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Il concetto di diritto, ex art. 51 c.p.


Il concetto di diritto deve essere inteso estensivamente, identificandolo con ogni facoltà legittima ricompresa in una situazione giuridica soggettiva attiva: rientrano dunque nell'art. 51 c.p. le potestà (jus corrigendi dei genitori verso i figli minori), i diritti potestativi (diritto di recesso), l'ufficio privato (tutore degli interdetti), gli interessi legittimi (nei limiti in cui si riconosca a tale situazione giuridica un qualche contenuto di attività), oltre, ai diritti soggettivi in senso stretto (diritto di proprietà), alle mere facoltà legittime (facoltà di arresto da parte dei privati) ed ai poteri giuridici degli organi pubblici (fermo di indiziati di reato da parte del p.m.).
Questa accezione del termine “diritto” è imposta da due rilievi:
a)non è pensabile che l'art. 51 c.p. abbia inteso limitarsi al solo «diritto soggettivo», dato che esso costituisce una categoria dogmatica dai confini controversi (molteplici definizioni proposte per identificarlo);
b)tanto meno lo si può supporre, se si considera che l'esigenza di assicurare la prevalenza all'interesse per il quale il diritto è attribuito e di evitare antinomie nell'ordinamento, si prospetta esattamente negli stessi termini per tutte le situazioni giuridiche soggettive di contenuto attivo.
Cmq, l’esistenza e l’esercizio di un “diritto” non sono sufficienti ad escludere automaticamente la punibilità: occorre anche che la condotta, con i caratteri in concreto posti in essere dall’agente, sia espressamente prevista e permessa dalla norma stessa che riconosce il diritto o da altra norma particolare.

Fonte e titolarità del diritto:

E’ discusso se l'art. 51 co. 1 delinei una scriminante normativamente completa, o una scriminante “in bianco”.  
Nel primo caso, l'efficacia scriminante dell'esercizio del diritto deriverebbe esclusivamente dall'art. 51 co. 1; il “diritto” costituirebbe, nel contesto della fattispecie, un mero elemento normativo di carattere giuridico, suscettibile di essere definito in base a qualunque fonte: legge, legge regionale, regolamento, consuetudine.  
Nel secondo caso, invece, l'art. 51 co. 1 si limiterebbe a dare ingresso, nell'ambito del diritto penale, alle norme permissive in quanto tali, di modo che l'efficacia scriminante dipenderebbe dalla effettiva idoneità di tali norme ad introdurre deroghe alla legge penale incriminatrice: non dunque la legge regionale, né il regolamento, né la consuetudine (che non possono modificare la legge ordinaria, qual è appunto necessariamente la legge penale).
La seconda soluzione è da preferire.
Importante!! Il diritto deve dunque derivare da una previsione normativa di carattere legislativo ordinario (o di rango più elevato). Ma ciò non significa però ch'esso debba essere interamente e compiutamente definito da tale fonte; in materia di scriminanti non entra infatti in gioco il principio di stretta legalità, ma solo l'esigenza che la gerarchia delle fonti sia rispettata (e che pertanto la deroga alla legge si basi, in ultima istanza, su una legge, secondo il canone della riserva relativa).
Da questo punto di vista il diritto può derivare, oltre che da una legge ordinaria, da una legge regionale che sul punto corrisponde ai principi di una legge statale, da un regolamento esecutivo conforme alla legge, da una consuetudine richiamata dalla legge. Nessun dubbio ch'esso possa derivare anche da un provvedimento giurisdizionale o amministrativo emanati in base alla legge, o da un contratto che ha «forza di legge tra le parti».
Per quanto riguarda il diritto riconosciuto da un ordinamento straniero (o dall'ordinamento canonico) si prospetta un'analoga esigenza ch'esso sia richiamato da una legge dello Stato.

Limiti dell’esercizio del diritto:

Il diritto (le facoltà) deve essere esercitato dal suo titolare. Se si tratta di un diritto non personale, ne è ammesso l’esercizio per il tramite di un rappresentante, al quale si estenderà l’esimente relativa.
La titolarità di un diritto non rende automaticamente lecita ogni azione o modo di esercizio di esso.
Si distinguono:
limiti intrinseci => quelli che si ricavano dalla disciplina positiva del diritto del cui esercizio si discute. (es. il diritto di entrare sul fondo altrui senza commettere il reato di violazione di domicilio (art. 614 c.p.) incontra come limiti intrinseci quelli fissata dall’art. 843 c.c.),
limiti estrinseci => quelli che si ricavano dal complesso dell’ordinamento giuridico e consistono nella salvaguardia di quei diritti o interessi che abbiano valore uguale, o addirittura maggiore, di quello del cui esercizio si discute. (es. un diritto che trova la sua fonte in una lex ordinaria non può mai ledere un diritto tutelato a livello costituzionale).

Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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