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Regime fiscale da trasformazione di una società


In base all’art. 170 c. 1, la trasformazione di una società “non costituisce realizzo né distribuzione di plusvalenze e minusvalenze” poiché costituisce solo un mutamento nell’ordinamento corporativo della società, che passa semplicemente da un “tipo giuridico” ad un altro.
Si parla di trasformazione con regime omogeneo quando una società si trasforma in un’altra società dello stesso tipo, società di persone in una società di persone e società di capitali in una società di capitali, ed in questa situazione non si hanno conseguenze sul piano tributario; i problemi nascono con le trasformazioni con regime disomogeneo, quando una società di capitali passa ad una società di persone (trasformazione regressiva) e una società di persone passa ad una società di capitali (trasformazione progressiva), in quanto la disciplina tributaria per le due tipologie di società è profondamente diversa.
L’art. 170 c. 2, disciplina che “in caso di trasformazione di una società soggetta all’imposta sul reddito in una non soggetta, o viceversa, il reddito dell’intervallo di tempo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui ha effetto la trasformazione è determinato secondo le disposizioni applicabili prima della trasformazione”. La dichiarazione relativa al periodo anteriore la data di trasformazione deve essere presentata entro l’ultimo giorno del settimo mese successivo a quello in cui la trasformazione ha avuto effetto. Non è prevista la retrodatazione degli effetti fiscali.
Per le società di capitali la data di trasformazione coincide con quella in cui la delibera di trasformazione viene iscritta nel registro delle imprese, mentre per le società di persone è incerto se individuare tale data nella delibera assembleare o in quella in cui diventa efficace il decreto di omologazione.
I commi 3 e 4 si occupano delle riserve costituite anteriormente la trasformazione, facendo in modo di mantenere lo stesso regime applicato precedentemente all’operazione.
Il comma 3 stabilisce che per le riserve create da una società di persone trasformata in società di capitali, queste possono essere distribuite ai soci, senza quindi concorrere a formare il reddito imponibile e quindi subire nuovamente la tassazione.
Il comma 4 si occupa del caso opposto, delle riserve create da una società di capitali trasformata in società di persone, caso in cui bisogna isolare le riserve la cui distribuzione non costituisce reddito per i soci; per tutte le altre voci di patrimonio netto, purché iscritte nel bilancio con indicazione della loro origine sono attribuite ai soci andando a formare il loro reddito imponibile.
La riforma del diritto societario ha introdotto la trasformazione eterogenea, trasformazione riguardante:
- in base all’art. 2500-septies: società di capitali in consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni. In questo caso i beni della società trasformata si considerano realizzati al valore normale. Da questo deriva che:
- se i beni della società trasformata confluiscono nel patrimonio dell’ente non commerciale non si ha realizzo di plusvalenze e minusvalenze, non interrompendosi il regime dei beni d’impresa;
- se i beni della società trasformata non confluiscono nel patrimonio dell’ente non commerciale si ha realizzo di plusvalenze e minusvalenze latenti, interrompendosi il regime dei beni d’impresa.
- in base all’art. 2500-octies: consorzi, società consortili, comunioni di azienda, associazioni riconosciute e fondazioni in società di capitali. In questo caso la normativa stabilisce che per l’ente non commerciale che si trasforma è applicabile la disciplina dei conferimenti d’azienda. Ne deriva che:
- se i beni dell’ente trasformato sono già soggetti al regime dei beni d’impresa non si ha realizzo di plusvalenze e minusvalenze latenti, non interrompendosi detto regime;
- se i beni dell’ente non sono già soggetti al regime dei beni d’impresa sono considerati conferiti nella società e dato che il conferimento è equiparato alla cessione onerosa si ha il realizzo di plusvalenze e minusvalenze latenti. In base art. 67 c. 1, lett. n, queste plusvalenze concorrono alla formazione del reddito complessivo solo se sono classificabili come “redditi diversi”.
