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Bancarotta preferenziale: esiti della riforma

La riforma ha previsto tutta una serie di strumenti volti a preservare l’operatività dell’impresa, come ad esempio gli accordi di ristrutturazione del debito, ipotesi di concordato preventivo, ecc. questi istituti prevedono che un professionista stili un piano di risanamento, per cui si dice ai creditori che al posto di una procedura di tipo liquidatorio, si segue un piano di rientro la cui validità è accertata da un professionista esperto e vediamo che succede. Può accadere che nel costruire il piano di risanamento si prevede che i pochi soldi servono per pagare un creditore strategico, magari un fornitore importante. Quando applicando le nuove strategie produttive di sviluppo sarà possibile ottenere degli utili, questi serviranno a pagare in un secondo momento i creditori che mancano. Può darsi che i creditori decidano di accordare questa ulteriore possibilità di rilancio, visto che il piano è firmato da un professionista.
Se l’impresa comunque non si riprende, a questo punto si pone il problema, quando l’imprenditore viene dichiarato fallito, se questi atti possono rilevare in termini di bancarotta preferenziale e ne deve rispondere insieme al professionista. Inizialmente il legislatore non era intervenuto a garantire una non punibilità per questi fatti. Nel 2010 ha introdotto l’art.217 bis che dice che le disposizioni in tema di bancarotta preferenziale e bancarotta semplice non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiute in esecuzione delle nuove procedure non liquidatorie: concordato preventivo, accordo di ristrutturazione dei debiti, piani di risanamento. Se l’imprenditore supera i confini del piano allora si riapplicano le norme.
ART.218 – ART.225
Il ricorso abusivo al credito ha fatto molto discutere se è richiesta la preventiva dichiarazione di fallimento. L’art.218 non conteneva e non contiene alcun riferimento alla dichiarazione di fallimento. La norma dice oggi che gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori e gli imprenditori che svolgono un’attività commerciale che ricorrono al credito sono puniti con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Questo comma non fa riferimento al fatto che l’imprenditore sia dichiarato fallito. Mentre un riferimento al fallimento si trova nell’art.225. Dopo la legge sul risparmio il ricorso abusivo al credito è un reato che si può realizzare anche se non si viene dichiarati falliti, è un reato che la legge sul risparmio ha voluto configurare come reato volto a proteggere le banche.

Tratto da DIRITTO PENALE COMMERCIALE di Valentina Minerva
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