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Diritto europeo e crocifisso in classe


Le prospettive processuali della questione vanno esaminate anche alla luce del diritto europeo, laddove non si vede come la persistenza dell’imposizione del crocifisso possa essere ritenuta non lesiva della libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
Vero è che la CEDU prevede una gamma estremamente variegata di “restrizioni” all’esercizio di quei diritti: le quali potrebbero, perciò, indurre la Corte europea dei diritti dell’uomo, già di manica larga nel riconoscimento del legittimo margine di discrezionalità ai singoli Stati, a maggiore indulgenza.
Ma è vero pure che a tal fine possono essere prese in considerazione le sole restrizioni “previste dalla legge”.
In ogni caso, non sembra che tali restrizioni possano essere richiamate con riferimento alla laicità, il cui modello è quello francese nel suo disegno più radicale della neutralità dello spazio pubblico e del conseguente divieto di esporre simboli religiosi al fine di evitare che chi non appartiene alla maggioranza religiosa del Paese possa essere sottoposto ad una pressione insostenibile.
Va peraltro osservato che di tali restrizioni non v’è più tratta nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa.
Di conseguenza, la libertà di coscienza, di pensiero e di religione riemerge qui come un valore assoluto, che non può soffrire di restrizioni di alcun tipo e non può essere affidato alla discrezionalità dei singoli Stati.
Sicché, nel contrasto, come nel caso, tra la norma statale e quella europea, è questa a prevalere.
Ci si potrebbe anzi chiedere se gli effetti di questa prevalenza consistano non nella semplice disapplicazione della norma statale, ma addirittura nella sua illegittimità, si da poter per tale via ovviare all’inconveniente della disapplicazione a macchia di leopardo, proprio del sindacato costituzionale (interno) diffuso.
Tuttavia, la norma europea contenuta nell’art. I-6, nulla precisa sugli effetti della prevalenza come sul modo in cui possa essere fatta valere l’eventuale invalidità, mostrando, quindi, di rimettersi agli ordinamenti interni e di accontentarsi anche della semplice disapplicazione: o, come ha precisato la nostra Corte Costituzionale, “non applicazione”, giacché la prima formula “evoca vizi della norma in realtà non sussistenti in ragione proprio dell’autonomia dei due ordinamenti”.
Permane, quindi, l’impostazione dualistica degli ordinamenti, separati ancorché coordinati, il cui contrasto legittima la “non applicazione” della norma interna sulla base di un sindacato di costituzionalità anch’esso diffuso.
Comunque sia, la norma impositiva del crocifisso se riesce, grazie alla sua natura regolamentare, ad evitare il sindacato della Costituzione italiana, non vale ad evitare quello della Costituzione europea.
In ultima analisi, invero, si aprirebbe non solo la strada per Strasburgo, ma anche quella per Lussemburgo, che nel caso si rivelerebbe un’autostrada per i sostenitori dell’assenza di simboli religiosi negli spazi pubblici.

Tratto da EGUAGLIANZA E DIVERSITÀ CULTURALI E RELIGIOSE di Stefano Civitelli
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