Il testo unico, invece, disciplina solamente quelle trasformazioni che comportano modifiche nello “statuto fiscale” dell’ente, quindi le trasformazioni che provocano la “decommercializzazione” dell’ente o la sua “commercializzazione”.
Per le riserve costituite dalle società di capitali prima della trasformazione in enti non commerciali è estesa la disciplina prevista per le trasformazioni regressive, in base al comma 1.
Non sono regolamentati gli effetti delle trasformazioni sui soci; si pensi, per esempio, al caso di una trasformazione di società di capitali in fondazione che determina l’annullamento della partecipazione, si determina un decremento patrimoniale da considerare rilevante ai fini del calcolo del reddito del socio, oppure di una fondazione in società di capitali con creazione di partecipazione che determina un incremento patrimoniale, corrispondente ad una sopravvenienza attiva da conteggiare nel reddito d’impresa del socio.
L’art. 172 dispone che la fusione “non costituisce realizzo di plusvalenze e minusvalenze dei beni delle società fuse comprese quelle relative alle rimanenze e all’avviamento”, spiegato dal fatto che la fusione non costituisce l’estinzione della società ma soltanto una modifica intesa ad assimilarla all’incorporante e quindi non comporta trasferimento di rapporti giuridici da una società ad un’altra. Si deve, infatti, escludere che la fusione comporti l’estinzione di una società e la ridestinazione dei beni a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, poiché non si manifesta un processo di liquidazione rivolto a distogliere i beni dall’organizzazione produttiva.
Il procedimento di fusione consente di mettere insieme diverse compagini sociali e i patrimoni di diverse società ancora funzionanti, le partecipazioni nell’incorporata vengono convertite in partecipazioni nell’incorporante. Il D. Lgs. 344/2003 inserisce nell’art. 172, c. 3 del T.U., una nuova disciplina che dispone il non realizzo di plusvalenze e minusvalenze, prevedendo in caso di conguaglio l’applicazione dell’art. 47, c. 7.
Nel patrimonio dei soci le partecipazioni nella nuova società prendono il posto delle precedenti partecipazioni, ereditandone il valore fiscalmente riconosciuto, l’anzianità ed ogni altro attributo rilevante in campo tributario.
L’incorporante succede in tutte le posizioni della società incorporata, importante è quindi il tema della “continuità delle posizioni” che va ad intersecarsi con la disciplina delle differenze contabili di fusione, avanzi e disavanzi, ricollocabili al concambio. Queste differenze emergono quando l’aumento di capitale, deliberato dall’incorporante, non coincide con il valore contabile del patrimonio netto dell’incorporata: si ha un avanzo se l’aumento del capitale è inferiore al valore del patrimonio netto, un disavanzo se è superiore. Il disavanzo può essere assorbito tramite imputazione delle riserve al capitale sociale o mediante rivalutazione dei cespiti con iscrizione di un “avviamento derivativo”.
Gli avanzi e i disavanzi da annullamento nascono dall’annullamento della partecipazione dell’incorporante nell’incorporata e dall’inserimento in contabilità delle attività e passività dell’incorporata. Emerge un avanzo se il valore contabile della partecipazione è inferiore al valore contabile del patrimonio netto, emerge un disavanzo se è superiore. In caso di disavanzo la società deve procedere al riassorbimento tramite rivalutazione dei cespiti e se necessario attraverso l’iscrizione dell’avviamento.
L’art. 172, c. 2 prevede la non rilevanza degli avanzi e disavanzi da concambio e da annullamento ai fini della formazione del reddito imponibile.
