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Le scoperte scientifiche di Galileo


Per comprendere il metodo di Galileo risulta utile conoscere prima le sue scoperte scientifiche. Con l’intuizione teorica del principio di inerzia, secondo cui un corpo tende a conservare indefinitamente il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, sinchè non intervengano forze esterne a modificare tale stato, Galileo superava il doppio giudizio per cui la quiete è qualcosa di naturale e il moto si mantiene solo finchè permane la forza che lo ha provocato.
La fisica aristotelica pensava che la velocità di caduta dei corpi fosse direttamente proporzionale al peso dei corpi che cadono. Galileo osserva invece che tutti i corpi, qualunque sia il loro peso, cadono con la stessa velocità. E se l’esperienza immediata sembra confutare tale legge, ciò è dovuto alla resistenza dell’aria. Nel vuoto la legge si realizza perfettamente.
Galileo perviene così al secondo principio della dinamica: le forze applicate ai corpi non causano delle velocità, bensì delle accelerazioni proporzionali alle forze che le hanno prodotte. Le scoperte più importanti saranno tuttavia quelle astronomiche.

Aristotele credeva che solo la terra, essendo immobile, fosse centro di moti astrali; Galileo al contrario, scoprendo i quattro satelliti di Giove, sostiene che anche la Terra, con il suo satellite, ruoti intorno al Sole. Mentre la cosmologia tolemaica sosteneva che i corpi celesti, essendo perfetti, fossero incorruttibili e non soggetti al divenire, Galileo scoprì la formazione di macchie oscure sulla superficie solare, attestando un processo di trasformazione in atto. Ancora, con la scoperta delle fasi di Venere, rilevò che anche gli altri pianeti sono corpi opachi, illuminati dal Sole.
Nel 1632, durante il pontificato di Urbano VIII, Galileo pubblica il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Esso è diviso in quattro giornate: nella prima si pone sotto accusa la distinzione aristotelica tra mondo celeste e terrestre. La seconda giornata è dedicata alla confutazione degli argomenti tipici contro il moto della terra. Contro chi sostiene che la terra, ruotando davvero su se stesso, solleverebbe un vento tale da trasportare gli oggetti, Galileo, per bocca di Salviati, risponde che l’aria partecipa dello stesso movimento della terra, e in rapporto a essa è ferma.

Queste geniali contro-argomentazioni si ispirano al principio della relatività galileiana, secondo cui è impossibile decidere sulla base delle esperienze meccaniche compiute all’interno di un sistema chiuso se esso sia in quiete o in moto rettilineo uniforme. Nella terza e nella quarta giornata, infine, Galileo dimostra il moto di rotazione della terra ed espone la sua dottrina delle maree.
La grandezza di Galileo non consiste tanto nell’aver costruito il cannocchiale, ma nell’averlo usato scientificamente: egli ebbe la genialità e il coraggio di puntarlo verso il cielo, trasformandolo così in telescopio, ossia in uno strumento primario dell’osservazione astronomica e facendo tali scoperte.
Altro risultato importante di Galileo è l’individuazione del metodo della fisica, in cui distingue due momenti. Il primo, il momento risolutivo-analitico, consiste nel risolvere un fenomeno complesso nei suoi elementi semplici, quantitativi e misurabili, formulando un’ipotesi matematica sulla legge da cui dipende. Il secondo, il momento compositivo-sintetico, risiede nell’esperienza: se l’ipotesi supera la prova, essa viene accettata, altrimenti è sostituita da un’altra ipotesi.

Secondo Galileo, la scienza è composta di sensate esperienze e necessarie dimostrazioni. Le sensate esperienze sono il momento osservativo e induttivo del sapere; le necessarie dimostrazioni sono il momento ipotetico e deduttivo del sapere. Induzione e deduzione, per Galileo, sono indissolubilmente congiunte e si richiamano a vicenda.

Quando una verifica diretta non è possibile, si può ricorrere a una verifica indiretta delle conseguenze. Per esempio, il principio di inerzia, sebbene non sia constatabile empiricamente, spiega con esattezza i movimenti che si constatano in natura.
L’esperienza di cui parla Galileo non è l’esperienza immediata: essa può essere ingannevole, tant’è che Galileo ha battagliato tutta la vita contro le apparenze immediate dei fenomeni, che attestavano tesi opposte a quelle della scienza, ad esempio che la terra stia ferma. Con Galileo comincia ad affermarsi quel divorzio tra mondo della fisica e mondo comune, caratteristica della scienza moderna. Per lo scienziato, l’esperienza, scientificamente intesa, è l’esperimento.

Con il suo metodo Galileo perviene allo schema teorico della scienza moderna: la natura è un ordine oggettivo e casualmente strutturato di relazioni governate da leggi e la scienza è un sapere sperimentale-matematico intersoggettivamente valido. Non dobbiamo dunque cercare perché la natura opera in un certo modo (causa finale) ma solo come opera (causa efficiente).
Analogamente, contro ogni fisica essenzialista, che pretenda di spiegare i fatti in base alle essenze o alle virtù, Galileo ribatte che lo scienziato deve occuparsi solo delle leggi che regolano i fatti. Con ciò Galileo non intende negare, in assoluto, l’esistenza di finalità ed essenze, ma semplicemente accantonarle, non essendo dato alla mente di conoscerle.

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