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L’assistenza spirituale nelle strutture sanitarie


Già il r.d. 289/30, peraltro ancora in vigore, prevedeva che “i ministri dei culti ammessi nello Stato possono essere autorizzati a frequentare i luoghi di cura e di ritiro per prestare l’assistenza religiosa ai ricoverati che la domandino”.
L’autorizzazione è rilasciata dall’autorità preposta alla direzione amministrativa del luogo di cura o di ritiro e deve indicare le modalità o le cautele con cui l’assistenza deve essere prestata.
Quanto ai fedeli cattolici la prima normativa organica in materia è offerta dalla l. 132/68, che indica espressamene questo servizio tra i requisiti necessari per la classificazione dei c.d. enti ospedalieri e individua quale personale di assistenza religiosa “i ministri del culto cattolico”.
Questo sistema è stato parzialmente modificato dall’attuale disciplina dell’assistenza spirituale, contenuta nella l. 833/78, istitutiva del Servizio sanitario nazionale.
In essa viene stabilito che “presso le strutture d ricovero sia assicurata l’assistenza religiosa nel rispetto della volontà e della libertà di coscienza del cittadino” e che l’Unità sanitaria locale (ora A.S.L.) provveda “per l’ordinamento del servizio di assistenza religiosa cattolica, d’intesa con gli ordinari diocesani” e “per gli altri culti, d’intesa con le rispettive autorità religiose competenti per territorio”.
In seguito, molte Regioni si sono preoccupate di munirsi di una specifica disciplina in materia anche attraverso la conclusione di appositi protocolli d’intesa con le Conferenze episcopali regionali.
Da segnalare che l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Careggi ha sottoscritto a livello locale due protocolli di intesa con la Comunità Ebraica di Firenze e con la Comunità Islamica di Firenze e Toscana.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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