L’ordinamento tributario ha tenuto a lungo distinte queste due figure prevedendo, fino al 1994, la neutralità di tutte le differenze di fusione ma stabilendo che i maggiori valori iscritti a fronte del disavanzo da annullamento non concorressero a formare il reddito. Con la l. 724/1994 venne abrogata questa disposizione e si vietò l’iscrizione di una franchigia d’imposta in compensazione dei disavanzi di fusione. L’art. 6 del D. Lgs. 358/1997 consentì all’incorporante di ottenere il riconoscimento fiscale dei maggiori valori assoggettandoli a imposta sostitutiva del 19%, con l’esclusione dei disavanzi da annullamento il cui riconoscimento non era soggetto all’imposta. Con la legge finanziaria per il 2008 è stata introdotta un’imposta sostitutiva sui maggiori valori iscritti in bilancio con lo scopo di eliminare i disallineamenti tra valori contabili e valori fiscali.
In ambito internazionale si menzionano i maggiori valori iscritti e non il disavanzo, in quanto estraneo al “purchase method” adottato dai principi contabili internazionali. In caso di fusione si rilevano i valori attuali della società acquistata, individuando il valore della partecipazione da assegnare ai soci e trasferendolo ai valori di attività e passività. Se il valore della partecipazione è superiore al valore netto delle attività e passività la differenza è imputata ad avviamento nell’attivo, se è inferiore è imputata come avviamento negativo e confluirà nel risultato d’esercizio come provento. Questo avviamento negativo è irrilevante, infatti, se fosse imputato a S.P. finirebbe tra i fondi tassati costituiti con accantonamenti indeducibili la cui imputazione a C.E. sarebbe annullata da una diminuzione al risultato d’esercizio.
Nell’ambito delle manovre anticrisi della fine del 2008 sono state definite alcune misure riguardanti i maggiori valori iscritti:
- è stato confermato, per le operazioni effettuate nel 2009, il riconoscimento automatico dei maggiori valori dei beni materiali ed immateriali;
- sono stati introdotti nuovi regimi sostitutivi con riferimento a marchi, avviamento ed altri beni materiali e con riferimento alle attività diverse da quelle indicate nell’art. 172, c. 2-ter.
L’art. 172, c. 5, si occupa delle riserve in sospensione d’imposta. Tutte le riserve in sospensione d’imposta concorrono a formare il reddito dell’incorporante se non sono ricostituite nel primo bilancio dell’incorporante con l’eccezione delle riserve tassabili solo in caso di distribuzione, che concorrono a formare il reddito solo in caso di distribuzione dell’avanzo.
Nella fusione con concambio il patrimonio post-fusione è idoneo ad ospitare tutte le riserve in sospensione d’imposta dell’incorporata, al massimo potrebbe accadere che queste riserve siano imputate a capitale. In questa situazione occorre fare riferimento alle disposizioni che disciplinano le singole riserve, se l’imputazione a capitale è compresa fra gli eventi tassabili questo determina la loro tassabilità.
Diversa la situazione in cui la fusione porta una riduzione del patrimonio netto, in questi casi i valori del patrimonio si annullano fino al raggiungimento del valore della partecipazione annullata. Per una continuità di tali valori la sostituzione della partecipazione con le attività e passività dell’incorporata deve provocare un avanzo, le riserve in sospensione possono essere ricostituite a seguito dell’assorbimento di questo avanzo. Se dalla fusione non emerge alcun avanzo occorre ricostituire le riserve, ma soltanto quelle diverse da quelle tassabili solo in caso di distribuzione, riqualificando come riserve in sospensione le voci del patrimonio disponibili, in particolare le sue riserve tassate, quelle formate, cioè, con utili assoggettati ad imposta.
All’aumento di capitale e all’avanzo da annullamento e da concambio, che eccedono la ricostituzione delle riserve in sospensione si applica il regime delle riserve dell’incorporata diverse da quelle in sospensione, in base all’art. 172, c. 6.
