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la globalizzazione dell’innovazione


dagli anni 70, l’innovazione ha cominciato a tendere verso la globalizzazione: la crescita delle quote di commercio mondiali dei settori high-tech ad alta intensità di r&s e la crescita nell’internazionalizzazione dell’attività di brevettazione suggerisce che la globalizzazione dei flussi di tecnologia nazionali all’estero sia in aumento. è anche aumentato l’utilizzo da parte delle imprese industriali di strategic technology partnering, = fra cui la cooperazione con imprese concorrenti, con i fornitori, con gli utilizzatori e con altre istituzioni esterne (ad esempio, le università). la percentuale di accordi azionari (equity, che comportano cioè partecipazioni nel capitale delle imprese che collaborano o che vengono formate in seguito ad un accordo di joint venture) è diminuita dal 70% a meno del 10% tra gli anni 70-90, mentre è cresciuta la quota di allenze non-equity in usa, europa e giappone principalmente nel campo dei nuovi materiali, delle biotecnologie e delle tecnologie dell’informazione, che indica il crescente utilizzo di stp come strumenti di breve termine per ottenere l’accesso a fonti di conoscenza internazionali. infatti, l’stp internazionale facilita la penetrazione in un mercato estero protetto da barriere non tariffarie e l’esperienza multinazionale fa aumentare la capacità di un’impresa nella ricerca e nell’assorbimento di conoscenze esterne. inoltre, a partire dalla seconda guerra mondiale, si è verificata una crescita delle attività delle imprese multinazionali e degli investimenti diretti esteri.
le imprese che si basano su una strategia “asset-exploiting” internazionalizzano la loro r&s per migliorare il modo con cui vengono utilizzate le attività già in essere, cercano cioè di promuovere l’uso dei propri assets teconologici per essere più competitive sul mercato estero; le filiali estere di una multinazionale asset exploiting replicano fuori dai confini nazionali le attività non strategiche della capogruppo, cercando di adattare il prodotto o il servizio alle diverse esigenze dei clienti, integrandosi nel nuovo contesto e  sfruttando l’effetto “made in”, mentre le decisioni strategiche, tra cui l’attività di r&s e l’innovazione, sono rigidamente centralizzate nel paese d’origine.
le imprese utilizzano le strategie “asset-augmenting” per migliorare gli assets esistenti o per acquisire (e internalizzare) o creare asset tecnologici completamente nuovi attraverso attività di r&s localizzate all’estero, in quanto il posizionamento all’esterno fornisce l’accesso a vantaggi che sono specifici di quel luogo ma non disponibili nella località di provenienza. questa prospettiva cosidera i contesti locali  come fonte di conoscenze e opportunità tecnologiche, in cui le attività innovative vengono intraprese allo scopo di acquisire e internalizzare spillover tipici della zona. quando le imprese sono impegnate in r&s all’estero, sviluppare e mantenere legami forti con network all’esterno risulta oneroso, per cui esiste una soglia al di sotto della quale non è conveniente investire; inoltre, l’alto costo di integrazione in un sistema innovativo estero può far aumentare i costi fissi che le imprese devono superare per potersi espandere internazionalmente; infine, la dispersione delle attività di r&s a livello internazionale richiede un ampio grado di coordinamento tra le filiali di una multinazionale e tra i network di cui esse fanno parte.
il rischio connesso all’internazionalizzazione delle attività innovative è la potenziale perdita di competitività delle imprese locali e l’impoverimento della base di conoscenza nazionale, che potrebbe “svuotare” (hollowing out) l’apparato produttivo nazionale di capacità innovativa. in ogni caso, nessun paese può fornire competenze su scala mondiale in tutti i campi tecnologici, per cui anche basarsi ampiamente sulle competenze domestiche può condurre ad una strategia controproducente specialmente in quest’epoca di prodotti basati su molteplici tecnologie.

Tratto da INNOVAZIONE. IMPRESE, INDUSTRIE, ECONOMIE di Maria Caldiero
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