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Superare le false alternative


Le scienze umane sono soggette a un perpetuo riesame delle loro ipotesi, dei loro concetti e metodi, della loro scrittura: le contrapposizioni troppo semplici sono un freno notevole all’elaborazione di ipotesi. La sociologia e l’antropologia si sono costruite contro le intuizioni soggettive, adottando un metodo olistico e ricercano le relazioni che stanno alla base del sistema. Da una ventina di anni, l’olismo ha ceduto il passo a un individualismo metodologico, che parte dall’attore singolo per cercare di capire perché agisca in un certo modo. In quest’ottica, società e istituzione sono il risultato delle interazioni sociali, le norme sono l’esito e non la causa delle interazioni. Una delle difficoltà è capire se esiste una struttura prescrittiva preliminare che fissa le norme di comportamento, o se invece la struttura è prodotta dal gioco delle pratiche: l’individuo è prodotto dalla società, ma solo gli individui possono produrre la società. Non si può quindi contrapporre individuo e società, dal momento che l’individuo non può pensarsi solo e il collettivo si incarna inevitabilmente in lui. Si valorizza più il dubbio della certezza, il particolare più del generale. I critici constatano il carattere caotico del mondo e l’implosione delle grandi narrazioni, senza per questo pensare che tutto è finzione. Nella fiction, l’autore manifesta la propria intenzione di inventare in modo consapevole e deliberato, offrendo l’ingegnosità di una storia inventata, che può anche ispirarsi alla realtà, ma il referente è chiaramente immaginario, gli avvenimenti non si sono mai storicamente prodotti. I grandi evoluzionisti consideravano le società umane come altrettante tappe sul cammino di un progresso lineare, quasi che l’umanità intera avesse come fine la nascita della società occidentale, assolutamente sbagliato, ma non è opera di finzione; come sbagliavano i diffusionisti, quando non si curavano dell’affidabilità delle fonti; o i funzionalisti, visto che le società non funzionano come una macchina; o gli strutturalisti, che postulavano una relazione fissa tra significante e significato.
L’analisi antropologica è forzatamente strutturale e comparativa, con una portata più generale rispetto allo specifico rilievo dei casi singoli: sono sempre certi a priori ontologici che contrappongono rappresentazioni e pratiche, senso e funzione. I sistemi simbolici sono efficaci solo nella misure in cui significano e insieme funzionano: per agire sul mondo, bisogna dargli un senso, analizzando al contempo l’attivazione delle logiche sociali e della loro struttura. Non si può però prescindere dal fatto che l’antropologia ha come fine ultimo la spiegazione della variabilità dei fatti umani, comprendente per forza anche quello delle somiglianze e degli universali: senza generalizzazione e confronto, non avrebbe grande interesse.
Ogni argomentazione è soggetta a un dibattito tra specialisti, fondato su una lettura molto attenta dei testi e sul confronto, permettendo la valutazione dell’opera. Si possono considerare i materiali di una ricerca più come artefatti prodotti dal ricercatore che come dati, ma qualcosa della realtà esterna comunque resiste alle specificità dell’inchiesta. Il fatto che non sia possibile accedere alla realtà se non attraverso il prisma di una particolare cultura, non fa sparire né la realtà né la portata universale delle scoperte. Olismo e individualismo non si contrappongono come il vero e il falso, sono scelte metodologiche che hanno vantaggi e svantaggi, come pure procedimento induttivo e deduttivo, che vengono usati continuamente entrambi. Le popolazioni del mondo intero sono governate da meccanismi globali che sfuggono al loro controllo e la cui istanza strutturante è in ogni caso il capitalismo mondiale. Tutto il mondo è preso nelle reti, nei mercati, mentre la maggior parte di noi si ritiene priva di presa su un sistema mondiale in rapida trasformazione: per questo delle persone si raggruppano, adattando la propria cultura alle sfide del momento e sfruttando creativamente il proprio passato. È con questo che l’antropologo deve fare i conti: non esiste cultura senza politica e senza rappresentazione, l’identità deve tanto al globale quanto al locale, alla sopravvivenza come al passato, allo Stato come alle radici.

Tratto da L'ANTROPOLOGIA DEL MONDO CONTEMPORANEO di Elisabetta Pintus
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