Se l’aumento di capitale eseguito dall’incorporante è pari o superiore al patrimonio netto dell’incorporata, capitale e riserve confluiscono interamente nel capitale dell’incorporante al quale trasmettono il proprio regime; se l’aumento è inferiore ed emerge un avanzo, può accadere che:
- l’aumento coincida con il capitale dell’incorporata: in questo caso al nuovo capitale si applica il regime del vecchio mentre all’avanzo si applica quello delle riserve dell’incorporata;
- l’aumento sia inferiore al capitale dell’incorporata: in questo caso una parte del vecchio capitale si trasferirà all’avanzo;
- l’aumento sia superiore al capitale dell’incorporata: in questo caso sia al maggior capitale sia all’avanzo si dovrebbe applicare il regime delle riserve dell’incorporata.
Nella fusione con annullamento, invece, il capitale e le riserve si considerano non concorrenti alla formazione dell’avanzo fino al valore della partecipazione annullata, l’avanzo da annullamento assume il regime delle riserve di utili dell’incorporata, e solo per l’eventuale eccedenza assume quello del capitale e delle riserve di capitale.
Ai sensi dell’art. 172, c. 7 le perdite delle società partecipanti alla fusione possono essere portate in deduzione dal reddito dell’incorporante solo a certe condizioni ed in una certa misura. Con la legge finanziaria per il 2008 queste restrizioni sono estese anche agli interessi passivi e agli oneri assimilati indeducibili nell’esercizio di sostenimento. La disciplina riguarda la possibilità di portare in diminuzione dai redditi conseguiti dall’incorporante dopo la fusione sia le perdite fiscalmente riconosciute dell’incorporata sia le proprie. Norma introdotta per evitare fusioni tra società in utile e società in perdita solo per poter sfruttare le perdite pregresse di queste ultime, e colpisce solo le fusioni con società le cui perdite sono già state riconosciute fiscalmente.
Affinché il riporto delle perdite pregresse sia consentito è necessario che dal C.E., relativo all’esercizio precedente alla fusione, della società le cui perdite sarebbero riportabili risulti un ammontare di ricavi e proventi e di spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi superiore al 40% di quello risultante dalla media dei due esercizi anteriori. Bisogna poi stabilire qual è l’ammontare delle perdite che è consentito utilizzare, questo parametro è identificato con l’importo del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio. Nel patrimonio netto non sono compresi i conferimenti, cioè gli importi in denaro o in natura effettuati nella società in occasione della sua costituzione o di un aumento di capitale, e i versamenti, apporti effettuati dai soci per i quali non sorge obbligo di restituzione.
Per le fusioni con annullamento è previsto che se le azioni della società che ha subito le perdite erano possedute dall’incorporante, la perdita non è riportabile sino a concorrenza dell’ammontare complessivo della svalutazione delle azioni effettuate dalla società partecipante.
Per l’incorporata il periodo racchiuso tra l’inizio dell’esercizio e il giorno in cui la fusione ha effetto costituisce un autonomo periodo d’imposta, in relazione al quale entro il settimo mese successivo l’incorporante deve presentare una dichiarazione dei redditi. Se non viene indicata una data specifica l’operazione risulta produrre effetti dalla data in cui la società risultante dalla fusione assume i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione. Il reddito relativo a questa frazione di esercizio deve essere calcolato secondo le disposizioni applicabili al tipo di società.
L’art. 172, c. 9 riconosce alle società partecipanti la facoltà di indicare la data a partire dalla quale l’operazione produrrà effetti, tale data non può però essere “anteriore a quella in cui si è chiuso l’ultimo esercizio di ciascuna delle società partecipanti”. Questa clausola è introdotta per evitare sovrapposizioni tra il periodo chiuso al momento in cui si perfeziona la fusione e quello in corso a tale momento, se la data fosse anteriore sorgerebbe il problema, una volta chiuso l’esercizio, di dover attribuire i relativi elementi di reddito.
