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La natura della funzione legislativa


Da un lato la concezione tradizionale, elaborata soprattutto in Germania, secondo cui l’attività legislativa si estrinseca attraverso la posizione di norme generali ed astratte; dall’altro l’idea che la funzione legislativa abbia connotazioni esclusivamente formali e che sia non solo consentita, ma in alcuni casi addirittura necessaria per l’adempimento di compiti dello Stato sociale, l’emanazione in forma legislativa di provvedimenti concreti.
In Italia l’idea che la Costituzione non dia alcuna indicazione sui caratteri, anche sostanziali, della funzione legislativa pare essere frutto di una lettura quanto meno affrettata e settoriale della Costituzione stessa.
Infatti, per un verso, l’art. 70 cost. va letto e interpretato in connessione con le altre disposizioni costituzionali che lo seguono e che meglio definiscono i confini tra la funzione legislativa del Parlamento e quella di altri organi o soggetti; per altro verso la consistenza della funzione legislativa va riconnessa alla definizione che la Costituzione eventualmente dia di altre funzioni statali; infine, vanno tenute presenti le prescrizioni costituzionali dirette ad orientare in via generale l’attività legislativa.

Sotto il primo aspetto, emerge un ruolo della legislazione parlamentare di guida e d’indirizzo della normazione statale e regionale.
Se poi si considerano le numerose riserve di legge di cui è costellata la Costituzione, questo ruolo ne risulta ampiamente confermato.

Sotto il secondo aspetto, va pure osservato che, sebbene manchi nel testo costituzionale un’esplicita riserva all’esecutivo della funzione amministrativa, è pur vero che dall’art. 97 cost. tende ad emergere almeno una riserva di procedimento amministrativo, suscettibile di impedire che determinate scelte, che non attengono all’indirizzo politico generale, siano effettuate con atto legislativo.

Sotto il terzo aspetto, non si può non considerare il rilievo che, anche in questo settore, deve avere il principio di eguaglianza, tenuto conto del carattere tendenzialmente derogatorio che assumono le leggi-provvedimento.
Né su questo punto possono soccorrere considerazioni, molto diffuse fra i costituzionalisti, che portano a giustificare in base ai principi dello Stato sociale le leggi-provvedimento.
Invero, se è compito dello Stato sociale rimuovere gli ostacoli che impediscono alle categorie più disagiate di partecipare alla vita politica, economica e sociale del Paese, assicurare ai meno abbienti condizioni di vita dignitosa, ridistribuire ricchezze, offrire sicurezza sociale, fornire servizi pubblici, ecc… non è detto che queste prestazioni vadano realizzate con lo strumento legislativo e non debbano essere erogate dall’autorità amministrativa sulla base di previe determinazioni normative.
La pretesa, invece, che il legislatore parlamentare si faccia carico, non soltanto di stabilire le norme generali in base alle quali determinate prestazioni debbono essere effettuate, ma anche di emanare, in applicazione di (o in deroga a) queste, le misure amministrative concrete, non riguarda affatto lo Stato sociale, ma più specificamente un rapporto disturbato tra legislazione e amministrazione, tra potere politico e potere amministrativo.

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