di controllo interno, i sindaci, non più i revisori. Questi soggetti rispondono con la reclusione fino a 3 anni (la reclusione fino a 6 anni se il fatto si verifica nell’ambito di società quotate) se a seguito della dazione o della promessa di utilità compiono o omettono atti in violazione degli obblighi inerenti al proprio ufficio. Se la norma si fosse fermata qui, si sarebbe potuta intitolare “corruzione tra privati”, sarebbe stata una forma particolare, perché il legislatore avrebbe punito solo le corruzioni proprie, fatte per andare contro gli obblighi del proprio ufficio, ma avrebbe sanzionato l’accordo legato al compimento di un atto, avrebbe cioè punito la semplice condotta dei soggetti. Viceversa il legislatore non si è fermato, tant’è che appunto non parla di corruzione privata. Ha aggiunto una clausola: cagionando nocumento alla società. Questo vuol dire che il reato è un reato d’evento. Se non si verifica il nocumento il fatto che il soggetto a seguito di una dazione o promessa di utilità compia un atto contrario al suo obbligo non è penalmente rilevante.
Esempio: un dottore commercialista prende contatto con l’amministratore di una grande società per farsi affidare la rendicontazione delle società che amministra e dandogli il 30%. Se da questo fatto non deriva un danno alla società, l’amministratore che da l’incarico al commercialista, non risponde ai sensi di questa norma.
Per ciò che riguarda la corruzione fra privati in Italia non esiste una norma specifica, è presente solo in relazione ai pubblici ufficiali.
Questo articolo prevede un doppio nesso di causalità. Ci sono due passaggi di accertamento causale che il giudice deve compiere per poter affermare che il reato è stato commesso:
- il compimento o l’omissione dell’atto avvenga a seguito (a causa di) di dazione o promessa di utilità;
- è necessario che da quell’omissione o da quel compimento dell’atto sia derivato causalmente un danno.
Il legislatore parla di nocumento. La Giurisprudenza e la Dottrina prevedono un confine più ampio rispetto a quello di danno. Danno è un pregiudizio che può essere quantificato monetariamente. Tizio ha negligentemente travolto mio fratello perché ubriaco. Da questa condotta deriva un danno a me. La privazione di un affetta non è patrimoniale, ma in quanto danno alla fine viene tradotto in una somma di denaro. I danni sono ciò che può essere risarcito, siano essi patrimoniali o non patrimoniali. Il nocumento è una nozione più estesa, se deriva un pregiudizio di qualunque tipo alla società, allora può scattare questo reato. L’aver previsto l’elemento del nocumento fa si che se dalla condotta dell’amministratore non deriva un nocumento, il fatto resta penalmente irrilevante. La procedibilità di questo reato è a querela della persona offesa, anche nelle quotate.
Questo reato della corruzione vera e propria, condivide solo la natura di patto illecito tra due soggetti, tant’è che viene punito non solo il soggetto amministratore, direttore generale, sindaco, ecc., che riceve l’utilità, ma anche colui che l’utilità dà o promette. Ma non perché hanno fatto un accordo illecito, ma perché da quell’accordo illecito è derivato un danno. In Parlamento ci sono diverse deleghe al Governo su questo punto.

Tratto da DIRITTO PENALE COMMERCIALE di Valentina Minerva
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