La normativa relativa alla scissione è molto simile a quella per le fusioni. Per prima cosa prevede che “la scissione totale o parziale di una società in altre preesistenti o di nuova costituzione non dà luogo a realizzo né distribuzione di plusvalenze e minusvalenze dei beni della società scissa, comprese quelle relative alle rimanenze e all’avviamento”. Tra scissa e beneficiaria si instaura un rapporto di continuità molto simile a quello che si crea tra incorporata e incorporante in caso di fusione. Viene poi stabilito che la sostituzione delle partecipazioni nella società scissa con le partecipazioni nella beneficiaria “non costituisce né realizzo né distribuzione di plusvalenze, né conseguimento di ricavi per i soci della scissa, con applicazione, in caso di conguaglio, dell’art. 47, c. 7.”
Nella scissione l’attribuzione ai soci della scissa delle partecipazioni nelle beneficiarie non è connessa con l’annullamento della partecipazione originaria. In caso di scissione parziale può, infatti, accadere che il capitale della scissa non venga toccato.
Un altro problema che si pone è quello della valorizzazione della partecipazione ricevuta, da parte dei soci della scissa, posto che solitamente si assiste ad uno sdoppiamento della partecipazione originaria all’interno del loro patrimonio. Appare, infatti, logico ripartire il valore fiscalmente riconosciuto tra tutte le partecipazioni, che il socio si ritrova a detenere in seguito alla scissione, tenendo conto della quota di patrimonio netto detenuta. In assenza di una disciplina legale, per poter attuare questa divisione, sono individuati 2 criteri:
- assumere come rilevanti i valori contabili delle porzioni in cui il patrimonio della scissa è frazionato;
- assumere come rilevanti i valori effettivi di queste porzioni (sono i valori che risultano dalla relazione degli amministratori redatta ai fini dell’art. 2506-ter C.C.).
Il primo criterio, anche se meno preciso e può produrre effetti distorsivi, è però ritenuto preferibile perché più in linea con le soluzioni indicate nell’art. 173.
In merito agli avanzi e disavanzi di scissione vige la stessa disciplina prevista per gli avanzi e disavanzi di fusione, ma in ipotesi di scissione senza concambio la determinazione di questi valori determina una serie di problemi molto simili a quelli evidenziati per il concambio delle partecipazioni. Per il concambio il problema era in merito allo scegliere il criterio per distribuire il valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione posseduta prima tra quelle possedute a seguito dell’operazione; in relazione al calcolo di avanzi e disavanzi, in caso di scissione senza concambio, si tratta di individuare il criterio per distribuire questo valore fiscalmente riconosciuto tra la partecipazione conservata nella scissa e la quota di patrimonio netto della scissa ricevuta dopo l’operazione. La soluzione più idonea sembra essere quella di ridurre il valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione originaria in modo da tenere conto della scomposizione del patrimonio: una parte è rimasta nella società scissa e l’altra è stata trasferita nella società beneficiaria.

Per effetto della scissione le società beneficiarie subentrano in una parte dei diritti e degli obblighi della scissa, che però continua ad esistere, conservando una parte dei diritti e degli obblighi sorti precedentemente.
Dal punto di vista tributario la divisione del patrimonio della scissa assume rilevanza sotto molteplici profili:
- quello dell’iscrizione dei debiti e dei crediti della scissa relativi alle imposte sui redditi;
- quello del raccordo tra redditi dichiarati dalla scissa precedentemente e i redditi dichiarati dalle beneficiarie successivamente la data di scissione, in modo da non avere salti d’imposta o doppie imposizioni;
- quello dell’individuazione dell’ente responsabile della dichiarazione dei redditi, della conservazione dei libri contabili e destinatario dell’attività di controllo e di accertamento  in seguito all’eventuale scomparsa della scissa.
Tutti questi problemi sono affrontati in parte dall’art. 173, c. 4 il quale stabilisce che in seguito a scissione “le posizioni soggettive e gli obblighi strumentali della scissa sono attribuiti alle società beneficiarie e, in caso di scissione parziale, alla stessa scissa, in proporzione alle quote del patrimonio rimaste in suo possesso”.
