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Definizione di cause sopravvenute di non punibilità


Esse consistono in comportamenti del reo successivi alla consumazione del reato e antagonistici all’offesa prodottasi con il reato, nel senso cioè che fanno sì che il periodo realizzato non sfoci nella lesione del bene giuridico oppure neutralizzano l’offesa prodotta.
Esse implicano un termine entro il quale deve essere tenute il comportamento del reo.
Occorre, che il legislatore abbia espressamente previsto il comportamento antagonista del reo attribuendo ad esso l’efficacia giuridica di escludere la punibilità del reato commesso. Altrimenti, quel comportamento del reo potrà rilevare semplicemente come circostanza attenuante comune ai sensi dell’art. 62 n.6 c.p.
Es. di cause sopravvenute di non punibilità: la desistenza volontaria (art. 56.3 c.p.), essa infatti presuppone la realizzazione di un delitto tentato e consiste in un comportamento, per lo + ma non elusivamente omissivo, antagonistico rispetto alla condotta criminosa di cui in effetti impedisce l’evoluzione dalla situazione di pericolo alla realizzazione della lesione che al bene giuridico verrebbe inferta con la consumazione.
Altro es. è la ritrattazione della falsa testimonianza (art. 376 c.p.).

La ratio delle cause sopravvenute di non punibilità consiste nell’interesse che ha l’ordin. a incentivare comportamenti antagonistici al fatto criminoso.
Il ricorso a tale cause è possibile quando lo stato di sofferenza del bene giuridico è materialmente eliminabile e allorché il legislatore giudichi particolarmente efficace l’intervento antagonistico da parte dell’autore del fatto.
Anche tali cause si riferiscono unicamente al soggetto che tiene il comportamento antagonista.

Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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