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Il procedimento di delibazione avanti alla Corte d’Appello


L’art. 82 dell’Accordo di Villa Madama, integrato con le disposizioni del Protocollo Addizionale, disciplina il procedimento avanti la Corte d’Appello col quale vengono dichiarate efficaci nell’ordinamento statale le sentenze di nullità pronunciate dai tribunali della Chiesa.
Conseguentemente a detto riconoscimento, anche nell’ordinamento statale scompaiono, con efficacia ex tunc, gli effetti personali e patrimoniali derivanti dal vincolo coniugale.
Detto procedimento ha recepito i principi esplicitati dalla Corte Costituzionale, che riconobbe la necessità che l’organo statale deputato alla delibazione verificasse sia il rispetto nel processo canonico del diritto delle parti ad agire e resistere in giudizio, sia la conformità delle sentenze ecclesiastiche all’ordine pubblico statale.
Mentre la legge di diritto internazionale privato 218/95 prevede l’efficacia automatica delle sentenze straniere, l’art. 2 di questa stessa legge specifica che essa non pregiudica l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia, e quindi anche l’Accordo di Villa Madama.
La Corte d’Appello territorialmente competente per la delibazione è quella nel cui distretto è situato il Comune dove il matrimonio concordatario è stato trascritto.
La causa di delibazione di instaura mediante la “domanda delle parti o di una di esse”; in conformità al principio della domanda.
È noto che, perché sia oggetto di delibazione, una sentenza deve essere passata in giudicato; a questo fine, poiché la sentenza ecclesiastica di nullità, secondo il diritto canonico, non passa mai in giudicato, il Protocollo Addizionale precisa che “si considera sentenza passata in giudicato la sentenza che sia divenuta esecutiva secondo il diritto canonico”.
Per l’attribuzione di efficacia alle sentenze ecclesiastiche, l’art. 82 lett. a dell’Accordo del 1984 impone anzitutto che la Corte d’Appello accerti che il giudice ecclesiastico fosse competente, secondo l’ordinamento italiano, a conoscere della causa, ossia che si trattasse di matrimonio concordatario celebrato in Italia.
L’art. 82 lett. b impone alla Corte d’Appello di verificare che “nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio, in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano” (c.d. ordine pubblico processuale).
L’art. 82 lett. c richiede infine alla Corte d’Appello di accertare “che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere”.
Il rinvio è ai requisiti specificati dall’art. 797 c.p.c.
Il Protocollo Addizionale stabilisce che l’art. 797 c.p.c. dovrà essere applicato “tenendo conto della specificità dell’ordinamento canonico dal quale è regolato il vincolo coniugale, che in esso ha avuto origine”.
Da quanto sopra si ricava che:
- la sentenza non deve essere contraria ad altra sentenza pronunciata da un giudice italiano passata in giudicato;
- non deve essere pendente davanti al giudice civile un processo per il medesimo oggetto e fra le stesse parti;
- la sentenza non deve essere contraria all’ordine pubblico italiano (ordine pubblico sostanziale).
Autorevole dottrina ha esattamente rilevato che contrasterebbero con l’ordine pubblico le sentenze di nullità matrimoniale pronunciate sulla base di impedimenti di natura esclusivamente confessionale, quali la disparità di culto, l’ordine sacro e il voto pubblico di castità emesso in un istituto religioso.
Tali cause di nullità non hanno rilevanza per il diritto civile, sicché i matrimoni contratti in loro presenza sarebbero assolutamente validi per lo Stato.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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