Se consideriamo che la ripartizione delle “posizioni soggettive” è legata alle “quote di patrimonio netto trasferite o rimaste” e quindi presuppone che la suddivisione degli elementi patrimoniali sia già stata eseguita, possiamo affermare che per “posizioni soggettive” si intendono quelle situazioni di potere e di dovere connesse con l’attività di calcolo del reddito imponibile, e che avrebbero esercitato effetti nell’attività di calcolo del reddito nei periodi successivi alla scissione. Restano fuori dall’applicazione di questo articolo quelle posizioni soggettive per le quali non è possibile una divisione e quindi è prevista una solo attribuzione.
In campo tributario la società beneficiaria è ritenuta la “continuatrice” della società scissa, in caso di scissione totale, ed è quindi tenuta all’adempimento degli obblighi tributari della scissa e peraltro è sottoposta ai controlli e ad accertamento relativi ai suddetti obblighi. Il comma 13 stabilisce la responsabilità in solido per “le imposte, le sanzioni, gli interessi e ogni altro debito” riguardanti gli obblighi tributari.
Per le posizioni soggettive relative al calcolo del reddito da ripartire, queste posizioni seguono gli elementi di riferimento presso i rispettivi titolari.
Per quanto riguarda le riserve in sospensione d’imposta presenti nell’ultimo bilancio della scissa l’art. 173, c. 9 stabilisce 2 criteri:
- queste riserve devono essere ricostituite dalle beneficiarie o mantenute dalla scissa in proporzione alle quote di patrimonio netto trasferite o rimaste;
- se la sospensione d’imposta dipende da eventi riguardanti specifici elementi del patrimonio, la riserva deve essere ricostituita dalla beneficiaria destinataria di tale elemento o se, la scissione è parziale e tale elemento non viene trasferito, deve essere conservata nel bilancio della scissa.
Le riserve per le quali il regime di sospensione dipende da eventi che riguardano specifici elementi patrimoniale devono essere mantenute per intero dalla scissa, se gli elementi rimangono in suo possesso, oppure ricostituite per intero dalle beneficiarie, se trasferiti.

Diverso è il trattamento delle perdite pregresse, se nella fusione queste sono ereditate dall’incorporante, nella scissione si pone il problema della ripartizione fra le diverse beneficiarie. Dato che si tratta di posizioni soggettive, devono essere ripartite in proporzione alle quote di patrimonio devolute.
Nessun problema si pone per l’utilizzo da parte della scissa delle perdite pregresse che le competono, mentre l’uso per le società beneficiarie è sottoposto, dall’art. 173 c. 10, alle medesime condizioni e ai medesimi limiti che l’incorporante incontra nello sfruttamento delle perdite pregresse delle società partecipanti alla fusione.
Nell’individuare la quota delle perdite pregresse da attribuire ad ogni società bisogna tenere conto del fatto che, in caso di scissione, il subentro nel patrimonio da parte delle beneficiarie è soltanto parziale e quindi, bisogna fare riferimento alla quota di patrimonio attribuita alla beneficiaria.
In caso di scissione totale l’arco di tempo racchiuso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui ha effetto la scissione costituisce periodo d’imposta autonomo e quindi la società beneficiaria dovrà presentare la dichiarazione relativa al suddetto periodo d’imposta, entro l’ultimo giorno del settimo mese dalla data “in cui è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte dall’art. 2504 del codice civile”. Questa data è la data dalla quale si producono gli effetti sostanziali dell’operazione oppure quella a partire dalla quale decorrono gli effetti ai fini dell’imposte sui redditi.
L’art. 173 c. 11 prescrive che la retrodatazione degli effetti è prevista nei casi di scissione totale e solo se vi è coincidenza tra la chiusura dell’ultimo periodo d’imposta della società scissa e delle beneficiarie. Il riporto in ambito tributario, previsto solo in caso di scissione totale, della retrodatazione, implica la riunione in un unico periodo d’imposta, e quindi un’unica dichiarazione, dei componenti di reddito della scissa conseguiti nella frazione di esercizio precedente la scissione e dei componenti conseguiti dalle beneficiarie nel corso dell’esercizio.
In questa disposizione sono racchiuse due regole:
- possibilità di retrodatare l’operazione: retrodatazione che produce effetti sulle imposte sul reddito solo se la data in cui si è chiuso il periodo d’imposta della scissa è la stessa in cui si è chiuso il corrispondente periodo per la beneficiaria;
- fissazione dell’orizzonte temporale:  gli effetti ai fini delle imposte sono prodotti solo a partire da una data non anteriore a quella individuata dalla prima regola.
Il testo unico disciplina anche alcune operazioni straordinarie internazionali.
L’articolo 178 disciplina:
- fusioni tra società di capitali residenti in Italia e società analoghe residenti in altri Stati membri dell’Unione Europea;
- scissioni proporzionali totali di una delle società indicate sopra con attribuzione del patrimonio a due o più società indicate sopra, alcuna delle quali residente in uno Stato membro diverso da quello della prima, e limitatamente all’importo dell’operazione;
- conferimenti di aziende da una ad un’altra delle società sopra indicate, residenti in Stati diversi dell’Unione, sempre che una sia residente in Italia;
- operazioni menzionate in precedenza tra società indicate sopra non residenti in Italia, con riguardo alle stabili organizzazioni in Italia;
- scambi di partecipazioni mediante i quali una delle società indicate sopra acquista o integra una partecipazione di controllo in un’altra società sopra indicata, residente in altro Stato dell’Unione.
Le altre operazioni straordinarie, quelle tra società di capitali residenti in Stati non dell’Unione e quelle relative alle società di persone, continuano a non essere regolate.
Nelle fusioni di società residenti in società non residenti, nelle scissioni di società residenti con attribuzione del patrimonio a società non residenti, nel trasferimento all’estero della residenza si produce un effetto simile a quello considerato per la trasformazione eterogenea: la decommercializzazione del soggetto. Tutti i beni, la cui finalità è estranea all’esercizio d’impresa, sfuggono al regime dei beni d’impresa previsto dall’ordinamento italiano.
Nelle operazioni di soggetti non residenti in soggetti residenti si produce la cosiddetta commercializzazione del soggetto e con essa l’ingresso dell’intero patrimonio del soggetto nel regime dei beni d’impresa. Per questi beni si pone il problema della valorizzazione; per i beni situati al di fuori del territorio dello Stato si adottano i valori attuali in modo da neutralizzare i plusvalori o i minusvalori creatisi prima che i beni entrassero in contatto con l’ordinamento italiano, mentre per i beni già presenti in Italia, ma non soggetti al regime dei beni d’impresa, si contrappongono 2 modelli:
- quello della destinazione alla sfera aziendale dei beni appartenenti alla sfera personale del patrimonio dell’imprenditore;
- quello della trasformazione eterogenea di un ente non commerciale in società di capitali.
Mentre le fusioni, le scissioni, i trasferimenti di sede sono fiscalmente neutri, i conferimenti di azienda e gli scambi di partecipazioni sono eventi realizzativi. L’art. 179, c. 2 estende ai conferimenti il regime di neutralità dell’art. 176, fermo restando, per quei conferimenti realizzati da una società residente, il realizzo dei maggior valori relativi ai beni conferiti che, dopo l’operazione, non sono confluiti in una stabile organizzazione in Italia.
Per quanto riguarda gli scambi di partecipazioni, l’art. 179, c. 4, li tratta come il concambio nelle fusioni, e prescrive la trasmissione alle partecipazioni ricevute dei valori fiscalmente riconosciuti delle partecipazioni rese.

Tratto da MANUALE DI DIRITTO TRIBUTARIO di Andrea Balla
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